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Autore: lady lina 77    27/02/2019    3 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono stanco!”.

Cammina!”.

Ma mi fanno male le gambe!”.

Perché corri troppo poco! Nemmeno cammini quanto dovresti e se non fai come ci ha consigliato Dwight, dovrò richiamare il dottor Choake!”. Ok, era scorretto e non era carino far spaventare Valentine ma era importante che seguisse le prescrizioni di Dwight, era per il suo bene e tutti quei capricci che si ripetevano da una settimana ogni mattina, per una semplice passeggiata nel parco, non avevano motivo di esistere! Ross aveva deciso di essere più presente e un padre migliore per Valentine, un padre più simile a quello che era stato per Julia e il più lontano possibile dal padre che era stato dopo, con tutti i suoi figli. La domanda di Dwight sul suo dolore per Julia lo aveva colpito nel profondo, dandogli la reale visione di come lo vedessero gli altri. Era stato un padre assente e orribile, per ognuno dei suoi bambini venuti dopo di lei, tutti sacrificati al suo orgoglio, al suo dolore e ai suoi fantasmi per le scelte sbagliate fatte. Non voleva essere così, non voleva che suo figlio pensasse di non essere amato e soprattutto non voleva che pagasse per i suoi errori come era stato per Jeremy e Clowance! Amava i suoi figli e anche se non era stato in grado di dimostrarlo, sarebbe stato pronto a dare la vita per ognuno di loro. Per questo si era alzato al mattino presto, aveva preso Valentine e aveva iniziato con lui quella routine di passeggiate nel parco per renderlo più forte. Sapeva che non c’era abituato, che faticava, sapeva che era sempre stato troppo tempo in casa e poco fuori e per questo voleva accompagnarlo in quella nuova avventura, per quanto difficile fosse in quei primi tempi. Dovevano allenarsi, ognuno per un motivo diverso, e insieme migliorarsi e stare meglio.

Nooo, ti prego, il dottor Choake NO!”.

E allora cammina senza lamentarti!”.

Dopo però la facciamo colazione?” – chiese Valentine, con le guance rosse per lo sforzo di camminare tanto velocemente.

Ross lo prese per mano, accelerando il passo. “Certo, ma te la devi guadagnare la colazione! Sai, me lo dicevano sempre quando ero un soldato!”.

Ma io non sono un soldato” – obiettò il bambino.

Fa finta di esserlo”.

Valentine ridacchiò a quella risposta, forse reso di buon umore dal tono leggero in cui Ross l’aveva pronunciata. Fece per rispondere ma poi si fermò, attirato da qualcosa che aveva scorto in lontananza. “Papà, guarda! La bambina col lupo bianco!”.

Ross si bloccò e in lontananza la vide. Clowance, con un nastro rosso fra i lunghi capelli biondi e un vestitino scozzese, giocava in lontananza con Queen e non era sola: c’erano i suoi fratelli con lei e altri due cani.

Ross deglutì, uno lo conosceva. “Garrick” – sussurrò piano, mentre i tanti ricordi legati a quel cane lo investivano con violenza. Quella vecchia canaglia era ancora viva e vivace, da quel che vedeva, e i bimbi, oltre all’amore di Demelza, lo tenevano giovane e attivo!

Valentine lo riportò alla realtà. “La bambina con la lupa e gli altri bambini, devono venire al parco a correre come me? Per questo sono qui a quest’ora?”.

Ross si accigliò, in effetti era molto presto. “Non… Non lo so…” – disse, rapito dal vederli giocare e dal costatare che anche Clowance sembrava spensierata e allegra, mentre si inseguiva coi gemellini che non finivano di tormentare lei e i cani.

L’unico che stranamente sembrava più ombroso era Jeremy, seduto su una panchina col muso lungo, in compagnia di un cagnolino dal pelo rosso e arruffato. Non lo aveva mai visto così e di solito era Clowance quella sempre pensierosa e accigliata.

D’un tratto, la voce di Demelza richiamò i bimbi e Ross la vide uscire dal suo immenso giardino, dal cancelletto privato che separava la sua proprietà da Kensington. Aveva i capelli sciolti ma ben pettinati, indossava un abito rosa e portava sulle spalle un morbido bianco giallo che le conferiva un aspetto dolce e gentile.

Valentine si illuminò. “Papà, lady Boscawen!”. Si staccò dalla sua mano e finalmente, anche se era l’occasione meno adatta, lo vide correre e raggiungerla prima che potesse fermarlo. Quella piccola canaglia, quando voleva correva! Eccome!

Demelza si voltò a guardarlo, stupita nel sentirsi chiamare da lui e nel trovarselo davanti. Anche gli altri bimbi si bloccarono a guardarlo, incuriositi, avvicinandosi a lei. E Ross fu costretto a fare altrettanto e ad avvicinarsi a sua volta per riprendersi Valentine e togliere Demelza da quella situazione che doveva sembrarle davvero imbarazzante e soprattutto inaspettata.

Appena i gemelli lo videro, prima ancora che Demelza potesse dire qualcosa, il piccolo Demian spalancò gli occhi e Ross se la fece quasi sotto. Santo cielo, aveva stretto un accordo di silenzio con Daisy, ma lui...?

Infatti il bimbo, indicandolo, rischiò di farlo finire nei guai in due secondi. "Ma tu sei...".

E a quel punto la sua gemella, che Ross aveva già appurato essere sveglia e scaltra come una volpe, lo salvò, sovrastando la voce del fratello. "Lui è un signore che LAVORA CON LO ZIO!".

