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Autore: DanzaNelFuoco    25/02/2019    0 recensioni
COW-T #9: AU + angst + gen
It's a wonderful life!AU - Clarence!Castiel, George Bailey!Dean
- Intro:
Pensò che se lui non fosse mai nato, sarebbe stato lo stesso. Forse meglio.
Stava per lasciare la presa, quando l’uomo di fianco a lui si buttò.
Genere: Angst, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Crowley, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
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COW-T #9: AU + angst + gen 

Note: Qualcuno l’avrà già scritta perché, andiamo, chiamano Castiel Clarence per un’intera stagione! Ma io la dovevo scrivere lo stesso (sono anni che ce l’ho tra le cose da finire, non sto scherzando ho iniziato a scriverla nel 2015)​. 
No Destiel

 

- The greatest gift - 


C'era una stella in cielo, molto luminosa se la si guardava dalla terra, che non era una stella. Se mai la si fosse vista pulsare, sarebbe stato perché stava parlando. 

“Castiel ci sta dando problemi di recente” disse l'angelo. 

“Non è una novità” liquidò la faccenda Chuck, intento a pensare a un regalo adatto per il compleanno imminente del figlio. 

“Molti più problemi del solito” ribadì il concetto l'angelo.

Chuck si raddrizzò per prestarle più attenzione, accantonando con un sospiro i propri pensieri. “Cosa ti preoccupa, Anna?”

 L'angelo si strinse nella sua essenza, contraendosi come a rimpicciolirsi. “Temo che possa cadere.”

“Oh, Anna, non c'è nulla di male nell'essere preoccupata per un amico” la rassicurò Chuck. “Ma penso proprio di avere un incarico che lo potrebbe salvare” sovrapensiero, guardò in basso, verso la terra.

 

* * *

 

La neve cadeva copiosa su Lawrence, Kansas. Dean Winchester guardò i fiocchi infrangersi contro l'acqua gelida sotto di lui. 

Una macchina passò alle sue spalle, illuminando con i suoi fari la notte per qualche breve istante. Probabilmente il guidatore non aveva nemmeno fatto caso all'uomo sul camminamento pedonale del ponte. 

Dean si appoggiò al pilone alle sue spalle, domandandosi quanto tempo avrebbe impiegato l'acqua a invadergli i polmoni. Scavalcare il fragile parapetto di metallo e lasciarsi cadere di sotto, farsi avvolgere dall'acqua gelida. Sarebbe morto di ipotermia, molto più probabilmente, il suo corpo non gli avrebbe mai permesso di annegare, l'istinto di sopravvivenza avrebbe gridato e scalciato e si sarebbe appigliato agli ultimi residui di forze pur di tenerlo vivo, di lasciargli liberi i polmoni. 

Ma d'altronde quale altra scelta aveva? 

Si staccò dal pilone e sfilò le mani dalle tasche, appoggiandole, al parapetto. Il freddo gli artigliò i palmi, crudele come la morte che lo aspettava se si fosse gettato di sotto.

Scavalcò la balaustra con le gambe e si mantenne aggrappato solo con le mani. Il vento e la neve gli stavano irrigidendo le dita e la giacca di pelle che portava sopra la camicia di flanella pesante non era abbastanza per proteggerlo dal freddo. Non sarebbe durato ancora a lungo. 

Ultima chance per tornare indietro, si disse. Pensa a quelli che ti stai lasciando dietro.

E ci pensò davvero.

Pensò a Lisa, la sua fidanzata, la ragazza con cui non faceva altro che litigare da anni perché non riuscivano ad avere un figlio - a Dean bastava occuparsi di Ben che, anche se non era biologicamente suo figlio, era comunque suo. Pensò a Lisa, la donna che l’aveva cacciato di casa quella stessa sera perché Dean aveva maltrattato Ben. 

“Non puoi parlargli così” gli aveva detto, mettendolo alla porta. “Torna quando ti sarai chiarito le idee.” Ma alle sue orecchie era suonato un addio molto più delle volte in cui aveva minacciato di chiedergli il divorzio.

Pensò a Sammy, lontano, a New York, avvocato in carriera con le sue cause milionarie e una fidanzata che era tutto meno che un trofeo - Jessica era davvero perfetta per suo fratello, nessuno avrebbe potuto dire il contrario. 

Pensò a Bobby che aveva fatto un gran casino e perso i soldi che dovevano a Crowley e pensò a quel demone infernale che gli avrebbe concesso una proroga del pagamento solo se gli avesse venduto l’anima e si fosse messo alle sue dipendenze - no, grazie, preferiva buttarsi dal ponte. 

Pensò a suo padre che era morto di infarto anni prima, stroncato dalla bottiglia e dal colesterolo, più che dall’età. 

Pensò a sua madre che era morta nell’incendio che aveva raso al suo la loro casa e nel quale Sam era quasi morto, l’incendio che aveva quasi ammazzato anche lui e gli aveva lasciato cicatrici degne del più vissuto uomo d'azione, lui che al massimo aveva lottato contro una marmitta. 

Pensò all’Impala, la sua bambina, che aveva schiantato contro un albero secolare e con la quale aveva sempre sognato di partire per un viaggio coast-to-coast che non aveva mia potuto fare. A dire la verità, per quanto ci avesse provato, non era mai nemmeno riuscito a lasciare Lawrence.

Pensò che alla fin fine non aveva combinato poi tanto. Rilevare l’azienda di famiglia, prendere il posto che John Winchester aveva pianificato per lui. 

