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Autore: lady lina 77    23/02/2019    4 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Non lo voglio un dottore, sto già meglio, guarda!".

Ross osservò suo figlio che, per convincerlo a non sottoporlo all'ennesima visita, gli dimostrava di essere in forma saltellando per il salotto. Ma purtroppo per Valentine, lui non avrebbe ceduto visto che Demelza gli aveva mandato un biglietto che annunciava di aver parlato con Dwight e che sarebbe venuto nel tardo pomeriggio a visitare il bambino.

Ross non sapeva perché Demelza avesse deciso di aiutarlo, non meritava sicuramente nulla del genere e al pensiero di quanto generosa fosse stata nei suoi confronti, si sentiva piccolo ed insignificante per come l'aveva trattata. Lo aveva saputo da sempre quanto fosse buono il suo cuore eppure c'era stato un tempo in cui era come se l'avesse dimenticato e aveva preferito cercare altro, abbandonando chi aveva accanto e lo amava...

E poi Dwight... Dopo sette anni lo avrebbe rivisto e al pensiero di quell'incontro si sentiva emozionato e allo stesso tempo imbarazzato. Non si erano lasciati nel migliore dei modi e Ross sapeva di aver deluso Dwight forse ancor più di quanto lui avesse deluso se stesso... Cosa aveva pensato di lui in quegli anni? Lo aveva perdonato? Aveva cercato di capire? O ancora, lo biasimava e detestava come si detesta il peggiore fra gli uomini? Doveva essergli apparso davvero meschino e crudele, all'epoca... E lo era stato, ora ne era pienamente consapevole. Aveva perso ogni cosa, il rispetto per se stesso ma anche il rispetto di chi aveva accanto e lo apprezzava.

Lui, che aveva creduto di essere un brav'uomo, si era dimostrato il peggiore di tutti.

Demelza era buona. E anche Dwight!

Non lui, lui non meritava nulla! Ricordava bene la delusione negli occhi di Dwight quel giorno in cui si erano detti addio, le sue parole, la sua rabbia, il suo disprezzo...

E ora, nonostante tutto, stava venendo per aiutarlo...

Era stato gentile da parte di Dwight accettare la richiesta di Demelza di visitare Valentine, avrebbe potuto declinare con una scusa, ma Ross sapeva bene quanto la sua anima di dottore fosse votata ad accorrere da chiunque sapesse in difficoltà. Non era cambiato in quegli anni, era palese...

Dwight era un medico meraviglioso, Ross ricordava quanto aveva fatto per i suoi minatori e quanto la sua partenza fosse stata un duro colpo per tutti loro che non potevano permettersi altre cure decorose per se stessi e per le loro famiglie...

Anche questo, negli anni, aveva distrutto l'animo di Ross... Il sapere di essere la causa di quella perdita tanto importante per la comunità, la conseguenza vivente dei suoi dannatissimi errori che avevano costretto Dwight ad andare lontano.

Era passato molto tempo da allora e Prudie – anche se non poteva farne parola – gli aveva raccontato quanto Dwight avesse vissuto in quel lasso di tempo, compresa la morte della sua prima figlia. Un dolore che Ross conosceva bene e che mai avrebbe augurato al suo migliore amico, all'uomo che aveva votato la sua vita alla cura e alla salvezza degli altri...

Poteva immaginare il suo dolore, poteva toccarlo con mano perché era stato il suo stesso dolore, quel dolore che lo aveva portato alla deriva rendendolo un uomo abietto e traditore, un uomo che aveva distrutto la famiglia che aveva costruito per inseguire un sogno che lo portava con la mente alla gioventù, a un'età dove tutto era perfettamente bello e lineare e non c'erano lutti e problemi da risolvere.

Ma Dwight era stato diverso, era stato capace di soffrire ma poi di rialzarsi, rimanendo fedele a se stesso e a chi amava. Aveva tenuto fede al suo ruolo di marito e aveva saputo accogliere nella sua vita, senza timori, un'altra figlia. Tutte cose che lui non era riuscito a fare con Demelza e Jeremy...

"Papà..." - piagnucolò ancora Valentine, aggrappandosi ai suoi pantaloni.

Sospirò, accarezzandogli i ricciolini neri. "Avanti, non è la prima visita che fai! Pensa a quante volte è venuto a casa nostra il dottor Choake!".

