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Autore: Shainareth    26/02/2019    3 recensioni
Quando tieni la mano di un uomo che ti fa battere forte il cuore e ti fa sentire frastornata ed eccitata, allontanati da lui. Non è l'uomo per te.
Se tieni la mano di un uomo che ti fa sentire confortata e sicura, tienti stretta a lui. È l'uomo che dovresti sposare.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIOTTESIMO




«Ciao, ciao, farfallina», cantilenò Ladybug, mentre seguiva con lo sguardo l’akuma che, ormai purificata, si librava in aria. Si volse indietro e vide Chat Noir accovacciato sui talloni, che tranquillizzava un ragazzino poco più giovane di loro, ultima vittima di Papillon che aveva rovinato un piacevole ed ozioso pomeriggio domenicale a mezza Parigi. Il miraculous della Coccinella emise un suono, avvertendo la proprietaria che di lì a poco la sua trasformazione avrebbe avuto termine. Ladybug fece qualche passo verso i due e si chinò in avanti, le mani sulle ginocchia ed un sorriso tutto per il ragazzino. «È tutto sistemato, ora, non dovrai più preoccuparti di nulla.»
   «Non ricordo cos’è successo…» balbettò lui, ancora visibilmente disorientato. Stava passeggiando per gli Champs-Élysées quando aveva avuto una sorta di black out mentale, e adesso che era tornato in sé, si ritrovava nientemeno che al Cimetière du Père Lachaise. Si strinse nelle spalle, tremando per il nervosismo, ma Chat Noir gliele prese con gentilezza e lo fissò dritto negli occhi con fare allegro. «Non ha più importanza, ormai», cominciò con voce sbarazzina. «Ma se non vuoi farci fare gli straordinari, scaccia via i brutti pensieri e torna subito a casa. Hai bisogno di un passaggio sulla mia possente schiena?»
   Udì Ladybug ridacchiare divertita e si volse a fissarla da sotto in su ostentando uno sguardo offeso. «Lo lascio in buone mani», si difese subito la ragazza, non nascondendo affatto il divertimento nell’espressione del viso. «Io devo scappare, purtroppo», aggiunse poi, tornando dritta con la schiena e facendo il primo passo per allontanarsi da lì. «Ci vediam…!» S’interruppe quando la mano di Chat Noir l’afferrò saldamente per un braccio. Tremò e quasi non ebbe il coraggio di voltarsi indietro.
   «Devo parlarti», lo sentì dire con voce seria. «È importante.»
   Erano passati quasi tre giorni da quando lui le aveva regalato il crisantemo. Due da quando erano stati soli in camera di lei. Non potevano rimandare ancora quel chiarimento, Ladybug ne era consapevole. «Ci vediamo stasera», disse soltanto, cercando di mantenere un tono neutro, senza tuttavia guardarlo. «Stesso posto, stessa ora.»
   «Va bene», rispose lui, allentando la presa e lasciando che la partner scivolasse via dal suo sguardo per allontanarsi da lì prima che il miraculous la tradisse e svelasse la sua vera identità. Ormai Adrien sapeva che sotto quella maschera non poteva esserci Marinette. Lo aveva sperato con tutto se stesso, ma ogni sua illusione si era sgretolata quando aveva visto entrambe le ragazze del suo cuore nello stesso posto e nello stesso momento. Andava bene così. Se n’era fatto una ragione, o forse ancora no, ma di una cosa era certo: aveva fatto la sua scelta. Non soltanto usando la testa, quanto soprattutto il cuore.
   Sospirò e tornò a rivolgere la propria attenzione allo spaurito ragazzino che era con lui. Gli sorrise con fare incoraggiante. «Direi che è meglio andare: tra poco scenderà la sera e non credo sia piacevole rimanere chiusi dentro ad un cimitero, benché sia pieno di tombe di personaggi illustri. Tu che ne dici, mh?»
   «Che me la sto facendo sotto», ammise senza remore l’altro, facendolo involontariamente ridere. L’eroe allora non perse altro tempo – anche per via del suono emesso dal proprio miraculous – e lo prese gentilmente sulle spalle. «Tieniti forte e dimmi dove abiti: ti porto a casa, lì sarai al sicuro.»

