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Autore: Herm97    17/02/2019    0 recensioni
Lei si trasferisce.
Lei incontra lui.
L'ultimo anno da liceali, e il diploma non è per niente vicino.
(Potete trovare la stessa storia su Wattpad - IAmTavi)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Heidi

 

Il cielo, in questo preciso istante, è un dipinto meraviglioso. Colori caldi come il rosso, il giallo e l'arancione si mescolano fra loro, spazzando via l'azzurro che ha regnato per tutta la giornata. Le nuvole, bianche e spumose, giocano a rincorrersi silenziosamente.

Sposto lo sguardo dal mio armadio e i miei piedi si muovono in direzione del mio balcone personale, senza che io gli dica nulla. Una volta fuori, appoggio i palmi delle mani sulla ringhiera in ferro battuto e mi godo lo spettacolo, la mente che vola lontana dal luogo in cui mi trovo adesso.

Ripenso al fatto che ho appena finito di disfare i bagagli. Essendo una persona poco ordinata, una piccola parte di me si sente orgogliosa per il fatto che i miei occhi riescano ancora a vedere il pavimento della stanza. Non mi illudo, però: nel giro di una settimana, il caos avrà fatto ritorno.

Eppure, mi dico, ritornando in camera, adesso che ho sistemato ogni cosa è come se non potessi più tornare indietro.

Sì, perché nonostante siano passati ben tre mesi dal giorno in cui i miei genitori hanno sganciato la bomba, io ancora questo trasferimento non riesco a mandarlo giù. Per settimane li ho implorati di lasciarmi lì, ma la loro risposta era sempre e solo un secco "No".

Alla fine, ho dovuto dire addio ad ogni cosa a cui tenevo, e non è stato affatto semplice.

Ricordo ancora il giorno in cui Desiree, la mia migliore amica, è venuta a salutarmi prima che partissi. Aveva gli occhi gonfi e lucidi, il naso rosso, ma, sebbene anche lei si sentisse uno schifo, mi aveva guardata con un sorriso forte, coraggioso, positivo.

«Promettimi che guarderai questo cambiamento con positività, Heidi» mi aveva detto, stringendomi in un abbraccio – talmente stretto che, per un attimo, mi era sembrato di non aver aria nei polmoni.

«Un giorno, forse, potrò mantenere fede a questa promessa» le avevo risposto, ricambiando l'abbraccio.

Secondo lei, sarebbe andato tutto alla grante.

Mi siedo ai piedi del letto con un sospiro. Dovrei chiamarla, mandarle un messaggio per farle sapere che sono arrivata sana e salva, che mi manca già. Poi però ci ripenso: leggere anche solo il suo nome sul display del cellulare mi farebbe piangere.

Decido quindi di farmi due passi, così da esplorare un po' il vicinato. Forse, in questo modo, la mia mente si concentrerà su qualcos altro. Prima di uscire di casa, però, ho bisogno di fare un salto in bagno per darmi una rinfrescata: ho la sensazione di avere un alito spaventoso e voglio assolutamente lavarmi i denti.

°*°

Alzo il capo dal lavandino, chiudo l'acqua e guardo il mio riflesso attraverso uno specchio enorme.

La ragazza che ho davanti ha lunghi capelli rossicci, praticamente arancioni. Sono leggermente mossi, le punte che arrivano a sfiorare la metà della schiena.

Apre uno degli armadietti accanto a sé e tira fuori un beauty ordinato, dal quale tira fuori un rossetto rosso: il suo marchio di fabbrica. Se lo porta piano alle labbra, così da ripassare quel colore che, col passare delle ore, si era affievolito. Facendo ciò, la sua pelle chiara e le lentiggini risaltano notevolmente.

Sempre dal beauty, tira fuori il mascara. Se lo passa con delicatezza sulle ciglia dell'occhio destro e poi, nello stesso modo, passa a quelle dell'occhio sinistro. Le iridi, di due colori diversi – una marrone e l'altra verde –, sembrano illuminarsi.

«Desì ha proprio ragione quando dice che sono un vero schianto!» mi dico, facendomi l'occhiolino.

Sistemo i trucchi al loro posto, mi do un'ultima occhiata allo specchio e, con un sorriso tirato, esco dal bagno.