"Appunto!" - ribatté scoraggiato il bimbo, ricordando i metodi di cura arcani di quel macellaio che era rimasto l'unico medico della zona a cui affidarsi.

Ross gli sorrise. "Si, puoi stare tranquillo, io questo nuovo dottore lo conosco e ti assicuro che è molto bravo e che ti piacerà".

"Conoscevi anche il dottor Choake! E non era bravo!".

Jane Gimlet, intenta a spolverare una mensola, ridacchiò cercando di non farsi vedere e anche Ross trovò divertente la battuta di Valentine che, pian piano, sembrava uscire dal bozzolo di timidezza in cui si era sempre rifugiato.

"Valentine, giuro che se non ti piacerà, questo dottore non lo chiameremo più!" - disse, cercando di tranquillizzarlo

Il bambino fece per rispondergli quando Dwight bussò alla porta e quindi arretrò, voltò le spalle a Ross e corse in camera sua, chiudendocisi dentro.

Jane gli andò dietro per recuperarlo e Ross, con un groppo alla gola, aprì.

Faccia a faccia dopo tanti anni, per un attimo i due uomini rimasero in silenzio, guardandosi negli occhi.

Dwight sembrava all'apparenza sempre lo stesso anche se, dopo alcuni istanti, Ross si accorse che attorno agli occhi gli erano comparse delle leggere rughe, segno del tempo passato ma anche di quanto fosse stata impietosa la vita con lui e la sua famiglia.

Lo guardò, chiedendosi se anche lui apparisse invecchiato, dopo quanto successo e quanto patito in quel lasso di tempo... Come lo vedeva Dwight? E Demelza? Era sicuramente un uomo più amaro, più maturo, senza sogni e inaridito dal dolore causato dai suoi errori e questo quanto poteva farlo apparire estraneo agli occhi di coloro che un tempo erano il suo mondo?

Dwight, mantenendo la massima serietà e celandosi dietro a un comportamento strettamente professionale, lo salutò con un cenno del capo. "Ross, Demelza mi ha dato il tuo indirizzo e mi ha chiesto di venire a visitare il bambino. Scusa l'orario ma avevo altre visite oggi, a cui presenziare".

Ross sussultò, colpito dal tono gentile ma che cercava di mantenere le distanze, di Dwight. Era il suo migliore amico, un fratello... E santo cielo, come avrebbe desiderato fosse ancora così! Anche se forse, per Dwight non era così e si era ricostruito vita e nuove amicizie a Londra. "Ti ringrazio per essere venuto. Avanti, accomodati".

Dwight entrò nel salottino, appoggiando sul divano la borsa da lavoro. "Dov'è il bambino? Quali problemi ha di preciso?" - chiese senza perdere tempo, guardandosi in giro.

Ross osservò la porta della stanza di Valentine, udendo il borbottio di Jane che cercava di concincerlo a farsi vedere. "E' in camera e fa resistenza, ma ora la mia domestica ce lo porta quì. Da neonato e nei primi anni, ha sofferto di rachitismo. Era in cura, con scarsi risultati, col dottor Choake, cure che poi ho deciso di interrompere perché per lui erano una tortura e non producevano effetti".

Dwight sollevò il sopracciglio. "Lo hai fatto curare da Choake?".

"Era l'unico medico disponibile" – si giustificò Ross, colpito dal tono di rimprovero di Dwight che mai aveva apprezzato troppo il dottore storico della loro regione d'origine. "Ho fatto a modo mio, dopo, cercando di dargli cibi nutrienti e di farlo stare di più all'aria aperta. Un pò è migliorato, ma ogni tanto ci sono delle ricadute".

In quel momento Jane tornò, tenendo fra le braccia il bambino che cercava di sfuggire alla sua presa.

"Non voglio!" - piagnucolò.

La donna lo mise a terra e Ross lo arpionò, stringendolo per la vita. "Farà un pò resistenza, è intimorito dai dottori" – avvertì.

Dwight guardò il bambino, accorgendosi che aveva gli occhi lucidi. "E così tu sei Valentine?" - chiese, in tono gentile.

"Sì" – rispose il bimbo, tirando su col naso.

Dwight gli si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lui. "I dottori non ti stanno simpatici, vero? Nemmeno a me, mi piace curare i pazienti ma se mi ammalo, mi spavento da morire a farmi curare dagli altri".