Emmanuel, Marie, Gabriel, Anne Genevieve, Denis, Marcel, Étienne, Benoit-Joseph, Maurice e Jean-Marie: suonavano per l’ultima volta, quella domenica, scandendo le nove ed augurando così la buonanotte a Parigi per conto della loro Notre-Dame. Ladybug rimase ad osservare la cattedrale dal punto in cui si trovava, sul quel terrazzo che era già stato testimone di ben altri due momenti importanti per lei e Chat Noir. Avrebbe voluto parlarne a lungo con Tikki, quella sera, ma le parole non avevano voluto saperne di venir fuori e ora che era trasformata non le era possibile rivolgersi alla piccola amica. Tutto ciò che si erano dette, prima di uscire di casa, era rimasto sospeso a metà.
   «Non preoccuparti troppo, non credo che Chat Noir abbia scoperto chi si cela sotto la maschera che indossi.»
   Marinette ne era consapevole, lo aveva capito quando il giovane si era presentato da lei, due sere prima, solo ed esclusivamente per sapere come stesse, come se non lo avesse visto con i propri occhi al termine del combattimento con il clown sui trampoli, schiavo di Papillon. Chat Noir non la collegava più a Ladybug, poteva davvero tirare il fiato al riguardo.
   E allora perché mi sento così frustrata? Come se fosse delusa. Come se avesse voluto che lui conoscesse la verità. Razionalmente Marinette sapeva che era meglio così: in caso contrario, sarebbe stato pericoloso per loro e per le persone a cui volevano bene. Eppure dentro di lei sentiva il bisogno di dirgli ogni cosa. Anzitutto che lo amava.
   Quel pensiero la indusse non solo a sedersi, ma anche a sollevare le ginocchia al petto e a nascondervi contro il viso: non aveva ancora la certezza che Chat Noir era in realtà Adrien, ciò nonostante ormai non riusciva più a soffocare i propri sentimenti per lui. Lo aveva capito quando lo aveva abbracciato l’ultima volta, quando si era resa conto di aver bisogno di lui, che non voleva lasciarlo andare via. Il calore del suo corpo, le sue braccia forti che la stringevano con fare protettivo, la sua tenerezza, il suo respiro fra i capelli, il tepore delle sue labbra sulla mano… tutto, di lui, aveva contribuito a farla sciogliere come burro, a farle dimenticare ogni cosa, persino l’importanza di accertarsi che sotto la maschera che indossava ci fosse Adrien. Questo perché Marinette aveva finalmente compreso quanto fosse immenso e profondo l’amore che lui le portava nel cuore, quanto tenesse a lei a prescindere da tutto il resto. La cosa la turbava? No. Non più. Tuttavia, si era imposta di non incentivare oltre quelle manifestazioni d’affetto, o ne avrebbero sofferto molto di più: se pure si fosse lasciata andare a lui, come Ladybug o come Marinette, non avrebbero potuto essere felici finché lui avesse indossato quella maschera. Da un punto di vista logico era semplice. Il vero problema sorgeva quando a spazzare via il raziocinio era il cuore.
   Con le campane di Notre-Dame ormai sopite, non seppe dire quanto tempo passò prima che Chat Noir la raggiungesse. Né seppe mai che, prima di manifestarsi a lei, il giovane era rimasto in disparte, lontano, a fissarla con sentimenti contrastanti e indefiniti a scuotergli l’animo, come fosse stato un fuscello in mezzo ad una tempesta di fuoco. Amava ancora Ladybug. Come poteva non farlo? Gli veniva spontaneo come respirare. Ed era proprio con quella stessa facilità che aveva finito per capitolare anche davanti a Marinette e alla sua dolcezza, ai suoi meravigliosi occhi pieni d’amore per lui. Adrien s’interrogò per un’ultima volta sul motivo per cui aveva compiuto quella scelta: era forse a causa del suo smodato bisogno di sentirsi amato e accettato da qualcuno, di non dover più rincorrere un’utopia quando accanto a lui aveva già tutto ciò di cui aveva bisogno? Possibile che fosse così meschino? Che l’amore fosse fatto anche di quel genere di convenienze?
   Alla mente gli tornarono gli occhi pieni di lacrime di Marinette, i suoi singhiozzi, i suoi abbracci, il suo viso zuppo di pioggia e roseo sulle guance bollenti, le sue labbra schiuse e morbide che lui tanto aveva anelato baciare in almeno due occasioni diverse. No, non era un sentimento venale, quello che lo animava fin nelle viscere. Erano state piuttosto l’amicizia, la tenerezza, la passione a spingerlo verso Marinette.
