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Autore: _Lightning_    23/02/2019    4 recensioni
I Vendicatori hanno sconfitto Thanos, salvato la Terra e riportato l'universo alla normalità. Ma, almeno per Peter, il lieto fine non è ancora arrivato.
Tony si ritrova a sospirare di nuovo, in un moto spossato. [...] Riporta gli occhi a Peter e la sua espressione diventa seria, quasi austera, come quando è dietro la sua maschera in missione – e in realtà lo è. Non può permettere che Peter si trovi a passare un’altra notte insonne: ha accettato il compito di guidarlo, e ciò include arginare i demoni che non è ancora in grado di respingere da solo. E, soprattutto, non può permettere che le sue ultime parole siano quello straziante “mi dispiace” perso nella cenere che continua a perseguitarlo negli incubi.
[post-Infinity War non canonico // Tony&Peter // What If? // PoV Multiplo]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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3
Pensieri scomodi per notti insonni
 
 
 
“Late at night when you can’t fall asleep
I’ll be lying right beside you counting sheep

You’re the fire and the flood
And I’ll always feel you in my blood”

 
[Fire And The Flood – Vance Joy]
 
 
 
          Tutto è esattamente come subito dopo New York: il mondo è salvo, i Vendicatori hanno vinto e Tony è insonne.

Con ogni vittoria, i cocci di ciò che si è rotto finiscono sempre per cadere sulle sue spalle, e lui non è mai in grado di scrollarseli di dosso, o forse non vuole: lascia che affondino nella sua carne in profondità, finché è impossibile rimuoverli e le ferite iniziano a infettarsi. Pepper ha iniziato a pensare che non ci sarà mai un momento in cui si sentirà in pace, men che meno con se stesso.

Lo guarda, disteso sulla schiena con la testa poggiata al cuscino appallottolato mentre scorre pigramente il cellulare, il braccio ferito ora libero dal tutore che riposa sull’addome. Sembrerebbe rilassato, ma lo conosce troppo bene per lasciarsi ingannare. Si sono messi a letto da più di un’ora, esausti dopo un’altra giornata di riunioni e assedi mediatici, ed è riuscito a rimanere fermo e in silenzio quasi assoluto per tutto quel tempo: c’è decisamente qualcosa che non va, ma sa che pressarlo non servirebbe a nulla e lo farebbe solo ritrarre ancor di più. Qualche trucco l’ha imparato, in diciotto anni.
Smette di fingere di dormire e si limita ad accostarsi a lui e a cingergli la vita con un braccio, prestando attenzione a non toccare la ferita, ora non più coperta ma comunque sensibile e arrossata. Lui sposta la mano libera sulle sue spalle nude, prendendo a tracciarle ghirigori leggeri e distratti sulla pelle con la punta delle dita. Le rivolge una breve occhiata, per poi posare il cellulare sul comodino.
Fissa il soffitto per qualche secondo.

«Ti ricordi la nostra chiacchierata al parco prima che Dottor Who sbucasse fuori dal nulla?» chiede senza preavviso, con gli occhi ancora puntati sopra di sé.

In tutta risposta, Pepper sbatte le palpebre perplessa.
Bambini. Non è assolutamente l’argomento che si aspetterebbe arrivare da lui, né ora né mai, ed è la seconda volta che salta fuori in poco meno di una settimana. L’aveva presa in contropiede anche la prima, ed è consapevole di aver reagito in modo fin troppo freddo, quasi disfattista. Non ha neanche avuto occasione per ritrattare le proprie parole o realizzare cosa volessero realmente significare quelle di Tony, visto che subito dopo l’ennesimo alieno squilibrato aveva puntualmente deciso di seminare distruzione nel loro mondo.

«Quella chiacchierata riguardo al chiamare la nostra ipotetica progenie come il mio zio eccentrico?» scherza, anche se ha percepito la serietà di fondo nella voce di Tony.

«Ah, riguardo a quello… eliminiamo ipoteticamente Morgan dalla lista dei nomi, ok?»

