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Autore: pattydcm    23/02/2019    2 recensioni
Una ragazza viene trovata morta con inciso sul braccio uno strano disegno. Sherlock viene chiamato ad indagare e scopre che la ragazza è rimasta intrappolata in una brutta rete. Non vuole però che John lo aiuti nelle indagini, questa volta. Sarebbe, infatti, per lui troppo pericoloso stargli accanto.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 3
 
John bussa alla porta d’ingresso e nello stesso momento in cui lo fa si da dell’idiota. La apre piano senza attendere risposta e trova Sherlock seduto sulla sua poltrona, gli occhi chiusi e le mani congiunte sotto il mento. John approfitta della permanenza del suo coinquilino nel proprio Mind Palace per guardarsi velocemente attorno. Nessuno zaino in cucina e nessuna chitarra ai piedi del divano. Solo tanti quaderni e fogli di diversi tipi di carta recanti sopra disegni e schizzi sparsi un po’ ovunque. Devono essere sicuramente quelli di Rosaline Jackson, diligentemente consegnati dagli uomini di Lestrade.
John sorride soddisfatto e va in cucina per una meritata colazione. Mette su il the, prende la sua tazza, il pacco dei biscotti da sotto la credenza e posa tutto sul pianale della cucina. Si appoggia al lavello bevendo e mangiando in piedi e guarda Sherlock assorto nei suoi pensieri. Benchè siano distanti, la prima cosa che si trova a cercare sono eventuali segni che le ore di passione hanno lasciato sulla sua pelle bianca. Stranamente non ne trova. Certo non vuol dire nulla, non a tutti piacciono o non ci si mette a farli in punti ben visibili. Uno come Sherlock, poi, così attento ai dettagli, certamente non tollererebbe un simile marchio visibile sulla sua pelle immacolata.
Si rende conto che il suo modo di guardarlo è cambiato. Tutto ciò che prima si limitava a pensare per poi richiamarsi all’ordine ripetendosi che ‘lui è sposato al suo lavoro e disinteressato a cose così umane e terrene come sesso e effusioni’, ora gli giungono prepotenti alla mente facendo anche effetto sul suo corpo. La cosa peggiore è che non riesce a fermare questo flusso indecente di pensieri proibiti, ora che lo percepisce disponibile e potenzialmente interessato.
“Siamo coinquilini, questo lo rende intoccabile” si dice, cercando di mettersi a bada. “E poi, cazzo, lo hai visto il tipo che si è portato a letto? Quando mai io potrei competere con uno così? Qualche anno fa, forse… e se fossi alto un mezzo metro in più, anche”.
Questi pensieri svalutanti sortiscono il giusto effetto. Il suo ‘amichetto del piano di sotto’ si da una calmata e il campanello che suona spezzando il silenzio completa l’opera di ritorno a regime.
John sente la signora Hudson andare ad aprire e poi i pesanti e veloci passi di Greg sulle scale, che oramai è in grado pure lui di riconoscere.
Sherlock esce dal suo Mind Palace e volge lo sguardo alla porta nel momento esatto in cui questa si apre introducendo il trafelato detective nel loro spazio privato.
<< E’ successo di nuovo >> dice il consulente inarcando appena un sopracciglio. Greg annuisce e John sente lo stomaco chiudersi.
<< Un’altra ragazzina. Daisy Cooper, diciotto anni. Dalla parte opposta di Londra. Estrazione sociale totalmente diversa >>.
<< L’unica cosa che le accomuna è quel disegno >> constata Sherlock. Gli occhi nuovamente chiusi.
<< Sì >> annuisce Greg  e passa la mano sulla barba più ispida del solito. << Ti ho portato le foto scattate in casa sua e ho già detto ai ragazzi della scientifica di mandare qui il pc e tutti i quaderni e libri presenti nella stanza della ragazza. Hai trovato qualcosa nel materiale che ti è stato portato  ieri? >>.
<< Nulla di rilevante, a parte la presenza di quel disegno praticamente ovunque, in modo ossessivo >> risponde Sherlock e John storce il naso. Sa bene come ha trascorso il pomeriggio il suo coinquilino e pure la notte. Non crede proprio abbia avuto tempo di rovistare tra gli effetti personali della giovane Rosaline. Non riesce a capire perché il consulente stia prendendo sottogamba questo caso, al punto da concedersi una scappatella in piena indagine.