La mano destra cedette e Dean si ritrovò aggrappato con solo la sinistra.

Pensò che le sua vita era stata inutile, mediocre. Che non aveva fatto nulla per cui essere ricordato. 

Le dita della mano sinistra erano rigide, il mignolo e l’anulare lasciarono la presa. 

Pensò che se lui non fosse mai nato, sarebbe stato lo stesso. Forse meglio. 

Stava per lasciare la presa, quando l’uomo di fianco a lui si buttò. 


 

Dean fissò l’acqua sotto di sé sorpreso. Da dove cazzo era spuntato fuori quel tipo? 

Merda, un tizio si stava suicidando sotto il suo naso! Se ne rese conto improvvisamente. L’azione successiva fu tuffarsi di sotto nel tentativo di salvarlo.

Non che lui fosse la persona più indicata a parlare dal momento che stava avendo lo stesso pensiero e, se avessero cercato di impedire a lui di fare quello che voleva, probabilmente li avrebbe presi a calci in culo fino a New York, ma non poteva permettere che quell’uomo morisse sotto i suoi occhi. Soprattuto se l’uomo in questione non sembrava per nulla intenzionato a morire, non mentre gridava “aiuto” così forte da svegliare i santi in paradiso. 

L’impatto con l’acqua fredda lo colpì - aveva abbandonato il parapetto prima ancora di riuscire a elaborare una strategia compiuta, ma che altro avrebbe potuto fare se non gettarsi? - spedendo stilettate di dolore ad ogni fibra del suo corpo. 

Riemerse dal fiume, boccheggiando in cerca d’aria, guardandosi intorno alla ricerca del suicida. 

La neve gli si infilava negli occhi, l’acqua aveva impregnato i vestiti e il freddo gli stava entrando fin dentro le ossa, irrigidendo i muscoli. 

Lo vide sbracciarsi qualche metro più avanti e si mosse in fretta per raggiungerlo. Il movimento lo tenne sveglio abbastanza da non permettere al gelo di sopraffarlo. Non appena lo raggiunse, gli prese delicatamente il collo, cercando di mantenere naso e bocca sopra il livello dell’acqua e si guardò intorno per cercare la riva. 

“Alla tua destra” disse l’uomo che Dean stava cercando di salvare. 

“Come?” chiese l’altro, sorpreso del fatto che quello fosse anche solo cosciente.
“La riva. Alla tua destra” spiegò quello pazientemente. “E potresti lasciarmi il collo, faremmo prima.” 

Dean lo lasciò andare di botto, quasi come se si fosse bruciato. E l’altro andò a fondo. 

“Merda!” Dean si immerse di nuovo per recuperarlo. “Stupido idiota!” berciò, riportandolo a galla e nuotando verso la riva. 

Dean si issò sulla terraferma, aggrappandosi all’erba ghiacciata e scivolosa, trascinando con sé l’altro. Era ancora cosciente, il figlio di puttana. 

“Riesci a reggerti in piedi?” gli chiese, allontanandosi a carponi dalla riva, riprendendo fiato. 

“Credo di sì” rispose l’altro.

“Bene.” ansimò Dean. “Dobbiamo raggiungere la casa del custode o il freddo ci ucciderà.” 

“Se tu dovessi morire qui, tutto questo sarebbe stata fatica sprecata” disse l’altro, criptico. 

Dean pensò che avevano altro di cui occuparsi in quel momento e con fatica si alzò in piedi. 

La casa del custode non era molto distante, un centinaio di metri appena, ma con i vestiti appesantiti dall’acqua e le membra intirizzite dal freddo a Dean sembrarono cento chilometri. 

Lasciò all’altro uomo il compito di bussare alla porta e svegliare il custode, dal momento che sembrava molto più in forze. 

Dean, appoggiato contro lo stipite della porta, intento a riprendere fiato, si concesse solo in quel momento di osservare la persona che aveva appena salvato. 

Era più basso di lui, i capelli mori bagnati appiccicati al viso, un impermeabile che doveva essere di almeno una taglia più grande del necessario a giudicare da come gli cadeva addosso e una cravatta tutta storta. Dean si prese un secondo per considerare il fatto che erano appena usciti vivi da un fiume nel cuore dell'inverno e convenne con sé stesso che il tipo era abbastanza messo bene vista la situazione. 

Nessuno venne ad aprire loro, perciò ne dedussero che la casupola era vuota e che quella notte il custode avesse pensato bene di restare al caldo di casa sua. 

Non potevano restare lì fuori a congelare, si disse Dean, osservando l'entrata. Era un maestro nello scassinare serrature, suo padre glielo aveva insegnato quando aveva tredici anni e aveva cominciato ad andare in officina per aiutarlo dopo la scuola - non che gli fosse mai servito per scopi illegali, ma quando sei l'unico meccanico di una cittadina di diecimila abitanti scarsi, devi imparare ad avere certe abilità che ti consentano di salvare damigelle in pericolo che rimangono chiuse fuori dalla macchina. Col tempo aveva affinato la tecnica e ora era in grado di aprire una qualunque serratura con una forcina per capelli.

“D'accordo spostati” prendendo il suo posto davanti alla porta e sfondandola con un calcio. 

“L'hai sfondata!”

“Ottima osservazione.”

“Perché?” 

“Hai una forcina per capelli?”

“No.”

