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Autore: Manto    17/02/2019    2 recensioni
"L'amore non è cosa che nasce con l'età: diventi grande e così ti innamori, inizi a comprendere e allora puoi sentire anche ciò che il tuo cuore vuole... no, non è proprio questo il suo modo di funzionare.
Non potrei mai dirti quando è iniziato il mio: forse, dentro me, già sapevo ciò da cui mi volevi proteggere, oppure forse in qualche modo ti avevo già conosciuto, e a priori avevo deciso di restare al tuo fianco.
Io l’ho chiamato l’amore dei ragazzini, sprovveduto, incosciente e intenso quanto loro; ma, ora lo so, in verità è molto più di questo."
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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{ III ♦ … E dell’Ombra del Cuore }




8 Luglio 2003, principio del giorno.



La pioggia scroscia sul vestito nuovo di Cleo, appiccicandole la stoffa al corpo e facendola rabbrividire; nella parziale oscurità che la stringe come un manto, la strada di casa è smarrita e le richieste di aiuto si perdono quanto lei, lasciandole affrontare il temporale da sola.
Il mare tace, non è alle sue spalle così come non appartengono al borgo le mura urbane che si stagliano a breve distanza; torri nascoste da alti roseti e nella sua memoria l’osservano risalire il ripido sentiero che su cui rischia di scivolare e precipitare di sotto, nel bacino dove tutta l’acqua si sta riunendo e sale, sale apposta per
afferrarla più in fretta.
Inutile correre, la ragazza sa che non farà mai in tempo a raggiungere la cittadina davanti a lei, né è sicura che questa sia disposta ad accoglierla; ma prosegue imperterrita, per non darla vinta facilmente alle forze ostili, decisa a tentare anche l’impossibile per salvarsi.
«Non dovresti essere qui.»
Non ha fatto in tempo a riconoscere il suono di passi in corsa e a girarsi, che già un braccio forte l’ha presa per la vita e impedito di cadere; e anche se il volto è coperto dal cappuccio di un mantello blu e il fisico è più grande del normale, nella figura che la sorregge Cleo riconosce Socrate, così che istintivamente sorride e si stringe al suo braccio.

Il ragazzo ha un ombrello con sé, ma l’acqua filtra attraverso di esso e li bagna comunque, spingendo lei a chiedersi il motivo di ciò, e anche perché l’amato non sorrida né riveli il viso. Il suo corpo è freddo, e non per la tempesta che soffoca le loro parole; no, è una condizione propria del giovane, il quale non si anima neppure quando Cleo prova a baciarlo.
«Mi dispiace, sai», sussurra questi in risposta al tentativo, con grande tristezza, «mi dispiace tanto.»
Solo a quelle parole lei si accorge del fango che le ha intrappolato i piedi e dei roseti cresciuti davanti ai suoi occhi, le cui nere spine hanno strangolato tutto i boccioli; ma ancora non comprende. «Che cosa dovrei mai perdonarti? Non hai fatto nulla di male.»
L’acqua continua a salire e li ha ormai raggiunti, abbracciando le loro ginocchia; tutt’intorno, solo il rumore di una lacrima che cade.
«Mi devi perdonare, invece, perché… perché sono stato io a portare questa pioggia, e non ti ho permesso di scappare. Non dovevi morire anche tu.»
La spinta che Socrate le dà la fa incespicare, quindi cadere; e inutilmente la sua mano si tende verso quella del ragazzo, perché, ora lo sa, è sempre stata sola davanti all’onda scura che non esita a ghermirla e trascinarla nel suo ventre, sempre più giù.


Quando Cleo balza a sedere nel letto, la linea dell’orizzonte è già percorsa dal chiarore del primo mattino e la stanza è colma dei suoi respiri affannati; le dita tremano, volte verso la parete opposta come per fermare fantasmi sconosciuti, il sonno è ormai spezzato.
Ancora troppo presa dalle immagini del sogno per riconoscere le forme della realtà, la ragazza ricade lentamente sul cuscino e a lungo osserva il soffitto senza realmente vederlo; il cuore, invece, nonostante ritorni al suo ritmo normale si fa pesante. In realtà, qualcosa di grande e diverso lo deve aver sentito davvero,
se la spinge anche a piangere per tutti gli istanti che la separano dal pieno giorno.






