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Autore: steffirah    21/02/2019    1 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Emozioni

 
           
Da circa metà ottobre a scuola non si faceva altro che parlare dell’imminente festival della cultura. Come in tutti i licei esso veniva considerato uno degli eventi più importanti del calendario scolastico, in cui mostrare la propria eccellenza e competere con le altre classi e, per quanto fossero esigui gli studenti, anche qui ben presto l’aria si impregnò del fuoco della competizione.
Ciascuna delle poche classi che componeva l’istituto voleva raggiungere alti traguardi, proponendo idee originali per dimostrare chi fosse il migliore. Non che ci fosse un premio da vincere, eccetto il riconoscimento da parte del preside e una piccola coccarda con un fiocco di neve dal colore vermiglio, che a quanto m’era parso di capire era il simbolo del paese.
Si fece quindi ben presto un sondaggio per vedere cosa avremmo dovuto organizzare noi della nostra classe e, dato che si teneva soltanto tre giorni dopo Halloween, con ogni proposta si decise di rimanere in tema.
Quel periodo era terribile, il peggiore dell’anno per una fifona come me, ma fortunatamente contro la casa dei fantasmi e il labirinto col cimitero degli zombie ottenne la maggioranza la mia proposta, ossia quella di fare una specie di maid café, indossando però come divise abiti gothic lolita.
Una volta ottenuta l’approvazione dal professore in carica della classe cominciammo a dividerci i compiti, mettendoci d’accordo sul quando potessimo restare per allestire tutto in base alla nostra disponibilità. Così quelle ultime due settimane del mese trascorsero in fretta tra la realizzazione di cartelli da affiggere, volantini da consegnare e di uno striscione da appendere sulla porta col nome del café, “Bloody Flower”. Di questo creammo l’insegna su carta ingiallita, attaccandola su del cartoncino dopo averne bruciato i contorni con un accendino, e ne decorammo la scritta con fiori e rose dipinte in modo tale da sembrare insanguinate, con gocce che cadevano dai petali di esse e macchie nelle zone vuote.
Riguardo all’allestimento, decidemmo che avremmo sfruttato un banchetto come bancone adibito al pagamento, mentre avremmo messo alcuni banchi in fila con la cattedra per cucinare le nostre pietanze “dark” (che prevedevano muffin, cupcake, stuzzichini spaventevoli e bevande colorate). I banchi che avanzavano li avremmo invece usati come tavolini con le sedie. Cucimmo le tovaglie e i fazzoletti sfruttando delle stoffe usate che non utilizzavamo più ornandole di pizzo – per questo a casa mi feci dare una mano da Tomoyo-chan, la quale si offrì generosamente di cucire la divisa per tutti –, scrivemmo i menù a computer con un font elegante – naturalmente nero – su carta scarlatta e li stampammo facendone una decina di copie, creammo decorazioni floreali di carta crespa e origami, alternandoli a veli e fiocchi da appendere al soffitto, accanto alle tende davanti alle finestre e sulle pareti. Naturalmente, il tutto rigorosamente sui toni del nero, blu, viola e rosso.
Ovviamente al mattino continuavamo con le lezioni e un po’ con la sua apertura, un po’ anche grazie a queste attività pomeridiane che mi permettevano di trascorrere più tempo con lui, mi sentivo sempre più vicina a Li-kun. Soltanto nella terza settimana del mese si assentò da scuola per qualche giorno, ma poi quando ritornò lo trovai abbastanza in forma.
Da allora prendemmo a conversare più a lungo, dovevo dire anche più facilmente, visto che rispondeva alle mie domande senza più mostrare molta ritrosia; in tal modo potei finalmente interrogarlo sul club di cui faceva parte, per scoprire che si era iscritto a quello di kendo. Come per quello di scacchi di cui era membro Eriol-kun non sapevo che esistesse e non avendone uno neppure nella mia precedente scuola, a Tomoeda, morivo dalla curiosità di vedere come fosse.
Per questa ragione io e Chiharu-chan – che a differenza mia conosceva meglio di me gli orari degli altri club – approfittammo di un giorno in cui lui aveva gli allenamenti per andare a dare una sbirciatina. Cercammo di non farci scoprire, affacciandoci appena dalla porta del dojo, e non appena lo adocchiammo entrambe restammo a bocca aperta. Nonostante l’armatura lo riconoscemmo subito, anche perché al suo passaggio gli altri ragazzi si lasciavano andare ad un lieve vociare – subendo diversi rimproveri dal loro sensei.
Li-kun camminava eretto, con un portamento fiero e rilassato, come se si trovasse totalmente a suo agio sotto tutti quegli strati di vestiti, come se non gli pesassero addosso, mostrando calma e tranquillità. Il suo viso, prima che indossasse l’elmo, era più disteso che mai. Certo, persisteva la sua tipica indifferenza, eppure c’era qualcosa che luccicava nelle sue iridi, lasciando intendere che quella situazione non gli dispiaceva.