Lo disse alzando la voce per risultare incisiva e guardando il fratellino negli occhi, bloccandolo dal parlare e rovinargli l'esistenza. E Demian capì, stranamente tacque e non fece domande. Ross osservò quei due, chiedendosi se davvero fossero vere le leggende sui gemelli e sulle loro capacità quasi magiche di capirsi con un solo sguardo. Daisy poi si voltò verso di lui, gli lanciò un'occhiata di intesa e Ross capì comunque di essere nei guai. La piccola jena gli aveva fatto un favore, ne era consapevole e lui sapeva anche che presto gli avrebbe ricordato questa cosa, chiedendogli un favore di ritorno in cambio. Non lo avrebbe dimenticato, prima o poi avrebbe chiesto il suo compenso e anche se era piccola, era abbastanza canaglia per creargli problemi... Falmouth sarebbe stato orgoglioso di lei, se avesse saputo...

Demelza osservò sua figlia, quella dolce frugoletta col vestitino blu, il golfino rosso e il fiocco fra i capelli dello stesso colore dell'abito, fiutando qualcosa di strano nel suo atteggiamento ma non facendo domande sul momento. Conosceva sua figlia, era palese, così come lo era il fatto che quella strana situazione era appunto... strana...

Anche Clowance guardò i gemelli con aria interdetta e Ross decise che era meglio distogliere l'attenzione di tutti da quanto appena successo. In fondo era un momento bello, no? Era bellissimo, ogni volta, rivedere Demelza soprattutto quando era coi bambini, perfettamente guariti dalla varicella, sani come pesci e vivaci come sempre.

Si inchinò leggermente, doveva interpretare al meglio quella situazione. "Lady Boscawen, buon giorno".

Valentine le prese la mano, eccitato di vederla. "Che bello vederti Demelza" – disse, saltellando.

Demelza gli sorrise, anche se in un modo un pò tirato. "Valentine, che ci fai quì?".

"Devo correre, lo dice il dottore! E papà mi ci porta tutte le mattine in questo parco, a farmi allenare. E tu, perché sei quì? Questi sono i tuoi bambini?".

Ross tossicchiò. "Valentine, basta domande, non è educato e credo che Lady Boscawen abbia molto da fare". Santo cielo, Clowance in quel momento sicuramente stava pensando di avere a che fare con un selvaggio!

Demelza sorrise, indicandogli i figli. "Sì, sono i miei bambini. Jeremy, quello seduto col broncio sulla panca, Clowance e i gemellini Daisy e Demian. Abitiamo quì e stamattina stiamo uscendo per una gita e perciò abbiamo portato i nostri cani a fare un giro prima di uscire".

Ross osservò la bellezza di Queen e il cagnolino che teneva in braccio Jeremy, ancora in disparte e ancora silenzioso, che gli accarezzava il pelo.

Garrick, che Demian bloccava con le mani, invece lo guardò scodinzolando e poi gli andò vicino, saltandogli sulle gambe. Demelza impallidì e Ross deglutì. Lo aveva riconosciuto!

Valentine rise per quella reazione mentre i bambini di Demelza ne sembravano stupiti.

"Gli stai simpatico, signore!" - disse Daisy, ridendo.

"Garrick, buono!". Demelza si chinò subito, prendendolo in braccio. "Dai bambini, è ora di andare. Portiamo i cani in casa e poi andiamo alla carrozza. E' tardi" – ordinò, nervosa pure lei dal fatto che il suo amato cane, quel cane che tanti anni prima li aveva fatti conoscere, lo avesse riconosciuto. Era o non era dopo tutto il suo padrone, una volta?

Valentine si imbronciò. "Vai già via?".

"Sì, sto uscendo" – rispose lei, in tono gentile.

"Mi avevi detto che venivi a trovarmi e non sei venuta... Io ti ho aspettato, sai?".

Demelza impallidì davanti a quell'osservazione e Ross capì che si sentiva in colpa per quella bugia detta a Valentine sicuramente a fin di bene ma, appunto, una bugia... Demelza sapeva che non sarebbe tornata a trovarlo ma Valentine ci aveva creduto e sperato in una sua visita...

Intervenne per sbloccare la situazione, prendendo il figlio per mano. Non voleva che lei si sentisse in colpa, non ce n'era motivo e aveva fatto fin troppo per loro. "Lady Boscawen è molto occupata e sicuramente ha avuto cose importanti da fare. Su, saluta e andiamo, Valentine".

Inaspettatamente, Demelza si inginocchiò davanti a lui. No, lei non era d'accordo a far cadere quel discorso. "Mi dispiace, non volevo che ci rimanessi male ma...".

"Ma mi hai detto una bugia..." - ribattè il bimbo, deluso.

"Scusa" – rispose lei, con la sincera dolcezza che sempre l'aveva contraddistinta. Poi sospirò, guardando i suoi bambini. "Senti, stiamo andando allo zoo, porto la mia bimba più piccola a vedere gli orsi. Ti va di venire con noi? Così posso farmi perdonare per non essere venuta".

Valentine si illuminò, dimenticando il broncio di poco prima. "Sììì! Papà, possiamo?".

Ross, preso allo sprovvista e sorpreso per quella proposta, la guardò con aria smarrita. Era una cosa bellissima quella che Demelza stava facendo per Valentine, una cosa che doveva costarle molto, una proposta fatta col cuore a pezzi e il sorriso sul viso per celare i suoi veri sentimenti. Non era cambiata, non sarebbe mai cambiata da ciò che era stata a Nampara e che lui amava... Ma forse era troppo, forse doveva declinare, forse doveva prendere Valentine e andarsene, lasciandola libera di vivere una giornata piacevole coi bambini. "Non vorremmo disturbare".

Demelza annuì, facendogli capire che poteva andar bene lo stesso. "Non disturbate! Vero bambini?".

Clowance sospirò. "Un maschio? Un altro oltre a Jeremy e Demian?".