«Ok,» sorride lei, e trattiene una risatina di fronte alla sua espressione ora imbarazzata. «Quindi? Che cosa pensavi?» chiede poi, in tono basso ma leggermente nervoso mentre le sue dita attorcigliano di nascosto l’orlo del lenzuolo. 

Non è che non voglia dei figli. Semplicemente, non ci ha mai pensato in modo serio: diventare dei genitori le è sempre sembrato in qualche modo incompatibile col loro stile di vita e l’argomento, di fatto, non era mai stato menzionato in dieci anni come in tacito accordo. Il fatto che Tony avesse travalicato quelle direttive non scritte era stato come un fulmine a ciel sereno, e un qualcosa che, dopo il primo momento di sorpresa, l’aveva rallegrata molto più di quanto avrebbe mai potuto immaginare.

«Perché non mettiamo quel piano in stand-by, per ora?»

Le successive parole di Tony riescono a far sfiorire le sue aspettative prima che riescano anche solo a sbocciare. Si ritrae un poco, scostando la testa da lui e poggiandola sul cuscino per guardarlo meglio: è accigliato, col braccio sano piegato dietro al collo.

«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»

Tony fa una smorfia e smuove i piedi sotto le lenzuola con fare irrequieto.

«Non è ovvio?» mormora, prima di girarsi finalmente del tutto verso di lei.

«Con te, non lo è mai,» gli fa notare, a metà tra il serio e il faceto.

«Vero.» Le rivolge un sorrisetto rapido, spento. «È solo che ultimamente ho pensato… troppo, in effetti. Non sono fatto per essere padre, è-- è una questione genetica. E magari potrei programmare Dum-E per cambiare pannolini e preparare biberon e tutto il resto, ma non posso affidare a un robot la parte… emotiva,» incespica nelle sue stesse parole e si fa silenzioso.

«Solo perché Howard non è stato un buon padre, non vuol dire che anche tu non lo sarai,» dice Pepper a bruciapelo, e lui sfugge i suoi occhi.

«Lo so che posso essere migliore di lui,» bofonchia, senza suonare troppo convinto. «Mi chiedo solo se sarà abbastanza.»

«Tony, nessuno nasce genitore, è un qualcosa che impari sul momento. Neanch’io saprei da dove cominciare,» ammette con un’alzata di spalle.

«Non hai davvero imparato nulla dopo vent’anni passati a stare appresso al tuo disastro ambulante preferito? È preoccupante, signorina Potts,» ridacchia, al che lei gli tira perfidamente l’elastico dei boxer con uno schiocco, facendolo reagire con un mirato pizzicotto di solletico sul suo fianco.

«Parli tu, che stai sempre a preoccuparti per tutto e per tutti: entreresti in modalità mamma-chioccia all’istante,» lo rimbecca, ritraendosi prontamente prima che la zuffa degeneri, e lui alza gli occhi al cielo. «Saresti un buon padre, tesoro. Davvero.»

«Dai, riesco a malapena a badare a me stesso,» sbuffa Tony, facendosi di nuovo serio.

Fa una pausa. 

«Ma che cavolo, non riesco neanche a badare a Peter.»

Eccola, la bomba che stava aspettando da tre giorni.

«Stai facendo tutto il possibile,» gli fa notare con dolcezza, senza commentare la deriva del discorso.

«È questo il punto,» ribatte subito lui quasi con rabbia, agitando il palmo. «Non è neanche lontanamente abbastanza.»

Pepper gli poggia una mano sul braccio, percependone la tensione, e gli cinge il polso con le dita in silenzio. Non è riuscito a darsi pace per la situazione di Peter sin dal momento in cui il ragazzo è tornato tra loro in quello stato, ma ha comunque cercato di tenerla a distanza e comportarsi come se nulla fosse, il suo comportamento di default quando c’è qualcosa che lo tormenta. E in realtà anche lei è preoccupata, per tutti: Peter e May sono ormai diventati qualcosa di molto simile a una famiglia e vorrebbe riuscire a fare di più per loro, oltre a evitare a Tony un crollo nervoso.

