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Autore: SilVerphoenix    16/02/2019    5 recensioni
Una gita scolastica può rivelarsi davvero molto istruttiva... o distruttiva. Quel che succederà durante l'escursione organizzata al parco di Perche è del tutto imprevedibile, e potrebbe rimettere in discussione ogni cosa, ogni pensiero nella testa di Adrien. E di Marinette.
[La storia è stata scritta quando era uscita ancora solo qualche puntata della seconda stagione, ma può tranquillamente inserirsi in un punto qualsiasi della trama che ad oggi sia stata rivelata.]
Per: Marianna, perché se galeotto fu Tributario, cemento a presa rapida fu Miraculous. Tvb!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Due


 

Guardandosi intorno con cautela, Tikki emerse dalla borsa di Marinette. Prima controllò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, e infine si librò al di sopra del suo rifugio.

“Ce ne hai messo di tempo.” scherzò Plagg, comodamente accoccolato sul sedile che era stato occupato da Adrien. “Pensavo ti fossi addormentata!”

“Sono una kwami prudente, io.”

Il gattino si strinse nelle spalle e addentò una fetta di un formaggio rarissimo e costosissimo che Adrien gli aveva regalato quella mattina. Data la lunga gita, il ragazzo aveva riempito la propria borsa di provviste, avendo cura di sigillare ogni sacchettino di formaggio singolarmente, per evitare di puzzare come un bidone dei rifiuti.

“Ti stavo aspettando. Ero certo che non saresti entrata lì dentro.”

“Beh, non è che avessimo poi tanta scelta, no?” Tikki atterrò sul sedile di Marinette, ad una ragionevole distanza dal vorace collega. “Adrien ti vizia, eh?”

Ingollando l’ultimo pezzo, Plagg sorrise serafico. “E fa bene, perché non dovrebbe? A proposito, vuoi spiegarmi perché non posso dirgli che lui e Marinette sono…”

NO!” tuonò l’altra, senza nemmeno che lui finisse di parlare. “Te lo proibisco!”

“Questo me l’hai già detto.” sbuffò il gattino, per nulla impressionato. “Ti sto chiedendo il motivo. Sappiamo benissimo che Marinette ha una cotta per Adrien…”

“…e che lui è innamorato di Ladybug.” completò la coccinella.

“Appunto.” Plagg si strinse nelle spalle. “Che scoprano la verità così smettono di lagnarsi.”

“Marinette non si lagna.” s’indispettì Tikki. “E noi non possiamo intrometterci, Plagg. Io non capisco cosa ti salti in mente! Come se fossi un kwami da pochi giorni…”

Plagg non rispose subito, sembrò combattuto, ma alla fine ammise in tono appena udibile “Adrien soffre per lei. E a me non piace vederlo soffrire.”

Tikki sembrò spiazzata, aprì la boccuccia per ribattere ma la richiuse un paio di volte. “È questo il motivo per cui vuoi dirglielo, allora?” sussurrò infine. “Tieni tanto a lui, vero?”

“Che domanda stupida.” Plagg si voltò e balzò sul bracciolo, per guardare fuori dal finestrino. “Conosci la risposta.”

Tikki svolazzò accanto a lui e, cercando di nascondere un sorriso, rimase semplicemente in silenzio per un po’.

“Io lo so che non possiamo intrometterci. Ma vorrei tanto che Adrien fosse felice.”

“Arriverà un momento in cui decideranno di svelarsi le proprie identità, e noi dobbiamo rispettarlo. Fino a quel momento, non preoccuparti, staranno bene.”


 

*


 

Non sapeva se a destarlo fosse stato il dolore alla testa, il fastidio alla schiena o la mancanza d’aria, ma quando Adrien riprese conoscenza, dovette tossire un paio di volte prima di riuscire a respirare. Aprì gli occhi e per un attimo avvertì una fitta di panico, poiché non vide assolutamente nulla. D’altra parte, non avendo mai sofferto di problemi alla vista, gli pareva assurdo credere di essere diventato cieco tutt’a un tratto.