Demelza la fulminò con lo sguardo e la piccola tacque.

Il gemellino le fece la linguaccia. "Sì Clowance, bello! Siamo di più e può venire col suo papà. Saremo tantissimi maschi e voi poche femmine! Anche se...". Si avvicinò deciso a Demelza che teneva ancora per mano Valentine, si mise fra i due, spezzò il contatto fra loro e si rannicchiò fra le braccia di sua madre. "Mamma deve tenere per mano me che sono piccolo! Tu dai la mano al tuo papà, se vieni! La mamma è MIA!".

Ross sorrise. Santo cielo, Clowance aveva ragione! Era un mammone ed era assolutamente geloso e possessivo verso sua madre. Aveva già notato in altre occasioni quello strano e simbiotico rapporto fra lui e Demelza e ora aveva la certezza che fosse qualcosa di molto forte e difficile da spezzare.

Daisy, decisamente più indipendente del gemello a prima vista, invece non sembrava turbata. "Sì, vieni pure! Ma l'orso è mio!".

Valentine annuì. "Sì, non lo voglio un orso! Non ci sta in casa".

"In casa mia sì, guarda quanto è grande!" - ribattè la bimba, indicandogli con la mano la loro immensa dimora che si stagliava dietro agli alberi.

Valentine spalancò gli occhi, tutto doveva davvero apparirgli immenso rispetto alla piccola Nampara e alla realtà a cui era abituato.

Demelza invece guardò Jeremy, preoccupata. "Tu sei d'accordo se vengono con noi?".

Il ragazzino alzò le spalle. "Per me va bene, per me possono anche venire al mio posto! Posso stare a casa?".

Demelza scosse la testa. "No!" - rispose, decisa. "Tua sorella ci tiene e voglio fare questa gita tutti insieme, come sempre".

Jeremy non rispose. Stizzito si alzò dalla panca, mise in terra il suo cane e si avviò verso il giardino. "E allora andiamo! Prima facciamo, prima torniamo".

Clowance e Daisy gli andarono dietro e Demelza, con aria preoccupata, lasciò a terra Demian, dando una leggera spinta a Valentine. "Seguì i bimbi e i cani nel giardino, ti porteranno alla nostra carrozza".

Il bambino non se lo fece ripetere e con gli altri piccoli, scomparve all'interno del giardino, correndo.

E a quel punto, rimasti soli, Ross le rivolse la parola. "Non sei obbligata a farlo, Valentine se ne sarebbe fatto una ragione".

Lei scosse la testa. "Ho sbagliato e gli ho mentito! Ed è una cosa che non si fa, non coi bambini... Non è niente di che, solo una gita allo zoo, non essere ansioso".

"Tu non lo sei?".

Lei piantò gli occhi nei suoi, seria e forse tesa. "No, non lo sono". Lo disse ma Ross si accorse che le tremavano le mani.

"Sicura?".

"E' solo una gita e come ti ho detto, il passato è passato. Viviamo il presente...".

Ross sospirò, il discorso per lei era chiuso. "Perché lo zoo?".

Demelza sorrise dolcemente. "La piccola orsa vuole vedere gli orsi... Gli avevo promesso di portarla allo zoo e sto mantenendo la mia promessa. Tutto quì".

Ross sorrise. "Orsa? Daisy?".

"Sì, lei, la chiamo così! La piccola orsa che si è comportata in modo strano prima, quando ti ha visto... Ne sai qualcosa, Ross?".

Lui deglutì, quando mentiva Demelza lo beccava sempre. Ma cercò di fare del suo meglio. "No... La conosco a malapena".

Lei ovviamente non ci credette ma finse, mentre insieme si avviavano verso il giardino. "Sta attento a Daisy, Ross... E' piccola ma molto furba e vivace".

Sì, se n'era accorto, non c'era bisogno che lei glielo spiegasse e sapeva già di suo di essere nei guai... "E Jeremy? Cos'ha?" - chiese cambiando discorso, colpito dallo strano atteggiamento del figlio che al momento lo preoccupava quanto il patto d'acciaio stipulato con la piccola peste.

Demelza abbassò lo sguardo a quella domanda. "Non voleva venire, tutto quì".

"Non ama lo zoo? Piace a tutti i bambini".

Lei strinse nervosamente la stoffa della sua gonna. "Gli ricorda Hugh. Da piccolo, con lui e Clowance, eravamo andati in un parco e Hugh aveva organizzato una giornata con gli animali che preferiva e di cui gli leggevo le fiabe. Non vuole andarci più, non senza Hugh... Ma la vita va avanti, voglio che lo impari e lo superi e voglio che ci sia, che stia accanto a Daisy per cui è un eroe, come Hugh è stato accanto a lui e il suo eroe, allora...".

Quella spiegazione sicuramente sincera, lo ferì. Non erano capricci quelli di Jeremy, era il dolore per la perdita di un padre. E quel padre non era lui, era Hugh. Hugh gli mancava, Hugh lo aveva fatto divertire, Hugh era stato il suo eroe, era Hugh che Jeremy rimpiangeva. Non lui, lui non aveva mai fatto nulla con suo figlio e quando non dai amore a un figlio, a sua volta non puoi pretendere di riceverne... Le parole di Dwight di pochi giorni prima gli tornarono alla mente, dolorosamente. Era stato un padre orrendo e un marito ancor peggiore e ora, ora che cosa recriminava? Cosa pretendeva? Ferito guardò Demelza, chiedendosi se provasse le stesse sensazioni di Jeremy e non riuscì a non domandarglielo. "E tu...?".

"Io cosa?".

"Tu senti le stesse cose di Jeremy ad andare a uno zoo?".