Valentine smise di piagnucolare. "Davvero?".

"Davvero? Non lo sai che sono proprio i dottori ad essere i pazienti più paurosi del mondo?".

"No, non lo sapevo".

Dwight sorrise e Ross si accorse che coi bambini ci sapeva davvero fare. Doveva essere un padre meraviglioso!

Dwight proseguì, guadagnandosi poco alla volta l'attenzione di Valentine. "Però, come dottore ti giuro che non ho mai torturato nessun bambino! Ne curo tanti, anche i quattro di Lady Boscawen. E lei non manderebbe mai da nessun bambino un cattivo dottore".

Valentine sorrise. "Lady Boscawen è bella! Mi piace! Davvero ha quattro bambini? Anche gemelli? Lei dov'è adesso?".

"Adesso è a casa coi suoi bambini, hanno la varicella! Quattro bambini, pensa un pò... E i gemellini ci sono davvero e li ho fatti nascere io".

Valentine spalancò gli occhi. "Wow! E non avevi paura?".

"Dei gemellini?".

"Sì! Dicono che sono magici".

Anche Dwight rise. "I gemelli non sono magici, sono dei combinaguai! Di questo bisogna avere paura, quando si è con loro".

Valentine rise e, più tranquillo, si mise sul divano, guardando Ross. "Va bene, posso farmi visitare un pochino, papà".

Ross sospirò, sollevato. Era raro che Valentine facesse i capricci ma quando succedeva, diventava irremovibile e testardo come un mulo. "Andate in camera, allora! Lo accompagni tu nella tua stanza? Vuoi che venga anch'io? O Jane?".

Dwight intervenne, a quel punto. "Non serve stare in camera, posso guardarlo quì".

Valentine parve gradire quella soluzione. "Cosa devo fare?".

Dwight gli si inginocchiò davanti, piegandogli i pantaloni sopra le ginocchia per osservare le gambe. Gli sfiorò i muscoli, le ossa delle ginocchia, le caviglie e poi si rialzò, dandogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. "Visita finita!" - sentenziò.

Ross spalancò gli occhi dalla sorpresa e Valentine fece altrettanto. "Di già?".

Lui sospirò, sorridendogli e accarezzandogli la testolina. "Solo una cosa... Potresti provare a correre intorno al divano e saltare?".

"Certo!" - rispose il bambino prima di fare quanto gli veniva richiesto, divertito per il tono di quella strana visita.

Dwight lo osservò muoversi con sguardo clinico, accigliato, poi dopo avergli fatto fare un paio di giri del locale, lo fermò. "Direi che ho visto abbastanza! E sono soddisfatto!".

"Non sono malato?" - chiese il piccolo.

"Dwight?" - aggiunse, Ross.

Il medico chiuse la sua borsa da lavoro, spingendo il bambino ad andare verso Jane per fare merenda. "Sei in via di guarigione e non ci vorrà molto per guarire del tutto! Vai a mangiare qualcosa, mentre parlo con tuo padre e gli spiego che fare".

Valentine, sicuramente tranquillizzato da quella visita tanto diversa da quelle a cui l'aveva sottoposto Choake, da bambino ubbidiente annuì, correndo dietro a Jane in cucina.

Ross si alzò in piedi, fronteggiando Dwight. "E allora?".

Dwight annuì. "Hai avuto la giusta intuizione, Ross, togliendolo alle cure arcaiche di Choake. Gli hai dato cibo nutriente e vita all'aria aperta e devo dire che non noto in lui segni di malattia".

"Però ha questi dolori..." - lo bloccò Ross.

Dwight annuì. "I muscoli delle gambe sono ancora deboli, non è un bambino particolarmente attivo e la corsa è piena di inceppature che non dovrebbero più esserci alla sua età. Deve stare all'aria aperta, giocare con gli altri bambini, correre, cadere, rialzarsi e ricadere. Deve rinforzarsi e quando succederà, i muscoli smetteranno di fargli male".

Ross sospirò, pensieroso. Era più facile a dirsi che a farsi... "E' timido e non abituato a stare in compagnia di altri bambini. E' uscito un paio di volte a giocare al parco quì a Londra, ma è terrorizzato dal rapportarsi ai suoi coetanei. Corre da Jane e vuol subito essere portato a casa... E fra poco arriverà l'inverno e farà troppo freddo per farlo uscire. E' delicato...".