Greg prende dalla tasca il cercapersone e lo controlla. << Devo andare. Ti aspetto a casa dei Cooper, Sherlock, ok? >> dice raggiungendo la porta. Il consulente annuisce e con un gesto del capo il detective saluta e discende le scale. Non appena il portone viene chiuso, Sherlock balza in piedi e prende a camminare avanti e indietro per il salotto, le mani giunte sotto il mento.
<< Due ragazzine che non si conoscevano, provenienti da ambienti totalmente diversi, si suicidano e l’unica cosa che le accomuna è quel disegno >> dice indicando la foto aperta lasciata in bella vista sulla sua poltrona.
Il campanello suona interrompendo i ragionamenti ad alta voce di Sherlock.
<< Lestrade di nuovo qui? Avrà dimenticato qualc… >> si interrompe affinando l’udito. John volge come lui lo sguardo alla porta, stupito dal comportamento del consulente. Sente dei passi salire piano le scale.
<< Non è Greg >> dice e Sherlock annuisce piano.
Qualcuno bussa attendendo diligentemente il permesso ad entrare. La porta si apre piano e un ragazzino fa capolino nella stanza.
<< Oh >> esclama Sherlock sbattendo le palpebre più volte.
<< Buongiorno >> saluta il ragazzino chiudendosi la porta alle spalle.
<< Buongiorno a te >> lo accoglie il consulente. << Come possiamo aiutarti? >>.
Il ragazzino scocca un’occhiata alla sedia che sono soliti offrire ai clienti e Sherlock la prende, la sistema a formare il vertice in un perfetto triangolo con le loro due poltrone e con un gesto della mano lo invita a sedersi. Si accomoda alla sua poltrona e John, che si rende conto solo adesso di essere ancora in pigiama, prende posto alla propria mettendo mano al fedele taccuino.
<< Tuo padre sa che non sei andato a scuola stamattina? >> domanda Sherlock al ragazzino che rischia quasi di cadere dalla sedia sulla quale si è appena seduto. Volge uno sguardo preoccupato al consulente che di rimando lo osserva tranquillo.
<< E’ vero, allora, quello che dice di lei? >>.
<< Non lo so. Cosa dice di me? >>.
<< Che le basta un’occhiata per capire tutto e che non si sbaglia mai >>.
<< Gentile da parte sua >> sorride. << Ma capita anche a me, qualche volta, molto raramente, di sbagliare >>.
John strabuzza gli occhi dinanzi a quella strana ammissione di fallibilità.
<< Secondo la mamma, invece, lei è un impostore e un approfittatore >>.
John soffoca una risata portando la mano a coprire le labbra. Nota una somiglianza nel tono della voce, nell’espressione e nel modo di muoversi del ragazzino… ma la mette via scuotendo il capo. Sherlock gli scocca un’occhiataccia.
<< Tu quale versione preferisci? >> torna a chiedere al ragazzo.
<< Quella di papà >> risponde sicuro. << Alla mamma ho smesso di credere da un pezzo >> sussurra portando lo sguardo alle scarpe da tennis.
<< Concordo con la tua scelta >>.
<< Sherlock! >> lo richiama John, che non trova molto appropriato schierarsi dalla parte di un genitore piuttosto che dell’altro.
<< Se ascoltassi il tuo intuito, anziché metterlo come sempre a tacere, e osservassi anziché guardare, capiresti il perché di quello che ho appena detto, John >> ribatte rivolgendosi a lui in una maniera insolita alla presenza di un cliente. << Dal momento che il mio collega non ha capito chi sei, puoi, per favore, presentarti? >> chiede al ragazzino che ha assistito incredulo a quel siparietto.
<< Sono George Lestrade >>.
<< Tu sei… il figlio di Greg? >> domanda John stupito. George annuisce arrossendo appena e le somiglianze che aveva notato e messo da parte tornano prepotenti a indicargli come il giovane sia la copia ringiovanita e in miniatura del suo amico detective. << Cristo. Sapevo avesse figli, ma non credevo fossero così grandi >> aggiunge scuotendo il capo incredulo e il ragazzo passa la mano tra i capelli nello stesso gesto di nervosismo del padre.
 << Bene, ora che abbiamo stabilito a chi appartiene metà del tuo patrimonio genetico, puoi dirci cosa ti porta qui a quest’ora, affrontando il rischio che i tuoi genitori scoprano che hai saltato la scuola? >>.
