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Autore: AStepAway9    12/02/2019    0 recensioni
Da secoli, si muovono nell'ombra.
Sono giovani, potrebbero sembrare delle persone normali, ma hanno fatto un giuramento e intendono mantenerlo.
Sono consapevoli che le loro azioni non passeranno alla storia, che i posteri non racconteranno mai le loro gesta eroiche.
Lei lo sa meglio di tutti gli altri, ma ciò non conta.
Il suo nome è Diana ed è una Figlia della Spada.
--- N.d.A: ho scritto questo racconto molti anni fa e fino ad ora l'ho sempre tenuto per me. Ora ho deciso di pubblicarlo e di scoprire se a qualcuno piacerà leggerlo come a me è piaciuto scriverlo. Spero di aver corretto tutti gli errori durante la rilettura, ma, se così non fosse, sentitevi liberi di comunicarmelo e provvederò a rimediare.
Genere: Avventura, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.

 

 

<< Forse non dovremmo stare qui. Ho sentito cose strane su questo posto: dicono che sia maledetto >>, sussurrò un uomo, con voce tremante. Anche le sue mani avrebbero tremato se il loro proprietario non avesse temuto di venir affettato dalla sua stessa ascia. Dalla sua fedele compagna.

<< Tu ascoltavi troppe leggende. Era solo uno spauracchio che ci raccontavano i nostri genitori perchè non ci addentrassimo nel bosco, ora non siamo più bambini. E smettila di tenere quell'ascia come un'arma: siamo taglialegna, non soldati. Se qui ci fosse davvero qualcosa di strano, in città si saprebbe, no? >>, disse un secondo personaggio, alto nei suoi vestiti impolverati, fiero nei suoi modi grezzi.

<< Sì, forse hai ragione tu. Però prendiamo la legna per il fuoco e andiamocene. Questi alberi sono inquietanti >>, ribattè l'altro, più basso e decisamente meno coraggioso.

<< Sono solo alberi. Dovrebbero essere loro ad aver paura di te, visto e considerato che devi abbatterli> >, chiuse il discorso l'amico.

I due taglialegna procedevano scostando le foglie e i rami del sottobosco, cercando di raggiungere quel luogo che, secondo uno straniero incontrato alla locanda pochi giorni prima, era ricco di ogni tipo di legna e assolutamente sconosciuto ai più. Un paradiso per loro che, da anni, desideravano un modo per mettersi in luce.

Non sapevano però che il bosco non era un ambiente disabitato.

<< Cos'è stato? >>, chiese ancora il primo, asciugandosi sui vestiti le mani sempre più sudate.

<< Cos'è stato cosa? Io non ho sentito niente >>.

L'uomo alto ora fingeva una voce ancora più seccata di prima, ma un velo di paura riusciva a sfuggire al suo controllo. Anche lui aveva sentito le foglie sopra di lui che si muovevano. Un peso troppo grande per essere quello di un animale boschivo le aveva spostate.

<< Non è vero, hai sentito benissimo. Qualcosa si è mosso. Non siamo soli >>

<< Certo che non siamo soli: è un bosco, è pieno di animali >>.

Un altro rumore si fece sentire, facendo rizzare i capelli agli intraprendenti boscaioli: stavolta arrivava da un'altra direzione.

<< Questo posto mi fa paura, andiamocene >>, suggerì il tizio basso. L'amico, dopo che la fortuna lo ebbe salvato da un ramo diretto verso la sua testa, decise che non era il caso di farsi pregare: doveva esserci per forza un altro posto in cui far legna.

I due uomini si voltarono e intrapresero la strada nel verso opposto, prima camminando, poi sempre più velocemente.

Il rumore sospetto invece proseguì, andò sempre più avanti, finchè, davanti a quella che poteva sembrare una cortina di rami troppo spessa per essere attraversata, una figura incappucciata saltò dal ramo più alto di una quercia, atterrando perfettamente sul terreno sconnesso.

<< Possiamo stare tranquilli: non torneranno tanto presto >>.

 

 

Capitolo I.


I folti capelli neri premevano per uscire dal nascondiglio del cappuccio, i muscoli irrigiditi dal freddo pretendevano il dolce tepore di un letto familiare. Dopo tanto tempo, ancora doveva abituarsi alla lunga veglia notturna che spettava a chi era di guardia. Questo però non l’avrebbe mai rivelato a nessuno: il suo orgoglio non l'avrebbe permesso.