“Ottimo, perché se l'avessi avuta sarebbe stato strano e io avrei sfondato questa porta per niente” osservò per un istante la serratura rotta come se stesse valutando la finezza del proprio lavoro. “Non molto ortodosso, ma almeno possiamo entrare a scaldarci” disse e spinse la porta per entrare. 

Non controllò che l'altro lo stesse seguendo e si diresse direttamente alla manopola del termostato accanto alla porta, accendendo al massimo e premendo nel frattempo anche l'interruttore della corrente. Solo allora, ancora vagamente illuminato dalla luce dei lampioni che filtrava dalla finestra, si rese conto che l'altro era rimasto sulla soglia a guardarlo con curiosità. 

Dean gli rivolse uno sguardo interrogativo, mentre brividi di freddo gli scorrevano lungo la schiena. “Non entri?” In quel momento il suo desiderio più grande era solo trovare un termosifone e abbracciarlo.

L’altro, al contrario, non sembrava particolarmente scosso, né dallo shock né dal freddo e si limitò a entrare con una nonchalance che Dean gli avrebbe invidiato, se non fosse stato troppo intento a tentare di non congelare.  

La stanza, ora illuminata, risultava non molto grande, una sorta di salotto con un divano e una poltrona rivolte verso un camino spento e una piccola catasta di legna, quello che doveva essere un angolo cucina poco fornito e una porta che Dean era sicuro conducesse al bagno.

“Dovremmo accendere il camino” suggerì, dal momento che l’ambiente era parecchio freddo e il termosifone avrebbe impiegato ancora parecchi minuti per scaldarsi, figurarsi cominciare a scaldare la stanza. 

“Sì, probabilmente sarebbe una buona idea” acconsentì l’uomo, senza accennare però a muoversi. 

“Oh, beh, suppongo che lo farò io, ma grazie per esserti offerto” masticò Dean tra i denti, cercando di calmarsi. Come se Dean non avesse già avuto tutta una serie di problemi suoi a cui badare.  

La legna però non sembrava voler collaborare, troppo umida perché le fiamme attecchissero e Dean poteva sentir montare dentro di sé l’inizio di una crisi di nervi, una sensazione di bruciore dietro gli occhi e un groppo in gola che gli impediva di deglutire. Bagnato fradicio, ai limiti dell’ipotermia, sull’orlo del suicidio e ora persino in compagnia di uno sconosciuto che sembrava avesse vissuto la sua intera vita in un deserto lontano da ogni forma di vita umana a giudicare dal fatto che non sembrava assolutamente in grado di interagire come avrebbe fatto una persona normale. 

“La stupida legna non si accende!” Dean gettò la scatola di fiammiferi a terra con stizza. Eccolo lì, aveva sperato di sparire in silenzio, senza che nessuno potesse davvero sapere che Dean Winchester aveva preferito togliersi la vita, e invece avrebbero trovato il suo cadavere - e probabilmente quello dello sconosciuto - nella cabina del custode, morto come un povero imbecille per non essere riuscito ad accendere un dannato fuoco. 

Che vita di merda. 

“Ci penso io.” 

Lo sconosciuto, posandogli una mano sull’avambraccio, lo fece spostare, prima di chinarsi sul camino senza neanche raccogliere i fiammiferi da terra. Che stupido. Cosa credeva, che il fuoco si sarebbe acceso per miracolo? 

Ma quando l’uomo si ritrasse nel focolare ardeva una piccola fiammella che non sembrava desiderosa di spegnersi. Era impossibile, si disse Dean, occhieggiando i fiammiferi ancora sul pavimento. E anche se ne avesse avuti una scatola in tasca o un accendino, fradici com’erano, sarebbero stati inutilizzabili. 

Forse il freddo aveva già cominciato a danneggiargli i neuroni. 

“Ecco fatto.” 

Dean cominciò a spogliarsi, appendendo i vestiti davanti al fuoco, ben conscio che tenendoli addosso avrebbe soltanto continuato ad abbassare la propria temperatura corporea. Si aspettava che l’altro facesse altrettanto, ma quello era rimasto fermo immobile, a guardare le fiamme quasi incantato, come se non provasse lo stesso freddo che aveva artigliato Dean fin dentro le ossa. 

“Bel trench” tentò di stemperare la tensione che probabilmente solo lui provava, visto che l’altro non sembrava avere uno spettro di reazioni umanamente appropriate a tutto quello che stava succedendo. 

“Non ho avuto tempo di cambiarmi con qualcosa di più alla moda. Il mio tramite era vestito così quando è morto.”

Dean credette per un momento di non aver capito bene. “Il tuo... tramite?" 

“Sì, se noi angeli scendessimo tra voi nella nostra vera forma vi uccideremo, abbiamo bisogno di un tramite."

“Sì, certo, angelo” Dean inarcò un sopracciglio, il sarcasmo che grondava dalle sue parole completamente ignorato dall’altro. "Un tramite. Morto. Ovviamente."

“Certo che è morto, sarebbe scortese occupare il corpo di un essere umano, altrimenti. Dove dovremmo mettere la vostra coscienza, scusa?”

“Ok, basta. Davvero divertente, ma basta.”

“Oh no, affatto. Sono stato spedito qui giù in risposta a delle preghiere.” 

Dean alzò gli occhi al cielo. Perché proprio oggi? “Io non prego.” 

“Le preghiere degli altri per te, Dean.” 

“Come sai il mio nome?” Ora, c’erano un sacco di cose strane riguardo questo tipo, ma questa le batteva tutte. E a dire il vero, Dean cominciava a sentire una leggera inquietudine farsi largo agli angoli più esterni della sua crisi di nervi momentaneamente tenuta sotto controllo. 