<< Una cosa molto più importante di sei ore di inutili idiozie >> sbotta infastidito, incrociando le mani al petto. L’esatta, identica posa di suo padre dinanzi alle svalutazioni del consulente. John si ritrova a dover soffocare un’altra risata. << Io preferirei se quanto sto per dirvi rimanesse tra noi >>.
<< Perché? >> domanda Sherlock e John constata che in effetti è la prima volta che si ritrovano ad ascoltare un minorenne. Teme addirittura che stiano già facendo qualcosa di contrario alla legge, dal momento che il ragazzino è lì senza il consenso dei genitori.
<< Avete notato le condizioni in cui verte mio padre, immagino? >> dice con una proprietà di linguaggio ragguardevole per la sua età. Entrambi annuiscono scambiandosi un’occhiata. << Ne sta già prendendo troppe dalla mamma, dagli avvocati e dai giudici, non voglio che arrivi anche questa cosa a dargli altre preoccupazioni >>.
John e Sherlock si scambiano un’altra occhiata, entrambi nuovi a una simile situazione.
<< E’ ammirevole tu non voglia dare ulteriori preoccupazioni a tuo padre >> esordisce John andando a tentoni.
<< Il fatto che stia divorziando da tua madre non lo solleva dai suoi doveri di padre. Qualunque sia ciò che stai per raccontarci, lui ha il dovere di prendersi cura di te e tu il diritto di essere da lui protetto >>.
John si stupisce del discorso sensato e adulto di Sherlock. Il ragazzo scuote la testa indispettito e stringe i pugni, dando l’idea di non avere per nulla ben accolto quanto gli è stato detto.
<< Tuttavia >>, aggiunge Sherlock, << nulla ci vieta di ascoltare comunque quanto hai da dirci e decidere poi se è il caso di caricarlo di questo ulteriore peso o meno >>.
Il dottore storce il naso poco convinto di quest’ultima battuta. Vede, pero, George rilassarsi e prendere fiato.
<< La ringrazio >> dice abbozzando un sorriso. << Non riguarda me direttamente. È per mia sorella >>.
<< Lei è più grande di te, vero? >> chiede John.
<< Tre anni. Ne ha 16 e non sa che sono qui. Non credo che approverebbe, ma… me ne frego! Io non… non ce la faccio più ad assistere in silenzio alla serie di disastri che ho attorno >>.
Abbassa lo sguardo cercando di ritrovare il controllo di sé. John volge lo sguardo a Sherlock che non distoglie il suo dal ragazzo, mentre gli da il tempo di ricomporsi e proseguire.
<< Ieri papà è venuto a prenderci a scuola. Passa sempre a prendere prima me e poi andiamo insieme a prendere Lizzy. Avevo sentito del suicidio di quella ragazza di Pall Mall e gli ho chiesto se ci stesse lavorando. Mi ha detto di sì anche se, come sempre, non è sceso nei particolari. Ha paura di turbarmi, come gli dice sempre mia madre >> dice storcendo il naso. << Mentre aspettavamo Lizzy ha ricevuto una telefonata ed è uscito dell’auto, sempre per evitare di      turbarmi >> alza gli occhi al cielo. << E io, come sempre, ho sbirciato tra le sue carte. Ero sicuro di trovare quello che alla fine ho poi trovato >>.
<< Cosa? >> domanda John.
George prende il cellulare dalla tasca dei jeans, ci smanetta sopra alla ricerca di qualcosa e poi lo mostra loro. << Questo penso lo conosciate, papà mi ha detto che la famiglia della ragazza ha affidato a voi il caso. Questo, invece, è quello che conosco io >> dice facendo scorrere il dito sullo schermo dello smarthphone, a richiamare un’immagine precedente dello stesso disegno.
<< Dove lo hai conosciuto? >> chiede John, mentre Sherlock prende il telefono dalla mano del ragazzo.
<< Lo ha fatto mia sorella. Disegna quella maledetta fenice ovunque, ormai! >> dice rabbrividendo visibilmente e John con lui.
<< E’ una fenice? >> domanda sbirciando il disegno.
<< Sì. Il logo di quel maledetto portale >> dice passando la mano tra i capelli.
<< Fenix >> interviene Sherlock cogliendoli di sorpresa.
<< Lo conosce? >> domanda speranzoso George.
<< Mi ci sono imbattuto ieri mentre lavoravo al caso della Jackson >> dice scoccando un’occhiata a John. Questi lo guarda incredulo. Era più che convinto che non avesse mosso un passo su quell’indagine e ora non può fare a meno di darsi dell’idiota e distogliere lo sguardo imbarazzato.