C’era qualcosa di duro che premeva sul suo fianco, e tastandolo, il ragazzo sentì un oggetto lungo e freddo contro le dita… la torcia! Premette il tasto posizionato a metà del manico e all’improvviso, oltre a riacquisire il senso della vista, gli parve di riprendere possesso anche del proprio cervello: erano in gita, la torcia gliel’aveva data la guida. Poi c’erano state quelle scosse di terremoto, era successo tutto così in fretta che non ricordava molto altro. Però… Marinette! Spostò freneticamente il cono di luce sull’area che lo circondava, e ci mise solo un istante a localizzare la compagna di classe: era a terra poco distante, rivolta a pancia in giù e ancora incosciente, o almeno, così sperava…

Senza che nemmeno un filo d’aria potesse passare dalla sua gola, serrata dalla preoccupazione e dal dubbio, Adrien si lanciò su di lei, la girò e le poggiò due dita tremanti sulla gola… ma sì, ovviamente si sentiva il sangue pulsare nelle sue vene con forza e vitalità. Espirando tutta l’angoscia che in quei pochi istanti gli aveva attanagliato il petto, il ragazzo la strinse affondando il viso nell’incavo della sua spalla.

“Mi hai fatto davvero spaventare.” sussurrò, muovendo le labbra contro la pelle chiara del suo collo, e ben conscio che lei non potesse udirlo. “Non me lo sarei mai perdonato, Marinette…”

Si concesse ancora per qualche istante quella piacevole sensazione di calore nel petto, mentre la teneva tra le braccia e veniva avvolto dal suo profumo dolce e rassicurante, assaporandola ad occhi chiusi, poi si tirò a sedere e cercò di appoggiarla a terra con quanta più cura possibile. La prima cosa da fare era capire dov’erano e cos’era successo.

Adrien esaminò con il cono di luce della torcia ogni parete di roccia che li circondava, e realizzò che la stalattite che gli era precipitata addosso aveva formato una sorta di cavità naturale. Si trovavano esattamente nel triangolo creato tra la stalattite franata e la parete sulla quale si era schiantata. Nulla poteva assicurargli che non sarebbe collassata su sé stessa schiacciandoli inesorabilmente.

Rifletti, rifletti.

Nel punto più alto della grotta improvvisata, Adrien riusciva a toccare la roccia con la punta delle dita. In quello più basso, c’era spazio a stento per stare a gattoni. In tutto, non erano neanche due metri per due. Niente gli assicurava che, se avesse chiamato Plagg, chiedendogli di trasformarlo, lui avrebbe potuto raggiungerlo: non sapeva in che modo e a quali leggi della fisica obbedisse il richiamo del Miraculous. Ma non aveva nessuna intenzione di provare. Primo, Plagg gli aveva spiegato chiaramente che quei luoghi prosciugano le energie vitali dei kwami, e lui non avrebbe messo a repentaglio la vita di Plagg per un tentativo alla cieca. Secondo, che era anche il motivo per cui non valeva la pena provare, anche se avesse vestito i panni di Chat Noir, in quella situazione avrebbe potuto cambiare ben poco. Cosa avrebbe fatto con il suo potere? Utilizzare un Cataclisma per farsi franare addosso una montagna intera non era di certo una mossa geniale. E poi c'era il piccolissimo dettaglio che, qualora si fosse trasformato e grazie ai suoi poteri avesse trovato una via d'uscita, ammettendo anche la sua compagna non avesse ancora ripreso i sensi... tutto il resto della scuola, anzi, tutto il resto del mondo avrebbe saputo che da una grotta in cui erano rimasti intrappolati Adrien e Marinette, lei era uscita in compagnia di Chat Noir.

Quindi, niente Miraculous e niente poteri. Siamo solo noi due e la roccia.

Spostò la ragazza nella zona più ampia di quella grotta naturale, ringraziando mentalmente la stalattite che, per il momento, non gli era franata addosso, salvando le loro vite. Che poi, a proposito di salvare le vite…

“Sei una stupida, Marinette.” disse alla compagna ancora incosciente. Poggiò la torcia a terra e sedette nuovamente accanto a lei, e con dolcezza le sollevò il busto per poggiarlo su di sé, sperando fosse più comodo della nuda roccia appuntita. “Che cosa volevi fare? Avresti dovuto rimanere dov’eri, a quest’ora saresti stata fuori insieme al resto della classe.”

