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Autore: Lady1990    24/02/2019    3 recensioni
Ashwood Port, situata sulla costa del Massachusetts, vanta circa ventimila abitanti. Tre anni dopo la sua fondazione, risalente al 1691, fu teatro di un grande processo per stregoneria, mentre alla fine dell'Ottocento, durante la Guerra Civile, ospitò una sanguinosa battaglia. Al giorno d'oggi deve la sua popolarità a un florido commercio di pesce.
Le persone conducono una vita normale, spesso noiosa, perché nulla di sensazionale accade mai ad Ashwood Port.
Regan, sedici anni, erede dell'agenzia di pompe funebri McLaughlin, ha iniziato il liceo con un chiaro obiettivo in mente: stare lontano dai guai. Ma quando Teresa Meyers scompare senza lasciare traccia all'inizio dell'anno scolastico, Regan capirà di non avere altra scelta che lasciarsi coinvolgere nella follia che infesta Ashwood Port.
Infatti, quella di Teresa sarà solo la prima di una serie di impossibili sparizioni che, assieme ad altri eventi sinistri, si abbatteranno sulla tranquilla cittadina.
Tra fantasmi, streghe, licantropi, cacciatori, incubi e inganni, Regan si impegnerà per svelare il mistero. Ma a quale prezzo?
Anche se si è nati nell'oscurità, perdersi in essa è più facile di quanto si pensi.
[IN REVISIONE]
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Quando Regan scese in cucina per fare colazione, Deirdre emise un urlo strozzato.

“Cos’hai sul collo?! Fammi vedere.”

Gli corrse incontro, gli strinse il mento tra pollice e indice e glielo tenne sollevato, girandogli la testa da un lato e dall’altro per esaminare i lividi più da vicino.

“Nonna…” mugugnò Regan e diede un paio di schiaffetti alla mano di Deirdre per incoraggiarla a mollare, o quantomeno allentare, la presa, “Non è niente, guarirà in poche ore.”

“Sembrano le impronte di una mano. Come te le sei procurate? Ieri non ce le avevi.”

Per un breve momento, Regn prese in seria considerazione l’idea di rifilarle una balla, perché voleva evitare di causarle ulteriore stress. Alla fine, siccome non sarebbe mai riuscito inventarsi una storiella credibile così su due piedi, optò per la verità.

“La ‘presenza’ mi ha fatto visita stanotte. Quando sei entrata in camera mia se n’era appena andata.”

Deirdre impallidì e lo abbracciò di slancio, tastandolo un po’ ovunque per appurare che non fosse ferito. Poi gli circondò il visto con le mani e ricambiò il suo sguardo. Regan si preparò a venire bombardato di domande.

“Che ti ha fatto? Cosa voleva? Cos’era?”

“Ha cercato di strangolarmi. Non so cosa volesse. Sono convinto che si tratti di un demone.”

Deirdre lo pilotò verso il tavolo e lo spinse a sedersi facendo pressione sulle sue spalle. Dopodiché, gli ordinò di raccontare. Regan le riassunse l’incontro, cercando di non tralasciare alcun dettaglio, perché se desiderava risolvere quel mistero, avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile.

“Mi stai dicendo che non siamo al sicuro nemmeno a casa nostra?” gli chiese la nonna.

“Non lo siamo mai stati, temo.”

“Dovrò tracciare delle rune su porte e finestre.”

“Io approfondirò le ricerche.”

“Regan, sta’ attento. Non sai di cosa è capace.”

“Vorresti che lasciassi perdere?”

“Non voglio che tu corra rischi inutili. Innanzitutto, ti occorre protezione.”

Deirdre si alzò per andare in camera e recuperare una cappelliera dall’armadio. La aprì in cucina e, sotto lo sguardo curioso di Regan, estrasse vari barattoli contenenti foglie, semi e radici. Quando l’odore delle erbe gli stuzzicò le narici, Regan starnutì violentemente.

“Salute.”

“Che hai intenzione di fare con quelle?”

“Da bambina, quando ancora vivevo con la mia congrega, in Irlanda, ho imparato come preparare infusi, incensi e decotti, come distinguere le piante velenose, come riconoscere quelle con virtù curative… o quelle per tenere lontano il male, che è ciò su cui ci concentreremo. Questo, per esempio, è l’artiglio del diavolo.” prese le forbici da cucina e tagliò un pezzettino di radice, mettendolo da parte, “Lo mischieremo al garofano e al rosmarino, per incrementare sia il potere di protezione che il flusso dell’energia mentale.”

Radunò le tre piante, le infilò in un piccolo sacchettino di stoffa che estrasse dal fondo della scatola e lo chiuse con lo spago. Quindi bruciò una bacchetta di incenso e tenne il sacchetto sospeso sopra il fumo per minuti interi. Non appena la bacchetta terminò di bruciare, porse l’amuleto al nipote.

“Tieni, mettilo in tasca. Non perderlo. La sua efficacia durerà sette giorni, poi andrà rifatto.”

Non appena Regan toccò il sacchetto, una forza invisibile lo scaraventò a gambe all’aria, mandandolo a schiantarsi contro la libreria. Dei libri caddero dagli scaffali e precipitarono a terra con un tonfo. Uno lo colpì sulla testa dalla parte della costola, per poi andare a far compagnia agli altri sul pavimento con un lieve tud.

Deirdre rimase impietrita a fissarlo, pallida come un fantasma. La mano che ancora reggeva il sacchetto tremava, l’altra era aggrappata al bordo del tavolo.

Nonna e nipote si scrutarono in silenzio. Un’intera conversazione passò tra i loro sguardi.

Fu Deirdre la prima a riscuotersi: “Va bene, nessun problema. Esistono vari tipi di amuleti.”

“Nonna, io-”

“Taci. Ho detto che non c’è problema.” lo interruppe in tono secco, “Non mi è mai importato cosa sei, Regan.”

“Ma la radice respinge il male…” mormorò cupo, raggiungendola di nuovo in cucina.

“Tieni presente che nel concetto magico di ‘male’ rientrano tutte le creature che, per loro natura, sono considerate cacciatrici di innocenti. Tu sei metà vampiro, e i vampiri cacciano gli umani per nutrirsi del loro sangue. Gli amuleti come questo sono universali, funzionano con tutto. Nel tuo caso, devo solo trovare il modo di personalizzarlo.”

“Intendi creare una barriera intorno a me che mi isoli dall’influsso delle erbe senza annullare il loro effetto?”

“Sei perspicace.”

“È possibile?”

“Non lo so. Non l’ho mai fatto, ma tentar non nuoce.”

“Parla per te.” borbottò Regan mentre si massaggiava la nuca dolorante.

“Mmm… proviamo con la corteccia di betulla. Anche questa ha lo scopo di esorcizzare il male.”

Deirdre sfilò da un altro barattolo una scheggia sottile e la affiancò a dei semi di aneto e un pizzico di sale. Chiuse i tre ingredienti in un sacchetto diverso e glielo offrì. Regan lo prese, titubante. Stavolta, il suo palmo si ustionò.

Deirdre schioccò la lingua, recuperò il sacchetto e lo gettò da parte: “D’accordo, vediamo con questo. È cedro del Libano, originario della Mesopotamia. Ci aggiungiamo dei semi di lino e, uhm, ginepro e cannella, che sono due ingredienti connessi al tuo segno zodiacale, il leone. Dovrebbero proteggerti dagli influssi del cedro e dei semi.”

Li chiuse in un terzo sacchetto e con un cenno gli intimò di prenderlo. Regan fece una smorfia e obbedì. Per un momento non accadde niente. Prima che potessero cantare vittoria, però, Regan percepì una violenta contrazione allo stomaco, seguita da un bruciore allucinante all’esofago che lo costrinse a piegarsi in due a causa del dolore. Subito dopo, vomitò sangue sul pavimento.

Allarmata, Deirdre si accovacciò al suo fianco, spinse via il sacchetto e gli accarezzò dolcemente la schiena per calmarlo.

“Non preoccuparti, leprotto, troverò il modo di minimizzare i danni. Magari esiste qualcosa che possa fungere da scudo, una polvere, un olio… procederemo per tentativi.”

Regan, rannicchiato in posizione fetale in mezzo a una pozza del proprio sangue, emise un grugnito rassegnato.

“Mi dispiace, non c’è altro modo.” provò a consolarlo la nonna.

Un paio di minuti più tardi, non appena si fu assicurata che il nipote si sarebbe ripreso, tornò a sedersi e tirò fuori dalla cappelliera tutti i barattoli, raggruppandoli in ordine sul tavolo. Infine, strinse tra le mani un diario rilegato dall’aspetto vissuto, che Regan sapeva contenere delle ricette.

Il ragazzo la osservò leggere per un po’ dalla sua posizione prona sul pavimento. Quando la vide venire assorbita dalla lettura, capì che non l’avrebbe distolta finché non avesse trovato ciò che cercava. Quindi si rialzò a fatica e si tolse la felpa macchiata di sangue, con la quale si pulì il viso alla bell’e meglio. Massaggiandosi il collo dove i lividi lasciati dal demone spiccavano sulla pelle chiara, si ritirò in bagno per farsi una doccia.

Durante la giornata dovette interrompere lo studio parecchie volte per scendere in cucina a fare da cavia per gli esperimenti di Deirdre. Le uniche cose che guadagnò furono bernoccoli, lividi e bruciature. Almeno non vomitò più sangue.

Deirdre era ben lungi dal darsi per vinta. “Sono vicina, lo sento” ripeteva dopo ciascun fallimento, scatenando in Regan scariche di brividi che non avevano nulla a che vedere con il freddo.