Dwight scosse la testa. "Smettetela di trattarlo da bambino malato! Non lo è, non più! Ed è tanto delicato perché lo trattate come se fosse di vetro. Deve imparare a stare con gli altri bambini, va incoraggiato in questo, è importante, non può stare aggrappato alle sottane della tua domestica! E per quanto riguarda l'inverno... coprilo bene, si fortificherà! Fatti passare tutte queste ansie, non fa bene né a te né a lui".

Ross abbassò il capo, Dwight aveva ragione. Santo cielo, quanto gli erano mancati i suoi consigli! E quanto era diventato bravo ed autoritario nel suo lavoro, sicuro nelle diagnosi e meraviglioso nel rapportarsi con dolcezza ai bambini. "Ti ringrazio, farò come dici... Lo costringerò a star fuori, anche se dovesse piangere! Uscirò io stesso con lui per aiutarlo in questo".

"Bene" – rispose Dwight – "Allora io posso andare. Se hai bisogno di altre visite per il bambino, puoi trovarmi a questo indirizzo" – concluse, dandogli il suo biglietto da visita.

Ross deglutì, stava già andandosene, sfuggiva a lui come sfuggiva Demelza. Non volevano avere nulla a che fare con lui, entrambi. Era palese che non lo volessero nella loro vita se non per lo stretto necessario.

Ma Dwight, almeno con lui doveva chiarire. O provarci... "Aspetta".

"Cosa c'è?".

"Non mi hai detto qual'è la tua parcella".

Dwight voltò il capo. "Non ce n'è bisogno, non ho fatto nulla di che".

Ross non era d'accordo, non stavolta. "Non è così e lo sai!" - sussurrò. Aprì la porta, uscendo con lui nell'atrio perché rimanessero soli. "Volevo ringraziarti per essere venuto, è stato un gesto... grande... visto quanto successo fra noi. Siamo estranei ormai e non eri obbligato a venire".

Dwight, come imbarazzato, chinò il capo. "Sono un medico, vado dove posso essere utile e Demelza mi ha chiesto questo favore. Se è riuscita a venire lei quì, non vedo perché non avrei dovuto venirci io".

Demelza... Ross sospirò. "Lei è sempre migliore di tutti quanti noi. Lo ha dimostrato...".

"Sempre!" - concluse Dwight, mortalmente serio.

E Ross si trovò a chinare il capo. "Sempre...".

Dwight gli lanciò un'occhiata seria, inquisitrice e pensierosa. "Le dissi io di partire, di lasciare la Cornovaglia, allora... E non me ne sono mai pentito, si sarebbe ammalata se fosse rimasta e solo Dio sa cosa ne sarebbe stato dei suoi figli se le fosse successo qualcosa. Volevo lo sapessi! Volevo dirtelo da allora che volevo solo portarla via da tutto quel male che le era piovuto addosso e che non meritava! La stava annientando e tu non sembravi interessato a salvarla...".

Ross deglutì, faceva male sentire quelle parole di rimprovero e già attraverso Prudie aveva potuto toccare con mano quanto Demelza fosse stata vicina a spezzarsi, sette anni prima. Era stato un dannato codardo, avrebbe dovuto mantenere le sue promesse e starle vicino quanto più poteva e invece, schiacciato da sensi di colpa e vergogna, se n'era rimasto rintanato a Trenwith a soffrire in silenzio sul SUO dolore, senza forse cercare di immedesimarsi davvero in quello di Demelza, lasciata sola a vivere una esperienza terribile e una gravidanza complicata. Santo cielo, se le fosse successo qualcosa... I suoi pugni si strinsero a quel pensiero! Mai si sarebbe perdonato qualcosa del genere e Dwight l'aveva salvata, l'aveva salvata quando lui non era stato capace di farlo. "Ti devo ringraziare per quello che hai fatto per lei" – disse solo. Non c'era molto da recriminare e sapeva benissimo anche lui che venire a Londra era stato il meglio per Demelza e i bambini.

Dwight parve sorpreso da quelle parole. "Mi ringrazi... per avertela tolta dai piedi?" - chiese, cauto.