“Oh, so tutto di te.”

“Te l'hanno detto in Paradiso?”

“Sì.”

“Ma davvero?”

“Sì.” rispose candidamente, poi aggiunse tra sé e sé: “Questo sarà un problema.” 

“Cosa?”

“Tu non hai fede.”

Dean sospirò, con l’espressione di chi ne ha avuto abbastanza degli stupidi giochetti. “Chi diamine sei e cosa vuoi? Oggi non è proprio giornata.”

“Oh, lo so. Sono Castiel, A-S-2.”

“Castiel? A-S-2?”

“Angelo del Signore, seconda classe.” 

“Angelo del Signore, seconda- perché? Perché proprio oggi mi è capitato lo squilibrato?” Dean esclamò quasi con sé stesso, per poi rivolgersi al sedicente angelo. “E perché mai vorresti salvarmi?”

“Le cose belle accadono.” 

“Non nella mia esperienza.”

“È questo il problema. Non credi di meritare di essere salvato.”

“Perché lo faresti?”

“Perché Dio me l'ha comandato. Sono il tuo angelo custode. Ed è ridicolo che tu ti volessi uccidere per denaro.” 

Dean sembrò preso in contropiede. “Non era per... Cioè... Io non... Lascia perdere.”

Castiel inclinò la testa, studiandolo. “No, non lo stavi facendo per denaro, ma per... solitudine? Davvero credi di essere solo, Dean?”

“Ma come diamine fai a saperlo?”

“Te l'ho detto sono il tuo angelo custode. So tutto di te.”

Dean ridacchiò sarcastico. “Beh, sembri proprio il tipo di angelo che mi affibbierebbero. Sei, tipo, un angelo caduto, no? Cosa è successo alle tue ali?” 

“Non ho ancora le ali, è per questo che sono una angelo di Seconda Classe.” 

“Non so se mi piacerebbe farmi vedere in giro con un angelo senza ali.” 

“Devo guadagnarmele. E tu mi aiuterai, non è vero?”

“Certo, certo.” Dean alzò gli occhi al cielo. “E, sentiamo, come dovrei fare?”

“Lasciando che io ti aiuti. Sarò colui che ti afferrerà e ti salverà dalla perdizione.” 

“C’è solo un modo in cui potresti aiutarmi. Non è che per caso hai ottomila dollari con te? Perché sarebbe l’unico modo per non far fallire l’azienda di famiglia ora che Bobby ha perso i soldi.”

“Non usiamo denaro in paradiso.” 

“Oh, è vero. Continuo a dimenticarmelo. Invece quaggiù non si riesce a farne a meno. Allora avresti dovuto lasciarmelo fare, valgo più da morto che da vivo per l’assicurazione.” 

“Non devi dire così. Questa attitudine è controproducente per entrambi. Se non fosse stato per te…”

“Oh sì, se non fosse stato per me, tutti starebbero decisamente meglio. Mia moglie, suo figlio, i miei amici. Ascolta, amico, va a cercare qualcun altro da aiutare, d’accordo?”

“No, non capisci. Io ho una missione…”

“Oh, sta zitto, dannazione!”

“Questo non sarà facile." borbottò l'angelo con sé stesso. “Pensi davvero che uccidendoti faresti diventare tutti più felici?” 

“No, forse hai ragione, sarebbe stato meglio se non fossi mai nato.” 

“Come?” 

“Vorrei non essere mai nato.” 

Castiel lo guardò addolorato e anche un po’ tradito.“Davvero, Dean, non dovresti dire cose del genere. Tu…” la sua costernazione sembrò sparire improvvisamente. “Un momento... È un’idea! Potrebbe funzionare.” Castiel schioccò le dita. “D’accordo, sei stato esaudito.” 

“Come?” 

“Non sei mai nato. Non esisti. Non hai una preoccupazione al mondo. Nessuna responsabilità, nessun obbligo, niente ottomila dollari da consegnare domani mattina, niente Crowley e ordini di pignoramento.” 

“Sì, certo come no!”

Le labbra di Castiel si aprirono in un sorrisetto compiaciuto. 

“Non mi credi. Bene. Andiamo a verificare.” 

“I miei vestiti…”

“Sono perfettamente asciutti, no? Mettiteli.” 

Dean storse il naso poco convinto. Non era possibile. Non potevano essersi asciugati così in fretta. Eppure, andando a raccogliere la camicia di flanella - esattamente come Castiel aveva detto - quella era assolutamente asciutta.

“Tu non hai freddo con ancora gli abiti bagnati?” 

“Oh, gli angeli non patiscono il freddo. Né il caldo se è per questo.” 

“Certo, certo.” 


 

La sua baby non era dove l’aveva lasciata. Cazzo!

Probabilmente il carroattrezzi l’aveva rimossa. 

Dannazione a lui! Certo, andare a incidentare l’Impala contro la quercia secolare che occupava il centro della piazza - pedonale - di Lawrence era abbastanza per fargli recapitare la multa più salata della sua vita. Come se non avesse già abbastanza problemi di soldi. O problemi e basta. 

“Senti, amico, pensi di starmi attaccato al culo ancora per molto?” 

“Per tutto il tempo che sarà necessario” replicò Castiel placidamente. 

Dean alzò gli occhi al cielo, sbuffando infastidito. “Come ti pare. Devo andare al deposito a ritirare l’Impala.”

“Non la troverai lì.” 