   Tenerezza. Eccola lì, la differenza fra ciò che provava per lei e Ladybug. In cuor suo, Adrien si rese conto che era parte fondamentale di un rapporto d’amore, proprio come l’amicizia e la passione. Sorrise, rianimato dal coraggio infusogli da quella certezza personale, ed uscì dal proprio nascondiglio, deciso a mostrarsi alla luce della luna.
   Facendosi coraggio, Ladybug si alzò in piedi e si volse nella sua direzione. Rimasero a fissarsi negli occhi per alcuni, interminabili attimi in perfetto silenzio. Poi, Chat Noir parlò. «Volevo solo chiederti scusa.»
   «Per… cosa?»
   «Per averti messa stupidamente in allarme, l’altra sera.» E, per essere più chiaro, aggiunse: «Non so se hai collegato il fiore che ti ho regalato ad un significato particolare, ma…»
   «Verità», lo anticipò la ragazza, rilassandosi in parte per via delle parole di lui.
   Lo vide annuire. «Credevo di aver capito», mormorò, mentre il suo sguardo scivolava oltre le spalle di lei, lì dov’era il balcone di Marinette.
   Avvertendo il cuore sussultare, Ladybug arrossì ma cercò di dominare le emozioni. Prese fiato e decise di osare. «Ne eri felice?»
   «Molto», ammise timidamente il giovane, capendo di essere stato scoperto. Si mosse verso il parapetto del terrazzo, che tempo prima aveva ornato di candele solo per lei. Invece le aveva mostrate anzitutto a Marinette, per risollevarle il morale, per starle vicino e per star meglio a sua volta. Quasi fosse stata lei la vera destinataria. Quasi quell’episodio fosse stato un preludio di ciò che davvero sarebbe successo di lì ad una manciata di mesi. Sorridendo a quel destino che lo aveva legato alla sua compagna di classe forse sin dalla prima volta che l’aveva incontrata, Chat Noir mise le mani sulla ringhiera e vi appoggiò il peso del corpo, mentre i suoi occhi si perdevano nello splendore notturno della Ville Lumière. «Volevo con tutte le mie forze che le cose stessero in quel modo», iniziò a spiegare, regalando inconsapevolmente i primi brividi alla sua partner. «Sarebbe stato tutto più semplice.» Catturando il labbro inferiore fra i denti, lei avvertì l’urgenza di chiedergliene la ragione, ma si impose di non imbrogliare. Attese. E fu accontentata. «Non so dire quando sia successo, né come. Posso solo immaginare cosa abbia scatenato in me i primi sospetti riguardo a… No, non alla possibilità che tu fossi lei. Quanto al fatto che…» Chat Noir esitò, chinando il capo fra le spalle, visibilmente in difficoltà per quanto stava per confessarle. Prese fiato e si voltò di nuovo a guardarla negli occhi. «Mi sono innamorato di lei.»
   La ragazza avvertì le gambe tremare e il fiato venirle meno, mentre nel suo petto iniziava a divampare la fiamma di un sentimento dirompente e meravigliosamente devastante. Schiuse le labbra, ma da esse non uscì alcun suono.
   «Ho ritenuto fosse giusto dirtelo», riprese dopo qualche istante Chat Noir, sentendosi ancora teso come una corda di violino. «Non ti infastidirò più. Sai… con tutti quei fiori… e quelle parole d’amore.»
   «Non…. Non mi hai mai dato fastidio», volle fargli sapere Ladybug, a onor del vero. Lui si lasciò scappare un sorriso e lei ricambiò quell’espressione di sollievo, benché avvertisse nitidamente il cuore esplodere. «Ma… se lei può darti ciò che cerchi… non posso che esserne felice.»
   Il giovane inspirò a pieni polmoni l’aria della notte e annuì con convinzione. «Mi conosce. Sul serio», cominciò a spiegare, rianimato dalla comprensione della compagna. «Non sa chi ci sia sotto questa mia maschera, ma conosce bene entrambi i miei volti. E credo… di piacerle a prescindere.» Era un’ammissione? Fu questo che si domandò Ladybug a quel punto, appigliandosi alla speranza che l’altro stesse parlando di Marinette e dell’affetto che la legava sia a Chat Noir che al suo Adrien. «Non le dirò chi sono, non posso permettermi una simile imprudenza. Anzitutto per il suo bene», ci tenne a precisare lui, convinto di ciò che diceva. «Ma le farò sapere ciò che provo.»