Al piano di sotto, trovo i miei genitori intenti a chiacchierare. Se ne stanno comodamente seduti sul nuovo divano e dalle loro espressioni non sembra affatto che si siano appena trasferiti.

Quasi avessero percepito la mia presenza, si voltano entrambi nella direzione. Papà mi sorride, mamma assottiglia lo sguardo.

«Dove credi di andare, signorina?» mi domanda infatti lei, abbandonando quella che è la sua postura rilassata per assumere quella severa e austera.

Mi volto nella loro direzione e mi stringo nelle spalle, prendendomi del tempo prima di rispondere. Fisicamente parlando, io sono molto più simile a mia madre: il colore dei capelli, i lineamenti del viso, la statura. Da mio padre ho preso solo il carattere e la passione per la musica.

«A fare un giro» rispondo. «Tornerò in tempo per la cena, promesso»

«Ti voglio a casa prima» replica mia madre, poi sposta lo sguardo sul suo orologio al polso. «Verso le sette e mezza devi essere già qui, intesi?»

Annuisco senza aggiungere una parola, sapendo benissmo che lei detesta i ritardatari.

Non appena mi chiudo la porta alle spalle, mi lascio andare ad un sospiro malinconico. I chilometri che ci sono fra la casa nuova e quella vecchia si fanno sentire sempre di più, e per un attimo sono tentata di tornare dentro e rifugiarmi in camera mia.

Faccio correre il mio sguardo sul giardino e, quando i miei occhi tornano sul viale, mi rendo conto che ci sono due persone che si fanno sempre più vicine. La donna tiene in mano quella che sembra una confezione di plastica, lui un piccolo vassoio chiuso da carta color porpora e un fiocco dorato.

«Ciao!» mi salutano all'unisono, non appena mi sono vicini.

Prima di rispondere, mi prendo un attimo per osservarli. Entrambi indossano abiti da ufficio, sulla mano sinistra hanno la fede – e lei anche un anello con un diamante. Mi guardano con un sorriso ampio e solare, quasi affettuoso.

La donna ha capelli neri, raccolti in uno chignon ordinatao, stretto, perfetto. I lineamenti del viso sono delicati, le iridi sono color nocciola e sulle labbra sottili c'è un filo di rossetto rosa carne. È alta e snella, il tubino grigio che le mette in risalto le forme.

Lui, invece, in giacca e cravatta, ha capelli ricci e castani, barba del medesimo colore. Gli occhi sono verdi, ma qualche pagliuzza color fieno. Dalla camicia si vede che ha un po' di pancetta, ma tutto sommato è proprio un bell'uomo.

«Salve» mormoro, mordendomi l'interno della guancia. «Posso fare qualcosa per aiutarvi?»

«Tu sei una dei Granger, giusto?» mi chiede l'uomo.

Io annuisco, a disagio. «Già»

«E' davvero un piacere, cara!» esclama la donna, mantenendo quel suo ampio sorriso sul volto. «Abbiamo conosciuto tuo padre, quando è venuto a comprare la casa»

Ancora una volta, mi ritrovo ad annuire, ma questa volta non ho niente da dire. Per un breve momento rimaniamo in silenzio, e forse loro stanno ancora aspettando che io mi presenti.

«Comunque,» riprende lui. «io sono Luis e lei è mia moglie Regina. Siamo i Turner e viviamo nella villa qui accanto»

«Avremmo tanto voluto che nostro figlio fosse qui, ma la sua...» continua lei. Fa una smorfia, quasi avesse una fastidiosa mosca che le gira attorno, poi aggiunge: «... ragazza, diciamo, si è presentata a casa nostra e hanno deciso di fare un giro»

Luis annuisce, poi sospira e infine si riapre in un sorriso. «Siamo venuti qui per darvi il benvenuto nel vicinato. Vi abbiamo portato una torta e un po' di pasticcini, spero non siate allergici a nulla»

«Grazie mille, davvero. Siete molto gentili» rispondo, dondolandomi sui talloni. «Se volete, i miei genitori sono in casa. Io stavo giusto andando a fare un...»

Non riesco a terminare la frase, perché all'improvviso Regina spalanca occhi e bocca. Si volta verso il marito per indicargli qualcosa, ma poi si ricorda che in mano tiene la torta per me e la mia famiglia. Sia io che il marito corrughiamo la fronte, poi io capisco.