<< E’ un sito di aiuto e auto mutuo aiuto per adolescenti >>.
<< All’apparenza, signor Holmes! >> dice George muovendosi nervoso sulla sedia. << Quando Lizzy me ne ha parlato, ci sono andato pure io a fare un giro e non mi è sembrato poi così male. Dopo, però, l’ho vista peggiorare. All’inizio parlava in continuazione del tutor che le avevano affidato nel sito e ci sta anche si fosse presa una cotta, almeno è qualcosa di vivifico. Poi sono iniziati ad arrivare gli inviti >>.
<< Quali inviti? >> domanda John al quale inizia a dolere lo stomaco.
<< E’ la seconda fase >> risponde Sherlock rendendo il cellulare al ragazzo. << Prima adescano i ragazzini con la facciata da sito di sostegno. Poi individuano tra loro quelli più fragili e li invitano a seguire dei seminari >>.
<< Esatto! Cazzo, allora avevo visto giusto! >> esclama entusiasta. << A me la cosa è suonata strana perché non chiedevano nessuna autorizzazione da parte dei genitori e poco mi rassicurava che lei mi dicesse avvenissero in luoghi pubblici. L’ho seguita di nascosto ad uno degli ultimi seminari pubblici al quale ha partecipato e gli adulti che lo tenevano non mi sono piaciuti per niente! >> scuote il capo disgustato.
<< Uno degli ultimi pubblici? Vuol dire che ce ne sono anche di privati? >>.
<< E’ l’inizio della terza fase >> annuisce Sherlock e George lo guarda preoccupato, le mani strette al bordo della seduta della sedia. << Ai seminari pubblici viene fatta un’ulteriore selezione e solo alcuni vengono invitati a quelli privati. Non so ancora molto su questa parte, i bastardi che gestiscono questo sito sono maledettamente bravi a occultare i loro movimenti >> dice tra i denti.
<< Lizzy è arrivata molto scossa dall’unico al quale ha partecipato due settimane fa’ >> si intromette George, desideroso di dire ciò che sa. << Io temevo le avessero fatto qualcosa di brutto >> dice deglutendo visibilmente. << Lei continuava, però, a dire che non era giusto l’avessero buttata fuori dal gruppo >>.
<< E perché lo avrebbero fatto? >>.
<< Hanno scoperto di chi è figlia >> risponde Sherlock con quel suo tono da ovvietà così irritante.
<< L’ho pensato anche io >> annuisce George << Da allora l’ho vista peggiorare. Non mi ha più detto nulla, resta chiusa ore in camera sua, non esce più, non mangia più. Ho provato a dirlo alla mamma, ma quella >>, dice tra i denti in una brutta espressione di rabbia, << quella pensa solo a sé stessa e a quello stronzo del suo amante >>. Ringhia affondando le unghie nella coscia. << Dice che è l’adolescenza, che succederà anche a me e tutte queste cazzate. Tutto quello che fa Lizzy da due mesi a questa parte per lei sono cambiamenti normali dovuti all’adolescenza! Non si rende conto, invece, che sta sprofondando sempre più >> dice, la voce rotta dall’emozione. << Papà lo ha notato, ha provato a parlargliene e lei… >> sospira chiudendo gli occhi per un lungo istante. << E’ finita come sempre con un litigio e lui buttato fuori di casa, accusato di non essere un buon genitore, di vedere il marcio dietro ogni cosa, di fare il detective anche in casa nostra >> conclude in un sussurro.
<< Non hai detto a nessuno dei due cosa ha fatto tua sorella due mesi fa’ >> deduce Sherlock e il ragazzo lo guarda stupito. Deglutisce più volte prima di annuire lentamente, lo sguardo basso. << E temi che possa ripeterlo >> aggiunge e il ragazzo stringe gli occhi dai quali cadono alcune lacrime.
Una fitta dolorosa come una pugnalata trafigge lo stomaco di John che a stento trattiene un lamento. Porta la mano al ventre dolorante e Sherlock si volta verso di lui con una strana espressione di accigliata preoccupazione. Cerca di tranquillizzarlo abbozzando un sorriso, che però non sortisce effetto.