15 Luglio 2003, mattino.



La spiaggia è deserta, dato che l’alba è appena sorta; ma Cleo già la riempie con le proprie orme, inseguendo il cammino dell’onda. Ha dormito poco ma non si sente stanca, perché i sogni l’hanno nutrita d’immagini e desideri, e le sue forze nascono in gran parte da questi. Così è la tempra dei giovani, sussurra qualcuno tra i più anziani con un sorriso, guardandola camminare in compagnia del mare, che si nutre del proprio cuore e di quello che sente.
E la sabbia danza con lei, penetrando tra le dita dei piedi; anche la sua mente viene portata lontano, dove carne non è e la notte non scende mai.
Le ginocchia sono leggermente sbucciate per aver passato quasi un’ora tra gli scogli e la spuma bianca, a osservare il mattino nascere nell’acqua stessa; e tra le dita stringe conchiglie dalle mille sfumature, alcune di quelle che tante piaceranno a Socrate.
Anche la schiena è segnata da qualche striatura rossastra; tuttavia queste non danno dolore, perché è stato il ragazzo stesso a causarle neanche un giorno prima, quando l’occasione l’ha spinto a intrappolarle le labbra e impeto e sorpresa l’hanno fatta cadere e graffiarsi contro gli stessi scogli. Un bacio appena accennato seguito subito da uno più lento e lungo, sospeso tra il capo del mare e le sue profondità, tra i capelli di lei che hanno coperto il volto di entrambi come un velo, a proteggerli dal resto del mondo, e i rispettivi corpi tesi a chiamarsi l’un l’altro.
«Quando si ama si può perdere la testa… ma il resto lasciamelo integro», ha detto lei con il sorriso del più dolce imbarazzo, mentre il giovane è arrossito e le ha sussurrato un “perdonami” che le sue labbra hanno subito accolto. Neanche il sale e il vento rovente sono riusciti ad arderle la pelle con lo stesso impeto dei sentimenti, e con grande fatica la spiaggia li ha visti separarsi davanti agli occhi del bianco borgo; ma le cale celate allo sguardo sono molte e altrettante le promesse che mormorano, è il posto migliore per osservare e raccontare i mutamenti del cielo, ballare e rincorrersi, accarezzare la pelle dell’altra metà fino a raggiungere ogni cicatrice, angolo o imperfezione che semplicemente, dolcemente, migliori la presenza, e poi diventare una sola cosa.
Per questo bisogna essere in due, cosa che quel mattino non vede accadere; tuttavia, i minuti volano comunque fino a raggiungere il momento di incontrarsi davanti alla loro seconda casa e cadere nel tempo di scoprire qualcosa di nuovo e conoscersi ancora, sempre di più e in maggior profondità: così come fanno con il corpo, anche con l’anima.
Le sue passeggiate sulla spiaggia sono note a tutto il borgo e ognuno sa di poterla trovare lì, quindi non si stupisce quando vede la figura del signor Galileo venirle incontro; ma è il passo insolito che le frena un poco il sorriso, quel ritmo troppo lento per essere privo di pensieri.
Inaspettatamente, i piedi le impediscono di proseguire e la tengono ben ferma dove sta, a percepire il vento cambiare e respirarne un ultimo alito prima che si modifichi ancora, sempre più velocemente. C’è qualcosa, questo le suggerisce, che lei non può afferrare, né cambiare.
«Sapevo di trovarti qui, cara Cleo», le sussurra l’uomo quando è abbastanza vicino per essere udito, posandole una mano tra i capelli.
La ragazza sorride, chiedendosi per quale motivo senta la diversità impossessarsi del mondo. «Buongiorno. Sto per raggiungere la biblioteca, perché Socrate — Luca — sarà già là ad aspettarmi, e…»
«No, non è là; se vuoi possiamo andarci, ma oggi Socrate non ci sarà. A dir la verità, lui non è nemmeno nel borgo.»
La giovane lo guarda sorpresa, senza sapere cosa rispondere: neanche qualche ora prima si sono promessi una giornata insieme, senza che il giovane facesse riferimento a una sua assenza; eppure neanche si preoccuperebbe, visto quante volte gli imprevisti turbano i piani, se non vedesse così tanta tristezza negli occhi di chi le sta di fronte e capisse che c’è qualcosa di più di un semplice contrattempo. «Signore…», sussurra appena, cercando di spingere l’altro ad aprirsi affinché le dica ciò che continua a trattenere; e rimane sorpresa quando questi le prende una mano e la guida con sé, con calma, lontano dalle onde e su un cammino dalla sconosciuta destinazione. «Vieni, abbiamo alcune cose di cui parlare e per la prima volta non so bene come farlo. I tuoi genitori sono già stati avvertiti, e—»
Una pausa. «… E non c’è più niente che possa rimandare il momento.»
La ragazza sente un improvviso vuoto scendere sul suo capo, come se tutti i pensieri l’avessero abbandonata nello stesso istante; quindi non si accorge di come la stretta sulle dita diventi più forte e a malapena la mente comprenda le parole che seguono, fino a quando uno spiraglio di reazione la riscuote. «Luca ci sta aspettando; ti sto portando da lui.»
Cleo annuisce appena, quindi si blocca come in una consapevolezza improvvisa. «Mi dica cos’è successo, per favore. Con i suoi tempi, ma non mi lasci… così.»
Perché qualcosa è capitato, e lei ora lo sa, lo sente, che ancor prima di essere raggiunta dall’uomo la sua anima ha percepito il mutamento — come si accorge che niente, dall’istante che seguirà quella stasi, potrà ritornare come prima, né le assicurerà che lei sia capace di affrontarlo. «Per favore», ripete; ma no, non è pronta alle lacrime che vede solcare le guance del bibliotecario, né a quelle che istintivamente sorgono nei suoi occhi; e tuttavia attende una risposta, con coraggio e una preghiera.
«Piccolina… Luca deve assolutamente vederti, perché forse questa sarà l’ultima volta che potrete farlo.» Un sospiro che rivela tutto il dolore e l’empatia per entrambi loro, e un cielo troppo azzurro, sbagliato nella sua imperturbabile serenità. «Oh, Cleo… ti sei innamorata di un cuore che non è nato per vedere il mondo a lungo,
e che tuttavia ha saputo prendere da esso la felicità; ma sono sicuro che gli anni più belli glieli abbia donati tu… ed è per te che, ne sono sicuro, sta ancora combattendo.
Andiamo da lui: ora, ogni attimo deve essere solo vostro.»