Lei per un attimo vacillò, incerta se rispondergli o meno. Ma poi coraggiosamente parlò. "Io provo le stesse cose molte volte in molte occasioni. Era mio marito, il padre dei miei figli e l'uomo con cui ho condiviso una parte bella ed importante della mia vita. Molte cose me lo ricordano, non solo lo zoo e ogni volta che guardo i miei figli fare qualcosa che a lui sarebbe piaciuto, mi manca... Non solo oggi ma ogni giorno. Però la vita va avanti e dobbiamo viverla al meglio, senza lasciarci condizionare dal passato ma custodendolo, QUANDO NE VALE LA PENA, come un tesoro. E vorrei che questo lo imparasse anche Jeremy. Hugh avrebbe voluto così".

Ross deglutì. Era sincera, spietatamente sincera. Hugh non era ormai che un'ombra ma aveva lasciato una traccia importante in Demelza. Avrebbe voluto che fosse stato un perfido marito, un bastardo come sono tanti nobili che usano a loro piacimento le donne che provengono dal popolo, ma... Aveva amato Demelza, Jeremy e Clowance. E loro erano stati una famiglia felice che ora che lui non c'era, ne sentiva la sua mancanza. Demelza voleva guardare avanti portandosi dietro quel ricordo dolce, non voleva perderlo ma allo stesso tempo lottava per non farsene condizionare! E quando diceva che non voleva farsi condizionare dal passato, non lo diceva solo pensando di vivere al meglio perché Hugh avrebbe voluto così, ma era un messaggio anche per lui: il passato è passato, la famiglia che ho costruito con Hugh il mio presente.

Ross non seppe cosa dire, riuscì solo a chiedersi se lei, qualche volta, pensasse alle cose belle che li avevano uniti con la stessa intensità con cui pensava a Hugh. Ma questo non ebbe il coraggio di chiederglielo... E se anche lo avesse fatto, lei non avrebbe probabilmente risposto.

Daisy corse indietro, richiamandoli all'ordine e spezzando quel momento difficile fra loro. "ALLORA?!".

E Demelza sorrise. "Hai ragione, ora veniamo!".

E insieme si avviarono attraverso i grandi giardini di casa Boscawen, verso la carrozza.


...


Quando arrivarono allo zoo cittadino, dopo un breve viaggio in carrozza silenzioso per i grandi e pieno di chiacchiere per i bambini incuriositi dal nuovo amichetto che si era aggiunto alla combricola, i piccoli si scatenarono.

Demelza aveva spiegato brevemente a Ross che esisteva un altro parco fuori Londra che ospitava animali selvatici in un regime di maggiore libertà, lo stesso parco visitato anni prima con Hugh dove aveva dato il latte alla tigre, ma che aveva optato per quella soluzione cittadina dove delle grandi gabbie avrebbero impedito ai gemelli, turbolenti ed imprevedibili, di avvicinarsi troppo e cacciarsi pericolosamente nei guai.

Ross si sentiva a disagio, di troppo in quella gita. Era un qualcosa che, sentiva, legava ancora Demelza e Hugh e lo sguardo perso di Jeremy che si era un pò lasciato andare a qualche chiacchiera con Valentine, glielo confermava.

Guardò i bambini che correvano per i grandi viali del parco dove, appena dopo l'ingresso, un uomo vendeva acquiloni e faceva accarezzare delle innocue caprette ai piccoli ospiti che man mano giungevano.

Era domenica, vi era un continuo via vai di gente e famiglie venute per una gita e lui... lui era con la sua famiglia, in un certo senso. Guardò Jeremy che osservava assorto e pensieroso gli animali, Clowance che con eleganza passava da una gabbia all'altra e Valentine che, un pò intimidito, li seguiva cercando di conoscerli e di viversi al meglio quell'avventura. Erano i suoi figli, tutti e tre... E per una volta, LA PRIMA VOLTA, erano insieme.

Un nodo gli strinse la gola a quel pensiero perché quella visione era assieme bellissima e terrificante: cose belle ed errori che si mischiavano e che assumevano la forma di tre bellissimi bambini che, ognuno a modo suo, avevano pagato gli errori dei grandi che li circondavano.

Di sbieco guardò Demelza che, con le labbra serrate e vagamente pallida, osservava nella medesima direzione. Anche lei, poteva leggerglielo in viso, stava provando le sue stesse sensazioni, non sarebbe riuscita a non pensarci.

I cinque bambini, dopo aver fatto baccano ed esplorato l'area dell'ingresso, tornarono da loro.

Valentine cercò di attirare l'attenzione di Demelza per vedere un qualche animale e Demian, veloce come uno dei felini chiusi nelle gabbie, si mise fra loro due, dividendoli nuovamente.

Demelza, pazientemente, sorrise ad entrambi. "Che volete vedere?".

"Gli orsi!" - esclamò Daisy, risoluta. Degli altri animali non le interessava nulla e aveva guardato in malo modo il signore con le caprette che le aveva chiesto se volesse accarezzarne una.

"La giraffa!" - propose Clowance.

"Orsi! Orsi!!!". Daisy picchiò il piedino per terra e Demelza le si inginocchiò davanti. "Tesoro, siamo quì per vedere tutti gli animali, non solo gli orsi. Su, facciamo contenta Clowance, andiamo a vedere le giraffe e gli altri animali che sono su questo viale e poi andiamo a vedere i tuoi orsi. Sono in fondo al parco, non c'è fretta".

Daisy si imbronciò ancora di più. "Voglio vederli adesso! Sono a giocare nel bosco?".

"No, sono belli tranquilli e al sicuro nelle loro gabbie. Ti aspettano felici e contenti per conoscerti, ma vogliono vederti brava" – la rimbeccò Demelza, cercando di calmarla.