Nonostante il suo sensei ci avesse scoperte ci permise di entrare, chiudendo un occhio, informandoci che quel giorno eravamo state abbastanza fortunate da avere l’opportunità di assistere ad una dimostrazione pratica di combattimento. Ci fece quindi appoggiare ad una parete adiacente all’ingresso, mentre promettevamo di restare in silenzio e non far rumore.
Per quanto mi riguardava poco mi importava degli altri, per cui mi concentrai unicamente sulla figura di Li-kun, soprattutto quando fu il suo turno. Nonostante non me ne intendessi, mi accorsi che riusciva a parare gli attacchi con maestria e ogni colpo inferto a quanto pareva andava a segno, perché sentivo il suo allenatore complimentarsi sottovoce accanto a noi, dichiarando ogni volta la sua vittoria. Gli fece affrontare diversi ragazzi per concludere col senpai, vincendo persino contro questi.
Quando si tolsero l’elmo quest’ultimo e il sensei si congratularono con lui, definendolo un talento puro. Lui si strinse semplicemente nelle spalle, senza ringraziare né replicare nulla, e solo allora voltò la testa, notandoci. Non appena i nostri occhi si trovarono lo salutai allegramente con la mano, mimando con le labbra un “Sei stato bravissimo”. Resse il mio sguardo per qualche secondo, aprendosi poi in un minuscolo, quasi invisibile sorriso, dandoci le spalle in maniera impacciata.
Dinanzi a tale reazione emisi un risolino, dopodiché ci congedammo, ringraziando il sensei per averci concesso di restare.
Mentre ce ne tornavamo in classe per finire i lavori Chiharu-chan rispose al mio entusiasmo con altrettanta eccitazione e stima, pungolandomi poi inspiegabilmente un fianco col gomito e guardandomi in una maniera allusiva che non riuscivo a decifrare. L’unica cosa che mi disse prima di rientrare in classe fu «È stata una reazione positiva», accompagnandola ad un occhiolino.
Non sapevo bene a cosa si riferisse, ma pensando che fosse un richiamo al suo breve sorriso non potei che darle ragione. Finalmente cominciava ad abbattere una parete alla volta, permettendo al vero se stesso di emergere.
Soltanto in seguito si venne a sapere che il senpai che aveva battuto era il miglior combattente all’interno del club, tanto che aveva vinto molte gare anche in altre città e all’estero, e la notizia fece parecchio scalpore, sebbene non molti si lasciarono meravigliare da ciò. Fui lieta di vedere che ci fossero studenti che avevano fiducia nelle sue capacità e credevano in lui, proprio come facevo io.
L’ammirazione che provavo nei suoi confronti divenne giorno dopo giorno sempre crescente, finché non raggiunse l’apice nel momento in cui, con mio grande stupore, lo sentii suonare al pianoforte. In realtà accadde totalmente per caso: stavo tornando dalla classe dopo aver ripreso le mie cose in seguito agli allenamenti quando, nello scendere le scale, udii una melodia morbida, calmante, tenue e… vuota. Vuota di qualsiasi emozione.
Curiosa come sempre di scoprire chi fosse a suonarla andai a ficcanasare nell’aula di musica e allora grande fu la sorpresa nel trovarlo seduto allo sgabello, mentre le sue dita scorrevano sulla tastiera quasi senza neppure toccarla, premendone i tasti con una leggerezza inumana. Ero sicura che chiunque altro ci avrebbe messo una maggiore pressione, mentre a lui quel poco sembrava essere sufficiente.
Senza voltarsi né riaprire gli occhi mi notò, richiamandomi.
«Perdonami, non volevo disturbarti» mi scusai immediatamente, temendo di potergli dare fastidio.
«Non disturbi.»
Rimasi sorpresa dinanzi alla calma e al tono carezzevole della sua voce.
Lasciai perdere gli indugi e mi feci coraggio. Presi un respiro profondo, prima di entrare nell’aula e andare direttamente ad appoggiarmi contro il muro. Chiusi gli occhi, ascoltandolo tacita per tutto il tempo, facendo oscillare un po’ la cartella seguendo quel ritmo leggero e cadenzato.
Quando finì e lo guardai lo trovai a fissarmi, con le mani congiunte in grembo.
«Sei eccezionale, lo sai?» sorrisi, onesta. Non avevo proprio idea che sapesse suonare anche uno strumento! Quanti talenti nascosti aveva?
«Non è nulla di straordinario.»
Si comportò come ogni volta, occupandosi dello spartito per sfuggire a quel complimento.
Mi avvicinai trattenendo un risolino e mi appoggiai al pianoforte nero, allungandomi a leggere il titolo al di sopra del foglio pentagrammato.
«In cosa ti stai esercitando?»
«Un brano che dovranno cantare i membri del club di coreutica per il festival. Ci sarà anche tua cugina.»
«L’hai dovuto inventare tu?» chiesi allora, spaparanzando gli occhi.
«Loro hanno inventato la canzone, quindi…»
Fece un gesto con la mano come a dire che si trattava di qualcosa di poco importante. Faceva sempre così, minimizzava ogni cosa che lo riguardava.
«Ma è incredibile!» Mi illuminai, saltellando intrepida. «Non vedo l’ora di sentirvi, scommetto che siete tutti bravissimi! Di cosa parla la canzone?»