«C’era una volta un ragazzo: come tanti altri della sua età, con la pelle brunita dal sole e gli occhi buoni, con l’entusiasmo che accomuna i grandi sognatori e tutte le potenzialità per imparare a correre veloce quanto il vento. La natura era il suo dominio, il campo dove potersi mettere alla prova e ridurre in ginocchio gli avversari, la correttezza ciò che gli permetteva di saper riconoscere i limiti tra un’assoluta vittoria e quello che la coscienza avrebbe reputato giusto; e per questo si meritava ogni lode.
C’era una volta un ragazzo che aveva tanto da dare e insegnare, che non temeva di mostrare quanto amasse la vita e facesse ogni cosa per non trascorrerla invano; e finché avrebbe avuto il cuore, così credeva nella sua innocenza, sarebbe riuscito a fare qualsiasi cosa.
Questo stesso cuore, invece, doveva pensare totalmente l’opposto: perché un giorno invece di sostenerlo decise di tradirlo, rivelando la propria debolezza e l’imperfezione
e, da quel momento, tormentandolo per anni; stanotte è stato solo lultimo caso
Il corridoio dell’anonimo ospedale è riempito solo dal suono dei suoi passi, continui e cupi; la mente
ignora la famiglia di Socrate, seduta a distanza da lei, ed è tutta concentrata sul mondo che si apre al di là della porta serratamente chiusa e su una parte del lungo racconto fattole dal signor Galileo, quella dove le lacrime hanno iniziato a sgorgare e a unire la trama che ha coperto gli ultimi anni.
Cleo non ha mai saputo prima cosa volesse dire piangere, farlo
davvero, sentirsi così smarrita da tremare pur nel ventre dell’estate; ma, ora che conosce la storia che Socrate non ha mai voluto raccontarle — e che ha compreso anche il perché di questo —, il calore non è parte del suo corpo, e se le sembra di soffocare è per ben altri motivi. Tra le mura anonime esterne a lei e la sofferenza che prova dentro si chiede come non sia mai riuscita a capire quella parte di verità, e si sente in colpa per tutta la spensierata, inconsapevole serenità che ha riservato nella loro storia: un’assenza di preoccupazioni che ha ignorato per tanto tempo il dolore e certamente non sarà riuscito a confortarlo, che non ha reagito agli stimoli che la colpivano.
In confronto al giovane, si vede terribilmente immatura e indegna, infantile e meritatamente tenuta all’oscuro di fatti così importanti: come avrebbe potuto aiutare qualcuno, così egoisticamente persa a cercare sempre il lato positivo della vita da essere cieca?
In che modo qualcuno potrebbe legarsi a lei dandole completa fiducia, sapendola incapace ad affrontare le sfide della vita? Forse è proprio perché l’hanno compreso subito che i genitori di Socrate hanno sempre visto nella sua figura un fastidio, un danno.
Protetta dal silenzio del ragazzo, tanto migliore di lei al punto da non volerle dare alcun pensiero, si è attaccata alla pace che lui le ha offerto e ha chiuso gli occhi di fronte a tutto il resto, da vera insensibile; e ora, il prezzo da pagare per questo è crudelmente alto, affossa ogni tentativo di reazione e aumenta la tristezza, fondendosi con la certezza della propria inutilità. Così stupida, stupida!
Nonostante la debole voce che le mormora
anche altro, non riesce a trovare altra parola per descriversi; nonostante ciò che il signor Galileo, seduto a fissarla senza riuscire a consolarla, le ripete, ogni istante è tortura.
Il silenzio che proviene
dallaltra parte, quindi, non è nemmeno la parte peggiore di tutta quella vicenda.
«Non tormentarti così, Cleo; non è colpa
tua
«Ma avrei dovuto capirlo che qualcosa non andava. Invece… invece, nonostante avessi la strada disseminata di prove, ho ignorato tutto e pensato solo a me.»