Era da poco passata l’ora di pranzo quando Deirdre lo chiamò per la decima volta. Dato il caos che c’era sul tavolo, avevano mangiato in piedi un panino con prosciutto e una banana.

Regan la raggiunse e si mise ad analizzare con cipiglio critico il ciarpame ammassato sul tavolo e sulle sedie. Si soffermò sugli scrigni dei cristalli. Erano quattro, predisposti in fila sul lato destro del tavolo. Quello sinistro era occupato dalle erbe, mentre le sedie dalle polveri e dalle rune. Anche l’ordine interno a ciascun gruppo era stato valutato con cura. Infatti, Deirdre gli aveva spiegato che c’erano dei cristalli, delle erbe e delle polveri che non potevano venire associati tra loro, perciò bisognava disporli ai lati opposti come i poli.

“Ecco, proviamo con il diaspro rosso.” propose Deirdre, afferrando la pietra in questione da uno scrigno, per poi illustrare il proprio ragionamento, “Le pietre rosse sono legate al sangue e al fuoco. Sono considerate sacre in molte culture. Questa dovrebbe aiutarti a rafforzare il corpo e lo spirito, per controbilanciare l’influsso delle erbe.”

Con una punta di timore, Regan strinse il diaspro in un palmo e l’amuleto nell’altro. Un secondo più tardi, venne scagliato indietro, verso il salotto, vittima di un’onda d’urto tre volte superiore a quelle precedenti. La schiena cozzò contro il divano, che si ribaltò portando Regan con sé sino a farlo finire a pancia all’aria.

“Ahi…” grugnì dal pavimento.

“Ah. In effetti, un’altra funzione del diaspro è rafforzare gli incantesimi. In questo caso, credo che abbia agito sull’amuleto.” ridacchiò nervosa, “Ops.”

Un secondo grugnito provenne da dietro il divano. Deirdre fece una smorfia e si rimise al lavoro. Poe, invece, andò ad acciambellarsi sul torace di Regan per giudicarlo dall’alto e ridere felinamente di lui.

Nel pomeriggio, mentre leggeva un libro sui miti aztechi spaparanzato sul letto, Regan ricevette una telefonata da Roman. Se l’aspettava, perciò non ne fu sorpreso. Anzi, si chiese perché ci avesse messo così tanto.

“Ciao. Regan. Come stai?” si sentì chiedere non appena si portò il cellulare all’orecchio.

“Bene. Tu?”

“Bene. Ehm… okay, verrò dritto al punto. Riguardo a ieri sera… ti va di parlarne?”

“Di cosa dobbiamo parlare?”

“Regan, per favore.”

“Okay, okay. Ti ascolto.”

“Cosa è successo con le ragazze? Eri parecchio su di giri, e non negarlo.”

A quel punto, ritenne fosse più saggio mentire, dato che l’alternativa era spiattellare a Roman il suo segreto. Non poteva certo dirgli “Sai, sono per metà vampiro e ieri ho banchettato con quelle sgualdrine fino a riempirmi la pancia”. Qualcosa gli suggeriva che l’amico non l’avrebbe presa nel migliore dei modi.

“Onestamente, i ricordi degli eventi di ieri sera sono un po’ sfocati. Non so perché. Forse Lorie mi ha messo qualcosa nel succo che mi ha offerto quando sono andato a casa sua nel pomeriggio. Io non ho preso niente, giuro. Almeno non di mia spontanea volontà.”

“D’accordo. Dovresti discuterne con Lorie, però. Ciò che ha fatto, se davvero lo ha fatto, è grave. Saresti potuto finire in ospedale.”

“Ma non è successo. Sto bene, sul serio.”

“Okay. Ehm. C’è un’altra cosa…”

“Vuoi parlare del bacio.” lo anticipò Regan, già annoiato a morte.

“Sì. Eri lucido?”

“Abbiamo appena detto che, probabilmente, sono stato drogato e tu mi domandi se ero lucido?”

“Quindi mi sono approfittato di te?”

“No, Roman. Mi ricordo. Mi è piaciuto.”

“Ah. Okay. Anche a me.” si schiarì la gola, “Pensi che potremmo-”

“Questo non significa che tra noi cambierà qualcosa.” lo interruppe Regan, sedando sul nascere qualsiasi proposta, poiché aveva già abbastanza pensieri per la testa.

“Certo! Nessun problema. Faremo come se non fosse mai accaduto.”

Ignorare la delusione che grondava dalle sue parole, pronunciate come se qualcuno gliele stesse strappando con la forza, fu una scelta deliberata.

“Ottimo. C’è altro? Perché dovrei tornare a studiare. Sono indietro con i compiti.”

“Oh. Sì, scusa. Non volevo disturbarti, ero solo preoccupato per te. Allora… ci vediamo lunedì a scuola?”

“Sì. Ciao, Roman.”

“Ciao…”

Regan riattaccò, buttò il cellulare sulle coltri e si strofinò il viso per sfogare l’irritazione, conscio di avere la sua dose di colpe. La notte scorsa, alla festa, aveva soltanto voluto divertirsi, sperimentare. Non aveva considerato le conseguenze delle proprie azioni.

Col senno di poi, non era stata una buona idea baciare Roman. Lì per lì gli era sembrato allettante. Le occhiate che l’amico gli aveva lanciato lo avevano convinto a provare, e l’entusiasmo con cui Roman aveva risposto al bacio aveva contribuito a far evaporare qualsiasi dubbio. Tuttavia, l’ultima cosa che gli serviva era una cotta non corrisposta, per giunta da parte del suo più fedele alleato. Se non stava attento, Roman avrebbe potuto rovinare i suoi piani. Doveva tenerlo al guinzaglio corto, per evitare che la sua gelosia gli alienasse le simpatie del suo nuovo entourage.

A proposito di entourage. Riportando alla memoria ciò che era successo a casa di Lorie, non riuscì a fermare il ghigno che gli arricciò le labbra. Era stato… illuminante, in più di un senso. Aveva realizzato tante cose in quel breve lasso di tempo. Per esempio, che non aveva bisogno di uccidere le sue prede. Se ne aveva più di una a disposizione, poteva bere un po’ da tutte senza metterle in pericolo, purché non mischiasse il suo sangue al loro.

Deirdre gli aveva spiegato che un vampiro era in grado di generarne un altro se, dopo essersi nutrito della vittima, mischiava il proprio sangue al suo mentre il cuore batteva ancora. Ora, Regan lo era solo per metà, quindi non sapeva se funzionava allo stesso modo. Comunque, era meglio non rischiare.

In secondo luogo, aveva scoperto di possedere la capacità di manipolare le menti. Non sapeva come attingere a quel potere consapevolmente, dal momento che non gli era mai capitato. Non era chiaro in quali occasioni e come avvenisse, se attraverso il contatto, la voce o lo sguardo, ma di sicuro avrebbe imparato. Era un’arma troppo utile per non coltivarla appieno.

Eppure, doveva ammettere che era stato strano. Perché non era mai riuscito a farlo, prima d’ora? Era forse un’abilità che acquisiva solo quando beveva il sangue delle sue vittime? Oppure si presentava durante l’adolescenza, come uno degli effetti collaterali della pubertà, tipo i brufoli?

Qualunque fosse il motivo, l’importante era mantenere Deirdre all’oscuro, in maniera tale che non interferisse. Regan rabbrividiva al pensiero di cosa lo aspettava se avesse lasciato trapelare i suoi piani. In soffitta c’erano ancora le corde. Deirdre non se n’era mai disfatta, preferendo conservarle in vista di qualche “tragica eventualità”.

“Regan, scendi! Credo di aver trovato la soluzione!”

Il ragazzo scese le scale e la raggiunse di nuovo in cucina. Puntando gli occhi sul cristallo che la nonna stava assicurando a un laccio di cuoio, inarcò un sopracciglio con palese scetticismo.

“Di cosa si tratta?”

“È una pietra di luna. Le sue proprietà sono di natura psichica, per lo più. Cioè, rafforza la mente e le percezioni. Il fatto che tu abbia avuto delle visioni, che poi si sono rivelate veritiere, indica che possiedi dei poteri psichici, in aggiunta alla innata sensibilità per il soprannaturale. Se abbiniamo la pietra di luna all’amuleto, in teoria dovrebbe accadere una cosa del genere: la tua energia di base si rigenererà di continuo, aiutandoti a resistere all’effetto repellente delle erbe. Se togli l’amuleto e resti con la pietra, l’energia di base verrà incrementata di almeno tre volte, rendendoti suscettibile a visioni e sogni premonitori. Ovviamente, è una soluzione temporanea, giusto per guadagnare un po’ più di tempo per trovare qualcos’altro. Provalo.” lo esortò, offrendogli la collana.

Regan la indossò e rimase immobile, pronto a sfilarsela al minimo accenno di dolore.

“Non avverto nulla di diverso.” disse dopo una manciata di secondi, con enorme sollievo.

Deirdre gli porse il sacchettino di erbe. Regan esitò ad accettarlo.

“Sei certa che funzionerà? La mobilia sta tremando di paura, non la senti? Se la libreria potesse parlare, si lamenterebbe del trattamento che le abbiamo riservato.”

“Zitto e prendi questo dannato amuleto.” sputò seccata, al limite della pazienza, poiché poteva sopportare solo un certo numero di fallimenti senza cedere al nervoso.

Regan ubbidì con una smorfia rassegnata e si preparò al peggio. Incredibilmente, percepì giusto una leggera debolezza. Al che raddrizzò la schiena e guardò la nonna con un mezzo sorriso.

“Funziona!”

“Davvero?”

“Mi sento un po’ stanco, ma almeno non sono esploso.” scherzò.