Questa è la parte che più mi piace, quando conosco persone nuove. I miei occhi, uno verde e l'altro marrone, riescono sempre a lasciare tutti senza parole. Io solitamente li osservo con un sorriso compiaciuto, vanitoso, egocentrico, mentre loro balbettano. Proprio come sta facendo Regina in questo momento.

«Si chiama eterocromia» dico, soddisfatta. «E' molto rara»

«Wow!» esclama Luis, finalmente rendendosi conto che cosa sua moglie ha cercato di fargli notare. «Sono semplicemente fenomenali!»

Il mio ego fa una capriola e le mie labbra rosse si piegano in un mezzo sorriso.

Mi rendo conto che ancora non mi sono presentata, ma poco importa. Do una veloce occhiata all'orologio che ho al polso e, storcendo il naso, mi rendo conto che ho meno di mezz'ora di libertà – manco fossi in prigione. Allora mi schiarisco la gola, affermo che ho proprio voglia di farmi un giro e dico a Regina e Luis che i miei genitori sono in casa.

Senza dire altro, li supero velocemente. Da una tasca dei jeans tiro fuori un paio di cuffiette e, finalmente, mi immergo nella musica. Cammino restando sul marciapiede e ben presto mi ritrovo in città: supero un minimarket nel quale c'è pochissima gente, un parrucchiere e una pasticceria.

Guardandomi intorno, mi rendo conto che c'è un sacco di gente che mi guarda incuriosita. Non sono sicura che sia per i miei occhi, perché ricordo che papà aveva accennato al fatto che qui si conoscono tutti. Io, quindi, sono quella appena arrivata, la novità, una sconosciuta.

Senza rendermene conto, mi ritrovo in un parco.

Sulla mia testa, il cielo è ancora un dipinto di colori caldi sfumati fra loro. Il verde dell'erba, invece, è fresco e da un senso di calma. Osservo i genitori che chiamo i figli a gran voce, le altalene che si liberano in un batter d'occhio, sugli scivoli non viene più giù nessuno.

Trovo una panchina e mi ci siedo, incrociando le gambe sul legno scuro. Inspiro il profumo di quel parco e mi dico che, ogni volta che avrò bisogno di stare sola, questo sarà il posto adatto.

Purtroppo, però, oggi non è il mio giorno fortunato. Una mano dalle unghie lunghe mi si para davanti, facendomi sussultare un poco. Alzo il capo e incontro i volti di due ragazzi, che molto probabilmente hanno la mia età.

Lei, coi suoi capelli castani raccolti in una coda fermata da un fiocco rosa pastello, indossa pantaloncini di jeans a vita alta e una maglietta bianca attillata. Ha ciglia lunghissime, forse finte, gli occhi marroni scuri.

Lui, invece, ha i capelli neri e un poco ricci. Porta un paio di occhiali alla Harry Potter. I pantaloncini rossi e la maglietta a maniche corte grigia gli mettono in risalto la carnagione chiara. In una mano ha una sigaretta e, di tanto in tanto, se la porta alla bocca.

Per qualche strano motivo, questo tizio mi ricorda qualcuno, penso.

«Avete bisogno?» chiedo, togliendomi una cuffietta.

Le labbra della ragazza si piegano in quello che pare un sorriso tirato, che non raggiunge affatto gli occhi. «Qualcosa c'è, in effetti»

Io annuisco piano, facendole capire che sto ascoltando. In realtà, in questo momento, vorrei semplicemente che questi due se ne vadano: voglio restare sola. Forse, mi dico, se li assecondo poi mi lasceranno in pace.

«Potresti levarti dalla nostra panchina, per cominciare» prosegue lei, intrecciando le dita della sua mano con quelle del ragazzo. «Poi potresti, che ne so, non tornare mai più qui»

Sbatto un paio di volte le palpebre, confusa e sorpresa al tempo stesso.

«Che c'è, non ci senti?» aggiunge poco dopo.