Come ho potuto farlo?
«Non dire così
»
«Avrei potuto prendermi cura di lui con più maturità! Spendere il mio tempo con serietà, conscia dei rischi… e se gli ho fatto fare qualcosa che ha peggiorato la sua situazione? Chi mi dice che non sia stato male per colpa dei miei capricci? Che cosa potrei essere stata
»
L
improvviso sorriso dell’uomo è solo un accenno sul volto teso, eppure lascia trasparire una consapevolezza che la ragazza non sente più sua. «Di certo sei stata, siccome me lha detto, la sua medicina migliore.»
Cleo
resiste qualche attimo quando laltro si alza e le si avvicina; ma alla fine si lascia abbracciare, e senza trattenersi oltre affonda il volto nel torace del mentore e si stringe più forte a lui. «Sono ancora una bambina», mormora, «una bambina ignara di tutto
«A diciassette anni è legittimo esserlo ancora un poco, non credi? A quell’età non si dovrebbe pensare alla morte e alla sofferenza, né al pericolo di perdere chi si ama: perché è giusto essere ancora spensierati, appena prima che inizi un nuovo capitolo di vita.»
«Ma Luca questa spensieratezza non l’ha potuta avere, al contrario mio.»
«Ed è qui che ti sbagli, cara Cleo: tu non sai davvero quanto sei stata importante per lui. Ti rammarichi per non aver saputo comprendere la verità, per non aver sfruttato le occasioni insieme per qualcosa di serio; ma Luca aveva bisogno della tua innocenza, di una vita lontano dalla tristezza che vede negli occhi di tutti quelli che tengono a lui.» Una pausa che sospende il respiro della giovane, resa più attenta dalle profonde parole dell’altro. «Luca ti ha taciuto la sua malattia perché tu potessi stare al suo fianco senza pianto, perché lui potesse fare la stessa cosa con te, la ragazza che non gli ha fatto dimenticare la normalità, la libertà di non dover spiegare nulla, la consapevolezza di non essere solo un imperfetto che rischia di morire a ogni respiro. Tu gli hai fatto un dono importantissimo: amandolo e facendoti amare, hai allontanato da lui la paura di non poter dare al mondo altro che dolore, e per quanto possa essere breve, una vita passata con qualcuno capace di fare ciò è già abbastanza.
Sì, Cleo, tu sei abbastanza per lui: non devi cambiare il tuo amore in nulla, ma continuare a stargli vicino come hai sempre fatto.
Me lo prometti, piccola? Mi prometti di non perdere la tua allegria e di restare genuina e dolce come sei, pur sapendo la verità?»
Mentre guarda il signor Galileo inginocchiarsi ai suoi piedi, qualcosa che finora ha messo da parte torna a farsi sentire: la memoria di non molte sere prima, di una confessione che ora comprende appieno — che, ora se ne rende conto, in realtà ha accettato fin da subito.
E se tu dovessi lavorare su questo telescopio, scoprire ciò che non funziona ma non poterlo riparare, per qualche ragione… che cosa faresti allora? Lo metteresti da parte, dimenticandotene? Lo getteresti?
Ha risposto senza esitazione in quel momento; e anche oggi i suoi pensieri non sono cambiati, perché anche se da una parte è convinta di non aver dato a Socrate tutto quello che avrebbe meritato, dentro di sé è sempre stata sicura della scelta di rimanere al suo fianco.
Quindi forse già avevo intuito e, inconsciamente, ho lottato anch’io? Quelle sensazioni… e quelle parole, che ho pensato veramente.
«Non potrei mai abbandonarlo…» Non lho mai fatto. «… perché il mio cuore, così com’è, è stato plasmato da lui. Una volta non amavo il mondo come ora, ma Socrate ha portato così tanta bellezza che alla fine ho iniziato a vederla anch’io, e se me ne andassi ora, se perdessi quella parte di me che tanto ha protetto…
Io, semplicemente, non voglio che accada. E ora che so la verità non posso che amarlo ancora di più, e cercare di donargli il doppio di quella serenità che non gli ho mai fatto mancare; questo è quello che sento.
Se sono riuscita ad aiutarlo almeno un poco, come sostiene lei… non posso che proseguire.»
L’uomo sorride a quel discorso, quindi si rialza. «E tu saresti immatura?», mormora, per poi accarezzarle il capo e abbracciarla di nuovo. «No, tu non sei infantile: non lo eri più da tempo, ma in una sola giornata sei cresciuta ancora, più di quanto si possa immaginare.»
Un’altra ora passa, lenta ma inesorabile, nel reciproco calore di chi aspetta, di chi va, di chi sempre rimane; e in quei momenti, un nuovo fiore sboccia, e una promessa viene mantenuta.