<< Quando ho visto quella fenice incisa sulla pelle di quella ragazza mi sono venuti i brividi. Anche Lizzy spesso se la disegna sul polso >> dice George accarezzandosi distrattamente le vene alla base della mano. << Signor Holmes, io sono davvero preoccupato per mia sorella. A volte non la sopporto e la farei fuori con le miei mani, ma da quando l’ho salvata… >> si lascia sfuggire mordendo subito il labbro. << Ho scoperto di avere una terribile paura di perderla >> dice e una lacrima sfugge solitaria al suo controllo e disegna una scia sulla sua guancia ancora glabra.
‘L’ho salvata’ questa breve frase pronunciata dalla voce acerba di George ha il potere di mozzare il fiato a John. Immagini sconnesse di un passato ormai lontano gli giungono prepotenti alla mente. Cerca di scacciarle, ma non ci riesce. Lo sguardo fisso su George che asciuga imbarazzato le lacrime che gli hanno rigato il viso. Questo ragazzino ha vissuto qualcosa di molto simile a ciò che visse lui alla sua stessa età, e se ne dispiace tantissimo. Tossicchia per mandare giù il groppo che gli si è formato alla gola e cerca di ignorare lo sguardo di Sherlock fermo su di lui.
<< Lo dirà a mio padre, signor Holmes? >> gli chiede George preoccupato.
<< Non subito >> risponde il consulente. << Ho bisogno di riflettere su alcune cose. Eccoti il mio numero >> gli dice dandogli un biglietto da visita. << Tienimi aggiornato su quanto accade a casa e chiama qualunque cosa avessi bisogno. Metterò uno dei miei su tua sorella in modo che la controlli e le impedisca di fare pazzie. Quel che mi hai detto è molto utile per il caso che stiamo conducendo insieme a tuo padre. Farò tutto ciò che mi è possibile per tirare fuori tua sorella da questa    situazione >>.
George appare più sereno e visibilmente sollevato. Un bel sorriso nasce sulle sue labbra e guardandolo John si rende conto che è davvero da molto tempo che non vede Greg sorridere allo stesso modo. Non è tipo da elargirne molti sorrisi, il detective, ma nelle serate spensierate al pub ogni tanto lo ha visto rilassarsi al punto da sorridere e ridere di gusto. Il mondo sta crollando addosso al loro amico. Crolla a causa del lavoro che ama e che non è accettato da chi pensava lo amasse.
“È terribile non essere accolti per quel che si è dalla propria famiglia” gli sussurra la voce di Harry nella sua mente e John fatica davvero, questa volta, a trattenere le lacrime.
<< Penso tu sia ancora in tempo per entrare alla seconda ora >> dice Sherlock al ragazzo alzandosi in piedi. George lo imita e così fa pure John.
<< La ringrazio, signor Holmes >> gli dice porgendogli la mano visibilmente più sereno. Sherlock la stringe e lo congeda con una pacca sulla spalla.
Il dottore e il consulente restano fermi a guardare la porta finchè non sentono anche il portone chiudersi dietro George Lestrade.
<< Rischi di fare tardi in ambulatorio, John >> dice Sherlock digitando frenetico sul suo cellulare. John guarda l’orologio della pendola e borbotta un’imprecazione. Dovrebbe già essere lavato, vestito e in strada a quest’ora. Scopre che non gliene frega minimamente nulla.
<< Voglio partecipare all’indagine >> dice risoluto. Sherlock lo guarda storto.
<< Non credo proprio sia il caso. Sei ancora più coinvolto di prima >>.
<< Greg è mio amico, Sherlock, e sua figlia si è messa in un gran brutto guaio >> ringhia serrando i pugni. La rabbia inizia a ribollirgli nella pancia contratta.
<< Sei rimasto senza fiato davanti al racconto di George e non penso di doverti dire io il      perchè >>.
<< Sono cose che fanno parte del passato. Fanno male, certo, ma sono passate e io sono in grado di gestirle >>.
<< Ne sei sicuro, John >> gli chiede levando lo sguardo dal messaggio che ha ricevuto per portarlo su di lui. John lo sostiene, risoluto e convinto, muovendo un passo verso di lui.
<< Certo che ne sono sicuro, Sherlock >> dice tra i denti cercando di trattenere l’esplosione.        << Come sono sicuro che tu non abbia dedicato al caso l’attenzione che merita >>.
Il consulente inarca un sopracciglio.
<< Io sto dedicando al caso l’attenzione che merita >>.
John ride nervoso. Una risata per nulla piacevole, carica di rabbia, che stupisce il consulente.