   Cercando di aggrapparsi saldamente alla propria lucidità mentale, la ragazza azzardò ancora. «E non… credi che sia altrettanto imprudente dichiararti a lei?»
   «Lo sarebbe se lo facessi nei panni di Chat Noir.»
   Si sarebbe dunque dichiarato a lei come Adrien? Ancora una volta Marinette sentì il cuore scoppiare di gioia, al punto da farle male. Trattenne a stento le lacrime e fece violenza su se stessa per rimanere ferma dov’era.
   «Ho intenzione di dirglielo nella mia forma civile», continuò l’altro, del tutto inconsapevole dell’incendio divampato dentro di lei a causa sua. Adesso era molto più sicuro di sé e di ciò che provava, Ladybug poteva leggerglielo in volto e se ne riempiva l’anima. «È più giusto così.»
   Tacquero per alcuni istanti. Poi, Chat Noir tornò verso di lei e le tese una mano. «Spero di cuore che anche tu possa trovare la felicità con la persona che ami.»
   «Credo…» iniziò la ragazza con voce provata e gli occhi lucidi che lo divoravano con gioia, «di averlo appena fatto.» Lesse una vaga confusione nello sguardo dell’amico e scosse il capo, come a voler scacciare via ciò che aveva appena detto. Ignorò la sua mano e si protese per abbracciarlo, imponendosi di non lasciarsi trasportare troppo dai propri sentimenti per lui.
   Pur stupito da quella manifestazione d’affetto tutt’altro che sgradita, Chat Noir non tardò a ricambiare il gesto, stringendola a sua volta. «Avrai sempre un posto speciale nel mio cuore.»

«È un disastro!»
   «È solo un brufolo.»
   «E non poteva scegliere momento peggiore per spuntare!»
   Alya ruotò gli occhi allo spicchio di cielo che poteva scorgersi dal cortile all’aperto della scuola, mentre insieme si recavano verso la zona degli armadietti. «Il servizio fotografico è domenica e oggi è ancora lunedì. Avrà tutto il tempo per sparire.» E notando la disperazione dipinta sul volto dell’amica, si costrinse a farle notare un altro particolare: «È sulla fronte. Sotto la frangia. Non si nota.»
   «E se durante il servizio fotografico mi cambieranno anche pettinatura?»
   «Esiste il trucco.»
   «Lo so, ma… se poi peggiorasse la situazione e il giorno dopo mi ritrovassi con un bubbone putrescente pieno di pus?!»
   «Grazie per l’immagine, mi sta tornando su la colazione.»
   «Oh, Alya!» esclamò Marinette, sollevando le braccia al cielo per manifestare tutta la propria sofferenza. Non si trattava di essere vanesi, quanto di non voler in alcun modo apparire brutta accanto al proprio innamorato. Poteva davvero chiamarlo così, ora? Forse sì. Forse no. Dopo l’incontro con Chat Noir della sera addietro, non aveva ancora visto Adrien e pertanto non sapeva cosa aspettarsi, quel giorno. Sarebbe andato a parlarle? E se fosse scappato dopo aver visto l’enorme brufolo che le era spuntato nottetempo proprio in mezzo alla fronte, quasi fosse stato un tilaka che tuttavia non sembrava affatto volerla proteggere dalla sfortuna? «Tu non capisci, oggi avrebbe dovuto essere un giorno epocale!»
   Alya rise per la solita enfasi teatrale usata dalla sua migliore amica ogni qual volta era agitata per qualcosa. «Vuoi darti una calmata?» la prese bonariamente in giro. «E poi, epocale per quale motivo?» domandò, entrando nella stanza.
   Si bloccarono e ammutolirono quando videro Chloé davanti al proprio armadietto, che lei, notandole, richiuse con uno scatto secco, gli occhi socchiusi in due fessure sinistre e la linea della bocca incurvata verso il basso. «Tu!» esordì in tono minaccioso, avanzando verso di loro e puntando il dito contro il petto di Marinette con fare accusatorio. «Come osi presentarti qui?!»
   L’altra esitò, cercando di capirci qualcosa. «Ehm… perché c’è scuola?» azzardò. Cos’aveva fatto, adesso? Chloé era rimasta buona persino dopo la foto divulgata sui social, quella che ritraeva lei e Adrien abbracciati, perciò cosa mai poteva essere accaduto per indispettirla così tanto?
   «Fai poco la spiritosa!» ribatté, seriamente contrariata. «Adrien mi ha detto del servizio fotografico!»