Con occhi distratti guardò la luna piena che sormontava la foresta e subito restituì lo sguardo al terreno. Era una notte tranquilla: nell’aria si udivano solo i versi degli animali, il fruscio del vento del nord tra le foglie e il continuo scorrere della cascata alle sue spalle. Stava seduta su quel ramo già da alcune ore e nemmeno un suono umano aveva turbato quella quiete che sembrava destinata a non venir spezzata da nessuno. Presa da una specie di muto rispetto, lei stessa aveva evitato di produrre rumori che avrebbero potuto contrastare con il poetico ambiente che la circondava. Se il suo animo fosse stato più propenso, avrebbe dedicato dei versi a quel magico plenilunio. In quel momento però aveva solo voglia di dimenticare i tragici esiti di quella giornata e le conseguenze che avrebbero potuto portare a lei e alla sua famiglia. Quella ragazza, che affrontava la notte sul ramo di un albero, non aveva avuto parte in ciò che era successo, ma se ne sentiva coinvolta, come accadeva per ogni missione che veniva affidata alla sua più stretta cerchia di amici. Mai come negli ultimi giorni aveva imparato che ogni loro azione doveva essere perfetta, altrimenti il prezzo da pagare sarebbe stato salato.

Il suo cervello registrò inconsciamente l’immagine delle altre sentinelle che scattavano, spaventate da alcuni passi affrettati che si dirigevano verso di loro; erano ancora troppo giovani e inesperte per riconoscere il cammino felpato di uno di loro. Sorrise nel costatare che non troppi anni prima era successo anche a lei, durante la sua prima notte di guardia. Forse ancora non lo sapevano, ma il loro udito sarebbe diventato abbastanza preciso da distinguere il passo di un adulto da quello di un adolescente. Le piccole guardie, due ragazzi e una bambina che non poteva avere più di dodici anni, si tranquillizzarono nel vedere la faccia a loro familiare di Byron, il maestro che si occupava delle nuove reclute. Speravano che desse il cambio a qualcuno di loro, ma rimasero delusi nel capire che avevano almeno altre tre ore davanti.

<< Diana, se non ti dispiace, prendo io il tuo posto. Raphael ti sta aspettando. Non per intromettermi in cose che non mi riguardano, ma mi è sembrato davvero preoccupato. Non l’avevo mai visto così >>, disse con la sua voce calda e sempre allegra.

Aveva il volto gioviale e sicuro di un ragazzo bello e consapevole di esserlo, ma in quel momento i suoi lineamenti erano oscurati da un timore segreto e contemporaneamente comune. Il sorriso che riservò alla ragazza era tirato e fasullo e altrettanto fu quello che lei gli donò in cambio. Diana scese dal ramo con un balzo e atterrò sul terreno con un tonfo appena percepibile. Lanciò un gesto di saluto alle altre sentinelle e ricambiò lievemente l’inchino di Byron. Senza altre parole si diresse verso la cascata.

Il rumore dell’acqua che si schiantava sulle rocce e la calma pacifica che prometteva il laghetto sottostante la attraeva come se stessero governando una marionetta, ma la ragione prevalse e le fece scegliere la strada più sicura. Quando la temperatura si sarebbe scaldata, si ripromise, avrebbe ricominciato a usare l’entrata subacquea, ma al momento non era una scelta consigliabile.

Con passi lunghi e sicuri girò attorno allo specchio d’acqua fino a raggiungere la cascata vera e propria. Lì si trovava una ripida salita, difficile da individuare, ma ben chiara per chi conosceva la via.

Riparandosi con il mantello dai numerosi schizzi, raggiunse la grotta e respirò a pieni polmoni l’aria umida che da tanti anni la accoglieva al suo ritorno a casa.

Si guardò intorno e dovette ammettere che chi era stato lì prima di lei aveva fatto un ottimo lavoro per nascondere a sguardi ostili il loro nascondiglio: tre gallerie diverse si diramavano dalla grotta, ma nessuna di esse aveva una fine. Procedevano per chilometri, incrociandosi tra di loro, senza portare mai da nessuna parte. Partivano dalla parete di fronte a lei e sembravano non lasciare spazio ad altro, ma in realtà, celavano abilmente il segreto di decine di stirpi e generazioni.

Diana non esitò oltre, si girò e si parò davanti alla parete più nell’ombra. Consapevole di ciò che stava facendo, prese il pugnale dal suo fianco e lo spinse in un'apertura della roccia. Contò fino a dieci e ritrasse la lama. Immediatamente il muro si aprì come una porta e la ragazza poté entrare.

Ad accoglierla c’erano due uomini sulla trentina, alti e dal fisico nervoso. S’inchinarono al passaggio di Diana e la accompagnarono fino alla seconda porta. Questa era maestosa e imponente e recava su di essa il segno dei secoli con la stessa dignità con cui rappresentava lo stemma dei Figli della Spada e quello del signore della regione. Si spalancò per lasciarle libero accesso al mondo che pochi conoscevano.

   
 
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