<< Da sei mesi ti aiuto nei tuoi casi e in questo arco di tempo ti ho visto non dormire e non mangiare finchè non ne sei venuto a capo. Ieri, invece, torno a casa e ti trovo qui in… compagnia >> dice scoccandogli un’occhiata eloquente.
<< Ho ospitato un ragazzo per una notte, non vedo cosa ci sia di male >> dice digitando veloce un messaggio.
<< Non vedi cosa… >> sbotta John alzando le mani al cielo. << Vuoi farmi credere che mentre un estraneo dormiva nel tuo letto tu eri sveglio a lavorare al caso? >>.
<< Come faccio sempre, John >> ribatte Sherlock leggendo un messaggio appena ricevuto.         << Questa è la differenza tra me e te: io so controllare le mie emozioni, tu no >> dice e lo sguardo di superiorità che gli dedica non piace per niente all’ex soldato.
<< Che cosa vorresti dire con questo? >> gli chiede portandosi a un palmo da lui. Sherlock resta calmo al suo posto, gli occhi fissi nei suoi.
 << Da sei mesi porti qui donne sempre diverse e io non faccio le scenate che stai facendo tu >> risponde severo.
<< Nessuna di loro si è mai fermata qui per la notte, Sherlock >> ringhia stringendo forte le mani a pugno.
<< E’ questo il problema, John? Ti infastidisce che abbia condiviso il mio letto con un uomo? >> lo provoca col lo sguardo e il tono che è solito dedicare a colore che considera degli idioti, prima di tornare a scrivere un messaggio. John non sopporta la poca considerazione che gli concede smezzandola con i continui messaggi che legge e che invia. Spinto dalla rabbia gli afferra il polso della mano destra nella quale tiene il cellulare e lo stringe con la sua, piccola ma forte
Immagini sconnesse, violente, gli invadono la mente e gli affannano il respiro. Sherlock lo guarda stupito dal suo gesto e stringe appena un po’ gli occhi per il dolore di quella stretta che diviene sempre più forte. Questo basta a raffreddare il dottore.
“Ma cosa diavolo stai facendo, Johnny?”
Libera il polso di lui dalla stretta e fa due passi indietro scuotendo la testa. Porta le mani alla bocca e le sente tremare appena, scosse da questa rabbia violenta che ancora gli invade il corpo. Stavano parlando del caso, di Greg e di sua figlia e lui ha virato la conversazione su quel maledetto chitarrista.
<< Perdonami io… ho perso la testa >> borbotta, tenendo lo sguardo basso.
<< Lo vedo >> ribatte Sherlock massaggiando il polso. << La tua è una vera e propria scenata di gelosia e davvero non la capisco, dal momento che non mi pare che stiamo insieme! >>.
Una fitta terribilmente dolorosa gli trafigge lo stomaco. Morde il labbro per non lasciarsi sfuggire alcun gemito.
<< Hai ragione. Noi non stiamo insieme >>.
<< Lo dici sempre anche tu >>.
<< E’ vero. Hai ragione. Scusami è che… non mi aspettavo che tu… >>.
<< Cosa? >>.
<< Avevi detto di essere sposato al tuo lavoro. Ad ogni modo, non è affar mio >> dice interrompendo il suo tentativo di ribattere. << Pensi di poter… dimenticare quanto accaduto negli ultimi minuti? >>.
<< No >> ammette il consulente, la mano ancora a massaggiare il polso ferito. << Insisto nel dire che sei troppo coinvolto. Non solo dal caso delle ragazze, a quanto pare >>.
“Certo, perché lui non si coinvolge. Un’avventura di una notte e poi ognuno per la sua strada”.
La rabbia torna a ribollire e John fa uno sforzo per non tornare a dare il peggio di sé. Lui per primo vanta innumerevoli avventure di una notte con soggetti dei quali neppure ricorda il nome.
<< Va bene >> accetta sconfitto e la fitta allo stomaco si fa ancora più forte.
<< Devo andare dalla seconda vittima >> taglia corto Sherlock digitando un ennesimo messaggio. Ripone il cellulare in tasca, indossa la giacca e John scorge un braccialetto rosso e livido dare mostra di sé attorno al suo polso. Scuote il capo passando la mano a stropicciare il viso.
“Cosa cazzo mi è preso?” si chiede, mentre, senza dirgli una parola, come è solito fare da che lo conosce, Sherlock esce dall’appartamento discendendo veloce le scale. Il portone che si chiude colpisce John come uno schiaffo in pieno viso.
 
   
 
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