“Stanco, dici? Mmm… potrei spalmare sopra la pietra un unguento fatto con salvia e un pizzico di Hierochloe odorata, per incrementare gli effetti…” mormorò tra sé e sé, “Ridammelo, finisco di perfezionarlo. Per sicurezza, comunque, infila l’amuleto in fondo allo zaino, d’accordo? Deve essere a contatto con te, non necessariamente addosso a te.”

“Agli ordini. E per le difese intorno alla casa?”

“Disegnerò delle rune sugli infissi di porte e finestre nei prossimi giorni. Adesso smettila di distrarmi e fila a studiare. Più tardi devo andare di sotto, ho due cremazioni e un’imbalsamazione di cui occuparmi.”

“Okey-dokey!” esclamò senza alcun entusiasmo e si ritirò ancora una volta in camera.

 
*

Sfoggiando un’aria da funerale, Roman scese le scale a passi felpati per andare a sgraffignare di nascosto dei biscotti. La telefonata con Regan gli aveva lasciato un sapore amaro in bocca. Aveva bisogno di qualcosa di dolce e cioccolatoso.

La casa sembrava vuota, alquanto strano per un sabato pomeriggio. Non captò alcun battito cardiaco quando si affacciò nel corridoio che conduceva alla biblioteca. Vide che la porta accostata e le luci spente. Nessun rumore nemmeno dal giardino. Beh, meglio per lui.

Giunto in cucina, aprì la credenza per estrarre un grosso barattolo di vetro in cui erano contenuti i biscotti e lo posò sul tavolo. Si sedette, rimosse il coperchio e, umettandosi famelico le labbra, affondò le mani nel barattolo.

I ricordi della notte passata tornarono a tormentarlo, riproducendo a oltranza, come un disco rotto, tutti i particolari. Lo stomaco si annodò e le viscere si contrassero dolorosamente. Un biscotto minacciò di tornargli su, ma Roman si concentrò sulla respirazione e riuscì a tenerselo dentro.

Non era stupito, di per sé, della proposta di Regan di dimenticare l’accaduto. Ciò non significava che ne fosse contento. Una parte di lui si era aggrappata alla speranza di essere ricambiato. Baciare qualcuno non equivaleva ad un atto d’amore, lo sapeva, soprattutto tra adolescenti. Roman stesso aveva baciato delle persone soltanto per togliersi lo sfizio o distrarsi da altre faccende.

Tuttavia, Regan era diverso. Non gli sembrava il tipo da iniziare un contatto intimo di quel livello senza dei solidi sentimenti a guidarlo. Bastava vedere come reagiva agli abbracci. Le dimostrazioni di affetto lo mettevano a disagio, questo era palese. E, okay, alla festa non era lucido, ma se ricordava tutto voleva dire che era anche padrone delle sue azioni, entro un certo limite. Se davvero non fosse stato attratto da Roman, almeno un pochino, non gli sarebbe mai venuto in mente di baciarlo. Giusto?

Al contempo, capiva le sue ragioni sul non voler approfondire la cosa. Si conoscevano da poco e la loro amicizia era appena agli albori, ancora traballante nonostante i discorsi. Metterla a rischio per imbarcarsi in una relazione così presto non sarebbe stato saggio. Se non avesse funzionato, avrebbero perso tutto ciò che avevano costruito. Roman non era pronto a porre fine al loro rapporto, né ora né mai, non importava di che natura fosse. Se Regan desiderava soltanto essergli amico, lo avrebbe accettato. Almeno per il momento.

Mentre masticava assorto un altro biscotto, decise che andava tutto bene. Anzi, forse era meglio accantonare la questione di Regan a favore di una più pressante, come la conversazione che aveva origliato tra i suoi genitori.

Come evocata, Tamara entrò in cucina attraverso la porta che si affacciava sul cortile sul retro, sporca di fango e spettinata. Gli abiti, al contrario, erano puliti.

“Cosa stai facendo con quei biscotti?!” abbaiò prima che Roman potesse aprire bocca.

Il ragazzo incassò la testa nelle spalle ed ebbe la decenza di apparire colpevole: “Ehm… avevo fame…”

“Li avevo nascosti!”

Roman si indicò il naso, ma richiuse subito il barattolo e lo ripose dove lo aveva trovato.

“Dove eri? Dove sono gli altri?” la interrogò, squadrandola da capo a piedi, “Ti sei trasformata in pieno giorno per una corsetta nel bosco?”

Tamara serrò le labbra e distolse lo sguardo. Roman si accigliò. Poiché la risposta tardava ad arrivare, annusò l’aria per carpire da solo qualche dettaglio.

“Eri con papà. Che avete fatto?”

“Niente. Una corsetta, come hai detto. Volevamo sgranchirci le gambe.”

“Bugia. Ma va bene, non indagherò. Piuttosto, c’è una cosa di cui vorrei parlare. Ieri, di ritorno dalla festa, ho sentito parte di quello che vi siete detti tu e papà. Cos’è che papà non vuole che io sappia? Ed è vero che dovrò prendere il posto di Declan? Ci ha lasciati definitivamente? Perché sono sempre l’ultimo a sapere le cose?”

Sua madre esalò un sospiro rassegnato. Raggiunse il tavolo, cadde a peso morto sulla sedia più vicina e si prese la testa fra le mani, immergendo le dita tra i capelli. Le ritirò stringendo foglie secche e rametti, che lasciò cadere sul pavimento.

“Non è compito mio parlartene, spetta a tuo padre.”

“E lo farà, se glielo chiedo?”

“Non penso.”

“Allora dimmelo tu.”

Tamara sospirò di nuovo. Aveva borse scure intorno agli occhi e i suoi lineamenti erano tesi a causa dello stress. Era chiaro che, qualunque cosa fosse, doveva essere parecchio importante.

Roman cambiò argomento, nella speranza di arrivare al punto facendo il giro largo: “Che mi dici di Declan?”

“La sua posizione è ancora incerta. Questo non fa che acuire la frustrazione di tuo padre. Ciò che Declan non capisce è che i suoi continui tentennamenti ci rendono tutti vulnerabili, e non solo ad attacchi esterni. Siamo deboli, confusi, instabili. L’assenza di un Secondo fa male al branco e al suo alfa. Anzi, a lui più degli altri.”

“Papà non mi considera all’altezza, vero?”

“Solo perché sei giovane.”

“Declan ha cominciato l’addestramento da cucciolo.”

“Sei giovane e non hai esperienza.” rettificò Tamara e si alzò per versarsi un po’ d’acqua del rubinetto in un bicchiere.

“Perché, Declan ne ha?” rilanciò piccato Roman, incrociando le braccia sul torace.

“È diverso. Lui è tagliato per quel ruolo, ce lo ha nel sangue.”

“Certo, certo.” sventolò una mano con aria annoiata, “Resta il fatto che non lo vediamo da mesi. Se questo non è già un indizio lampante sulle sue intenzioni...”

“Hai ragione, Roman. Non pensare che io condivida l’opinione del nostro alfa, so qual è la verità. Il mio istinto di madre conosce il verdetto da mesi: Declan ci lascerà. Ma Vince si rifiuta di accettare la realtà. È convinto che Declan tornerà presto, quindi sta prendendo tempo e accampando scuse, quando invece potrebbe iniziare ad addestrare te. È su questo che litigavamo.”

Roman sorrise amaro e fece spallucce: “Sono sempre stato la seconda scelta, e mi va bene. Non sono mai stato invidioso di Declan, giuro. È ovvio che lui sarebbe perfetto come Secondo, sembra che quel ruolo gli sia stato cucito addosso non appena è nato. Però, se non vuole, non possiamo costringerlo. Papà dovrà accontentarsi di me.”

“Roman…”

“Non vedo altre vie d’uscita, ma’. Dovrò iniziare dalle basi e lavorare sodo per raggiungere lo stesso livello di Declan in così poco tempo, ma posso farcela.”

“Possiamo aspettare…”

“Aspettare cosa? Che Declan riappaia come per magia? Non c’è tempo. Come hai detto tu, il branco è instabile. Qualcuno deve farsi avanti e occupare la posizione di Secondo, e io sono l’unico, possibile candidato.”

“Non è giusto.”

“Non lo è, ma che importa? È così e basta. Quindi, per favore, di’ a papà che sono pronto.”

Tamara lo abbracciò stretto e premette il naso tra i suoi capelli, inspirando il suo odore a pieni polmoni. Le lacrime le appannarono la vista, ma non permise loro di oltrepassare la barriera delle ciglia. Era orgogliosa di Roman, della sua forza. Ce ne voleva tanta per accollarsi una tale responsabilità, specialmente in un periodo difficile come quello che stavano attraversando.

Quando si staccò, osservò il viso di suo figlio con affetto. Gli accarezzò una guancia, il collo, la nuca, per poi stringergli le spalle e sporgersi per stampargli un bacio sulla fronte.

“Sono fiera di te.” sussurrò sulla sua pelle.

“Grazie. Ora ho qualche possibilità di estrapolarti le informazioni che mi stai nascondendo?”

“No.”

“Che palle.” bofonchiò, poi deglutì nervoso, “Ma’, posso farti una domanda? Non c’entra nulla con papà e Declan.”

“Sì, certo.” rispose Tamara e gli sorrise incoraggiante.

“Cosa mi puoi dire del legame tra compagni?”

“Ti riferisci ai… veri Compagni? L’anima gemella di un lupo?”

“Sì. Come si fa a riconoscerla?”

“Roman, è solo una leggenda.” ridacchiò divertita.

“Alcuni affermano che è vero!” protestò.

“Bah.”

“Cosa sai?” insisté il ragazzo.