Jeremy, imbronciato, calciò col piede un sassolino. "Non sono felici e contenti, gli orsi! Nessuno di questi animali lo è e questo posto non mi piace".

Ross si intromise, d'istinto. Jeremy era indubbiamente nervoso e di malumore ma non gli andava che fosse tanto brusco nel rispondere a sua madre, pur comprendendone i motivi che lo spingevano a comportarsi così. "Perché dici questo?".

Jeremy si voltò verso di lui e Ross sentì il sangue gelarsi nelle vene per quello sguardo tanto profondo e pieno di pensieri che tutto sembrava, fuorché quello di un bambino. "Voi signor Poldark, sareste felice di vivere in una gabbia? Nessuno lo sarebbe, nemmeno un orso! SOPRATTUTTO un orso!".

Ross non seppe cosa rispondergli e nemmeno Demelza ci riuscì. I restanti bambini rimasero in silenzio, ammutoliti per quelle parole che, in effetti, nascondevano una grande verità e una dimostrazione della profondità dell'animo di Jeremy. Ross si ritrovò ad essere fiero di lui, era un bambino dall'animo buono e sensibile e come sua madre prima di lui, gli stava dando una lezione su quanto anche gli animali sapessero vivere, amare e soffrire. "Scusa, hai ragione... Ma credo che siano tenuti più che bene quì. Non sono abituati a vivere allo stato selvaggio, sono nati in cattività e non saprebbero sopravvivere all'infuori di questo zoo".

Daisy ci pensò su e poi trovò la sua soluzione. Quella più adatta agli orsi, secondo il suo modo di vedere. Quella più adatta a lei, secondo il modo in cui la vedeva Ross. "Mamma, Jeremy ha ragione! A casa nostra l'orsetto starebbe bene, più meglio che nella gabbia".

Demelza sospirò, riprendendo il polso della situazione. "Non si dice 'più meglio'" – la corresse.

Daisy fece la linguaccia e Ross se la prese per mano. "Su, la porto io dagli orsi! Voi guardate gli altri animali e poi raggiungeteci là".

Demelza lo guardò storto, nuovamente. Era palese che captasse che c'era qualcosa fra lui e la piccola canaglia bionda ma doveva rimanere impassibile e reggere il gioco a Daisy che fingeva indifferenza meglio di lui.

"Se sei d'accordo, ovviamente" – tentò.

Demelza assunse un'aria di sfida. "Non verrà con te! Daisy non si lascia prendere per mano o in braccio tanto facilmente, soprattutto da uno sconosciuto".

Daisy guardò lui e poi sua madre e alla fine strinse forte la manina in quella di Ross, decidendo da sola come porre fine a quella disputa giocata sulla sua persona. "Sì, orsi! Con il signor Poldark! Dopo ci vediamo la".

Demelza sospirò, stupita e con aria sconfitta. "Va... Va bene, ci vediamo dopo. Ma fa la brava". Poi guardò Ross, sospettosa. "Sta attento a lei, mi raccomando! E' imprevedibile". E prendendo con se Demian, Valentine, Clowance e Jeremy, si avviò verso le giraffe.

Ross si incamminò nel viale laterale, a passo spedito, stupito ma anche felice che si fosse fidata a lasciargli la piccola pestifera gemellina. "Sei stata bravissima prima, a bloccare tuo fratello! Oppure per il nostro patto segreto sarebbe stata la fine. Ti devo un favore" – mugugnò, trovandosi a pensare a come diavolo si fosse trovato in quell'assurda situazione con quella mocciosa di nemmeno quattro anni.

Lei annuì, seria. "Vero! Anche a Demian".

Carinissima a puntualizzarlo, davvero! La piccola Boscawen era la vera erede di Falmouth, altro che il suo gemello su cui probabilmente, in quanto maschio, la famiglia puntava di più. Era una jena, Prudie aveva dannatamente ragione. "Cosa vuoi che faccia?".

"Non lo so! Con Demian ci penso e poi te lo dico".

Grandioso! Ross alzò gli occhi al cielo, rendendosi conto che era davvero nei guai. "Fammi sapere".

"Ti devo dire un'altra cosa, signor Poldark!".

"Cosa?".

"Avevi ragione, ha funzionato".

Ross si accigliò, guardando la piccola che ridacchiava in modo furbo. "Cosa?" - chiese, provando uno strano terrore.

"Come salvare il mio culetto dalle botte!".

Ross rise. "Hai battuto Prudie?".

"Sì! Mi sono buttata in terra come hai detto tu e lei si è bloccata tutta. Voleva prendermi ma le è venuto mal di schiena e non riusciva più a muoversi e ora sta a letto".

Ross impallidì, sentendosi mortalmente in colpa. Santo cielo, la mocciosetta aveva davvero messo in pratica il suo consiglio e Prudie, non più giovane come quando badava a lui, ne era rimasta vittima in modo pesante. "E ora... Ora come sta?".

Daisy alzò le spalle con noncuranza. "Oh, Dwight diceva che guariva in dieci giorni. Ma mica era vero! Sta a letto e dice che sta meglio solo se le portano tre volte al giorno il tè con la torta e i biscotti. A letto! Dice che è l'unica medicina per la sua povera schiena... Sta a letto da tanto, sai? Mica lavora più e al parchetto al mattino ci andiamo con Mary e Mary non mi da le sculacciate! Grazie signor Poldark! Anche il mio culetto ti ringrazia".

A Ross venne da ridere. Santo cielo, era fantastica, la miglior terapia contro la depressione! Se avesse potuto l'avrebbe rapita e se la sarebbe portata a casa, era uno spasso quella mocciosetta. Divenne di buon umore, dimenticando i malesseri di Prudie che, dalle parole di Daisy, si deduceva non fosse cambiata. Ancora oggi odiava lavorare e trovava tutte le scuse valide per non farlo... Ce la vedeva a letto, stesa come un pascià, a farsi servire come una gran dama...