Ross sorrise amaramente, rendendosi conto di quanto ormai apparisse come un mostro agli occhi di tutti coloro che un tempo gli erano stati vicini, amandolo e sostenendolo. "Ti ringrazio per averla salvata e per esserti preso cura di lei e dei bambini. Io non ero in grado di farlo, allora... Perderla per me è stato terribile, non una liberazione! Ma lei doveva andar via e ricominciare, per il suo bene e per quello dei bambini! E senza di te non ce l'avrebbe mai fatta".

Era sincero, lo erano le sue parole colme di una profonda malinconia e dolore e Dwight se ne accorse, rimanendone turbato. "Posso chiederti una cosa? Solo una, che mi frulla in testa da anni...".

"Certo".

"Fingevi, allora?".

Ross si accigliò. "A cosa ti riferisci?".

Gli occhi di Dwight divennero lucidi. "Il giorno in cui morì Julia, mentivi? In fondo, era 'solo' la figlia che ti aveva dato Demelza, non la figlia avuta da Elizabeth... E visto come ti sei comportato dopo verso di lei e i figli venuti dopo, mi son chiesto se tu avessi mai amato davvero la piccola Julia. Scusa se sono brutale ma sai, sono padre ora e me lo sono sempre chiesto, ogni volta che ho pensato a te".

Ross spalancò gli occhi. Era davvero, davvero un mostro ai loro occhi, agli occhi di tutti! Di Demelza, di Dwight, probabilmente dei suoi figli... Se Dwight gli aveva chiesto una cosa del genere, doveva ritenerlo davvero un piccolo uomo e sicuramente tale si era dimostrato, col suo comportamento passato. Ma mai avevrebbe pensato che qualcuno mettesse in dubbio l'amore verso Julia, nonostante tutto. Anche Demelza aveva gli stessi pensieri? Si sentì annientato, davanti a quell'evenienza... Pensò a Julia, alla sua piccola e preziosa Julia. Una ferita ancora aperta che mai sarebbe guarita. Sua figlia, che non aveva potuto salvare, sua figlia, la cui bara aveva trasportato a mano fino alla sua destinazione finale... La figlia a cui aveva promesso di rendere il mondo un posto migliore, per amor suo. E Dwight pensava che fingesse, quel giorno, che il suo dolore fosse solo un esercizio di stile da mostrare in pubblico per sostenere il suo ruolo di genitore. "Quel giorno ho perso un pezzo di anima e di cuore, Dwight. Era la mia bambina, l'ho amata e attesa fin dal primo momento in cui ho saputo della sua esistenza. Sono davvero mostruoso ai tuoi occhi, se ti sei chiesto una cosa del genere".

"Scusa". Dwight si appoggiò alla parete dell'atrio mentre da dentro, proveniva il vociare allegro di Valentine e Jane. "E' che... io non capisco, non ho mai capito come hai potuto, dopo...". Si bloccò, deglutendo e tremando, come se stesse rivivendo un grande dolore. Prese un profondo respiro per riuscire a proseguire. "Sai, come ti dicevo, sono padre. Da pochi mesi c'è Sophie nella vita mia e di Caroline, la nostra gioia! Ma non è la mia unica figlia, prima di lei c'è stata Sarah, vissuta solo pochi mesi e volata via troppo presto, come Julia".

Ross abbassò lo sguardo, sapeva di quanto successo, glielo aveva detto Prudie ma non poteva parlarne, non poteva tradire le confidenze della sua vecchia domestica. Lo guardò con gli occhi lucidi, provando un'infinita pietà per Dwight e per quel dolore che aveva provato e che Ross conosceva più che bene, limitandosi a sfiorargli il braccio in un gesto di amicizia. "Mi dispiace" – disse solo. Che altro poteva dirgli, come poteva consolare un uomo la cui missione nella vita era curare chi soffriva per delle malattie e ironicamente era stato impossibilitato dal destino a salvare la propria figlia?

Dwight osservò la mano di Ross sul suo braccio e poi sospirò, senza interrompere quel contatto fra loro. "E... E per questo mi chiedevo... Come dopo tu non sia riuscito ad amare Jeremy e Clowance, ad abbandonarli assieme alla loro madre e a vivere come se nulla fosse. Perché dopo Sarah, Ross, mi sembra impossibile che un uomo possa farlo, che un uomo possa dimenticarsi di essere padre. Quando è arrivata Sophie, per me è stato come tornare a vivere, anche se di fatto nulla sostituirà mai Sarah. Mentre tu, con Jeremy...".