Adrien abbassò lo sguardo sul viso, placidamente addormentato, della ragazza. I suoi lineamenti dolci erano distesi in un’espressione angelica. Con l’indice le scostò un ciuffo dagli occhi, poi, esitante, le sfiorò una guancia. Era la prima volta che aveva la possibilità di guardarla così da vicino… anzi, era la prima volta che aveva quella possibilità con chiunque. Non era mai stato tanto intimo con qualcuno per poterlo osservare a proprio piacimento. Si ritrovò a pensare, e non per la prima volta, che fosse una ragazza molto bella, con quei lineamenti perfetti e un nasino che sembrava disegnato… lei non poteva saperlo, ma quando era stato vicino a lei come Chat Noir, invece che come Adrien, aveva provato la sensazione di essere al sicuro.

Eppure lei non era Ladybug.

…No, non lo era. Erano così diverse, sotto tanti aspetti.

Marinette gli faceva venire la voglia di stringersela al petto e proteggerla da qualsiasi cosa potesse farle del male, che fosse ad opera degli altri o della sua stessa goffaggine. Sorrise, pensando agli innumerevoli disastri che le aveva visto combinare, soprattutto quando si agitava in sua presenza. Era adorabile. Ladybug, invece, era una forza della natura.

E per quanto, ovviamente, cercasse di salvare praticamente tutti i giorni anche Ladybug, con lei provava qualcosa di diverso, un’attrazione che non riusciva ad identificare in poche parole. Forse era parte del sapere che solo lei avrebbe potuto capire cosa provava, solo lei avrebbe compreso davvero la sua doppia vita. O forse erano semplicemente quegli occhi dannatamente blu che…

che si stavano aprendo.

No, non quelli di Ladybug! Quelli di Marinette.

Certo, non erano dello stesso blu, ma… aspetta. Adrien batté le palpebre, osservando quelle della ragazza sollevarsi appena, e poi richiudersi, poi fare un nuovo tentativo di aprirsi.

La ragazza si tirò appena un po’ su con la schiena e tossì violentemente, più di una volta, ma il viso di Adrien era rimasto immobile, folgorato… Le iridi di Marinette. Conosceva il blu degli occhi di Ladybug meglio di chiunque altro e…

No, è impossibile.

Un nuovo accesso di tosse della giovane lo riscosse e le si avvicinò, accucciandosi accanto a lei. “Stai bene?”

Marinette deglutì e fece per annuire, ma quando aprì gli occhi e realizzò chi si trovava a pochi centimetri dal suo viso, sbiancò. “A-a-a-dir-ne? Ehm… A-drien?”

Lui ridacchiò. “Vivo e vegeto. Anche grazie a te, dovrei aggiungere.”

La ragazza girò il viso lentamente verso destra, poi verso sinistra, e dovette realizzare che si trovavano in un buco nella terra non più grande del cubicolo di un bagno. Nonostante la scarsa luce della torcia, Adrien notò distintamente il rossore tingerle le guance. “Do-dove…come?” balbettò lei.

Dove, è un po’ difficile da dire con precisione. Una caverna nel bel mezzo del parco di Perche, suppongo che dovremo accontentarci di questa risposta.” Davanti all’evidente imbarazzo della compagna, per lui era impossibile trattenersi. Si sentiva loquace e brillante come nei migliori giorni di Chat Noir. “Come, è più semplice: ti sei buttata sotto diverse tonnellate di roccia in caduta libera per salvarmi.”

Il colore si diffuse dalle guance di Marinette al resto del viso, come un fiume in piena che riusciva a rendere in ogni centimetro della sua pelle più evidente l’imbarazzo. “Oh-ah…”

“Uh”, completò lui ridacchiando di quella reazione così Marinettesca. Poi, fissandola intensamente, all’improvviso serio, le chiese “Non dirmi che ti penti di avermi salvato?”

Lei scosse il capo con forza e cominciò ad articolare una risposta, mettendo insieme pezzi di frase sconnessi, e provocandogli una nuova genuina risata. A quel punto, sorridendo dello scherzetto, si voltò per dargli le spalle e cercare di recuperare un minimo di autocontrollo. Nel compiere quel gesto, però, Adrien la vide sobbalzare.