Daisy improvvisamente gli sfuggì dalle mani, mettendosi a correre. E Ross, preso dal panico, le andò dietro. Che diavolo le prendeva? "Daisy!".

La piccola corse veloce, rapita da quello che vedeva, fermandosi a pochi centimetri dalla gabbia dove una grossa mamma orsa giocava coi suoi due cuccioli. Dal pelo scuro, maestosa e imponente, sembrava dominare gli altri animali. Daisy ne era rapita e non si spostò di un millimetro nemmeno quando l'animale ruggì contro di lei per essere stato disturbato.

Ross la prese in braccio, in un gesto veloce, spostandola da lì. "Non farlo più!" - le disse, brusco. "E' pericoloso, non si scappa!".

Ma Daisy, rapita dall'animale, parve non sentirlo nemmeno. I suoi occhi brillavano e sembrava un tutt'uno con quelle bestie feroci che adorava e a cui ambiva. Erano esseri simili, pensò Ross, selvagge ed imprevedibili...

La piccola gli cinse le spalle con le braccia, appoggiandosi al suo petto con la testolina. "Signor Poldark... Glielo dici a mamma se dopo andiamo nel negozio che vende gli orsi e ne compriamo uno?".

Ross sospirò. "Daisy, non esistono negozi del genere".

"Perché?".

"Perché gli orsi sono pericolosi, non si possono tenere in casa e quindi nessuno li vende".

"Ma io lo voglio" – mugugnò lei.

Ross ci pensò su e alla fine capì che doveva usare la furbizia e l'intelligenza, nonché l'esperienza, per convincerla. "Sai, tu saresti bravissima a prendertene cura e il tuo orso ti vorrebbe anche bene. Ma vedi, io da giovane ho combattuto in America e di orsi ne ho visti tanti e ho imparato una cosa su di loro".

"Cosa?".

"Che amano e accettano come padrone solo una persona. Te!".

Daisy si eccitò a quelle parole. "Davvero?".

"Davvero... Ma gli altri, la tua mamma e i tuoi fratelli, sarebbero in pericolo... Per un orso sarebbero prede e li attaccherebbe e li mangerebbe. Vuoi davvero che succeda una cosa così? Rimanere sola?".

Daisy spalancò gli occhi, spaventata davanti a quell'eventualità. "Sola? Ma anche senza Demian? Io non posso stare senza Demian, è il mio gemello! Dove c'è lui ci sono anche io e se l'orso se lo mangia, come faccio?".

Ross gli strizzò l'occhio. "Devi scegliere. Lasciare gli orsi quì oppure portarne uno a casa e rimanere senza gemello. Chi vuoi, l'orso o Demian".

Daisy ci pensò su qualche secondo di troppo rispetto a quelli preventivati da Ross, ma poi annuì, sconsolata. "Demian! Lui è sempre con me e sarà sempre con me. Se ci sono io c'è anche lui, se lui non c'è non ci sono più nemmeno io. Per sempre...".

Ross non capì appieno quel concetto ma percepì che questo tipo di legame intercorso fra i gemelli era davvero un qualcosa di unico ma che Demelza avrebbe dovuto spezzare prima o poi. Dovevano imparare a pensare da singolo, da persone separate. Non erano un'unica entità ma due persone diverse che avrebbero dovuto condurre vite diverse. Non che fosse il migliore dei padri o degli educatori ma gli appariva davvero stonato quel modo di pensare di Daisy che, seppur molto indipendente, sembrava faticare nel vedersi separata dal fratello.

La voce di Demelza e dei bambini dietro di loro li fece voltare, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Jeremy sembrava più di buon umore, come Clowance e i due piccoli contendenti di Demelza che, uno preso per mano da un lato e uno dall'altro, si dividevano la loro principessa.

Demelza rimase di stucco vedendo che teneva in braccio Daisy. "Non ha mai amato essere presa in braccio... Come hai fatto?".

Ross strizzò l'occhio alla piccola, rimettendola a terra. "Basta guardarli nel modo giusto e col giusto fascino e cadono come birilli".

Clowance rise, osservandolo incuriosita. "Signor Poldark, voi lavorate davvero con mio zio?".

"Sì, in Parlamento".

"Siete nobile?".

"Un nobile di campagna".

Clowance divenne pensierosa a quella risposta, prima di voltarsi verso sua madre. "Mamma, i nobili di campagna sono nobili come quelli di città?".

Ross sospirò, rispondendo al posto di Demelza. Clowance era una lady e sicuramente lo guardava e giudicava dall'alto in basso e non aveva voglia di dirle qualcosa che la ferisse o contrariasse. Era cresciuta in quell'ambiente e doveva accettarlo e quindi, perché non dirle ciò che voleva sentire? "Ovviamente no! I nobili di città son più nobili di quelli di campagna".

La piccola emise un sospiro di sollievo ma Demelza non fece altrettanto. Lo guardò contrariata da quella risposta che evidentemente non aveva gradito. Ross pensò che fosse sul punto di dire qualcosa, che lo volesse davvero ma vista la presenza dei bambini, alla fine lei si trattenne.

I piccoli si misero a guardare gli orsi e Demian rimase fisso a osservare la madre coi cuccioli. "Bella! Mamma orsa!".

Valentine annuì. "Tutte le mamme sono belle, anche le mamme orse!".

Jeremy rise e Demian si avvinghiò a Demelza. "La mia mamma è la più bellissima di tutte".

Valentine osservò Demelza con aria sognante ma poi aprì bocca, dicendo qualcosa che fece gelare il sangue nelle vene di Ross e, forse, anche di Demelza. "Anche la mia lo era! Papà dice che era la più bella del mondo".