   «Oh», comprese allora Marinette, credendo che non fosse poi la fine del mondo. «Non è stata una mia decisione. Me lo hanno chiesto ed io mi sono limitata ad accettare.»
   Chloé schioccò la lingua sotto al palato, segno che la cosa doveva stizzirla non poco. «Beh, adesso però faresti meglio a tirarti indietro, soprattutto per via di quell’orribile brufolo che hai fra gli occhi.» L’altra sbiancò e si portò entrambe le mani sulla fronte, schiacciando la frangia per nascondere il piccolo foruncolo rosa, a malapena visibile per chiunque non fosse stato una donna. Vide Chloé tornare diritta sulla schiena ed intrecciare le braccia al petto con aria boriosa, mentre prendeva a guardarla dall’alto. «Mio padre ha firmato i permessi per fare il servizio fotografico al parco, ma ti assicuro che mi basterebbe uno schiocco di dita per farglieli ritirare.»
   «A che pro?» intervenne a quel punto Alya, che mal sopportava quel genere di prepotenze – soprattutto se andavano a danneggiare la sua migliore amica. «Creeresti soltanto problemi a monsieur Agreste.»
   «Oppure migliorerei l’immagine della sua nuova collezione giovanile, posando accanto a suo figlio», fu l’ovvia risposta che seguì.
   «Non credi che, se fossi stata adatta, mio padre te lo avrebbe già chiesto?»
   Quella domanda, posta così a tradimento, indusse le tre ragazze a voltarsi in direzione dell’entrata, dalla quale Adrien doveva aver assistito almeno all’ultimo scambio di battute. Lo videro avanzare verso di loro e fermarsi proprio accanto a Marinette, alla quale rivolse un sorriso affettuoso. Lei si sciolse all’istante, ma poi si ricordò del brufolo e subito tornò a coprirlo con i capelli scuri.
   «Credi davvero che questa tappetta sia più adatta di me a fare la modella?» gracchiò Chloé, oltraggiata e delusa, stentando a credere a ciò che aveva appena sentito. Perché Adrien le andava sempre contro, quando si trattava di Marinette?! Cos’aveva più di lei?!
   Il giovane si strinse nelle spalle. «Mio padre pensa di sì.»
   «E tu, Adrien?» insistette l’altra, abbassando il tono della voce e lasciandosi sfuggire un’espressione ferita per quella situazione spiacevole. Davvero non contava più nulla, per lui? Non voleva più essere suo amico?
   «Chloé…» mormorò Marinette, avvertendo una stretta al cuore inaspettata. Benché la sua compagna di classe non lo sospettasse nemmeno, lei conosceva bene i complessi di inferiorità che aveva nei confronti di buona parte di loro. Certo il suo ruolo di eroina di Parigi, grazie al miraculous dell’Ape, l’aveva riscattata agli occhi dell’intera città, risollevando non poco la sua autostima, ma gli affetti rimanevano sempre il punto debole di Chloé.
   «Sono certo che tu non abbia nulla da dimostrare a nessuno», cominciò invece Adrien, posando una mano sulla spalla dell’amica d’infanzia e fissandola con affetto. «Anzi, hai già dato un’ammirevole prova delle tue capacità e della tua grandezza. Non hai bisogno di chiedere la mia approvazione, Chloé. Quella ce l’hai già.»
   Come poco prima Marinette, anche Chloé si sentì sciogliere davanti alla sua gentilezza. Era soprattutto per questo che adorava Adrien e voleva proteggere in tutti i modi il suo legame con lui, forse il solo ad esserle davvero amico senza alcun tipo di secondo fine. Abbassò lo sguardo, addolcendo i tratti del viso al ricordo delle parole che il fratello di Juleka le aveva rivolto due giorni prima: se non c’erano soluzioni, perché arrabbiarsi? Tanto valeva assecondare il corso degli eventi, facendo la propria parte in modo da preservare il meglio di ciò che poteva.
   «Sì, beh… ma è da un po’ che non passiamo del tempo insieme», borbottò poi, tornando ad alzare la testa con fare borioso. «Come minimo, mi aspetto che mi porterai davvero con te, la prossima volta che andrai a suonare con quella banda di perdenti.»
   Adrien inarcò le sopracciglia bionde e sorrise con aria piacevolmente sorpresa. «Giuro che lo farò.»
