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Autore: Miss Ravenclaw    24/02/2019    0 recensioni
Lo osservò giocare distrattamente con il percing al labbro inferiore, gli occhi fissi nel vuoto e le mani infilate nelle tasche della felpa.
Era così diverso rispetto ai ragazzi che quella sera aveva visto in discoteca da sembrare quasi alieno.
I fari dell’autobus illuminarono per un attimo la panchina dove erano seduti e lui sembrò riscuotersi dai suoi pensieri.
Si voltò verso Gigi, essendosi reso conto solo in quel momento di non essere solo, la scrutò solo per qualche istante prima di far scivolare via dalle sue orecchie le cuffiette.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Capitolo 1

Losing My Religion




«Ho saputo – la voce di Tessa le arrivò attutita da dietro la porta del bagno – che Matthew, il tuo Matthew, ti ha baciata e tu lo hai respinto?»
L’incredulità della sua migliore amica non la sorprese per niente.
Erano le quattro del pomeriggio di una domenica monotona e Gigi non aveva alcuna voglia di continuare quel discorso: la testa le scoppiava, gli occhi non riuscivano a restare aperti per più di qualche minuto e le gambe erano così pesanti che sembravano essere di cemento armato.
Era nel pieno dei postumi di una sbornia colossale.
Non sapeva come Tessa riuscisse a reggersi in piedi avendo dormito solo poche ore.
Gigi la invidiò, poi si rigirò tra le coperte e chiuse di nuovo gli occhi, sperando che la sua amica la lasciasse in pace.
La fortuna non era dalla sua parte.
Tessa entrò come un tornado nella stanza, i corti capelli scuri che gocciolavano di acqua e la faccia tutta impasticciata di trucco.
«Mi rispondi?» Gigi ebbe la netta impressione che stesse per perdere la pazienza, quindi, facendo appello a tutta la forza che le era rimasta, scostò le coperte e si mise a sedere.
«Mi spieghi dove sei finita ieri sera?» Sapeva che non sarebbe riuscita ad evitare a lungo il discorso.
«Non cambiare argomento».
Appunto.
Gigi si passò le mani sugli occhi poi sbadigliò, cercando di temporeggiare il più possibile.
«La verità è che non so nemmeno io perché l’ho respinto – disse alla fine, capendo che sarebbe uscita da quella situazione solo parlando – quando si è avvicinato, ho avuto la sensazione che la situazione fosse del tutto sbagliata. A mia discolpa, però, posso dire che ho tentato» aggiunse e solo allora alzò lo sguardo verso l’amica.
Gigi non riusciva a capire se lo sguardo che le stesse rivolgendo Tessa fosse accigliato oppure avesse la fronte corrugata per lo sforzo di mettere a fuoco la sua figura malgrado la miopia.
«Non ho provato niente quando mi ha baciata, quindi ho deciso che non valeva la pena continuare una cosa che non riusciva a trasmettermi alcun tipo di coinvolgimento emotivo».
Tessa non rispose, si sedette sul letto di fronte a lei, prese la spazzola dal comodino e cominciò a pettinare i capelli bagnati, osservandola con aria assente.