“E dove l’avrebbero portata se non lì?”

Era stato il turno di Castiel di alzare gli occhi al cielo. “Dean, tu non mi ascolti. Non sei mai nato. Non hai neanche mai sbattuto la macchina contro quell’albero. Puoi controllare se vuoi, non avevi lasciato l’impronta del tuo paraurti sul tronco? Dovrebbe essere ancora lì. Certo, solo se io fossi davvero un mitomane pazzo. Ma vedrai che non ci sarà assolutamente nulla lì, perché ti sto dicendo la verità. Io sono un Angelo del Signore e tu ora non sei mai nato.” 

“Sì, come ti pare.” 

Però andò comunque a controllare, ricordandosi benissimo la terribile dentatura - dannazione, un altra multa - che aveva lasciato, il tronco scorticato fino in profondità. 

Se solo fosse stata lì. Nessuna dentatura. 

Come se Dean non ci avesse mai sbattuto contro. 

Come se Dean non fosse mai esistito.

No, no, quella era una stupidaggine. Quella era una dannata stupidaggine e Dean non avrebbe commesso l’errore di farsi impressionare da un trucchetto. Era stanco, era depresso ed era forse anche un po’ ubriaco. Probabilmente la grossa tacca che pensava di aver lasciato sull’albero era molto più piccola di quello che ricordava, giusto una ammaccatura, invisibile nel buio della notte, una volta eliminato il cofano accartocciato della sua Impala. 

“D’accordo. Non c’è nessun danno, ma questo non prova niente.” 

Si diressero comunque al deposito. 

“Una Chevy Impala del ’67? No, quella è roba vintage. Mai vista una qui in zona.”

“Come sarebbe a dire, Ellen? È la mia auto. È sempre qui in zona.”

La donna lo squadrò da capo a piedi, come se non lo avesse mai visto prima. “Dovrei conoscerti?” 

“Ellen, non è divertente. Sono io, Dean. Culo e camicia con Jo. Praticamente facevo residenza al vostro bar quando avevo dieci anni.” 

Ellen scosse la testa, contrita. “Mi dispiace, non mi ricordo di te, c’erano sempre un sacco di bambini che venivano a prendere il gelato al bar.” 

Dean si voltò verso Castiel, squadrandolo. “È opera tua? Le hai chiesto tu di fingere?” 

Castiel si limitò a scrollare le spalle e a guardarlo con quell’espressione da “io ti ho già detto tutto, sei tu che non mi vuoi credere”. 

“Beh Jo si ricorderà sicuramente di me” Dean tornò a rivolgersi a Ellen, ma quella gli rivolse solamente un sorriso stanco.   

“Ah, devi mancare da molto, allora. Jo è morta. Da anni ormai.”

“È - è morta?” 

Dean sentì un tuffo al cuore. Ellen non avrebbe mai scherzato su una cosa del genere. E il dolore nei suoi occhi… lei non era mai stata una brava attrice, quel dolore era autentico. 

Per la prima volta da quando tutta quella assurda pantomima era iniziata, Dean si ritrovò a considerare il fatto che potesse essere più serio di quello che si era aspettato. 

“Come sarebbe a dire è morta?”

“Oh, lei - lei aveva cominciato a frequentare certe compagnie. Io l’avevo avvertita di stare attenta, ma… sai come sono gli adolescenti. C’era questo gruppo -”

“Gli Hellhounds.” 

Dean ricordava i Mastini Infernali, di come Jo si fosse ritrovata invischiata con loro quasi per colpa di Dean - era stato lui a riparare le loro moto, anche se suo padre era stato categorico che non li voleva come clienti, perché Dean era un giovane influenzabile e la loro influenza non era accettabile - ma era stata Jo che si era ritrovata ad essere affascinata dai loro modi rudi e dal loro atteggiamento da padroni del mondo. Dean però era riuscito a convincerla che da certa gente era meglio stare alla larga, perché - checché ne dicesse suo padre - Dean era una persona responsabile. 

“Già. Gli Hellhounds. Winchester li aveva come clienti, riparava le loro moto, per questo si erano fermati in città. Jo - Jo era entrata in un brutto giro, facevano girare droga, anche pesante e lei -” Ellen scosse la testa. “Beh, puoi immaginare come sia andata a finire.” 

Dean poteva. 

“Grazie per avermelo detto. Mi dispiace per quello che le è successo, anche se non vale molto.” 

“So che è una cosa un po’ macabra, ma se vuoi andare a trovarla, è al cimitero di Lawrence, poco dopo la statua dell’angelo piangente.” 

“Io - penso che andrò a trovarla” mentì, accomiatandosi. 

No, non sarebbe davvero andato a vedere la lapide della ragazza che fino al giorno prima lo prendeva per il culo perché amava troppo la sua macchina. 

“Dove stai andando?” 

“A casa mia. E tu non sei invitato.” 

“Non hai una casa, Dean.”

“Dico sul serio. Ti lascerò fuori dalla porta, se mi seguirai.” 

La minaccia non sembrò sortire l’effetto desiderato, visto che l’angelo si limitò a scrollare le spalle. Non gli ripetè per l’ennesima volta quello che l’altro stava bellamente fingendo di non capire. 

Sapeva che Dean Winchester non era un uomo di fede - era un uomo buono, ma non sicuramente un buon cristiano - ma ci doveva essere un limite alla cecità autoimposta davanti a tante prove tangibili che quello che stava dicendo Castiel fosse la verità. 