Ross osservò il soffitto, guardando dentro se stesso come molte volte aveva fatto in quegli anni. Spesso si era chiesto come avesse potuto non tanto fare ciò che aveva fatto dopo il tradimento, ma prima... Era prima che aveva compiuto gli atti più orribili verso la sua famiglia, era prima che aveva smesso di prendersene cura, era prima che aveva guardato altrove. Ed era giunto, negli anni, a tante risposte. "Julia, cambiò tutto in me. La sua morte segnò la fine dell'età della spensieratezza, del romanticismo, del mondo bello dove tutto era possibile. Improvvisamente diventai adulto, padre in lutto e tutto smise di avere senso. Non c'erano più ideali e fini da perseguire, tutto mi sembrava misero e senza sensodavanti alla morte di mia figlia. Il mondo era diventato improvvisamente cattivo! E non lo so quanto è iniziato, quando è accaduto, quando ho cominciato ad allontanarmi da Demelza... Volevo tornare indietro, Dwight! Volevo tornare a quel tempo in cui ero un ragazzo con un futuro brillante davanti, in partenza per la guerra con una meravigliosa divisa rossa, innamorato della ragazza più bella della zona, quella che tutti volevano e che mi corrispondeva. Un bel mondo perfetto, un mondo di fantasia, un mondo utopistico che non esisteva ma in cui non esistevano nemmeno lutti, dolori, lotte continue e... dove le bambine non morivano. Elizabeth rappresentava tutto questo e dopo la morte di Francis era come se tutto fosse tornato a portata di mano, come se la vita mi stesse dando davvero un'occasione per tornare a quel tempo dove la vita era bella e perfetta e non complicata e difficile – ma incredibimente vera e ricca nella difficoltà – come quella che avevo con Demelza. Improvvisamente non ero più il Ross tornato dopo tre anni di guerra, sposato e padre. L'uomo che ha smesso di prendersi cura di sua moglie e del suo bambino era il Ross ventenne e scapestrato. Non mi rendevo conto che stavo solo scappando da un dolore troppo grande e che non riuscivo ad affrontare, non mi rendevo conto di quanto male stessi facendo a chi amavo, non mi rendevo conto che il mio mondo perfetto io lo avevo già e che lo stavo buttando via. Dovevo toccare il fondo, dovevo toccare con mano quella vita utopistica per rendermi conto che era tutto finto. Non volevo far del male a Demelza, era come non voler rendermi conto di quanto le mie azioni ricadessero su di lei. Non volevo ascoltare chi mi diceva che stavo sbagliando, non volevo... Ero tornato ad essere il principe azzurro della più bella ragazza di Cornovaglia, era come essere tornato a quei tempi... Ma quando ho toccato quel sogno, mi sono accorto che era un incubo, che tutta quella bellezza non era reale. Ma ormai era troppo tardi, non potevo tornare indietro. Ciò che ho fatto dopo, è stato per cercare di rimediare ai miei errori, al guaio in cui avevo messo Elizabeth... Pensavo di poter tenere sotto controllo tutto, ero un idiota e un pallone gonfiato! Che non è riuscito a fare nulla di buono per nessuno".

Inaspettatamente, Dwight sorrise anche se il suo era un sorriso triste. "Sai, speravo mi rispondessi così".

"Cosa?".

Dwight cercò di spiegarsi meglio. "Se non ci fosse stato Valentine... Tu...?".

Ross sospirò, Valentine c'era e giornalmente lo metteva davanti ai suoi errori e alle sue conseguenze. Lo amava certo, ma spesso si chiedeva cosa sarebbe successo se non ci fosse stato. "Io scelsi, dopo quella notte maledetta. Tornai a casa, da Demelza. Improvvisamente le tenebre che mi avevano catturato si erano diradate ed ero tornato a guardare alla vita come il Ross adulto. Sarebbe finita lì, avrei strisciato per farmi perdonare di tutto quello che avevo fatto, avrei sputato sangue per recuperare il tempo perduto con Jeremy, avrei voluto solo fare la pace con chi amavo, lasciarmi alle spalle quel periodo in cui ero stato orribile e aspettare l'arrivo della mia bambina. Solo questo... Ma il destino non perdona a chi fa del male, il destino chiede sempre il suo conto! Ed è stato salato e io ho perso tutto! E me lo meritavo di perdere tutto ma Demelza no, lei non meritava quel dolore! Per questo ti ho ringraziato per averla portata via, prima. Tu l'hai davvero salvata ma allora non potevo e non riuscivo a capirlo!".