“La leggenda,” sottolineò per evitare fraintendimenti, “narra che per ogni licantropo esista un’anima gemella, un vero Compagno, che il lupo riconosce dall’odore. Il che significa che è una cosa istintiva, non ha niente a che vedere con la parte umana e razionale. L’odore del vero Compagno è una specie di droga: una volta fiutato, se ne diventa dipendenti. È un odore che fa cantare il sangue, che spinge il lupo a ululare anche senza luna. Inoltre, si dice che quando un licantropo incontra il suo predestinato, il lupo sorga per rispondere al richia…” sgranò gli occhi e scrutò il figlio con espressione scioccata, “…mo. Oh… oh! Tu hai… lo hai… come? Chi è? Ne sei sicuro?”

“Mamma, calmati, mi stai spaventando.” balbettò Roman, indietreggiando lentamente verso la porta di cucina.

“La tua trasformazione… il tuo lupo è sorto in anticipo per rispondere al richiamo del tuo Compagno!”

“Ma hai detto che è una leggenda!”

“È l’unica spiegazione. Come ho fatto a non pensarci? Io, tuo padre e i tuoi zii ci siamo scervellati per giorni per capire come fosse potuto accadere. È straordinario, Roman, lo capisci? Raggiungere l’ultimo stadio della trasformazione alla tua età è rarissimo. Un caso su un miliardo.”

“D’accordo, sono lusingato e tutto, e ti ringrazio, ma… non stiamo correndo troppo? E perché ora non ti fai problemi a credere a una leggenda?”

“Perché vuoi sapere come riconoscere un Compagno?” controbatté, appoggiando le mani sui fianchi.

Roman vagliò rapidamente una decina di scuse. Però, quando nessuna di esse risultò plausibile, si arrese.

“Credo di averlo incontrato. Credo! Non ne sono sicuro. Per questo motivo te l’ho chiesto.”

“Hai usato il maschile. È un maschio?”

“Sì…”

“Oh. Beh, queste cose non si possono decidere. Ti sta bene che sia un maschio?”

“Non è un problema. Ma non so se sia davvero lui.”

“Voglio conoscerlo.”

“Mamma. Ti prego. No.”

“Perché?”

“Perché no!”

“State insieme?”

“Siamo amici, e lui non sembra interessato a…” gesticolò impacciato, indicando prima la cucina e poi se stesso, “Insomma, hai capito.”

“Se è il tuo Compagno, dovrebbe avvertire anche lui l’attrazione. È una cosa reciproca. Aspetta, è un licantropo?”

“No, è umano.”

“Okay. Vince lo trasformerà.”

“No! Ti supplico, puoi mantenere il segreto per un po’? Non sono pronto a tuffarmi in una storia a lungo termine, con tutto quello che sta succedendo. Non è il momento. Volevo solo avere qualche informazione in più.”

“Tesoro, unirti al tuo Compagno dovrebbe essere un istinto naturale molto potente e motivo di gioia. Stargli lontano non risolverà le cose, le peggiorerà. Questo, stando alle leggende.” disse, ma l’occhiata implorante che le scoccò Roman la fece capitolare, “Va bene, farò delle ricerche più approfondite sull’argomento e terrò la bocca chiusa. Ma esigo che tu lo inviti a cena, preferibilmente entro la fine dell’anno.”

“Affare fatto. Grazie.” sospirò sollevato e, per impedire che ripartisse all’attacco, girò i tacchi e corse a rifugiarsi in camera.

Se doveva essere onesto con se stesso, si sentiva atterrito alla prospettiva che Regan fosse sul serio la sua anima gemella. L’idea dei Compagni lo elettrizzava, era un concetto romantico, quasi fiabesco. Il problema era la persona. Regan non era facile da gestire o comprendere. Roman faceva fatica a stargli dietro, soprattutto di recente. Non sapeva ancora se fossero compatibili. A volte sembrava di sì, altre aveva l’impressione di trovarsi in balia di una tempesta. Solo il tempo gli avrebbe dato le risposte che cercava.

 
*

Domenica pomeriggio, nel seminterrato di casa McLaughlin, Regan era intento a truccare il cadavere di una donna, quando il cellulare cominciò a vibrare nella tasca dei jeans. Bloccò qualsiasi movimento e spiò Deirdre con una smorfia e una scusa pronta sulla punta della lingua. Lei lo guardò male per qualche secondo, poi gli fece cenno di interrompere e salire di sopra.

Regan si tolse velocemente i guanti, salì i gradini a due a due e si richiuse la porta alle spalle. Dopo aver estratto il cellulare e letto sullo schermo il nome di Lorie, roteò gli occhi e si preparò all’ennesima recita. Era divertente a volte, ma spesso era solo sfiancante.

Accettò la telefonata solo quando il suo posteriore si adagiò sul divano: “Hey, Lorie.”

“Ciao, amore. Che fai?”

Lorie aveva preso a chiamarlo “amore” da venerdì. A Regan non dispiaceva, purché la ragazza non si montasse la testa.

“Aiutavo mia nonna nel lavoro.”

“Cioè? Sono curiosa.”

“Stavo applicando il trucco sulla faccia di un cadavere. I familiari verranno tra un’oretta circa a riprenderlo in una bara.”

“E non ti fa impressione? Insomma, è gente morta.”

“Abitudine. Perché hai telefonato?”

“Dev’esserci per forza una ragione?”

“Sì.”

“Beh, mi andava di sentire la tua voce. Ieri ero ancora nella fase post-sbornia, ma oggi mi sono ripresa e mi sono detta ‘sentiamo cosa sta facendo il mio amore’. Mi dispiace averti disturbato.”

“Fa niente. Non posso restare a chiacchierare, però. Mia nonna ha bisogno di me.”

“Certo, sì, ovvio. Ehm… cosa fai più tardi? Pensavo, non so, ti va di venire da me? Possiamo guardare un film, ordinare una pizza. I miei sono fuori.”

“Non sai quanto vorrei, davvero. Non sono uscito una sola volta dalla festa, mi sento soffocare. Ma ho un test di Chimica domani, devo finire di studiare.”

“Potrei aiutarti… ti ricordo che frequento il terzo anno.”

“Lorie, se venissi da te faremmo tutto fuorché studiare.”

 “Mi manchi!” sbottò in tono petulante.

“Ci vediamo domani a scuola.”

“E se ti dicessi che adesso sono nuda, sdraiata sul letto, con solo un sottile lenzuolo a coprire il mio corpo?”

Regan inarcò un sopracciglio e, ghignando, rispose: “Grazie per l’immagine, mi terrà compagnia stanotte.”

“Sei cattivo.”

“Mi farò perdonare domani, promesso.”

“Uffa. Va bene, secchione, studia per il tuo test.”

“A domani. Un bacio.”

“Dove?”

“Dove vuoi tu.”

Riattaccò senza smettere di ghignare. Dio, quanto se la stava spassando. Era stato sincero quando le aveva detto che avrebbe tanto voluto andare da lei: gli effetti della dose di venerdì erano già svaniti e gli era tornata sete. Tuttavia, Deirdre aveva bisogno di lui per ultimare i preparativi e il libro di Chimica lo attendeva sulla scrivania. Si consolò pensando che, l’indomani, avrebbe affondato di nuovo le zanne nei colli delle sue schiave. La mera fantasia gli fece venire l’acquolina in bocca.

Due ore dopo, il furgone con la bara in cui era conservato il loro ospite liberò il posto auto davanti casa, solo per venire rimpiazzato subito da una volante della polizia. Hillary scese, sbatté la portiera e improvvisò una corsetta sul vialetto. 

“C’è sempre un gran via vai da queste parti, eh?” esordì scherzosa.

“Zia Hillary! Non sapevo saresti passata.” la salutò calorosamente Regan e l’abbracciò stretta.

Non gli sfuggirono le occhiaie e il pallore del suo viso. Sotto la divisa pareva addirittura dimagrita, l’assenza del rotolino sopra i fianchi un segnale evidente. La invitò in casa e le indicò una sedia al tavolo di cucina.

“Accomodati. Gradisci del tè?”

“Sì, grazie. Deirdre?”

“Sta pulendo di sotto. Vado ad avvisarla che sei qui.”

Regan mise la teiera sui fornelli, tirò fuori le tazze e poi scese nel seminterrato.

Cinque minuti più tardi, tutti e tre sedettero in cucina di fronte a una tazza di tè bollente. Il profumo del bergamotto permeava l’ambiente.

“Non resterò a lungo. Volevo solo venire a trovarvi. La vostra compagnia riesce sempre a risollevarmi il morale.” disse Hillary mentre beveva il suo tè a piccoli sorsi.

“Cos’è successo, cara?” indagò Deirdre, notando il turbamento dell’amica.

Hillary sbuffò e abbozzò una risata priva di allegria: “Succedono tante cose, di continuo. Non ricordo nemmeno l’ultima volta che ho dormito per più di tre ore di fila. Praticamente vivo in centrale. Giuro, sono sull’orlo di un esaurimento nervoso. Uno di questi giorni potrei mettermi a ballare nuda in strada.”

“E noi saremo lì a immortalare il momento per i posteri.” scherzò Regan, “Allora, quante cose assurde ti sono capitare ultimamente? Ci sono stati altri serpenti parlanti?”

“No, niente serpenti. In compenso, tre notti fa una signora ha fatto irruzione dal veterinario e ha tentato di liberare tutti gli animali dalle gabbie. Per fortuna c’erano le telecamere ed è scattato l’allarme. Poi ad Halloween dei ragazzi hanno disegnato con le bombolette spray simboli blasfemi sui muri della chiesa. Quando il pastore Higgins ha chiamato, era su tutte le furie. Stamani, invece, un gruppo di studenti delle medie ha deciso di fare un pic-nic sul cornicione della scuola. Come siano riusciti a entrare proprio non lo so. Hanno detto di aver trovato la porta aperta, ma le serrature erano sigillate con dei lucchetti e le finestre si possono accostare solo nella parte in alto e non abbastanza per farci passare un bambino di dodici anni. La follia dilaga ovunque…”

Deirdre e Regan si scambiarono un’occhiata eloquente, condita con lievi movimenti delle sopracciglia e cenni del capo. Alla fine, Deirdre si schiarì la gola e introdusse l’argomento spinoso della settimana.