Come il fatto che le sue chiavi di casa non entrassero nella serratura e neppure girassero. 

Dean si risolse a suonare il campanello. 

“Sì, come posso aiutarla?” 

La donna di fronte a lui non poteva essere Lisa, non così magra, ai limiti della denutrizione, il viso emaciato e cinereo, gli occhi arrossati di chi ha versato molte lacrime, un labbro spaccato e un grosso livido bluastro che le copriva lo zigomo. 

“Lisa?”

“Ci conosciamo?” 

“Che hai fatto in faccia?”

“Sono caduta dalle scale” rispose in automatico, senza pensarci, poi, quasi sorpresa da sé stessa e dall’audacia dello sconosciuto, sembrò rabbuiarsi. “E comunque non sono affari suoi. Non so chi lei sia, ma se ha bisogno di qualcosa può ripassare più tardi, quando mio marito sarà a casa.” 

Sua moglie gli sbatté la porta in faccia come se non lo avesse mai visto prima. 

Dean si ritrovò a dover scendere a patti con il fatto che non esisteva un modo fisiologico per cui Lisa che fino a poche ore prima era un florida e sorridente ragazza, si fosse ritrovata tanto sciupata e pesta. 

“Suo marito la picchia” intervenne Castiel. “Perché non si è mai sposata con te.” 

“No!” Dean quasi guaì. “Tutto questo non può essere vero.”

Ma l’angelo vide l’accettazione farsi lentamente spazio attraverso la negazione. 

“Non vuoi andare a trovare la tua amica?”

“La mia amica?”

“Al cimitero. C’è un’altra cosa che devi vedere.”

Il cuore di Dean perse un battito. Non era sicuro di voler vedere nient’altro che quell’angelo potesse mostrargli, nessun altro momento di quella stupida parodia del Canto di Natale di Dickens con il suo personale Fantasma del Presente Possibile.  


 

La tomba di Jo era bianca e curata. Dean sentì il nodo sullo stomaco, che non aveva smesso di provare per un secondo da quando gli si era formato quella mattina, farsi più pesante. 

Jo Harvelle non esisteva più. 

Non era uno scherzo, non l’avrebbe vista mai più. 

“Era questo che dovevo vedere?” 

“No” Castiel scosse il capo. “Mi dispiace, Dean. Non pensavo sarebbe stato così doloroso, ma devi capire quanto vale davvero la tua vita, quanto bene tu abbia fatto solo per essere stato te stesso.” 

Castiel lo stava conducendo verso il lotto di terreno dove Dean sapeva esserci le tombe di sua madre e suo padre. Tutte morti che erano avvenute anche nella sua linea temporale, tutte morti per le quali lui non aveva potuto fare nulla. 

Dean non capiva. Dean non voleva capire. 

Ma c’era una persona della quale ancora non aveva saputo nulla, la persona più importante e il suo nome non era mai stato pronunciato da nessuno ancora… 

Era cresciuta qualche erbaccia e c’era del muschio sulla lapide, ma non abbastanza da nascondere i due nomi incisi sopra.

Due. 

Mary Winchester. 

Sam Winchester. 

Sammy. 

Sammy era bruciato nell’incendio. Perché Dean non era lì a salvarlo. 

Il sapore acido della bile gli riempì la bocca. 

“Ho bisogno di un drink.”


 

Il bar di Ellen non lo gestiva più Jo - Jo era morta in questa triste e sadica parodia del mondo di Dean - ma un ragazzo con gli occhi da topo. 

“Davvero, Bobby. Dovresti bere meno. Questo che ti servo è l’ultimo.” 

“Non rompere i coglioni, Garth.” 

La voce di Bobby aveva l’inflessione strascicata dell’ebrezza. 

Garth incassò senza battere ciglio e si allontanò dal tavolo. 

Fu allora che Dean si rese conto che Bobby non era seduto su una delle sedie di plastica del bar, ma su una sedia a rotelle. 

Senza nemmeno pensarci si diresse a grandi passi verso il suo tavolo e si lasciò cadere di fronte a lui. 

“Ehi, Bobby, amico, che ti è successo?”

“Cosa cazzo te ne frega, idiota?” Bobby mandò giù un sorso di whiskey. “E non sono tuo amico, non ti ho mai visto prima.”
“Forse non ti ricordi. Me ne sono andato prima della morte di Jo.” 

“Allora eri un ragazzino” Bobby schiocca la lingua scocciato. “Ho avuto un incidente con l’auto. Mi sono fottuto da solo” scaccia via il pensiero con la mano come se fosse una mosca molesta. “Non era un bel periodo e ho bevuto un po’ troppo prima di mettermi al volante. Non lo dirò mai a quell’idiota di Garth, ma ha ragione, dovrei proprio smettere.” 

Dean potè sentire l’odore pungente dell’alcool nel suo fiato. Cosa - come poteva essersi ridotto in quello stato? Cosa era successo alle sue gambe? 

“Non era un bel periodo?” cercò di farlo parlare.
“Beh, il mio migliore amico era appena morto,” rispose Bobby, sulla difensiva, “dovevamo un sacco di soldi al padrone della città e quello stronzo non mi ha dato nemmeno il tempo di organizzare il funerale prima di venire a batter cassa. Cassa che tra l’altro era vuota. Si è preso tutto.”

“Ma Crowley non avrebbe mai fatto una cosa del genere!” A dir la verità Dean non ne era del tutto sicuro, ma comunque avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco con una probabilità molto alta. Quando era stato il turno di Dean di ereditare l’officina piena di debiti del padre - nella vita reale, certo - Crowley aveva aspettato un mese prima di farsi vivo. Non poteva essere cambiato tanto solo perché Dean non era mai esistito, era una cosa che non aveva senso. 