Lo disse con naturalezza, com'era ovvio che fosse per un bambino che idolatrava una madre mai conosciuta, lo disse spinto dai racconti di Ross su di lei perché non poteva dirlgi la verità, non poteva dirgli che era nato per errore e che lui e sua madre avevano finito per odiarsi dopo che da giovani si erano amati, non poteva dirgli che la sua nascita gli aveva rovinato la vita, la sua e quella delle persone presenti in quella gita. Non poteva dire a Valentine la verità e in quegli anni, ogni volta che gli aveva chiesto di Elizabeth, aveva fatto con lui come poco prima con Clowance: aveva detto ciò che Valentine e ogni bambino al mondo desiderano sentirsi dire, ciò di cui suo figlio aveva bisogno.

Demelza però si irrigidì e per un attimo voltò lo sguardo di lato, tanto che Ross non potè vedere la sua espressione per alcuni secondi. Quelle parole l'avevano ferita e colpita, lo sapeva, lo percepiva a pelle e sapeva quanto dolore potevano aver risvegliato in lei. I gemelli e i bambini non si accorsero di nulla, lei rimase zitta ma lui percepì nelle ossa un incredibile gelo e il peso del tanto dolore che lei, a causa di Elizabeth, aveva vissuto sulla sua pelle, il senso di inadeguatezza che lui non aveva mai avuto tempo di curare, le tante parole non dette quando poteva, parole che le avrebbero fatto capire che per lui non esisteva altro che lei.

Avrebbe voluto spiegare, se fossero stati soli lo avrebbe fatto e l'avrebbe costretta ad ascoltare, ma non poteva. E allora sperò semplicemente che lei capisse cosa ci fosse dietro a quelle parole.

Dopo alcuni istanti Demelza prese un profondo respiro, tornando padrona di se. Sorrise, in modo tirato, ma sorrise. "Su, salutate questi famosi orsi!" - disse ai bambini che erano arrivati con lei.

Daisy le si avvicinò, sospirando. "Mamma, non posso tenerlo a casa".

"Come lo hai capito?" - chiese lei, stupita.

"Il signor Poldark mi ha detto che non si può e perché... Non lo voglio l'orso, fa niente, lo lasciamo quì".

Demelza osservò Ross a bocca aperta, chiedendosi come diavolo avesse fatto a convincerla e lui ringraziò Dio e Daisy per averla distratta dal discorso di poco prima.

"Le ho solo detto che è pericoloso..." - disse lui.

Jeremy, seguito da Demian e Valentine, andò avanti e indietro dalla gabbia, osservando l'enorme belva. "Mamma, ma potremmo noleggiarlo?!".

"Per cosa?".

"Per la festa di compleanno di Clowance! Almeno si mangia Catherine e le altre stupide sue amiche".

Demelza lo fulminò con lo sguardo, Clowance gli diede una spinta che fece ridere i gemelli e Valentine ma Ross si trovò gelato, ancora una volta. Il compleanno di Clowance era a novembre, fra poche settimane... E lui li aveva persi tutti... La sua nascita, i suoi primi passi, le prime parole, il calore del suo corpicino fra le sue braccia, come aveva sentito poco prima quello di Daisy, le chiacchiere, tutto... Avrebbe compiuto sette anni, sette anni in cui non c'era mai stato. Ricordò i giorni terribili della sua nascita e tutti gli errori commessi che avrebbe potuto evitare... Aveva perso tutto allora, infranto ogni promessa e si era dimostrato il più piccolo e abietto fra gli uomini. Quanto doveva aver sofferto Demelza? Sola, con due bimbi piccoli e un uomo che non era mai tornato... La guardò, le chiese scusa con lo sguardo ma gli occhi della donna che amava erano nuovamente di ghiaccio. Distolse lo sguardo da lui, avvicinandosi a Clowance. "Su, non ti arrabbiare, Jeremy scherza e dopo il discorso che gli ho fatto prima davanti alla gabbia delle scimmie, sono felice che lo faccia! Anche se fa lo stupidino!".

Jeremy rise mentre Ross, ancora turbato da tante cose, si chiedeva cosa si fossero detti.

Clowance si mise le mani sui fianchi. "Niente maschi e niente orsi alla mia festa! Solo le mie amiche! Vero mamma?".

"Vero, è la tua festa e la fai come vuoi".

Jeremy pareva contento della cosa. "Evviva! Niente festa, niente bambine vestite da stupide, niente bambole, NIENTE CATHERINE! Oggi in fondo è una bella giornata!".

Clowance lo spinse di nuovo e Demelza andò a dividerli. "Su, non serve litigare! Tu avrai la tua festa e di sera andremo insieme, solo io e te, a teatro. Come mi hai chiesto".

Fu la volta di Ross ora, di girare il viso. Avevano organizzato una festa per Clowance e ovviamente lui non era stato invitato. Non ci avrebbe mai nemmeno sperato ma sentirlo dalle sue orecchie, sentire come in nessun modo fosse ritenuto uno di famiglia, uno che doveva esserci al compleanno di sua figlia, faceva male. Guardò il cielo e da padre, decise che l'unica cosa che potesse sperare era che Clowance avesse un bellissimo compleanno, come più voleva e con chi amava.

Valentine però sembrava di nuovo incuriosito. "Festa? Fate una festa?".

Clowance annuì. "Ne avremo un sacco, da ora! La mia a novembre, la festa da bambini piccoli per i gemelli a dicembre e poi...". Lei, Jeremy e i gemelli si guardarono in faccia, divennero rossi dall'eccitazione e poi risero, come se condividessero un grande segreto che li univa più di quanto non fossero già e faceva sentire estranei gli altri.