«Lui sembrava molto arrabbiato del fatto che te ne fossi andata – parlò quando Gigi credette che non le avrebbe più risposto. – è venuto a cercarmi; tra parentesi, l’ho trovata una cosa molto frustrante dato che ero impegnata con un ragazzo.
Comunque, ha cominciato a sbraitare contro di te, dicendo che eri solo un’insicura del cazzo, che non meritavi la sua considerazione, che se non fosse stato per il fatto che tu gli morissi dietro da una vita non ti avrebbe calcolata minimamente, cose così…».
Gigi accusò il colpo e si lasciò cadere all’indietro.
Con la testa immersa tra i cuscini anche le parole di quell’ottuso di Matthew acquistavano meno importanza.
«Io, da brava migliore amica quale sono, l’ho mandato a quel paese, dicendo che non si sarebbe dovuto rivolgere in quel modo nei tuoi confronti e che, comportandosi così, non dava per nulla l’impressione di essere un vero uomo».
Tessa si era alzata, aveva indossato gli occhiali e si era seduta accanto a lei, cominciando ad accarezzarle le mani con una tenerezza atipica per lei.
«Ha davvero detto queste cose?» la voce le uscì spezzata, nonostante il fatto che stesse cercando con tutta sé stessa di trattenere il groppo che le aveva chiuso la gola.
«Sì, ma lo hai detto anche tu che non è la persona giusta per te, no?»
Tessa non capiva: per quanto Matthew potesse essere diventato importante da quando lo aveva conosciuto, a ferirla per davvero era la consapevolezza che qualcuno avesse espresso ad alta voce l’opinione che Gigi aveva di sé stessa e che, come un tarlo, le mangiucchiava a poco a poco il cervello da ormai 20 anni.
La sua amica era inquieta e rigida, come se si aspettasse un suo scoppio da un momento all’altro.
Decise di lasciar correre, sperando che Tessa facesse finta di niente, che fingesse di crederle.
Alzò le spalle.
«Sì, l’ho detto e va bene così, dopotutto non potevo aspettarmi di meglio da uno come lui, no?»
La sua amica non rispose subito, come se stesse cercando di trovare parole giuste per esprimere un concetto che in realtà nemmeno lei era sicura di voler esprimere a voce alta.
Alla fine, sembrò optare per il cliché: «Si chiude una porta, si apre un portone».
Con questa frase si alzò dal letto, per dirigersi verso il bagno.
«Dove stai andando?» domandò quando vide che la sua amica cominciava a vestirsi.
Tessa le lanciò un’occhiata maliziosa e sorrise.
«Mi devo vedere con il tipo di ieri».
Gigi si mise a sedere di scatto, all’improvviso sull’attenti: «E tu me lo dici solo adesso? Com’è? Carino?»
«Io lo trovo molto carino e suona anche il basso in una band punk rock, quel genere strano che piace anche a te».
Non riusciva a credere a ciò che le stesse dicendo.
«Cosa ci faceva un tizio che suona in una band punk rock in una discoteca dove suonano solo musica reggaeton?» le chiese, alzandosi dal letto per andare in bagno.
«Era al compleanno di un amico, infatti si vedeva che non si sentiva molto a suo agio. Se le cose andranno bene te lo farò conoscere, sicuramente andrete d’accordo» urlò Tessa per farsi sentire da dietro la porta chiusa del bagno.
Un attimo dopo la sentì andare via.
 