«Ci sono novità?» chiede semplicemente, sapendo che ogni parola di conforto andrebbe sprecata, quando si impunta in quell’atteggiamento così spietatamente autocritico.

«Stavo parlando con May,» fa un gesto verso il cellulare. «Ha provato coi sonniferi, ma non ha tenuto conto del suo metabolismo accelerato. In pratica, è come se avesse mangiato delle caramelle. Quindi, sì, è ancora sveglio.» Chiude brevemente gli occhi, come se solo il pensiero gli facesse venire il mal di testa. «E io sono a corto di idee,» aggiunge seccamente.

«Non è colpa tua, Tony,» gli dice subito, prima che possa elaborare pensieri assurdi riguardo al suo ruolo in ciò che è accaduto.

«Ah davvero?» sbotta, la voce di nuovo aspra. «L’ho trascinato io in tutto questo e adesso non riesco neanche a rimettere a posto le cose.»

«Sarebbe accaduto comunque, che fosse stato con te su Titano, o da solo in camera sua, o a scuola, o a spasso sul Queens Boulevard. E almeno aveva te accanto,» replica lei senza esitare, per poi desiderare di potersi rimangiare quell’ultima affermazione quando nota l’occhiata addolorata che le scocca Tony.

Non intendeva farlo sentire in colpa per non essere stato lì con lei al momento dello schiocco, ma ormai il danno è fatto. Tony scuote la testa e si pizzica il naso, senza sprecarsi in un commento, o forse solo incapace di formularne uno. Riprende a parlare esattamente da dove si era interrotto come se nulla fosse, con un tremito nella voce forzatamente leggera:

«Non riesce a dormire, ma almeno ha mangiato qualcosa. Stavo-- stavamo iniziando a preoccuparci anche per quello, ma a quanto pare gli Oreo hanno funzionato e se n’è divorato un pacco intero, insieme a una lattina di quel tremendo intruglio alla ciliegia che gli piace così tanto,» sorride debolmente mentre parla a ruota libera, ma è uno di quei sorrisi che gli lascia gli occhi di un marrone spento, tenendo in ombra le pagliuzze nocciola.

«È una buona notizia, Tony. Significa che sta facendo passi avanti, e scommetto che è anche grazie a te. Hai detto che ieri ha reagito quando gli hai parlato, no?» rileva pragmatica, scostandosi il lenzuolo da dosso e abbracciando invece il cuscino per coprirsi e riuscire a guardarlo in volto più comodamente.

«Forse,» riconosce lui in tono quasi convinto, prima di sbuffare. «Non lo so, volevo… scuoterlo,» gesticola a vuoto per dare enfasi a quel concetto vago, «Ma gli ho solo detto un sacco di stupidaggini e–…»

«Dubito fortemente che fossero stupidaggini, e comunque è quello che dovresti fare: parlare con lui,» afferma, più decisa che mai.

«Ma lui non parla con me!» obietta vivacemente, alzando ora le mani come se non sapesse cosa farsene.

Il suo respiro accelera appena e quando riprende a parlare è quasi affannato.

«Magari vuole solo che me ne vada e mi odia per quello che è successo, e magari dovrei andarmene davvero e lasciarlo in pace, così potrebbe finalmente–…»

«Per l’amor di Dio, Tony,» sbotta lei, sollevandosi sui gomiti e portandosi alla sua altezza, costringendolo così a guardarla negli occhi. «Peter ti adora, ti ammira e ti vuole bene. Ha bisogno di attenzioni e ha bisogno di sapere che tu sei lì per lui,» scandisce senza interrompere neanche per un istante il contatto visivo, conscia che il panico represso di Tony è sul punto di traboccare. «Pensi davvero che andartene migliorerebbe le cose?» gli chiede poi, senza trattenere una traccia di incredulo sarcasmo.

Tony prende un lungo respiro e deglutisce come se volesse ricacciarsi in gola quella risposta più che ovvia, ma finisce comunque per pronunciarla:

«No.»