“Hillary, come vanno le cose con i coniugi Bruce? Ci sono novità sul piccolo Timothy?”

“Macché! Zero. Nada. Vicolo cieco. Proprio come con Teresa Meyers. Non abbiamo uno straccio di indizio. Abbiamo interrogato parenti, amici, conoscenti, ma nulla. Il panico e la rabbia stanno aumentando. Quando hanno saputo di Timothy, i Meyers sono venuti nel mio ufficio. La discussione è degenerata in fretta. Hanno accusato me di non saper fare il mio lavoro e i miei agenti di essere braccia rubate ai campi.”

Regan fece una smorfia. Hillary andava fiera della sua posizione e del lavoro che svolgeva. Portava il distintivo come se fosse una medaglia all’onore, il simbolo del suo impegno per la città. Dava sempre il massimo, arrivando spesso a trascurarsi. Sentirsi rivolgere quelle parole, soprattutto nel bel mezzo di un’indagine impossibile, doveva averla destabilizzata parecchio.

Hillary nascose la faccia nei palmi e sospirò affranta: “Non lo so. Forse hanno ragione… forse ho perso il mio tocco.”

“Non ascoltarli. Non hanno la minima idea di come fare il tuo lavoro, sarebbero persi senza di te.” la rassicurò Regan, “Però, se pensi che ti farebbe comodo avere una mente fresca al tuo fianco, mi offro volontario.”

“Certo. Infatti, ora mostrerò a un minorenne i documenti riservati di un’indagine in corso. Continua a sognare, ragazzino.”

“Non è una cattiva idea.” si intromise Deirdre, “L’intelligenza di Regan è al di sopra della media e possiede acute capacità di osservazione. Quante volte ti ha sorpresa con un’intuizione geniale? Sai che ha talento.”

“Deirdre, andiamo! Un conto è stracciarmi a Cluedo, un altro è risolvere un vero caso di persona scomparsa. E poi resta un minorenne. Senza contare che appropriarsi dei documenti di un’indagine è contro la legge. Se mi scoprissero, verrei licenziata.”

“Beh, non dobbiamo per forza dirlo a qualcuno…” buttò lì Deirdre, sorseggiando con un aplomb invidiabile il suo tè, quasi stessero chiacchierando del tempo e non di commettere un crimine, “Potresti farci visita con quei documenti e fermarti a mangiare qualcosa. E se, mentre sei distratta dalla piacevole conversazione, Regan dà una sbirciatina ai suddetti documenti, come potresti saperlo?”

Hillary strabuzzò gli occhi e per poco non le andò di traverso il tè. 

“Sei seria?” boccheggiò.

“Che avresti da perdere? Il peggio che può capitare è che l’indagine rimanga al punto morto in cui è ora. Non possono licenziarti, cara, non avrebbero nessuno altrettanto preparato con cui sostituirti. Tutti lo sanno.”

Hillary tacque e rifletté per un paio di minuti sui pro e i contro. Non era una scelta da fare a cuor leggero, ne andava della sua carriera. Bastava un errore, uno solo, per farle scoppiare la bomba in faccia.

Una soluzione poteva essere fotocopiare i documenti e lasciare gli originali nel suo ufficio. Ma se qualcuno avesse controllato la memoria della fotocopiatrice, si sarebbe giustamente posto delle domande. Oppure poteva scattare delle foto. Ecco, già meglio.

Più convinta, squadrò le spalle e li fissò entrambi con determinazione: “Che c’è per cena martedì? Ho la serata libera.”

“Per te cucinerò il mio famoso pasticcio di funghi.” rispose Deirdre.

“Ah, è una vita che non lo mangio!”

Regan si imbronciò: “Perché cucini i piatti più buoni solo se abbiamo ospiti a cena?”

“Perché sì. Impara a cucinare e ne riparleremo.”

“Sadica.”

“Pigrone.”

Hillary scoppiò a ridere, molto più rilassata.

 
*

Regan stava pedalando con cautela sotto un muro d’acqua. Imbacuccato nell’impermeabile, percorse a velocità ridotta le strade che lo separavano dalla scuola, stando attento ai semafori e ai passanti. Aveva cominciato a piovere durante la notte e le previsioni meteo dicevano che il maltempo sarebbe durato fino al tramonto.

Giunto nel parcheggio del liceo, smontò dalla bici, la assicurò con il lucchetto alla transenna e corse verso l’entrata schermandosi il viso con le braccia, perché per di più pioveva a vento. Una volta al riparo, si tolse l’impermeabile e lo appallottolò per riporlo in una busta di plastica.

Mentre marciava in direzione dell’armadietto, non si accorse dei sussurri e delle occhiate degli studenti. La debolezza causata dall’amuleto era sì attenuata dalla pietra di luna che portava al collo, a contatto con la pelle, ma non tanto da mantenere costantemente i suoi sensi vigili e ricettivi agli stimoli esterni. Magari, più tardi, avrebbe provato con il sangue delle ragazze, per vedere se gli dava una spinta in più, abbastanza da superare la giornata.

Stava infilando il libro di Biologia nello zaino, quando udì qualcuno schiarirsi la gola dietro di lui. Si voltò e si trovò faccia a faccia con Charlotte e Jennifer. I loro visi erano contratti in una maschera di shock e divertimento. Al petto stringevano dei libri, a mo’ di scudo, ma la loro postura emanava in generale un’aura aggressiva.

“Regan.” lo salutò Charlotte, per poi puntare lo sguardo oltre la sua spalla, “Non vedi che stiamo parlando? Sparisci.” proferì seccata.

Regan colse di sfuggita il profilo del suo vicino di armadietto. John, Josh, qualcosa. Per un istante, i suoi occhi vennero calamitati dalla cicatrice a forma di mezzaluna che esibiva sul mento, ma il cervello lo liquidò appena il ragazzo si allontanò con la schiena ingobbita e la testa bassa.

“Charlotte. Come stai?”

“È vero quello che si dice in giro?” lo interrogò, senza perdere tempo in chiacchiere.

“Eh?”

“Riguardo a venerdì.”

Jennifer si intromise, vomitando le parole tutte d’un fiato: “Dicono che hai fatto sesso con Lorie, Vanessa, Mary e Claire prima di venire alla festa e che ora sei fidanzato con tutte e quattro. Che sei un dio a letto e che le ami tanto da volerle sposare subito dopo il liceo.”

Regan sbarrò le palpebre e boccheggiò, colto di sorpresa.

“Ehm… la prima parte è vera, anche se non siamo andati oltre i preliminari. No, non mi risulta di essere fidanzato con loro. Mi sento lusingato per il complimento. Non sapevo di volerle sposare.” rispose in ordine.

“Ah. In questo caso, ti consiglio di parlare con loro al più presto, prima che si sparga troppo la voce.” disse Charlotte, guardandosi intorno per fulminare con una serie di occhiatacce gli studenti troppo vicini.

“Si è già sparsa.” puntualizzò Jennifer.

“Beh, allora prima che la situazione degeneri!” sibilò a denti stretti.

“In che senso?” chiese Regan.

“Quelli della squadra di football ti assaliranno in mensa, o appena ti troveranno da solo, per parlare delle tue presunte relazioni. Se ti può consolare, Mike sembrava più colpito che furioso.”

“Grazie per avermi avvertito.” rivolse loro un sorriso e, al suono della campanella, volò in classe come un razzo.

Quando fece il suo ingresso a Francese, tra i compagni calò un silenzio tombale. I loro sguardi lo seguirono verso il banco, talmente penetranti da provocargli una minuscola scarica di brividi. Cessarono di scavare solchi nel suo corpo solo all’entrata del professore, ma qualcuno, durante la lezione, continuò a spiarlo. Stranamente, il posto di Roman rimase vuoto.

Per la pausa pranzo non si recò a mensa. Scrisse un messaggio di gruppo alle quattro cheerleader e diede loro appuntamento nell’aula di musica, che a quell’ora era sempre deserta. Le aspettò seduto sul piccolo palco rialzato che ospitava il pianoforte, al centro della stanza. Le sue dita tamburellavano sulle ginocchia, riflettendo il crescente nervosismo.

Non appena le ragazze scivolarono dentro l’aula, ognuna con un sorriso eccitato dipinto sulle labbra, Regan indurì l’espressione e strinse le mani a pugno. Le osservò impietrirsi sul posto, a due metri di distanza da lui, e abbassare la testa con smorfie colpevoli.

Regan si alzò e avanzò di qualche passo. La sua modesta statura non smorzava affatto l’aura da predatore che lo avvolgeva. Irradiava autorità da tutti i pori, oltre che rabbia.

“Sono stato informato stamattina delle voci che avete messo in giro. Posso conoscerne il motivo?” esordì, utilizzando il tono privo di inflessione tipico di quando era parecchio infastidito.

“Noi volevamo solo… noi…” balbettò Lorie.

“Voi cosa?”

“Avevamo paura che ti saresti stufato di noi e avresti regalato le tue attenzioni a qualcun’altra…” rispose Claire, gli occhi umidi di lacrime.

“Così ti abbiamo reclamato per prime. È stata una decisione unanime.” spiegò Vanessa.