Fu Dwight stavolta a dare a Ross una leggera stretta al braccio. "Le chiamano... lezioni... Servono a farci crescere".

"Queste lezioni però le hanno subite anche gli altri che non le meritavano" – commentò Ross, amaramente.

"Parli anche di Elizabeth?" - azzardò Dwight.

Ross sorrise amaramente. "Fu un inferno, con lei. Dopo quella notte non ci fu più niente se non liti e rabbia. Me ne andai, sai? Da Trenwith... Quel giorno in cui Demelza andò via, io lasciai quella casa dopo aver scoperto alcune cose che mi erano state tenute all'oscuro e ho deciso che dovevo essere uomo e vivere dove e con le persone che avevo nel cuore. Cercai la carrozza che aveva portato via Demelza, ma non la trovai e la persi. E per sette anni io ogni giorno mi son chiesto dove fosse, cosa stesse facendo e come fossero diventati i miei bambini. Non sapevo nemmeno se Clowance fosse maschio o femmina! Non sapevo nulla! Non potevo nemmeno immaginare la mia bambina... L'ho rivista quì, a Londra, ormai grande e col cognome di un altro uomo che le aveva fatto da padre! Ho perso tutto Dwight e me lo merito, mi merito di guardare la donna che amo e i miei figli da lontano, come un estraneo, senza poter allungare una mano per far loro una carezza o abbracciarli".

Dwight scosse la testa. "Sai Ross, in questi anni ho pensato spesso a te. Di nascosto, facendomi tante domande... Me ne andai perché ero arrabbiato con te e mortalmente deluso e non sto dicendo che ho rivalutato il tuo operato, ritengo tu abbia fatto davvero tanti errori e che siano stati orribili. Ma...".

"Ma?".

"Umani. Sei umano, Ross. Io ti credevo diverso, indistruttibile, infallibile. E per questo la delusione è stata ancora più cocente, ma vedi... Vedi in questi anche io ho pensato molto al passato e agli errori che ognuno di noi ha commesso e mi sono ricordato di una cosa a cui non avevo pensato quando sono partito".

"Cosa?".

"Pure io mi ritenevo una brava persona ma pure io ho fatto errori gravi di cui ancora oggi mi vergogno. E tu mi sei stato accanto allora, senza giudicare e senza recriminare. Da amico... Capendo, aiutando, tendendomi una mano in silenzio... E mi sono vergognato di me stesso perché io non ho fatto lo stesso con te".

Ross si accigliò, cercando di capire a cosa si riferisse. "Scusa, ma...".

E Dwight sorrise. "Parlo di quando ho amato Keren, sposata con un bravo uomo di cui ero amico. Ho avuto una relazione che ha macchiato la mia coscienza per sempre e che ha provocato la morte di una giovane ragazza, nonché la disgrazia dell'uomo che l'aveva sposata e amata. E tu non mi hai giudicato, non hai sentenziato, hai solo cercato di dare una mano".

Ross spalancò gli occhi, ricordando quei giorni che onestamente aveva rimosso dai ricordi in quegli anni in cui ogni suo pensiero era stato volto unicamente a Demelza e ai bambini. Sospirò, rispondendo al sorriso triste dell'amico. "Sei una brava persona Dwight, una delle migliori che conosco. E sei umano, hai sbagliato pur senza desiderare che finisse tanto male... Hai sbagliato, come sbagliamo tutti nel corso della vita, chi più, chi meno. Ma se dovessi fare un bilancio di ciò che conosco sulla tua esistenza, il risultato è più che positivo. Un errore non può pregiudicare un'intera e onesta esistenza".

"E tu non hai fatto lo stesso, Ross? Non hai commesso un errore all'interno di una vita spesa ad aiutare gli altri? Ciò che hai detto e che vale per me, non dovrebbe valere per te?".

Ross scosse la testa. "Io ho commesso errori gravi e non merito perdono".

"E io col mio comportamento ho provocato la morte di Keren. Non è altrettanto grave?".