“Ehi, va tutto bene?”

Marinette si tastò con gesti cauti la caviglia sinistra. “Non ne sono sicura. Credo di essermi rotta qualcosa.” Mormorò con voce incerta, dopo qualche tempo.

“Fa vedere.” disse lui, già preoccupato.

Adrien avvicinò la torcia, le sciolse i lacci della scarpa da ginnastica, e con gentilezza gliela sfilò. La caviglia era molto gonfia, e lui la prese tra le mani. Per quanto si muovesse con gesti lenti e accorti, lei sobbalzò.

“Vorrei vedere se riesci a muoverla, puoi sopportare un po’ di dolore?”

“Sì” esalò lei, e il ragazzo cominciò a farle fare dei minuscoli movimenti circolari per assicurarsi che non fosse davvero rotto qualcosa. Gli era capitato di prendere qualche storta durante gli alleamenti di scherma, e il preparatore atletico controllava sempre in quel modo se fosse grave. A causa di quei gesti, la sentì trattenere il fiato, e quando alzò lo sguardo sul suo viso, notò che si mordeva il labbro e aveva gli occhi serrati. Adrien non poté fare a meno di sorridere, sembrava una bimba di cinque anni che si fosse sbucciata un ginocchio.

“La caviglia si muove abbastanza bene, se sei fortunata si è trattato solo di una storta.” le disse, aggiungendo poi “Certo, non sono un medico e potrei sbagliarmi. Ma spero per te di no.”

Appoggiò delicatamente la caviglia a terra e tornò vicino a lei. “Diciamo che te lo auguro di cuore.”

“Suoni minaccioso.” sorrise appena la ragazza, evitando di guardarlo e rimettendo la scarpa. “Ahi!”

“Lasciala stare, non l’indossare. Credo sia meglio se la tieni ferma.” l’ammonì lui. “Certo che sono minaccioso. Se ti sei rotta una caviglia per salvarmi la vita, ti rompo anche l’altra.”

Marinette lo guardò confusa, ma quando lui si mise a ridere, capì che scherzava e arrossì di nuovo. Cercando di distrarsi, prese la torcia da terra ed esplorò la cavità dove si trovavano, come aveva fatto lui poco prima. “Siamo stati fortunati, che la stalattite abbia retto.” concluse, come aveva pensato lui stesso. “Cosa succederà adesso?”

“Ci verranno a prendere, suppongo. Tutti là fuori sanno che siamo rimasti qui, avranno già chiamato i soccorsi. Non ci vorrà molto, vedrai. Immagino sia una prospettiva lugubre e noiosa, per te, l’idea di rimanere qui con me…”

Lei sobbalzò. “No ma che dici tu sei fantastico cioè è fantastico essere qui no non intendo l’incidente è che…”

“Marinette.”

La ragazza chiuse la bocca come se ci fosse stato un burattinaio e tirare un filo apposito.

“S-si?”

“Sono contento che non mi trovi noioso.” Messa da parte la sbruffoneria, le disse semplicemente la verità. Poi, guardandosi intorno, afferrò la torcia e la puntò sul proprio viso, creando un bizzarro gioco di luci e ombre. “Che facciamo nel frattempo? Ci raccontiamo storie di fantasmi?”

Marinette ridacchiò, prendendo la loro unica fonte di luce e ponendola sotto il proprio mento. “Come ad un pigiama party?”

Adrien era lieto che si fosse tranquillizzata. Era raro che lei fosse disinvolta in sua presenza, e decise di approfittare di quel momento per farle un occhiolino. “Volentieri, ma temo che toccherà a te fare la narratrice. Non sono mai stato ad un pigiama party, milady.”

Marinette sgranò gli occhi nel sentire quella parola, ed il ragazzo si morse un labbro, come a volerla rimangiare. Aveva forse utilizzato con lei quell’appellativo, che gli era scivolato tra i denti come di sua spontanea volontà, anche sotto le spoglie di Chat Noir? Gli sembrava difficile. Di solito, lo riservava unicamente a Ladybug, e questo Marinette non poteva certo saperlo. Probabilmente le era solo suonato strano, si rassicurò, ripromettendosi comunque di non utilizzarlo più.