Anche Demelza rise, intuendo a cosa si riferissero. "Poi c'è la festa della Vigilia di Natale... Ho in mente grandi cose per quest'anno".

"Anche noi!" - ribattè Demian, orgoglioso. "Vedrai mamma, ti faremo una sorpresa bellissimissima quest'anno".

"Shhh" – lo zittì Jeremy.

Il piccolo si mise la manina davanti alla bocca. "Ops".

Valentine a quel punto però era ancora più incuriosito da quel mondo e quelle usanze a lui tanto sconosciute. "Che succede la sera di Natale?".

Demelza gli sorrise. "Beh, noi organizziamo feste di Natale magiche! La nostra casa diventa una specie di villaggio di Natale con tante luci, torce, addobbi di mille colori e candele. E festeggiamo con i nostri amici sorseggiando cioccolata, giocando insieme ed aspettando che Babbo Natale arrivi di notte a portare i dolci e i doni ai bambini buoni".

"Chissà io quanti regali, quest'anno!" - intervenne Daisy, guadagnandosi un'occhiataccia di sua madre e facendo ridere nuovamente Ross.

Valentine però non rise e rimase assorto ad osservarla con gli occhi lucidi. "Oh, dev'essere bellissimo. Sei magica Demelza, mi sa. Io a casa mia mica le faccio queste cose a Natale!".

"Noi sì, sempre!" - intervenne Jeremy. "Vieni anche tu, dai! Col tuo papà, come oggi!".

Demelza spalancò gli occhi e lo stesso fece Ross. I bambini, prima Valentine e ora Jeremy, li stavano mettendo in una situazione difficilissima.

"Ehm, no! Ti ringrazio Jeremy ma non vogliamo disturbare, è una festa di famiglia e fra amici".

"E' una festa di Natale" – puntualizzò Daisy, aggrappandosi alla sua mano. "Dai signor Poldark, vieni! Ti faccio vedere tutte le palline di vetro dell'albero! Tu sei grande, puoi anche toccarle senza romperle, io non posso invece".

Demelza rimase nuovamente stupita dalla reazione di Daisy a cui si aggiunse subito quella di Valentine. "Dai papà, possiamo? Demelza, possiamo?".

E lei capitolò, nuovamente. Non sarebbe mai riuscita a dirgli di no e Ross lo sapeva. E sapeva anche che, di nuovo, la stava mettendo in una situazione difficile. "Non insistere Valentine, non possiamo andare così, come nulla fosse, in casa delle persone a Natale".

Ma Demelza lo bloccò, cercando di fare violenza su se stessa per apparire accogliente e gentile. "Ci farebbe piacere avervi con noi, Valentine. Ci saranno tanti bambini e ti divertirai, ne sono sicura".

Valentine rise e saltò dalla contentezza, alla faccia delle sue gambette ancora deboli. Anche i gemelli e Jeremy sembravano contenti mentre Clowance aveva un pò il muso. "Un altro maschio? Pure a Natale?".

"Clowance!" - la rimbeccò Demelza. "Siete in vantaggio! Ci sarai tu, Emily Basset, Daisy, Catherine, sua sorella Jane... E Sophie Enys, anche se ancora è piccola e non la vuoi contare fra le tue amiche. I maschi sarebbero stati solo in tre: Jeremy, Demian e Gustav. Che male c'è se arriva un bambino in più?".

Valentine sembrava eccitato. "Emily Basset? C'è pure lei?".

Demelza annuì. "Certo, viene a casa nostra ogni anno per Natale, assieme alla sua famiglia".

Valentine abbracciò suo padre per la contentezza, era felice, felice veramente. E Ross sapeva che sarebbe stata una serata che mai avrebbe dimenticato... "Va bene" – fu costretto infine, a dire.

"Evviva!".

Contenti, i bimbi corsero a giocare nuovamente vicino alla gabbia degli orsi, facendo baccano e disturbando il sonno dei due cuccioli.

E rimasti momentaneamente soli, Ross si avvicinò a lei. "Dovevi dire di no, non sei obbligata a sopportarci anche a Natale".

Demelza guardò i cinque piccoli che si rincorrevano. "E' un bambino... E per metà ha lo stesso sangue di Jeremy e Clowance, che dovevo fare? E' una festa, è Natale e a Natale bisognerebbe aprire i nostri cuori. Sento che è la scelta giusta ed è una festa piena di amici, sarà piacevole in fondo. So che con Dwight le cose vanno meglio e conosci sia Lord Basset che Falmouth. Lo troverai piacevole e forse ti piacerà pure, anche se non hai mai amato troppo questo genere di cose".

"Perché lo fai?" - insistette.

"Non me lo chiedere, per favore..." - disse lei, in un soffio.

Ross chinò il capo. "Grazie... E per prima...".

Lo sguardo di Demelza si indurì. "A cosa ti riferisci?".

Lo chiese ma Ross sapeva benissimo che aveva capito. "Le cose che Valentine ha detto di Elizabeth. E' sua madre e io cerco di dirgli...".

Lei lo bloccò, come faceva sempre quando lui cercava di riaprire il passato. "Gli dici quello che ogni uomo dice della donna che ama, la madre dei suoi figli. Anche Hugh diceva cose così su di me, l'amore rende bella ogni cosa amata".

"Non è come pensi!" - cercò di spiegarle.

Ma lei non lo ascoltava già più. Gli voltò le spalle, si allontanò e raggiunse i bambini, decisa a proseguire in modo sereno quella giornata con loro.

E Ross rimase fermo a chiedersi come diavolo avrebbero fatto ad affrontare insieme il Natale, una festa che per loro in passato aveva significato tanto e in cui erano racchiusi i loro ricordi più belli.

  
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