Sorrido, facendo l'innocente. «Scusa, è che non ricordavo che le panchine dei parchi pubblici potessero appartenere alla gente. Se vuoi, posso darle una lucidata prima di andarmene»

Il viso della ragazza di blocca in un'espressione d'odio. Assottiglia lo sguardo, serra la mascella quasi fosse pronta ad attaccarmi e mi accorgo che sul viso del suo ragazzo è apparsa l'ombra di un sorriso divertito. Mi piacerebbe farglielo sparire, ma per il momento mi accontento della bava da rottweiler di lei.

Forse dovrei averne paura... Nah!

Trovo strano che ancora nessuno dei due abbia fatto commenti sulle mie iridi, ma il pensiero vola vià quando sento il cellulare vibrare. Abbasso il capo, nonostante la coppietta stia ancora aspettando che me ne vada, e leggo velocemente il messaggio di mio fratello Jaime.

«A quanto pare, sei fortunata Uovo di Pasqua» dico, alzandomi dalla panchina con gli occhi ancora puntati sul telefono.

Mi prendo un attimo per rispondere a Jaime e, nel frattempo, mi complimento con me stessa – addirittura dandomi un cinque mentale – per il soprannome che ho appena tirato fuori. So che potrei fare di meglio, ma al momento questo è quello che è venuto fuori.

«Sembra proprio che sia richiesta la mia presenza a casa» concludo, alzando la testa e guardando prima lei e poi lui. Gli rivolgo uno dei miei migliori sorrisi, poi aggiungo: «Speriamo di non rivederci, eh!»

Mi infilo nuovamente la cuffietta e riprendo ad ascoltare del sano rock, partendo con November Rain dei Guns N' Roses. Ripercorro la strada a ritroso convinta di essermi fatta una nuova nemica – ovvero Uovo di Pasqua.

Chissà come mai il suo ragazzo non ha praticamente spiccicato parola. Se n'è stato lì impalato per tutto il tempo, con la sigaretta che fumava e gli occhi che facevano avanti e indietro: prima su Uovo di Pasqua, poi su di me. Probabilmente si godeva lo spettacolo, o forse aspettava il momento giusto per salvare la sua damigella.

Tornata alla villa, vedo da lontano mio padre e mio fratello sistemare un lungo tavolo in legno sotto il grande albero – quello sul quale c'era stata costruita una piccola casetta. Poco dopo mia madre li raggiunge: in mano tiene una pila di piatti.

«Sulla penisola in cucina ho lasciato un vassoio con bicchieri, posate e tovaglioli» mi dice, non appena mi vede. «Portali fuori e aiutami ad apparecchiare, poi corri in camera tua e cambiati»

«Ciao anche a te» replico a bassa voce, sperando che non mi abbia sentito.

E questa volta ho fortuna, perché altrimenti avrebbe già iniziato a farmi la predica.

«Ti ho tirato fuori un vestito e te l'ho messo sul letto» riprende, mettendo i piatti sul tavolo.

«D'accordo» sbuffo. Mi fermo sulla soglia e mi volto nella sua direzione: «Domanda: perché così tanti piatti? Noi siamo solo in quattro»

«Sono passati Regina e Luis a salutarci venti minuti fa» mi aggiorna mio padre. «Li abbiamo invitati qui a cena»

Annuisco ed entro in casa, avviandomi verso la cucina per eseguire gli ordini di mia madre. In un battito di ciglia, sono di nuovo fuori con bicchieri, tovaglioli e posate. Mi avvicino al tavolo e sistemo ogni cosa tra uno sbuffo e l'altro.

Quando finalmente ho finito, salgo la scala correndo e raggiungo camera mia. Mi chiudo la porta alle spalle e sposto lo sguardo sul mio letto. Lì, proprio come aveva detto mia madre, trovo il vestito che devo indossare per la cena di stasera. Il colore della stoffa è di un grigio chiaro e bellissimo, che quando lo indosso fa risaltare sia i miei capelli che la mia carnagione; ha due semplici spalline sottili e la parte inferiore, quella della gonna, ha delle rifiniture in pizzo bianco. Mi arriva appena sopra il ginocchio.

È incredibile il fatto che mia madre sia bravissima nel tirare fuori dal mio armadio abiti che mi stanno bene sul serio. Spesso mi chiedo perché, al posto di fare l'avvocato, non si sia data alla moda. Avrebbe spaccato i culi a tutti gli stilisti, per dirla in parole povere e per niente da signorina.