«È una sorta di inno della scuola, improntato sulla positività, l’unione e la gentilezza» rispose atono, alzandosi.
Recuperò in fretta i fogli mettendoli in borsa e indossò il cappotto, avviandosi all’esterno. Mi affrettai ad affiancarlo meditabonda, mantenendo il suo passo con lo sguardo basso.
«Sputa il rospo.»
«Hoe?»
Alzai di scatto la testa, vedendo che mi guardava in attesa.
«Lo so che ti stai trattenendo dal fare qualche commento. Forza, dimmelo.»
Ma mi si leggeva in faccia quel che pensavo?!
«È che non vorrei…»
Esitai, facendomi piccina, chiudendomi in me stessa, mentre lo imitavo cambiandomi le scarpe; lui sospirò pesantemente, poggiandosi all’armadietto adiacente al mio.
«Non aver paura di ferirmi. Ti assicuro che sono inscalfibile.»
Risi per poco e chiusi l’armadietto, confessando non appena tornai seria: «D’accordo, sarò diretta. È che mi pare strano che debba esprimere tutto questo, perché sembrava abbastanza piatta quando l’hai suonata. Non mi spiego come possa essere così.»
Alzò un sopracciglio e io immediatamente avvampai, rimediando agitata: «N-non fraintendermi, non ti sto insultando, né svalutando! Al contrario, sei veramente, veramente bravissimo! Voglio solo dire che, essendo tu una persona molto altruista, mi è sembrato strano non percepirti...»
Sollevò gli occhi al cielo e se ne uscì, aprendo un ombrello nero piuttosto sobrio, non degnandomi di risposta.
«Lo so che non ci devi inserire te stesso» insistetti, raggiungendolo oltre il cancello col mio ombrello floreale rosa, facendolo roteare sotto la pioggerellina. «Ma è pur sempre una composizione tua…»
«Su linee guida che mi ha dato Ono-sensei» replicò imperturbabile.
«Lo so, però…  l’unica cosa che hai espresso di te è il nulla. E tu non sei il “nulla”.» Feci apposta le virgolette con due dita, seppure lui non fosse neppure rivolto nella mia direzione. Guardava dritto davanti a sé, camminando impettito, quasi le mie parole non lo scalfissero; eppure, una parte di me sentiva che stavo facendo breccia in quell’armatura che ancora si ostinava di indossare.
«E da cosa lo dedurresti?»
Fece un mezzo sorrisetto sardonico e di conseguenza mi arrestai, in attesa che anche lui si voltasse, per fronteggiarlo. Sollevai di poco l’ombrello per guardarlo, sperando capisse quanto fossi sincera.
«Dalla mia esperienza. Perché io ti sto conoscendo, anche se poco alla volta. Io riesco a vederti, Li-kun, e lo so che, anche se tendi a nasconderle, tu sei pieno di emozioni.»










 
Angolino autrice:
Eccomi tornata, con un capitolo un po' breve ma abbastanza importante (cercate di tenere a mente quello che viene detto qui per quando arriveremo più avanti).
Spiegazioni/traduzioni (molte cose probabilmente già le saprete, quindi scusatemi se ciò che dico è "ovvio", ma è meglio assicurarmi che sia tutto chiaro, visto che come avrete notato ho la tendenza ad usare parole e concetti stranieri): 
- il maid café è un tipo di caffetteria a tema dove le cameriere indossano divise di foggia vittoriana o francese, ricche quindi di merletti, pizzi e ovviamente grembiule.
- il gothic lolita è un tipo di abbigliamento che fonde la moda gotica a quella "da bambolina".
- bloody flower significa "fiore insanguinato". Questo dettaglio apparentemente insignificante tenetelo a mente (consiglio di ricordare anche il "simbolo" del paese, a tempo debito tutto diventerà chiaro).
- l'origami è "l'arte di piegare la carta", che consiste nell'assegnare varie forme alla carta piegandola seguendo determinati passaggi. 
- il kendo è un'arte marziale, letteralmente significa "la via della spada", ed è un'evoluzione del combattimento con la katana dei samurai. Naturalmente non si usano spade vere, bensì una versione di esse fatte con canne di bambù, chiamate "shinai". Si indossa come avete letto un'armatura protettiva ("bogu"), ma dato che è difficile farvi capire a parole com'è fatta per chi non ce l'ha presente sarebbe meglio se cercasse qualche immagine.
- il dojo è il luogo in cui si svolgono gli allenamenti di arti marziali. 
- sensei significa professore/maestro, e indicando "una persona che insegna qualcosa" può essere usato in questo caso anche per l'allenatore.
- senpai è lo studente "più grande", nella storia ad esempio Tomoyo ed Eriol, trovandosi al terzo anno, sono i senpai di tutti gli altri (che stanno al secondo anno). Ricordo che in Giappone il liceo dura tre anni. 
Detto ciò, svanisco e vi auguro buona giornata. 
Grazie a chi legge e chi mi lascia un pensiero! :3
  
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