Rimane in silenzio per un po’, e Pepper gli permette di ripristinare ordine e calma nei suoi pensieri. Il fatto che si sia agitato in modo così repentino e che abbia poi ceduto altrettanto facilmente le dà un’idea di quanto debba essere esausto, sia nella mente che nel fisico: sa quanto sia difficile per lui non ritenersi responsabile di qualcosa e quanto sia incline a fossilizzarsi nel senso di colpa. Osserva il suo petto sollevarsi e abbassarsi ritmicamente nella luce soffusa che filtra dalla vetrata, che mette in risalto la cicatrice circolare all’altezza dello sterno, e lo vede farsi man mano più calmo.

«Sto cercando di mettermi nei suoi panni, di capire cosa ha passato,» riprende poi, a voce bassa e misurata. «Pensavo di poterci riuscire, considerando… lo sai.»

Pepper sente “New York” anche senza che lo dica ad alta voce, e si limita ad annuire.

«E non ci riesci?» chiede cautamente.

Lui sospira così a fondo da farsi quasi scoppiare i polmoni, premendosi le dita sulle palpebre, e Pepper sa che è sul punto di cedere al flusso che ha tentato di sommergere le sue difese fino ad ora. Fuoriesce come un fiume in piena, ed è grata che non stia più tentando di arginarlo: 

«Quello che ha passato è su tutt’altro livello. Ha diciassette anni e si è trovato faccia a faccia con la morte; io sono solo caduto nello scarico di un lavandino alieno,» scrolla le spalle e incrocia le braccia sul petto in modo difensivo. «E poi, io non sono diventato cenere e non sono stato tenuto ostaggio in una gemma del cazzo portata a spasso da una prugna gigante con manie omicide e complessi divini. Quel bastardo,» sbotta, ora trattenendo visibilmente la propria collera, con la rigidità della mascella che gli disegna una linea di tensione sul collo.

Pepper è sicura che, se Tony avesse la folle possibilità di riportare in vita Thanos, lo farebbe solo per riservarsi il diritto di ucciderlo con le proprie mani, invece di lasciarlo a Steve e Carol. Lo vede prendere un respiro traballante, per poi continuare:

«A parte questo, era là quando Thanos mi ha… mi ha quasi ucciso,» conclude, come se non riuscisse ancora a realizzare del tutto quel fatto.

Le lancia uno sguardo nervoso e lei si limita ad abbassare il proprio sul marchio rosso e gonfio che spicca sul suo fianco, tra le ultime due costole. È cosciente che ce n’è uno identico sulla schiena poco più in basso, a sfregiargli una fossetta di Venere.

«Ha visto Thanos che mi colpiva. E dopo lui è-- è sparito e io non sono riuscito a fare nulla per aiutarlo… me ne stavo lì impalato mentre–…» la voce gli si incastra in gola e Pepper si accosta di più a lui, col petto pesante nel sentirlo parlare per la prima volta di ciò che è successo. «Dovevo proteggerlo. Ha chiesto aiuto, mi ha chiesto aiuto perché pensa che io sia chissà quale grande eroe… e sono rimasto a guardare mentre mi moriva davanti,» ansima, di nuovo a corto di fiato, vicino a un attacco di panico, ma lo contrasta con veemenza ferrea, lo butta fuori di sé e mantiene a stento il controllo. «Ha già sofferto abbastanza. È solo un ragazzino,» conclude, lasciando che quel flusso di emozioni si esaurisca assieme alla sua voce.

Sta affondando le dita nel fianco e Pepper vi poggia una mano sopra, allentando la loro stretta sulla ferita sensibile mentre lui cerca a poco a poco di calmarsi, scosso dai tremiti e sopraffatto dai ricordi appena evocati. Lei aspetta in silenzio, un braccio a cingerlo delicatamente e le labbra premute contro la sua spalla. Sa che in quei momenti quel semplice contatto è tutto ciò di cui lui ha bisogno, piuttosto che delle sue parole. Tony si gira infine verso lei, con un’espressione adesso colpevole.