“Siamo pronte a condividerti. Non ci saranno gelosie o stupidi dispetti, perché siamo d’accordo.” aggiunse Mary, “Abbiamo anche scritto una lista con le rotazioni, in modo che ognuna di noi possa trascorrere del tempo da sola con te…”

Regan non sapeva se scoppiare a ridere o prenderle a schiaffi. Nel dubbio, rimase in silenzio.

“Sei arrabbiato…?” esalò titubante Vanessa, torcendosi le dita.

Regan si avvicinò di altri due passi. All’improvviso, si sentì pervadere da una strana e vibrante energia, che lo avviluppò alla stregua di una coperta calda. I suoi pensieri si affilarono, allineandosi l’uno accanto all’altro come lame pronte all’uso, e una nuvola di estrema chiarezza dissipò la temporanea indecisione che lo aveva colto mentre ascoltava le ragazze.

Adesso sapeva cosa fare e come farlo.

Allargò le braccia e curvò un angolo della bocca verso l’alto: “Venite. Non abbiate paura.”

Loro si guardarono l’un l’altra, esitanti. Poi si gettarono su di lui tutte insieme, aggrappandosi a qualsiasi parte del suo corpo a cui riuscivano ad arrivare. Tra baci casti e carezze lievi, sussurrarono scuse e implorarono perdono.

Regan le lasciò fare per un po’. Quando le reputò sufficientemente calme, le fissò una ad una negli occhi, implacabile e freddo nonostante il sorriso gentile. Le sentì irrigidirsi contro di sé.

“Non ho apprezzato ciò che avete fatto. Vorrei che rimediaste al vostro errore appena uscirete di qui.” enunciò paziente, modulando la voce in modo che risultasse confortante e categorica insieme, “Non mi interessano le ragioni che vi hanno spinte ad agire o a credere di avere il diritto di imporre alcunché sulla mia persona. Sono io che decido. Voi siete solo le mie schiave e riserve di cibo. È importante che lo capiate, così, in futuro, non ci ritroveremo mai più in simili situazioni, in cui sono costretto a punirvi per esservi comportate male.”

“P-Punirci?”

“Sì, Lorie. Una punizione mi pare appropriata. Ma sono sicuro che imparerete presto, perché siete bambine obbedienti. È questo il tratto del vostro carattere che ammiro di più. Quando vi sottomettete e diventate docili, il mio cuore si riempie d’amore.”

Lorie osò sorridere a quelle parole, rilassandosi nel suo abbraccio: “Come intendi punirci?”

“Ancora non lo so, ma ci penserò. Oggi vi lascerò stare, anche perché sarete occupate a risolvere il vostro casino. Domani è un altro giorno e ne riparleremo. D’accordo?”

Le ragazze annuirono all’unisono.

“Ottimo. Oh, tanto per la cronaca: non sarò mai il vostro fidanzato, non vi porterò mai all’altare e non esiterò a liberarmi di voi se mi sarete d’intralcio. Tutto chiaro?”

“Ma rimarremo insieme per sempre, se faremo le brave?” domandò Mary, spalancando le ciglia sulle iridi verdi.

“Certo.” la blandì, poi si rivolse a Claire, arpionata al suo braccio destro, “Spogliati. Ho fame.”

Claire eseguì l’ordine senza protestare. Si levò il maglioncino azzurro e la camicetta bianca e rimase in reggiseno, anch’esso azzurro. Ripiegò i vestiti, li poggiò sul palco e si voltò di nuovo verso di lui, carica di aspettativa. Le sue guance erano già arrossate e il suo respiro accelerato.

Regan si piegò sul suo collo e inalò il suo odore fino a riempirsene i polmoni. Poi snudò le zanne e perforò la pelle con un basso ringhio. Bevve per un paio di minuti, lentamente, determinato a gustare quel nettare prelibato senza fretta. Non appena percepì Claire raggiungere l’apice, la fece sedere sul palco.

Ripeté le stesse azioni con Vanessa, Mary e Lorie, nutrendosi di loro finché non si sentì ricolmo di frizzante energia sin nelle più remote estremità.  Adesso non era solo la sua mente ad essere più attiva del normale, ma anche il suo corpo. Si sentiva carico, invincibile.

Quando si ripresero dall’esperienza e la patina opaca che copriva i loro sguardi evaporò, intimò loro di rivestirsi. Sulla soglia, però, le richiamò un momento.

“Ricordate: detesto che prendiate iniziative personali. D’ora in avanti, desidero essere sempre messo al corrente di tutto, ogni pensiero partorito dai vostri adorabili cervellini. Sarebbe meglio se non pensaste affatto, ma riconosco che, forse, è chiedere troppo. Bene, andate e rendetemi orgoglioso.”

Le ragazze gli sorrisero sognanti e, prima si sparire in corridoio, gli lanciarono dei baci. Regan finse di afferrarli e premette la mano sul petto.

Finalmente solo, permise alla maschera di sgretolarsi. Si scrocchiò il collo, si tirò indietro i capelli e piegò le labbra in un ghigno euforico. Era più che soddisfatto, sia per il risultato ottenuto, sia per la facilità con cui aveva usato il controllo mentale. Forse si innescava attraverso una mescolanza tra contatto visivo, contatto fisico e stimoli sonori. Non era sicuro che funzionasse anche con uno solo di questi tre, o con due. Per capirlo, doveva compiere degli esperimenti.

E quali cavie migliori del gruppo di giocatori di football che fece irruzione nell’aula di musica proprio in quell’esatto momento? Erano capeggiati da Mike e lo attorniavano come fedeli cagnolini. Alcuni, come il capitano, sfoggiavano un’espressione incredula, altri lo fissavano come se volessero farlo a pezzi.

“Mike, ragazzi. Qual buon vento?” li accolse Regan, esaminando il proprio timbro vocale per memorizzarlo, nel caso la sua teoria si fosse rivelata corretta.

Vide quattro ragazzi nelle retrovie bloccarsi e mettersi a guardarlo con aria vacua. Bingo. Ma gli altri non parevano scalfiti. Quindi la voce non bastava. Forse dipendeva dalla naturale predisposizione dell’individuo ai diversi stimoli: c’erano persone più ricettive ai suoni, mentre altre prediligevano il contatto fisico. Quello visivo non riportò alcun risultato, quindi Regan lo eliminò dalla lista.

“Regan, mi spieghi cosa è successo con Lorie e le altre? È vero che ci sei andato a letto?” lo interrogò Mike senza tanti preamboli e gli si accostò fino a torreggiare su di lui.

“Ci siamo baciati un po’ e ho masturbato Claire. Anzi, lei ha usato le mie dita per masturbarsi.” rispose sbrigativo, poiché l’attenzione era concentrata sulla mano che stava protendendo verso Mike.

Quando le sue dita si avvolsero attorno al polso del capitano, Regan lo sentì rabbrividire ed esalare un sospiro. Lo scrutò dal basso con aria innocente e un lieve broncio.

“Sei arrabbiato con me, Mike?”

Il biondo gli sorrise e scosse il capo: “Naaah. Sono solo offeso che tu non sia corso a raccontarmelo subito. Sei il mio fratellino, dopotutto. È mio compito guidarti attraverso le nuove esperienze.”

“Capisco. Prometto di farlo, se ricapiterà.”

Detto ciò, lo superò, azzerò la distanza tra sé e gli altri e si lasciò circondare. I quattro già sotto il suo controllo si mossero per primi, come calamite attratte dal metallo. Regan notò i restanti sporgersi per annusarlo con discrezione.

A quel punto realizzò che il contatto visivo non c’entrava nulla. La chiave erano i feromoni. Inconsciamente, sin da quando era stato introdotto al loro tavolo a mensa da Charlotte, doveva averli emanati a ondate. Con ogni probabilità, li aveva usati anche prima, la sera in cui lui, Charlotte e Zack erano andati al messicano e Regan aveva dato inizio alla recita.

Eppure, un paio di domande continuavano a ronzargli nel cervello. Innanzitutto, come mai Deirdre era immune? Forse perché aveva sangue di strega nelle vene? E, ora che ci pensava, nemmeno Roman era caduto vittima del suo potere. Almeno, non come le ragazze. Salvo per il bacio alla festa, l’amico si era sempre comportato normalmente. Per non parlare di Charlotte, Zack e Jennifer. Erano molto più aperti e disponibili, ma non si erano mai prostrati ai suoi piedi. Oppure Gregory, Kevin e Derek, e gli altri bulli che lo avevano tormentato fin dalle elementari. E che dire di tutte le persone che erano venute in contatto con lui durante la sua vita?

Qualcosa non quadrava. Se possedeva simili poteri, perché non ne aveva avuto prova in passato? E se erano spuntati solo di recente, perché proprio adesso? E perché agivano con selettività e non su larga scala?

Si impose di rallentare e riflettere con calma. Era ovvio che fosse una cosa recente. Infatti, in caso contrario, avrebbe già avuto l’intera città alla propria mercé da anni.

Riguardo alla selettività, poteva spiegarla se la connetteva alla propria volontà. Non gli importava nulla di Charlotte, Zack e Jennifer, perciò non erano stati influenzati più di tanto. Non gli importava nemmeno di Gregory e la sua cricca. Invece, le cheerleader e i giocatori di football erano i mezzi perfetti per ottenere quel che desiderava.

Era la sua volontà il catalizzatore. Nel momento in cui aveva deciso di intraprendere quella linea d’azione, nel momento in cui si era davvero convinto che fosse giunto il tempo di darsi da fare per raggiungere il proprio scopo, nel momento in cui si era finalmente accorto di trovarsi alle strette, davanti a un bivio, qualcosa in lui era cambiato. I suoi poteri, sinora latenti, si erano destati per prestargli soccorso e agevolare il suo piano. E così, Charlotte e Zack si erano bevuti senza problemi la sua messinscena al ristorante, e poi anche Jennifer e, in seguito, una volta entrati nella sua orbita, tutti gli altri erano stati abilmente ridotti a strumenti asserviti al suo obiettivo.