La luce della torcia si spense e si riaccese tremolando.

“Direi che questo fa molto atmosfera per le storie di fantasmi. Brava.”

“Non sono stata io. Temo che si stia scaricando la batteria.” Rispose lei preoccupata.

“Meno male che abbiamo anche la tua, allora.”

Marinette sembrò in difficoltà, cercò nelle tasche ma non trovò nulla. “Ma certo… stavo parlando con Alya quando le hanno distribuite. Ho preso il caschetto ma ho dimenticato la torcia! Sono una stupida!”

“Allora forse conviene spegnerla. Non sappiamo quanto ancora rimarremo qui dentro e se ci servirà di più dopo.” disse lui saggiamente.

“Spe-spegnerla?” balbettò la ragazza. “Rimarremmo completamente al buio!”

“Non ti mangio, stai tranquilla!” ridacchiò Adrien. “Non subito almeno!”

L’espressione impagabile di panico che si disegnò sui lineamenti della compagna, gli regalò una risata che veniva dal profondo dell’anima, forse enfatizzata anche dalla situazione difficile nella quale si trovavano. E nella quale, si ritrovò a pensare lui, se proprio avesse dovuto trovarsi con qualcuno, non avrebbe scelto nessun altro che non fosse Marinette. Non riuscendo a smettere di ridere sotto i baffi, il giovane si appoggiò con la schiena alla parete di roccia.

Marinette si mise in una posizione speculare, a qualche decina di centimetri alla sua sinistra, sobbalzando quando spostò la gamba infortunata. “Spengo.”

“Si.” Rispose lui, e non appena la luce sparì, allungò un braccio e l’attirò a sé. “Quindi? Mi racconti una storia di fantasmi?”


 

*


 

“Guarda, stanno giocando!” sorrise Tikki, divertita dal mondo in cui correvano tutti gli amici di Marinette.

Plagg, che si era accoccolato accanto a lei, abbracciando un’altra specialità che Adrien aveva fatto arrivare da chissà dove per compiacerlo, lanciò uno sguardo distratto all’indirizzo del gruppo sovraeccitato di studenti e adulti.

“Sei sicura che sia un gioco?”

Tikki osservò con più attenzione. “Mmmh. In realtà stanno correndo da questa parte, e non sembrano particolarmente felici e… oh no, Alya! Sta salendo sul bus!”

La coccinella si guardò intorno e calcolò che non avrebbe fatto in tempo a nascondersi dentro la borsa di Marinette. Alya l’avrebbe vista sul sedile o a terra, e allora anche se avesse imitato un pelouche, non sapeva cosa le avrebbe potuto fare. C’era anche il rischio che capisse fosse un kwami, adesso che aveva conosciuto Trixx.

Plagg fu più svelto: la spinse con forza dentro la tracolla di Adrien, più vicina ad entrambi, e si accucciò accanto a lei protetto dagli sguardi di chiunque fosse passato.

Alya, d’altra parte, si fermò proprio davanti a loro e cominciò a rovistare nella borsa della migliore amica.

“Cosa sta facendo?” si chiese il gattino, socchiudendo gli occhi.

“Dove l’hai messo, Marinette, dov’è il tuo cellulare… oh mannaggia quanto disordine, ma come può portarsi dietro dei macarons colorati? Eccolo!”

Alya tirò fuori il telefono dell’amica e digitò qualcosa.

Tikki trattenne il respiro. Quella scena non preannunciava nulla di buono.

“Non c’è campo, non c’è campo! Come possiamo chiamare i soccorsi se non funziona nessuno dei nostri telefoni?” Alya scattò in piedi. “Spero solo che Adrien e Marinette stiano bene.” Disse, prima di correre fuori dal pullman.

I due kwami erano congelati dalla paura.

“Adrien…”

“Marinette…”

“…cosa sta succedendo?” si chiesero in coro.


 

*


 

Marinette rabbrividì.

All’interno della grotta, la temperatura era molto più bassa che all’esterno, e la sua unica fonte di calore era il corpo di Adrien, così vicino al suo da poterne sentire il profumo. Un profumo che la mandava fuori di testa.