«Scusa,» esordisce, sorprendentemente, facendole corrugare le sopracciglia. «Continuo a dimenticarmi… o meglio, vorrei dimenticarmi che anche tu eri… sparita,» formula infine. «Non volevo–…»

«Sto bene,» lo rassicura subito, inclinandosi verso di lui per lasciargli un breve bacio sulle labbra. «E comunque, non ricordo nulla,» aggiunge, nel modo più disinvolto che le riesce.

«Sei sicura? Non voglio pressarti, ma se c’è qualcosa, qualunque cosa che ti dà pensiero, lo sai che puoi dirmelo e proverò a–…»

«Te l’ho detto, è stato come–…» si interrompe guardandosi le dita, la prima cosa che aveva iniziato a sgretolarsi sotto i suoi occhi terrorizzati. Le arriccia in un pugno e stabilizza il proprio respiro. «Non lo so, come entrare in una specie di anestesia totale, poi mi sono svegliata nel mio ufficio tutta intera come se nulla fosse accaduto. Ero stordita e molto confusa, tutto qui. Non ho sentito dolore, solo il… nulla. Poi sono tornata, e c'eri tu. L’importante è quello,» conclude, baciandolo di nuovo con affetto.

Lui ricambia, ma la ruga tra le sue sopracciglia non si dissolve e si scosta quasi subito.

«Non hai mai parlato del momento in sé, quando-- quando…» lascia sfumare le parole, e capisce che si sta figurando il suo corpo che si tramuta in cenere dal modo in cui le sta toccando il braccio, aggrappandosi ad esso come ad assicurarsi che rimanga saldo e solido. «Te lo ricordi?» la sua voce vacilla.

Lei rimane in silenzio e si rannicchia ancor più contro di lui, poggiando la guancia sulla sua clavicola e inalando l’odore familiare della sua pelle. Quello, e il suo braccio che si stringe attorno alla sua figura esile, le fanno trovare il coraggio di pronunciare la parola successiva:

«Sì.»

La mano di Tony trova la sua, stringendola con fermezza e accarezzando l'anello che le cinge l'anulare.

«E l’hai sognato.»

Non è una domanda. Pepper trattiene l’istinto di alzare gli occhi al cielo come fa sempre quando Tony si dimostra più perspicace di quanto dovrebbe. Ma ovviamente se l’era immaginato, visto che lui stesso ha passato più di sei anni a rivoltarsi nel sonno una notte sì e l’altra pure.

«Un paio di volte.»

Il sospiro di Tony le sfiora i capelli, ma non aggiunge altro. Non è nella posizione di rimproverarla per non avergli detto qualcosa, quando si è sempre impegnato a nascondere ogni sua debolezza, finché non avevano finito per crollargli addosso tutte insieme spingendolo ad allontanarla da sé. Poi aveva imparato, con tempo e costanza, a mostrarle anche le paure, oltre ai sorrisi. Adesso iniziava a capire anche lei quanto fosse difficile.

«Mi dispiace di essermene andato, ieri,» dice invece. «Non avrei dovuto lasciarti sola di notte. Avrei dovuto pensarci,» conclude, girandosi sul fianco sano e accogliendola contro il suo petto.

Pepper non dice nulla e si limita a rifugiarsi nel suo abbraccio.

«Non sono arrabbiata o delusa. Non ti sto dando la colpa,» mette subito in chiaro. «Pensavo solo di potermela cavare da sola e non è andata come pensavo. Ma adesso è Peter ad aver più bisogno del tuo aiuto,» dice contro la sua pelle, ed è sincera.

«Lo so. Ma devo anche assicurarmi che tu stia bene.» Pepper sente le sue braccia irrigidirsi. «Quindi rivedrò le mie priorità per riuscire ad esserci per tutti e due. Ma tu devi dirmi se c’è qualcosa che non va, non importa dove sono o che cosa sto facendo, e devi dirmi se mi comporto da stronzo come al solito... sono un genio, ma lo sai che per queste cose sono un disastro.» scuote la testa, rassegnato. «D’accordo?»