Una volta, molto tempo prima, girovagando in rete, il commento di un utente di un forum sui rapporti interpersonali l’aveva fatta riflettere e l’aveva sconcertata allo stesso tempo: “E poi ci sono loro, quelle superflue, quelle che quando esci in comitiva e dici ‘sono tre o quattro ragazze’ sono proprio le “O4”, quelle di cui faresti tranquillamente a meno ma che poi diventano le mascotte del gruppo.”
Lei si era sempre sentita la Lady O4 della situazione: non aveva la bellezza sensuale di Tessa e nemmeno quella irruente di Martine, la classica bambola bionda che ogni ragazzo almeno una volta nella vita aveva desiderato.
Gigi era semplicemente Gigi: una finta sfrontatezza che ben mascherava un’anima troppo fragile per essere capita a primo impatto da qualcuno.
Era sempre stata consapevole di essere stata relegata in quella condizione e non aveva mai capito quanto la situazione le stesse stretta fin quando non aveva incontrato Matthew: lui che era gentile solo con lei, che scherzava solo con lei e che sembrava non vedere nessun altro oltre lei.
Per quanto all’inizio avesse pensato che fossero solo sue pippe mentali, alla fine aveva dovuto arrendersi all’evidenza che quel ragazzo sembrava avere una preferenza per lei, solo per lei.
Fu per questo motivo che, quel pomeriggio, mentre era sdraiata all’ombra del suo albero preferito nel parco del campus di Yale, non riuscì a non provare un certo ribrezzo nel vedere Matthew che si avvicinava sempre di più.
I contorni sfocati della sua figura divennero ben definiti e, malgrado la repulsione che in quel momento l’animava, non potette fare a meno di pensare quanto Dio fosse stato buono con lui, o quanto i suoi genitori si fossero impegnati nel concepirlo, a seconda dei punti di vista.
Matthew era il classico ragazzo che ogni mamma avrebbe voluto vedere accanto alla propria figlia, pur con la consapevolezza che l’avrebbe fatta soffrire come un cane.
«Mi spieghi perché ieri te ne sei andata in quel modo» il suo tono mal celava l’irritazione che provava.
«Forse perché sono solo un’insicura del cazzo che non merita la tua attenzione e con evidenti problemi a mascherare i suoi sentimenti» il mezzo sorriso che gli rivolse era carico di sarcasmo.
L’espressione di Matthew rimase immutata, nemmeno un’ombra di imbarazzo attraversò il suo bel volto.
«Tu non aveva il diritto di …» iniziò ma Gigi lo interruppe.
«Di fare cosa, precisamente? Di allontanarmi perché non avevo voglia di essere baciata da te? Ma ti ascolti quando parli, Matthew? Io ho diritto di fare ciò che voglio senza che nessuno possa avere la pretesa di insultarmi gratuitamente davanti a tutti» si mise a sedere, il volto arrossito dall’ira.
Anche Matthew sembrava essere sul punto di perdere la pazienza: le mani erano chiuse a pugno, come se stesse trattenendo un qualche gesto violento, gli occhi castani erano socchiusi e la osservavano con un miscuglio di disprezzo e derisione che Gigi non gli aveva mai visto assumere.
«Tu dovresti ringraziarmi per il semplice fatto che io abbia deciso di considerarti – il suo tono era cattivo e Gigi capì che ce la stava mettendo tutta per ferirla – sarai sempre la seconda scelta di tutti, non lo capisci? Io ero la tua unica possibilità».
Il viso di Matthew era a pochi centimetri di distanza dal suo e solo dopo qualche secondo si rese conto di essere stata lei ad avvicinarsi.
Le mani le tremavano e credeva, anzi, sapeva con certezza, che non sarebbe riuscita a reggere ancora per molto il confronto.
«Perché perdi tanto tempo con me se mi consideri alla stregua di una bambola di pezza? – la sua voce era un sussurro roco – lasciami in pace, dato che non mi ritieni all’altezza di essere al tuo fianco.
Di persone come te ne ho incontrate così tante nella vita che ormai sei solo la copia di una copia di una cosa che ho già visto.
Sei un essere così piccolo, così viscido, che riesci a provare piacere solo ferendo gli altri usano le loro debolezze.
Mi fai schifo, Matthew, in un modo così intenso, così profondamente radico nel mio essere da farmi quasi male».
Quando finì aveva il fiatone e le guance erano diventate ancora più rosse.
Alzava e abbassava il petto velocemente, cercando di incamerare quanta più aria possibile.
Il volto di Matthew era segnato da un’espressione sconvolta: l’ultima cosa che si sarebbe aspettato era una reazione del genere da parte di Gigi.
«Io…» la voce uscì flebile dalle sue labbra sottili e la ragazza fece una smorfia, non riuscendo a trattenere l’espressione di disgusto nel sentirlo parlare.
«Apprezzerei che tu non dicessi più nulla» lo interruppe per l’ultima volta mentre raccattava in fretta le sue cose.
«E se non chiedo troppo preferirei che tu cancellassi il mio numero, anzi, che tu cancellassi completamente la consapevolezza della mia esistenza dal tuo cervello. Le relazioni disfunzionali non sono per niente il mio forte» detto questo lo guardò per un’ultima volta: alla luce della nuova consapevolezza che l’aveva inondata, i tratti di Matthew, che aveva sempre considerato bellissimi, le parvero meno affascinanti.
Si allontanò, il cuore che sprofondava sempre di più in un macigno di incertezza.
Pregò Dio che il ragazzo non tentasse di raggiungerla; per fortuna, non lo fece perché, non appena fu così lontana da non essere più a portata d’orecchie del suo carnefice, scoppiò in singhiozzi.
 