Mai, nemmeno nei suoi sogni più remoti e inenarrabili, avrebbe immaginato di trovarsi in una situazione simile: al buio, tra le braccia del ragazzo di cui era innamorata, e senza possibilità di fuggire. Si sentiva ubriaca, come se avesse bevuto troppo del liquore più forte del mondo… non che si fosse mai ubriacata, beninteso, ma immaginava che una sbornia dovesse far girare la testa a quel modo.

E per assurdo, il dolore pulsante alla caviglia sinistra le faceva quasi piacere: le dava un appiglio di realtà, sentiva che altrimenti avrebbe potuto inesorabilmente perdersi in quell’immenso nero che la circondava.

Adrien aveva rinunciato all’idea di raccontare storie di paura. Si era probabilmente ricordato che Marinette non amava l’horror, e in generale forse si era reso conto che la situazione la rendeva già abbastanza nervosa.

“Ehi.” le sussurrò, e lei rabbrividì nuovamente, e questa volta la temperatura c’entrava ben poco. Le labbra di Adrien erano così vicine alla sua fronte che i capelli le si erano mossi per lo spostamento d’aria provocato dal suo respiro.

“Mi… gira un po’ la testa.” confessò, sentendosi una stupida.

“Anche a me,” rispose Adrien. “Credo che non passi molto ossigeno tra le rocce. Ho paura che debbano accelerare le procedure di salvataggio, là fuori, o potremmo perdere conoscenza.”

L’idea che quella sensazione fosse dovuta ad una carenza di ossigeno nel sangue le parve molto lontana, come se le parole del ragazzo arrivassero da una radio messa in un’altra stanza, eppure avevano un senso.

Sentiva la testa piena di ovatta, e dove non c’era ovatta, c’erano farfalle impazzite: quando riusciva a diradare un po’ la nebbia, e realizzava di trovarsi tra le braccia di Adrien, ripiombava in un panico completamente diverso. Aveva bisogno di una boccata d’aria, aveva bisogno di respirare: si tirò su e incontrò per un istante la resistenza del braccio di Adrien.

“Scusa, non volevo trattenerti, cioè volevo ma…”

Stavolta toccò a lei ridacchiare, nel vederlo impacciato, e quella risata l’aiutò a riprendere un po’ di controllo della propria mente. “Bisogna capire da dove entra l’aria. Dobbiamo metterci più vicini alla fonte.”

“Accendo la torcia.”

“No.”

Marinette, tenendo gli occhi chiusi, percorse con le mani la roccia attorno a sé. “Non accenderla. In questo momento i nostri sensi sono più acuti perché non vediamo, dobbiamo approfittarne.”

Adrien, giustamente, non perse tempo a rispondere sprecando eventualmente ossigeno prezioso, ma l’aiutò nella ricerca. La chiamò dopo qualche minuto. “Qui, credo che da qui entri aria. Sento più fresco.”

“Bravo!”

Sempre procedendo a gattoni nell’oscurità completa, Marinette si voltò nella direzione dalla quale aveva sentito provenire la voce del ragazzo, e mai si sarebbe aspettata che lui si era sporto in avanti per aiutarla.

La punta del suo naso sfiorò la guancia del ragazzo, le labbra di lui le toccarono per un istante la pelle, appena al di sopra del mento. Perse l’equilibrio e, con prontezza di riflessi quasi felina, lui le afferrò le braccia, e forse istintivamente l’attrasse a sé. Marinette si trovò seduta su di lui. Fortunatamente, il suo corpo reagì prima della sua mente, che non aveva ancora registrato l’accaduto. Così prima ancora di capire dove fosse finita, già aveva cominciato a rialzarsi, mettendo le ginocchia a terra, alla destra e alla sinistra del ragazzo, per trovare un punto d’appoggio.

Ma non riuscì a terminare quel gesto. Di nuovo, incontrò la resistenza delle braccia di Adrien.

“Scusa.” Sussurrò lui. “Stavolta invece volevo trattenerti.”

Erano così vicini che lei aveva sentito sulle labbra lo spostamento dell’aria proveniente dalla sua bocca. Erano troppo vicini. Inesorabilmente vicini.

Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, o le sarebbe scoppiato il cuore. Deglutì.

“Per-chè?”

Non poteva vedere il sorriso sul viso di Adrien ma lo conosceva al punto da immaginarlo in ogni dettaglio, quando lo sentì nelle successive parole. “Siamo nella parte bassa della grotta. Se ti alzi, dai una craniata al soffitto.”

“Oh.”

Marinette cercò di deglutire di nuovo, anche questa volta con scarsi risultati. Sentire il fiato di lui sulla pelle non le dava scampo, rendeva la sua mente un corto circuito unico, e questo a prescindere che fossero più vicini all’unica fonte di ricambio d’aria della grotta.

Con un guizzo di lucidità, si chiese perché non la lasciasse allontanare, ora che le aveva detto il motivo per cui le aveva impedito di alzarsi di scatto. No, Adrien non aveva alcuna intenzione di farla allontanare, realizzò improvvisamente. Il calore stava scendendo piano dalla gola alla bocca dello stomaco, ma fu bloccato da un'altra stretta di Adrien, che fece scivolare le braccia intorno a lei. Il cuore, che già stava cercando di sfondarle la gabbia toracica, rischiò di andare in tilt tanto quanto il cervello.

“Il fatto è che… mi piace proteggerti.” confessò lui, e stavolta parlò così piano che se non si fossero trovati a pochi centimetri, non avrebbe mai potuto udirlo.

“Ti piace proteggermi?” ripeté lei, incapace di realizzare quel pensiero così dolce. Istintivamente, poggiò i palmi sul suo petto, e con sorpresa, si accorse di poter sentire il cuore di lui sotto le dita della mano destra. Avvertiva ogni battito del proprio cuore rimbombarle nella testa, e ogni battito di quello di lui contro la mano. Capì che stava per succedere qualcosa un attimo prima che lui parlasse, solo dall’accelerazione di quel ritmo.

Adrien l’avvicinò a sé con una lievissima pressione sulla schiena. “È un problema?”

Se non svengo adesso, non sverrò mai più in vita mia, pensò lei.

La distanza tra loro era quasi inesistente, tanto da aver avvertito per un istante il contatto con le sue labbra, mentre parlava. E non sulla punta del naso, stavolta…

“No..” mormorò, e di nuovo, consentì che le loro labbra si sfiorassero, quasi pregustandosi.

Non c’era bisogno di altre parole, non c’era bisogno di altre spiegazioni, la consapevolezza che in quel momento lui desiderava esattamente ciò che desiderava lei, e quanto lei, era sufficiente per dare un senso ad ogni interrogativo che fosse mai stato posto al mondo.

Le dita di Adrien premettero di nuovo con delicatezza sulla sua schiena, invitandola ad avvicinarsi ancora, a colmare quei pochi millimetri che ancora c’erano tra loro, e

“ADRIEN! MARINETTE!”

…Sobbalzarono come se fossero stati colpiti da una scarica elettrica.

Diverse voci, al di là della parete di roccia, si fecero più distinte, mentre chiamavano i loro nomi.

E lui fece scivolare le mani lungo i fianchi, liberandola.

Il Momento, il momento che Marinette aveva aspettato un tempo pressoché infinito, quantificabile non in mesi, o in anni ma in eoni… era passato. E non ce ne sarebbe mai stato un altro…

“Siamo qui.” Disse Adrien.

Marinette capì che la nota dispiaciuta nel tono di lui l’aveva solo creata con la forza della propria immaginazione, ancora persa nei suoi vaneggiamenti d’amore.

“Siamo qui!” ripeté Adrien con più forza, mentre lei scivolava giù dalle sue gambe. Il ragazzo afferrò la torcia, l’accese e la puntò in un angolo, lontana dai loro visi. “Ti va di aiutarmi? Forse se gridiamo entrambi, ci sentiranno.”




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Cantuccio di Silverphoenix: Ciao a tutti! Eccoci al secondo capitolo... spero che vi piaccia! Grazie per le recensioni, sono state apprezzatissime! *-* mi farete sapere che ne pensate anche di questo, vero? Vero??? mi raccomando ;-) buona serata e buon weekend! Silver
  
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