Dopo aver indossato il vestito, scelgo un paio di sandali che non rovinino il look e infine fatto un salto in bagno. Fortunatamente non devo ripassare il rossetto, ma ho i capelli rossicci che sparano ovunque. Me li tiro su e faccio una coda alta.

«Pel Di Carota?» mi richiama Jaime, saltando l'ultimo gradino e raggiungendomi in bagno.

Sbuffo e alzo gli occhi al cielo. «Non puoi chiamarmi Weasley come fa Desì?»

A questo punto, credo che la cosa dei soprannomi sia proprio di famiglia.

«Mai» risponde Jaime, dandomi una spallata perché si possa specchiare anche lui.

Incrocio le braccia al petto e lo osservo mentre si passa una mano fra i capelli castani, che ha preso da mio padre. Cerca di sistemarsi i ciuffi ribelli, ma poco dopo si stufa e decide di lavarsi i denti. Quando lo vedo tirare fuori il profumo, mi fiondo su di lui e glielo rubo di mano.

«Oh no! L'ultima volta hai infestato casa con questo schifo!» esclamo.

«Ma che stai dicendo!» esclama lui a sua volta, cercando di strapparmi la boccetta di mano. «Questo profumo è buonissimo! Devo per caso ricordarti che me l'ha regalato Margaret?»

Scuoto il capo e tranquilliamente dico: «E lo sanno tutti che Margaret non ha buon gusto... a partire dal suo stesso ragazzo»

Jaime assottiglia lo sguardo, negli occhi marroni gli leggo tutti gli insulti che mi sta lanciando. So che vorrebbe saltarmi addosso, per riprendersi il profumo e probabilmente per uccidermi, ma la voce dei nostri genitori mette la parola fine a questo nostro incontro.

Uno a zero per Heidi, palla al centro.

«Non è finita qua, Rosso Malpelo» mi minaccia Jaime, dandosi un'ultima occhiata allo specchio prima di scendere al piano inferiore.

Io rimetto il profumo al suo posto e poi seguo mio fratello.

«Uuh, che paura!» dico, scoppiando a ridere.

Troviamo nostra madre sulla soglia di casa, le braccia incrociate sotto il seno e il suo sguardo severo. Se non fosse stato per Regina e Luis che, alle sue spalle, si stanno godendo un aperitivo, probabilmente avrebbe fatto una scenata. Questo, però, non vuole dire che non si risparmierà più tardi, quando i vicini se ne saranno tornati a casa.

Sul viso le appare un sorriso vagamente inquietante. «Coraggio! Luis, Regina e loro figlio Theodore sono qui fuori! Aspettavamo solo voi»

Deglutisco e noto Jaime fare lo stesso. Nel momento in cui nostra madre si volta, così da raggiungere il resto degli adulti, io e mio fratello ci scambiamo un'occhiata spaventata. Se qualcuno dovesse scattarci una foto, non dobuto che il risultato sarebbe il ritratto perfetto di due animali in preda al terrore.

«Ti prego, portami al college con te» lo supplico a bassa voce, seguendolo in giardino.

Il sole non è ancora tramontato, ma comunque si è già fatto più scuro. Quando lascio il vialetto in cemento per raggiungere il tavolo in legno sotto l'albero, l'erba fresca mi solletica i piedi attraverso i sandali.

Afferro mio fratello per un lembo della maglietta, ancora terrorizzata dal sorriso di mia madre e insieme ci avviciniamo a Theodore. È di spalle, per cui le uniche cose che posso notare di lui sono i suoi capelli neri e, beh, il suo splendido lato b.

«Forse Desì aveva ragione nel dire che questo trasferimento avrebbe portato anche cose buone» mormoro sempre a bassa voce, mordendomi un labbro.

«Ti prego!» si lamenta Jaime, alzando gli occhi al cielo. Non appena è vicino al figlio di Luis e Regina, gli da un colpetto sulla spalla e aspetta che si giri. «Hey! Io sono Jaime e questa è mia sorella...»

Ma non fa in tempo a finire la frase, perché io e Theodore ci guardiamo e spalanchiamo la bocca. All'unisono, ci indichiamo e: «TU?!»


 

   
 
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