Il Route 66 era un localino che si trovava al centro di New Haven, in una piazza quasi sempre affollata dai turisti che arrivavano per visitare Yale.
Dall’esterno aveva l’aspetto di un tipico pub inglese: la facciata rivestita di legno scuro, una grossa insegna al neon di un colore rosso fiammante che sormontava il tendone richiuso e una serie di tavolini addossati alle pareti che venivano utilizzati dai clienti per appoggiare i boccali di birra vuoti.
Gigi spostava lo sguardo dal telefono acceso nelle sue mani all’entrata del locale, non sapendo bene cosa fare.
La sera era quasi calata su New Haven e il cielo sembrava essere la tavolozza di un pittore alle prime armi che cominciava a utilizzare le sfumature: i colori si mescolavano e combattevano tra di loro in una guerra che non sembrava aver avuto ancora nessun vincitore.
Se fosse stata di un umore diverso avrebbe speso qualche secondo in più per ammirare il paesaggio che si estendeva di fronte ai suoi occhi.
Abbassò di nuovo la testa verso lo schermo del cellulare; Tessa scriveva come una furia, premendo invio al termine di ogni parola, con l’evidente intento di infastidirla.
 
“Se non vieni subito qui vengo a prenderti io ma, spero che tu non mi faccia arrivare a tanto” diceva il primo messaggio.
 
“Non puoi di certo recluderti in stanza perché quello stronzo ti ha insultata”.
 
Gigi arricciò il naso.
 
“È venuta anche Martine. Ho davvero bisogno del tuo aiuto per calmare l’istinto omicida che provo ogni volta che mette in mostra le tette”.
 
Sorrise divertita.
 
“Ti ricordo che domani inizieranno le lezioni, questa sarà l’ultima sera di libertà”.
 
E ancora:


“E poi voglio farti conoscere John, ti piacerà, vedrai”.
 
Posò il telefono in borsa e in pochi passi raggiunse l’entrata.
Luci soffuse e odore di malto, se qualcuno le avesse mai dovuto chiedere di descrivere il Route 66, avrebbe detto questo.
Il locale era gremito di gente e una cappa di fumo rendeva l’aria quasi impossibile da respirare.
Il vociare insistente delle persone si confondeva insieme alla musica rock di sottofondo.
Alla radio, Losing My Religion dei R.E.M. accompagnava i clienti del pub che si muovevano a tempo: chi agitando la testa, chi battendo il piede sul parquet consumato.
Gigi percepì sulle labbra il sapore del misticismo che solo i R.E.M. sapevano infonderle, poi si riscosse, sentendosi chiamare da una voce familiare.
Quando si voltò, Tessa le era a parecchi metri di distanza e accanto a lei un ragazzo ricciuto la osservava con la testa inclinata e lo sguardo curioso tipico dei bambini che cercano di capire.
Da lontano scorse Martine: i lunghi capelli biondi erano legati in una coda alta e stretta e il top nero che indossava riusciva a mettere in mostra più parti del corpo del dovuto.
Una folla di ragazzi la accerchiava, riempiendola di attenzioni che lei sembrava gradire.
«Finalmente sei arrivata» Tessa appariva sollevata quando Gigi li raggiunse, le labbra carnose inarcate in un sorriso enorme.
«Lui è John – indicò il ragazzo accanto a lei con un gesto della mano – John , ti presento Gigi».
John le sorrise prima di stringerle la mano: aveva il sorriso del bravo ragazzo e un’espressione genuina negli occhi.
Dei ricci capelli scuri gli ricadevano disordinati sulla fronte e una folta barba gli copriva il volto; gli enormi occhiali dalla montatura squadrata riuscivano ad addolcire ancora di più il suo sguardo scuro.
«È un piacere conoscerti» disse Gigi e solo in un secondo momento notò che il ragazzo stringeva nella mano sinistra il manico di un basso.
«Tessa mi ha detto che suon il basso in una band, che musica fate?»
John le sorrise mentre faceva passare la tracolla del suo strumento intorno alla testa.
«Tra poco ascolterai, stiamo aspettando che arrivi il nostro batterista» le rispose e subito dopo alzò lo sguardo verso l’ingresso.
«Parli del diavolo – cominciò a bassa voce – Noah, siamo qui!» gridò per farsi sentire dall’altro lato della stanza.
Alzò la mano per farsi vedere poi continuò a parlare: «Stavamo aspettando solo te per iniziare, andiamo su» John si voltò per raggiungere il resto della band.
Un ragazzo alto, dalla folta capigliatura scompigliata, superò lei e Tessa.
Fu solo quando si voltò per rivolgere lo sguardo verso la banconista che Gigi lo riconobbe.
Avrebbe potuto ricordare il colore di quegli occhi ovunque: erano azzurri come il colore dell’oceano Atlantico.
   
 
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