“Oh, Crowley se ne è andato da anni, ormai. Nessuno sa che fine abbia fatto. È stato costretto a vendere tutto al nuovo padrone della città.”

“Il nuovo padrone della città?” Dean chiese con voce tremante. Perché aveva la bruttissima sensazione di sapere dove Bobby sarebbe andato a parare? 

“Mr. Morningstar. Ha preso possesso dell’intera città. Lucifer fa di nome, davvero, non sto scherzando. Non so cosa stessero pensando i suoi genitori quando gli hanno dato quel nome, ma è davvero appropriato. È un inferno questa città adesso.”

Oh, sì, Dean ricordava anche Lucifer, lui e il suo desiderio di possedere e distruggere ogni cosa. Voleva far costruire un centro commerciale, distruggendo le case di centinaia di cittadini per poi rivendergli appartamenti costosissimi che non si potevano permettere. Era stato Dean ad organizzare i cortei, Dean a scrivere a tutti i ministeri alla cui mail potesse arrivare per chiedergli se non ci fosse qualche legge sul patrimonio storico o cose del genere. Ed era stato grazie a Dean che Lucifer se n’era dovuto tornare nel buco dal quale era uscito fuori con la coda tra le gambe. 

Ma se Dean non era lì per salvare Sam, allora Dean non era lì nemmeno per salvare Lawrence. 

“Devo andare.” 

Dean aveva bisogno d’aria, l’ambiente troppo soffocante. Non era riuscito a staccare gli occhi dalle gambe ormai rachitiche e immobili di Bobby nemmeno per un istante. 

“Castiel. Ti prego, riportami indietro. Io - io devo sistemare tutto questo!” 

“E perché mai, Dean? Tu avevi una vita e l’hai dedicata al prossimo senza nemmeno rendertene conto. Questa è la tua ricompensa, questo è il tuo momento per essere egoista e pensare a te stesso. Potrei portarti in paradiso con me adesso. Perché vuoi tornare?” 

“Perché non me ne frega un cazzo del Paradiso. Guardali come sono miserabili e infelici! Io posso aiutarli! Non hai un cuore?” 

“Io sì. E tu, Dean? Tu li avresti resi altrettanto miserabili e infelici se ti fossi gettato da quel ponte stanotte.” 

Le parole di Castiel colpirono Dean come uno schiaffo. Sì. Era vero. 

“Io -” tentò, ma non c’era niente da dire, niente da poter aggiungere. Dean distolse lo sguardo. “Io non - non ci avevo riflettuto.” 

L’angelo sorrise. “Lo so. Ma ora sì. Perciò sei pronto a tornare indietro.” 

E, con uno schiocco di dita Castiel, scomparve e Dean si ritrovò a fissare l’acqua scorrere sotto il ponte dove aveva iniziato quella lunga notte, ma questa volta dalla parte giusta del parapetto. 


 

“Pensavo ti fosse successo qualcosa.”

Lisa avrebbe voluto essere arrabbiata, invece la preoccupazione aveva vinto sul resto. Quando Meg aveva bussato alla sua porta con un’espressione desolata al posto del solito sorrisetto sadico, dicendole che avevano recuperato l’auto di Dean mezza distrutta e che di lui non c’era traccia - l’Impala, che lui amava come se fosse una persona, mezza distrutta e abbandonata! - Lisa aveva pensato subito al peggio.

“Mi è successo qualcosa. Ma sto bene.” 

“Cosa ti è successo?” 

“Una - una crisi mistica? Non lo so. È stato come se la mia intera vita mi passasse davanti. Mi è servito per rimettere tutto in prospettiva.” 

“E -?” 

Dean l’avrebbe lasciata. Era chiaro. Era stato strano tutta la mattina. 

“Bobby ha perso ottomila dollari” disse Dean invece. 

“Cosa?”

“Bobby ha perso gli ottomila dollari per saldare il debito di Crowley. Non sa come ha fatto. Ha detto che li aveva contati e appoggiati sul tavolo, poi è andato a perdere un caffè da Jo, ha litigato con Crowley lì e quando è tornato in officina non c’erano più.” 

Lisa si portò una mano al volto. “Oddio, Dean.”

“Già. Quindi perderemo l’officina. E io non sapevo cosa fare. Ma sai una cosa? Sono un bravo meccanico, mi inventerò qualcos’altro.”

Fu in quel momento che qualcuno suonò al campanello. 

“Aspettavi qualcuno?” 

“No.” 

Dire che Dean fu sorpreso di chi trovò dall’altro lato della porta sarebbe stato un eufemismo. 

“Sammy?! Cosa ci fai qui?” 

Sam lo guardò dall’alto dei suoi due metri d’altezza con un sorriso, mentre cercava di districarsi dalle braccia di Dean che si erano strette attorno al suo corpo come se non si vedessero da anni, invece che soltanto da tre mesi. “Mi ha chiamato Bobby stamattina. Ho preso il primo aereo che ho trovato per venire qui” Sam gli porse una busta e a Dean bastò vederla per sapere che dentro c’era un assegno da ottomila dollari.

“Cosa? Ma perché?” 

“Davvero, Dean? Devo anche risponderti?” Sam inarcò un sopracciglio. “Pensavo mi invitassi a entrare almeno.” 