Tony cerca i suoi occhi, senza distogliere lo sguardo. Lei non risponde subito: non le sembra un buon compromesso e con tutta probabilità finirà solo per farsi consumare dalla preoccupazione.

«D’accordo?» insiste lui, posando la mano ferita sulla sua guancia.

Lei gli stampa un bacio leggero sul palmo e annuisce appena.

«D’accordo,» dice soltanto, e quella semplice risposta rende l’aria attorno a lei meno soffocante al pensiero di non dover passare un’altra notte da sola.

Si sente un po’ egoista, ma sa anche di avere un assoluto bisogno di sentire Tony vicino. Spera davvero che Peter si riprenda presto, sia per avere di nuovo il ragazzo a rallegrare la giornata a entrambi col suo candido entusiasmo, sia per non far sentire Tony dilaniato dalle responsabilità che sente verso entrambi. Ha già abbastanza sensi di colpa sulle spalle, e adesso le riesce anche più facile capire la sua volontà di voler rimandare il discorso “figli”.

«Come va il braccio?» gli chiede, cambiando volutamente argomento.

Lui la asseconda volentieri e alza le spalle mostrandole l’arto in questione, ancora striato da sottili ma profonde linee rossastre là dove la pelle si era spaccata, che convergono sul dorso della sua mano aggrovigliandosi in un intrico spigoloso e sensibile di tagli e bruciature. Alcune garze coprono le ustioni più gravi sull’incavo del gomito e sul polso, ma sembra in condizioni decisamente migliori rispetto a tre giorni fa.

«Non c’è male. Brucia ancora un po’, ma la Dottoressa Cho e Shuri hanno fatto un buon lavoro di taglia e cuci,» commenta con un sorriso un po’ flebile. «Il mio senso del tatto è un po’ sballato, in realtà… forse ci sono stati comunque dei danni. Qualche nervo, o roba del genere,» si acciglia mentre si sfiora la pelle con la punta delle dita, tracciando il contorno dello sfregio sul fianco.

Lei gli scosta la mano prima che finisca per irritare la ferita, e lui non oppone resistenza, incastrando il palmo nel suo.

«Non puoi chiedere a Helen di aggiustare anche quello?»

Tony le rivolge un sorrisetto incredulo.

«Pep, ho brandito l’arma più potente dell’universo, e sono ancora vivo per vantarmene. Credo di aver già avuto la mia buona dose di fortuna, quindi evitiamo di tentare troppo la sorte, mh?» sbuffa appena, per poi accarezzarle la guancia con le nocche. «E comunque, secondo me funziona ancora abbastanza bene,» sottolinea, alzando scherzoso un sopracciglio in quella sua classica espressione furbetta, subito addolcita da un sorriso.

Pepper sorride di rimando: è raro che Tony si lasci andare a dimostrazioni d’affetto così esplicite e le sta apprezzando ancor più del solito. Le è mancato, anche se in realtà non poteva esserne cosciente, ed è evidente che anche lei gli è mancata, forse nel modo più intenso in quei diciotto anni. Si accosta di più a lui e Tony la stringe a sé racchiudendola nella penombra rassicurante del proprio corpo, col mento posato sulla sua testa. Rimangono così per qualche minuto, respirando in controtempo e crogiolandosi nel calore reciproco. Tony rompe il silenzio con un respiro più profondo.

«Pensavo di averti persa,» sussurra poi, appena udibile, e Pepper sente con chiarezza il lieve tremito che lo scuote.

Prende a massaggiargli piano la schiena, cercando di sciogliere l’ostinato nodo di tensione tra le sue scapole.

«Sono qui,» risponde in un sussurro, e Tony lo segue, trovando di nuovo le sue labbra.

«Lo so,» mormora lui, poggiando la fronte contro la sua. «Adesso sono qui anch’io, credo,» aggiunge un po’ confusamente, sfuggendo poi il suo sguardo.