Ross lo guardò, cercando di capire a cosa stesse cercando di arrivare. "E quindi?".

Il sorriso di Dwight si distese. "E quindi forse dovremmo accettare le nostre debolezze, far tesoro del passato e cercare di perdonare noi stessi. I nostri errori li abbiamo pagati entrambi e tu li stati scontando ancora adesso. Forse crescere significa capire di non essere infallibili e farne tesoro".

"Forse sì!" - rispose Ross – "Io non posso che fare ammenda e sopravvivere a ciò che ho fatto. Tu invece puoi vivere davvero, ora! Hai la tua famiglia vicino".

Dwight annuì. "Vero! Ma sai, pure io e Caroline, dopo Sarah, abbiamo rischiato di perderci come è successo a te e Demelza. Io mi ero gettato nel lavoro e Caroline... Beh, lei come te ha cercato la se stessa giovane, la vita che conduceva prima di sposarsi ed essere madre. Ha cercato quel periodo dove feste, balli e vita mondana erano la sua quotidianità, fuggendo dal suo presente di madre in lutto. E' stata dura, era come se ognuno avesse intrapreso strade separate e fossimo estranei. Ma poi ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito che quel presente doloroso, ci aveva comunque donato dei mesi indimenticabili con la bambina migliore del mondo. E non volevamo rinunciarci!".

"Sei sempre stato più saggio di me!" - concluse Ross, con un sorriso. "Vorrei essere stato altrettanto saggio... E invece ho perso tutto e ora Demelza ha un marito che piange e che amava e i miei bambini hanno un altro padre a cui pensano e due nuovi fratellini che non sono miei. E fa male... Io li guardo e tutti, tutti loro, vorrei solo fossero ancora miei".

Dwight annuì. "Non devi essere geloso di Hugh".

"Lo conoscevi?".

"Sì, ed era una brava persona. Non l'uomo per la vita per Demelza, erano troppo diversi, come il giorno e la notte in un certo senso. Ma era l'uomo perfetto per lei per QUEL periodo della sua vita. Demelza aveva bisogno di un uomo come Hugh accanto, allora... In quel momento preciso lui era la sua anima gemella. E lei quella di Hugh. E quando erano insieme sapevano essere felici nonostante tutto, sapevano gioire del tempo loro concesso e farne tesoro, senza farsi sopraffare dai problemi che aleggiavano sulle loro vite. Sapevano farli sparire! Fu il destino a decidere, come fu per te con Valentine. Non lo avrebbe sposato se non fosse stato per i gemellini e credo che col tempo ognuno avrebbe preso la sua strada e fra loro sarebbe finita, ma il destino ha deciso altrimenti e lei ora rappresenta degnamente la grande famiglia in cui è entrata, famiglia che la ama e che le è sempre mancata. Demelza è così, rende magica ogni casa e ogni persona che incontra nel suo cammino. E Hugh le ha lasciato in eredità una vita prestigiosa e senza pensieri che lei sa interpretare benissimo, con grazia e generosità, che darà un futuro ai suoi figli oltre che una grossa mano alla comunità bisognosa di Londra, che Demelza aiuta come può".

"Già, ha saputo andare lontano e ha saputo farlo benissimo" – sussurrò Ross, con amarezza. "La vita che non ho saputo darle io, se l'è costruita da sola".

Dwight gli diede un'altra carezza sul braccio. "Ti ha riaperto in parte una porta, Ross. Abbi pazienza con lei... E' confusa dal tuo ritorno e cerca di proteggere i suoi figli, eppure in un certo senso ti sta aiutando. Tacendo il vostro passato per permetterti di lavorare senza scandali a scalfire la tua persona, preoccupandosi della salute di Valentine, facendoti comunque vedere i bimbi da lontano o anche da vicino, se capita. Non avere fretta, non puoi permettertelo. Aspetta e vedi che succede... Hugh era l'uomo giusto per lei anni fa ma quello giusto per la sua vita sei tu e l'ho sempre saputo. Il destino ha portato entrambi quì, ci sarà un perché. Se sei diventato più saggio per davvero in questo periodo, abbi la costanza di saper aspettare. Anni fa io portai via Demelza da te ma oggi, se potrò aiutarti, cercherò di riportarla da te".

E Ross in quel momento capì di aver ritrovato un amico che gli era mancato tantissimo.

  
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