Una volta mi hanno detto che l’amore non è cosa che nasce con l’età: diventi grande e così ti innamori, inizi a comprendere e allora puoi sentire anche ciò che il tuo cuore vuole...
No, non è proprio questo il suo modo di funzionare.
Non potrei mai dirti quando è iniziato il mio: forse, dentro me, già
davvero sapevo ciò da cui mi volevi proteggere, oppure forse in qualche modo ti avevo già conosciuto, e a priori avevo deciso di restare al tuo fianco.
Ma, qualunque sia la risposta, alla fine è questo ciò che è più importante: che tu non sia solo, che riesca sempre a sentirmi.
Io lho chiamato l’amore dei ragazzini, sprovveduto, incosciente e intenso quanto loro; ma, ora lo so, in verità è molto più di questo.
Ricordi? Una volta mi hai chiesto un nome, una parola che potesse corrispondere solo a me e da sussurrare tra mille libri e sotto stelle di metallo;
e ora ti imploro di tornare, di ritrovare la strada che porta da me e chiamami, anche per una volta soltanto, Agape: mi troverai accanto a te, dove sono rimasta dalla prima volta che mi hai guardata, dove ho imparato a essere me stessa.
Se lo farai, la tua sorte sarà meno pesante, la condividerai con me: e sappi che il tuo cuore malato non mi spaventa, perché mi ha dato solo un motivo in più per
amarti. Come ben sai, è difficile lasciarmi indietro.
Chiamami Agape: amare senza condizioni, fino al sacrificio di sé, come tu mi hai insegnato a fare; come io ti mostrerò, per tutto il tempo che sarà ancora nostro.

   
 
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