Ma allora come mai Gregory e i suoi due tirapiedi erano sempre aggressivi, nonostante Regan avesse spesso desiderato che lo lasciassero in pace? Non erano mai stati altro che violenti e dispettosi. Non ricordava come era cominciata, solo che un giorno, alle medie, si era ritrovato nel loro mirino. Soggiogarli immediatamente sarebbe stata una mossa naturale, invece i suoi poteri non erano intervenuti e i bulli si erano scagliati su di lui con la solita ferocia.

È da giorni che non li vedo, da prima della festa, notò incuriosito.

Sussultò quando due braccia muscolose si avvolsero intorno ai suoi fianchi, distogliendolo dalle sue elucubrazioni. Avvertì un torace aderire alla sua schiena e un alito caldo sfiorargli l’orecchio sinistro. Tentò di girarsi, ma la presa sui fianchi era ferrea, così riuscì solo a ruotare la testa di tre quarti. James, l’ex fidanzato di Teresa, gli sorrise e gli stampò un bacio sul collo.

Mike lo acciuffò per un braccio e lo strattonò via dall’abbraccio di James con un grugnito esasperato.

“Perché devi sempre interrompere, Mike?” lo attaccò il compagno.

“Regan è il mio fratellino. Vuol dire che io sono l’unico che può abbracciarlo.”

Appena lo disse, gli altri esplosero in accese proteste. Alcuni addirittura lo spintonarono. Regan ne approfittò per allontanarsi e recuperare lo zaino. Le gambe quasi gli cedettero sotto il suo peso e l’energia che lo aveva pervaso sino a quel momento lo abbandonò pian piano.

Dannato amuleto, pensò con amarezza.

“Silenzio!” tuonò Mike, “Sono io il capitano.”

“Essere capitano non significa essere il re dell’universo! Non puoi tenere Regan tutto per te!”

“Giusto! Non è mica una tua esclusiva proprietà.”

Regan si schiarì la gola e, come per magia, nell’aula piombò il silenzio. Gli occhi di tutti i ragazzi si focalizzarono su di lui, in attesa.

“Devo tornare a lezione. La campanella è suonata.”

Come risvegliatisi da una trance, si rianimarono e uscirono alla spicciolata dall’aula. Mike rimase indietro ad aspettare Regan e, quando furono fianco a fianco, gli cinse le spalle con un braccio.

“Non essere timido, okay? Puoi dirmi tutto, sempre.” mugugnò a bassa voce.

Regan annuì sorridendo: “Va bene. Ci vediamo.”

Prima di andare ognuno per la sua strada, Mike lo baciò sulla fronte in modo fraterno. Regan aspettò di vederlo sparire, poi si strofinò la fronte con foga per cancellare qualsiasi traccia del contatto.

L’ultima lezione del giorno era Latino. Regan si diresse verso l’aula strascicando i piedi. Non era un corso molto frequentato, perciò si stupì quando scorse la faccia di Roman. Era seduto a uno dei banchi in fondo. Il professore accolse Regan con un cenno e lo invitò a sedersi, apparentemente d’accordo con la presenza di Roman in classe.

Avvicinandosi, Regan vide le mani dell’amico serrate a pugno sulle ginocchia, le nocche bianche, le labbra stirate in una linea retta e le sopracciglia aggrottate. Si sedette al banco alla sua sinistra e, ignorandolo, estrasse i libri dallo zaino.

“Regan.” sibilò Roman sottovoce.

“Dopo.”

L’ora passò più veloce di quanto Regan fosse pronto ad ammettere. Il suono della campanella lo fece sobbalzare sulla sedia. Annotò i compiti sul quaderno, ripose i libri nello zaino e si alzò senza fretta, conscio della presenza di Roman proprio dietro di lui. Sembrava quasi che temesse di vederlo volatilizzarsi se solo si fosse distratto per una frazione di secondo.

Uscirono in corridoio con gli altri studenti e si fermarono di fronte all’armadietto di Regan.

“Ti va di spiegarmi?” sussurrò Roman, chino su di lui.

Il suo corpo lo intrappolava e, al contempo, gli faceva da scudo. Non era esattamente il tipo di conversazione che Regan voleva avere in pubblico, ma rimandare avrebbe soltanto acuito la tensione.

“Chiedi pure.”

“Hai fatto sesso con Lorie e le altre, venerdì scorso?” tagliò corto, e al moro non sfuggì il ringhio frammisto alle parole.

“Non esattamente.”

“Quindi cosa ci hai fatto?”

“Domina la gelosia, okay? Non ho tempo per queste stronzate.” lo rimbeccò, “Claire ha iniziato a usare le mie dita per masturbarsi, poi Vanessa mi ha strappato il primo bacio e le altre si sono unite alla festa poco dopo. Non ci siamo spinti oltre.”

“E più tardi hai baciato me.”

“Dovevo essere già sotto l’effetto di qualsiasi cosa mi ha dato Lorie. Ricordo di aver accettato le loro avances passivamente, non ho reagito.”

Roman boccheggiò scandalizzato.

“Ti hanno… violentato?”

“Shhh! No, non proprio. Ti ho detto che ci siamo solo baciati. Beh, a parte con Claire. E, in fondo, non mi è dispiaciuto. È stato strano, sì, ma non terribile.”

“Perché se ne vanno in giro dicendo che avete fatto sesso e che ora sei fidanzato con tutte loro?”

“Boh. Comunque, ci ho parlato durante la pausa pranzo e abbiamo chiarito. Metteranno a tacere le voci, si scuseranno per aver ingigantito la cosa e smetteranno di trattarmi come un oggetto, o un trofeo.”

“Okay. Sei sicuro di stare bene?”

“Sì. Perché?” domandò confuso.

“Insomma, non eri del tutto consenziente quando è successo.”

“Sto bene, Roman. Sul serio. Ora devo tornare a casa, ci vediamo domani.”

“Okay. A domani.” lo abbracciò stretto a sé, inalando il suo odore finché non sentì i polmoni bruciare, “Fa’ attenzione e guida con prudenza. C’è un fottuto temporale, là fuori.”

“Sì, mamma.” borbottò e levò gli occhi al cielo, per poi svincolarsi e allontanarsi verso il parcheggio.

Roman fissò la sua schiena finché non sparì oltre le porte. Solo allora si concesse di espellere l’ossigeno in un’unica boccata. Al ricordo dell’odore di Mike impresso su Regan storse il naso e un ringhio gutturale gli si formò in gola. Pareva quasi che il capitano della squadra di football si fosse strusciato su di lui per minuti interi.

Lo odiava. Odiava tutti quelli che ronzavano intorno al suo Compagno. E un po’ odiava anche Regan, che non si ribellava e si lasciava marchiare da quegli insulsi umani. Capiva la necessità di recitare bene la parte, ma era davvero necessario così tanto contatto fisico? Era Roman il suo migliore amico, il solo con il sacrosanto diritto di abbracciarlo, baciarlo, possederlo

Scosse la testa con veemenza, scacciando quei pensieri molesti in un angolo della coscienza. Nessuno poteva possedere Regan, era lui che possedeva te. Regan era un alfa, un capo, e presto, se il suo piano fosse andato a buon fine, sarebbe diventato il padrone indiscusso della scuola, e Roman il suo braccio destro, il consigliere fidato… il suo Secondo in comando.

Strabuzzò le palpebre appena realizzò il filo logico delle proprie riflessioni. Dovette appoggiarsi agli armadietti per evitare di cadere in ginocchio, schiacciato dal peso dell’epifania.

Il suo lato animale, il lupo, aveva eletto Regan come suo alfa. Aveva formato un branco a sua insaputa. Uno minuscolo, di soli due membri, ma lo stesso un branco.

Non aveva idea di come fosse accaduto, né quando la sua lealtà si fosse spostata da suo padre a Regan. C’erano stati dei segnali, di sicuro, ma Roman non li aveva colti. Nemmeno adesso, consapevole della realtà, riusciva ad individuarli. Era stato un processo naturale, graduale. Inevitabile.

Regan era non solo il suo possibile vero Compagno, ma anche il suo nuovo alfa.

Roman realizzò di essere nei guai.

 
*

Regan non dovette attendere molto prima che Gregory si rifacesse vivo, giusto ventiquattro ore. La scena si ripeté uguale a mille altre, tanto che Regan trovò conferma ai suoi già forti sospetti che Gregory mancasse totalmente di qualsivoglia barlume di originalità.

Le lezioni erano terminate da poco. Uscendo dal bagno, Regan si sentì acciuffare per il cappuccio della felpa e strattonare lungo il corridoio semideserto verso un’aula vuota. Non urlò per chiamare aiuto, né oppose resistenza. Anzi, le sue labbra tremolarono per la voglia di curvarsi in un ghigno eccitato.

Oltre alla curiosità di fondo che anticipava ogni colluttazione, Regan percepì l’adrenalina montare dentro di sé, come una violenta corrente sottomarina che preme verso la superficie. Quei combattimenti, per quanto rozzi, riuscivano sempre a risvegliarlo dal torpore, ad elettrizzarlo con una scarica di energia simile a quella che riceveva bevendo sangue.

Lo zaino gli venne strappato via e gettato da qualche parte, lontano. La porta dell’aula vuota si chiuse con un lieve tonfo. Una spinta lo fece inciampare e cadere bocconi sul pavimento, in mezzo a una fila di banchi.

“Credevi che fosse finita?” lo apostrofò Gregory, afferrandolo di nuovo per il colletto per schiantare un pugno sulla sua mandibola.

Regan andò al tappeto. Tossì e sputò un grumo di sangue e saliva sulle piastrelle immacolate.