“Sì. Sì, giusto” Dean gli fece strada verso la cucina, facendolo accomodare. “Ma non posso accettarli, Sammy.” 

“Sì che puoi. E lo farai. È merito tuo e di papà che vi siete fatti il culo in quell’officina se io sono potuto andare al college e laurearmi in legge. Senza di te, non sarei niente. Ottomila dollari sono un prezzo addirittura irrisorio per ripagare quello che avete fatto per me.”

“Ma -”

“Niente ma.” 

Il campanello suonò ancora e Lisa li lasciò soli per andare a rispondere alla porta. Quando tornò alle sue spalle, c’erano Jo ed Ellen.

“Ragazze, cosa ci fate qui?”

Jo si strinse nelle spalle e con molta nonchalance gli porse anch’essa una busta. “Non sono ottomila dollari, non ci vanno nemmeno vicino, ma… Dean, per favore accettali. Magari riesci a farti dilazionare il prestito da Crowley se gli dai qualcosa.”

Dean sentì lacrime di gratitudine salirgli agli occhi. “Non posso accettare, davvero. Non posso. Siete meravigliose, ma -”

Il campanello trillò ancora e Lisa si chiese se a quel punto non sarebbe stato molto meglio rimanere accanto alla porta a fare da usciere. 

Charlie entrò con tutta la sua baldanza. “Sono in ritardo? Ho sentito Jo, mi ha detto tutto e ho portato la mia parte. Non avevo molto da parte, ma spero che nel mio piccolo possano aiutare. Sta arrivando anche Kevin.” 

“Cosa? No!” Dean esclamò. “Non posso. Ragazzi, non posso accettare. Da nessuno di voi.” 

Il campanello suonò di nuovo e Lisa fu lesta a far entrare Bobby. Sembrava che mezza Lawrence si fosse organizzata per riunirsi nella loro cucina. 

“Dean, ho raccattato quello che ho potuto” disse con faccia contrita e Dean capì che non poteva rifiutare. Bobby aveva commesso un errore e per rimediarvi si era abbassato a tanto da chiedere a chi conosceva una mano, anche se sarebbe potuta sembrare un’elemosina. Rifiutare sarebbe stato come sputargli addosso. 

Il campanello suonò di nuovo e Lisa non si prese nemmeno la briga di sbuffare, pronta a far entrare Kevin. Ma dall’altro lato della porta non si trovava Kevin. 

“Crowley.”

“È un piacere vederti, Lisa. Ti trovo bene.” 

Senza aspettare di essere invitato, quello si diresse verso la cucina, facendo calare il silenzio al suo arrivo. 

“Crowley” lo salutò Dean, gelido. “Sei in anticipo, se vuoi riscuotere il tuo debito. Ho fino a domani mattina.”

Ma Crowley ridacchiò impertinente. “Oh, certo. Me li darai domani mattina. Ma quali soldi?” Gli sventolò sotto il naso un ennesima busta. 

Questa però Dean la riconobbe. E anche Bobby. Era una busta dell’officina, con tanto di marchio stampato sopra, una di quelle che usavano per imbustare le fatture ai clienti e che Bobby utilizzava per trasportare i soldi in banca per passare inosservato. 

Dean sentì la rabbia montargli in petto. Come si permetteva Crowley di entrare in casa sua per sbeffeggiarlo in quel modo? 

Poi Crowley fece una cosa inaspettata e gli porse la busta. 

Se la stanza era silenziosa prima, ora non si sentiva volare una mosca. 

“I tuoi ottomila dollari. Bobby li ha inavvertitamente portati e lasciati al caffè oggi.”

“Ma io pensavo -”

“Sì?”
“Pensavo te li saresti tenuti.”

Crowley ridacchiò ancora. “Diciamo che ho un debole per il nostro Bobby, qui. E potrei fare un pensierino a dimenticarmi tutto questo se solo accettasse di venire a bere una birra con me.” 

Dean lo guardò occhi sbarrati. “Io non posso chiedere a Bobby di farlo.”

Crowley si strinse nelle spalle e gli allungò la busta con i soldi ugualmente. “Peccato. Ci ho provato.”

“Tu sei un demonio!” Bobby esclamò mezzo scandalizzato, scattando in piedi dalla sedia della cucina dove si era appoggiato - in piedi, e non più su quella maledetta sedia a rotelle, fosse ringraziato il Cielo. 

“Sì, me lo hanno detto in tanti.” 

“Paghi tu. E preferisco il whiskey.” 

Dean fu preso in contropiede tanto quanto Crowley, poi sul viso di quest’ultimo di aprì un sorriso malizioso. “Ah, e dunque è vero che nessuna buona azione resterà impunita.”
“Mi sto già pentendo.” 

“Oh, non sia mai!” 

E circondando le spalle della figura più simile ad un padre che Dean avesse mai avuto con un braccio, Crowley si portò via Bobby, lasciando Dean con un palmo di naso e ottomila dollari in contanti in una busta. 

“Beh, questa non me l’aspettavo” ridacchiò Lisa, abbracciandolo da dietro e posando il mento sulla sua spalla. 

“Non dirlo a me.” 

Bobby e Crowley. 

Il resto della stanza era stupita tanto quanto loro. 

In lontananza Dean udì il tintinnio di una campanella. 

“Lo sai cosa dicono delle campane che suonano?” chiese Jo a Charlie, per allentare l’improvvisa tensione. 

“Che un angelo ha appena guadagnato le ali” Dean rispose con un sorriso.

  
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