Non ha bisogno di aggiungere altro: anche lei conosce fin troppo bene il dolore debilitante di perdere chi si ama, e come finisca per annichilire qualunque altra sensazione. Quel ricordo l’ha accompagnata sin da New York, e sa che è stato un incubo mai espresso ma ricorrente di Tony sin dall'incidente con Extremis.
I loro respiri si stabilizzano pian piano, per poi approfondirsi, ma nessuno dei due sembra in grado di varcare la soglia del sonno. Pepper sente Tony che continua a giocherellare coi suoi capelli, facendola andare alla deriva in un leggero dormiveglia.

«Sono quasi le due… dovresti almeno provare a dormire,» farfuglia, riscuotendosi appena. «Ti fa male non–…»

«Non ci riesco. Lo sai,» bofonchia lui in tono stanco, con le palpebre appena schiuse.

Lo sa, quindi si limita a stringerlo al seno e a racchiudere la sua testa tra le braccia mentre gli accarezza i capelli, cercando di cullarlo senza successo. Sente che è ancora sveglio e adesso è certa che neanche lei riuscirà ad addormentarsi. Osserva i suoi lineamenti, appena visibili nella penombra, e li percorre con la punta delle dita come se li vedesse per la prima volta. È la prima notte completa che passano insieme da quando hanno vinto e averlo accanto a sé è quasi irreale.

Dopo un po’, inizia a tracciare una leggera scia di baci partendo dalla sua tempia, attraverso la guancia, seguendo la linea della mandibola incorniciata dal pizzetto fino a raggiungere il collo. Lui si contrae appena e si lascia sfuggire un piccolo sospiro, premendole le labbra sulla clavicola mentre prende ad accarezzarle il fianco, scendendo poi lungo la coscia. Pepper intreccia le mani dietro la sua nuca e lui fa scivolare un braccio a cingerle la vita, per poi attirarla con decisione a sé e catturare infine le sue labbra.

Anche per quella notte, nessuno dei due riesce a dormire.




Note Dell'Autrice:

Se io scrivo pseudo-fluff, la fine del mondo è vicina, ve lo dico.
A parte la premessa, questo è uno dei capitoli che più ho amato scrivere, e spero di avervi sorpreso col PoV Pepper <3 Una notte di tenerezza e intimità se la meritano dopo dieci film, essù. 


Pallose precisazioni temporali: il tempo della storia è volutamente vago, ma dopo il nuovo trailer di Endgame ho fatto un po' di retcon nella traduzione. Ovvero: dallo schiocco alla "soluzione" passano tre mesi ma, presupponendo un viaggio nel tempo e la nascita di una linea temporale alternativa, nel capitolo sono passati poco più di tre giorni dallo schiocco/contro-schiocco che è appunto il tempo percepito da Pepper. Infinity War, a detta dei registi, si svolge in meno di due giorni, di qui la "settimana" che cita.
Il fatto che la ferita inferta a Tony da Thanos sia ancora così dolente è perché il suddetto viaggio nel tempo l'ha riportato al momento dello scontro su Titano. Scusate la divagazione tecnica.
Spero di essere stata chiara: io in primis detesto i viaggi nel tempo con tutta l'anima, ma mi sembrava doveroso citarli tra le righe vista la loro probabile importanza in Endgame. Tutto ciò che ho detto è ovviamente un mio headcanon frutto di elucubrazioni personali e derivato da fan-theory circolanti nel web. Sono disponibile per qualsiasi chiarimento in merito :)

Ringrazio tantissimo
_Atlas_ e T612 per aver recensito gli scorsi capitoli, e tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite/ricordate/preferite (siete tantissimi! :D) <3

-Light-


P.S. Link al capitolo originale -> And the wheels keep spinning 'round

P.P.S. Per chi ha letto altre mie storie: questa non rientra completamente nel "mio" canon post-Infinity War/Endgame, ma ne mantiene alcuni dettagli, come appunto il fatto che Pepper sia stata vittima dello schiocco (cosa citata sia in Interferenze che in Comunicazioni Interrotte). Deciderò in seguito se creare un headcanon coerente e unitario, a seconda di dove mi porterà il prossimo progetto sul nostro Spidey ;) *spam!*

 
   
 
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