“Lungi da me sperarlo.” rispose in un rantolo.

Gregory schioccò la lingua e gli sferrò un calcio nello stomaco, ma Regan reagì facendogli lo sgambetto all’ultimo secondo. Il bullo precipitò a terra con un grugnito e un’imprecazione.

Regan ne approfittò per arretrare e studiare la situazione. Vide solo Kevin, in piedi davanti alla porta, con le braccia conserte e le gambe leggermente divaricate, a bloccare l’unica via di fuga. Nessuna traccia di Derek.

“Dov’è il tuo secondo lacché, Gregory?”

“Non ti deve interessare.”

“Ha disertato, eh? Devo essere stato parecchio convincente l’ultima volta.” ghignò, “Beh, sono felice che tu non ti sia arreso, sai? Mi mancavano le nostre amichevoli discussioni.”

Lo analizzò per una manciata di istanti, dai capelli rossicci, ora rasati a zero, ai piedi ben piantati a terra. Fu allora che notò la sua perdita di peso. Aveva ancora un eccesso di adipe sullo stomaco e sulle braccia, ma adesso si poteva intravedere senza problemi il contorno dei muscoli gonfi. Pure Kevin era diverso, più alto e atletico. I suoi occhi a mandorla avevano un taglio più maturo, la postura era rigida e controllata, quasi… fredda. Calcolatrice.

Entrambi erano molto diversi da come li ricordava, come se, in quei pochi giorni, qualcosa di fondamentale in loro fosse cambiato, o morto per sempre.

Quando Gregory lo caricò, interpretando il suo silenzio come distrazione, Regan si fece trovare pronto. Schivò un gancio destro, si acquattò e gli sferrò un calcio sullo stinco. Gregory recuperò l’equilibrio aggrappandosi al bordo di un banco e lo usò per darsi la spinta nella direzione opposta, attaccandolo ancora. Regan incassò il pugno nel torace, avvolse le mani attorno a quella di Gregory e trasse vantaggio dal suo slancio per fargli acquisire velocità e scaraventarlo contro altri banchi.

Kevin si irrigidì e si affacciò con aria guardinga dalla finestrella sulla porta, per verificare che il trambusto non avesse richiamato l’attenzione di nessuno.

Gregory si risollevò in un attimo e gli corse addosso come un toro inferocito. Regan si scansò, osservandolo andare a sbattere contro il muro. Se avesse avuto un telo rosso, sarebbe sembrato un toreador nell’arena.

“Sei sotto steroidi, per caso? Non ti ho mai visto così combattivo.” commentò stranito.

“Sono successe parecchie cose mentre tu ti divertivi a fare il re del pollaio.” ringhiò Gregory e si asciugò con il bordo della manica il sangue che gli colava dal labbro spaccato.

I muscoli guizzarono sotto i vestiti, stirando la stoffa. La sua pelle era asciutta, il suo respiro regolare. Di solito, a questo punto aveva già il fiatone, invece persino il suo battito era calmo.

Regan assottigliò le palpebre e lo scrutò con sospetto. L’istinto gli suggerì di non abbassare la guardia. Decise che era il momento opportuno per testare i suoi poteri, così si concentrò e desiderò che Gregory cessasse i suoi attacchi, che lo guardasse con tenerezza e giurasse di diventare il suo zerbino.

Percepì subito l’energia dentro di sé aumentare in risposta al suo comando, attivarsi alla stregua di un interruttore, e non riuscì a reprimere un ghigno trionfante.

Ghigno che si spense non appena un pugno cozzò contro la sua guancia destra, spedendolo a gambe all’aria. Tossì forte e, aggrappandosi a un banco, si tirò su.

“Perché non funziona?” farfugliò tra sé e sé.

“Cosa?”

“E perché sei così forte?”

“Aaah, certo.”

Gregory scoppiò a ridere, lo raggiunse e, afferratolo per il bavero della felpa, lo sollevò per schiacciarlo con la schiena contro il muro, i piedi a ciondoloni a qualche centimetro dal pavimento.

“Hai imparato a usare i tuoi trucchetti, mh? È così che hai soggiogato mezza scuola.”

La bocca di Regan si spalancò per la sorpresa, una domanda scritta a chiare lettere sul viso.

“Come lo so? Te l’ho già detto. So molto più di quanto pensi.” disse Gregory, citando le stesse parole che gli aveva rivolto durante l’ultimo scontro, poi accostò le labbra al suo orecchio come se volesse rivelargli un segreto, “Sei un abominio, Regan McLaughlin.”

Regan si infuriò. Stufo di restare passivo, passò al contrattacco. Non aveva più motivo di trattenersi se Gregory conosceva la sua vera natura, giusto?

Gli sferrò una ginocchiata nelle parti basse con tutta la forza che aveva. Gregory mollò la presa e si piegò in due ululando di dolore. Regan gliene assestò un’altra in faccia, dato che si trovava all’altezza perfetta, e udì distintamente il rumore del naso che si rompeva. Infine, gli artigliò il collo e lo costrinse a inclinare il capo all’indietro, esponendo la gola.

Gregory lo fissò dal basso, in ginocchio. Il suo sguardo era tutto fuorché rassegnato alla sconfitta, la sua postura tutto fuorché vulnerabile. La luce che Regan scorse riflessa nei suoi occhi aveva un che di bestiale e, suo malgrado, si trovò a rabbrividire.

“Perché con te non funziona?” lo interrogò, “Che hai di diverso?”

Gregory ridacchiò: “Neanche lo immagini.”

“Dimmelo!”

Kevin marciò verso di loro con determinazione, i pugni serrati lungo i fianchi, la mascella contratta e le labbra storte in una smorfia bellicosa.

“Resta dove sei o lo uccido.” Regan lo ammonì gelido, “Sai che ne sarei capace.”

Kevin digrignò i denti e obbedì.

“Allora, Gregory. Rispondi. Sono tutto orecchie.”

Gregory gli sputò in un occhio. Preso alla sprovvista, Regan barcollò di lato. La sua distrazione diede l’opportunità all’altro di liberarsi.

Prima che Regan potesse reagire, Kevin comparve dietro di lui in un lampo e lo imprigionò in una morsa d’acciaio, facendo passare le braccia sotto le sue ascelle per immobilizzargli le spalle. Appena Regan provò a scalciare, Kevin gli ingabbiò pure le gambe con le proprie, avvalendosi del banco dietro di lui come supporto per non cadere.

“Wow. Anche tu sei salito di livello.” commentò colpito, percependo gli addominali di marmo di Kevin guizzare sulla sua schiena nonostante gli strati di stoffa a separare le loro pelli.

Non gli fu concesso di aggiungere altro, perché un secondo più tardi il fiato gli venne mozzato da qualcosa di freddo e affilato. Quando abbassò lo sguardo, si imbatté nella mano di Gregory, stretta attorno al manico di un pugnale.

Un pugnale piantato fermamente nel suo stomaco.

“Cosa…?”

Gregory rigirò la lama nelle sue carni. Il suo urlo fu soffocato tempestivamente da un palmo di Kevin.

“Ora, finalmente, avrai ciò che meriti, mostro. Eliminerò la feccia che appesta questa città, a cominciare da te. La prossima sarà la tua cara nonnina. Non è una strega, ma è nata in una congrega. In questi casi è meglio non rischiare, sei d’accordo?”

Subito dopo, la sua attenzione si focalizzò sul collo di Regan. Corrucciato, afferrò la collana e gliela strappò di dosso con un gesto brusco.

“Questa cos’è?” esaminò la pietra di luna alla luce che filtrava dalla finestra, poi l’annusò, “Opera di Deirdre, suppongo. A cosa serve? Rispondi.” gli intimò, torcendo il coltello in senso antiorario.

Kevin scostò la mano per permettergli di parlare, ma Regan si limitò a grugnire di dolore. Gregory gli stritolò il mento tra indice e pollice e lo costrinse a guardarlo in faccia.

“Rispondi!”

“Fottiti.”

“Bastardo fino in fondo. Almeno nessuno può accusarti di incoerenza.” sbuffò divertito, “Facciamo così: io conserverò questa collana come prova per incastrare tua nonna e tu morirai implorando pietà. Che ne pensi?” torse di nuovo la lama, le iridi accese da un bagliore sadico, e lo ascoltò emettere un guaito, “È un sì? Che dici, Kevin? Lo prendiamo come un assenso?”

“Prima ce la sbrighiamo, meglio è. Uccidilo e basta.”

“Hai sentito il mio amico, Regan? Vuole che tu abbia una morte rapida. Io, invece, voglio divertirmi ancora un po’…”

“Piantala, Greg. Non tiriamola per le lunghe. Non possiamo farci scoprire.”

“Non gli farò la grazia di una morte rapida! Non dopo tutto quello che ci ha fatto passare, dopo tutte le umiliazioni… non desideri anche tu vederlo soffrire?”

“Desidero soltanto portare a termine il lavoro. Muoviti.”

Seppur scontento, Gregory annuì. Estrasse il pugnale dallo stomaco di Regan con studiata lentezza, centimetro dopo centimetro, per prolungare l’agonia, e con un fluido movimento del polso se lo fece mulinare sul palmo aperto.

“Spero che l’inferno sia di tuo gradimento.” sibilò Gregory, alitandogli nell’orecchio.

Quando l’arma premette forte sul collo, proprio in corrispondenza della vena pulsante, Regan si irrigidì e chiuse gli occhi. Per la prima volta in tutta la sua vita, si scoprì paralizzato dal terrore.

“Fa buon viaggio, abominio.” fu l’ultima cosa che Regan sentì.

Poi la lama incise la carne e il sangue sgorgò.









 
  
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