   «Bene.» Detto questo, e senza più degnare gli altri della propria attenzione, Chloé attraversò la stanza ed uscì in cortile, lasciando i propri compagni senza parole per diversi istanti.
   «Cavolo…» esordì infine Alya, ancora incredula. «Sta davvero imparando ad abbassare la cresta?»
   «Se sai come prenderla», spiegò Adrien, molto più avvezzo di lei a quel genere di spettacolo. «Chloé non è cattiva, ma è molto orgogliosa e ha solo bisogno di essere compresa.»
   «Povero colui che la sposerà…»
   «A quale banda si riferiva?» domandò invece Marinette, che, come Adrien, ormai aveva imparato a capire come interagire con la viziata figlia del sindaco. Per diversi anni erano state in classe insieme e ne era nata una rivalità che nessuna delle due avrebbe davvero saputo spiegare; eppure sembrava che nell’ultimo periodo le cose, fra loro, stessero migliorando. Certo erano ancora ben lungi dal poter definire il loro rapporto simile ad un’amicizia, sia pure superficiale, ma era un dato di fatto che Chloé si era arresa ad accettare l’aiuto di Marinette in almeno un paio di occasioni, e aveva persino ammesso con Ladybug di non avercela davvero con lei.
   «Sabato mattina ha conosciuto Luka», spiegò Adrien, sbirciando in direzione dell’amata. La vide sgranare gli occhi e sorrise divertito. «Credo che l’abbia colpita, in qualche modo.»
   «Stai scherzando?!» si lasciò scappare lei, non sapendo se essere meravigliata o inorridita.
   Quella reazione ebbe il potere di far irrigidire il giovane, quasi fosse tornato in lui il timore che il fratello di Juleka potesse ancora avere un qualche effetto sul cuore di Marinette. «Sarebbe così… terribile?»
   «Cosa?» balbettò la ragazza, non avvertendo lì per lì quella paura. Quando lo fece, si diede dell’idiota e si batté una mano sulla fronte, schiacciandosi il brufolo e facendosi persino male. Trattenne a malapena un’imprecazione. «No…» rispose poi, dandosi, oltre che dell’idiota, anche della cretina. Non voleva scoraggiare in alcun modo Adrien, lasciandogli intendere che le importasse della vita sentimentale di Luka. O meglio, le importava perché gli augurava di essere felice, certo, ma con un’altra ragazza. Era il nome di Chloé che, nello specifico, le lasciava tanti, troppi dubbi. Insomma, quei due erano diversi come il giorno e la notte, e per quanta pazienza potesse avere Luka, di sicuro anche lui avrebbe finito col mandare al diavolo Chloé nel giro di poco tempo. «Mi sono solo stupita, ecco tutto», corresse il tiro Marinette, cercando di tranquillizzare Adrien. «Chloé è… imprevedibile
   «Questo è vero», ammise lui, tornando a rilassarsi almeno in parte. Quindi era tutto a posto? Avevano ragione i suoi amici, a dire che Marinette avrebbe sicuramente accettato di diventare la sua ragazza senza alcuna remora? Bene. Ora non doveva far altro che aspettare il momento propizio per prenderla in disparte e dirle ciò che provava per lei. Forse poteva invitarla di nuovo da qualche parte, ipotizzò fra sé, mentre si avviavano insieme verso l’aula per la prima lezione del mattino. Al cinema? No, sarebbero rimasti in silenzio tutto il tempo, senza la possibilità di parlare davvero. Al parco? Di nuovo? No, tanto più che ci sarebbero tornati domenica, per il servizio fotografico. In biblioteca, con la scusa dei compiti? Non avrebbero potuto lasciarsi andare ad eventuali effusioni, poi. In mensa? Oddio, sul serio?! Perché mai in un posto del genere?!
   Fu continuando a raccapezzarsi su questo e su molto altro che la mattinata per Adrien trascorse fin troppo lentamente. Stessa impressione ebbe Marinette che, seduta dietro di lui, lo vedeva distratto e pensieroso: forse, si disse, avrebbe potuto venirgli incontro. Sì, ma come?
   Ragionando di questo, al rientro in classe per le lezioni pomeridiane, non si accorse di Chloé che, tagliandole la strada, si fermò alcuni passi avanti a lei e la fissò con sguardo critico. Quindi, mise mano alla borsa e ne trasse qualcosa che lanciò verso Marinette. Goffa come sempre, lei quasi la fece cadere, ma quando l’ebbe saldamente in pugno sbarrò gli occhi e li piantò di nuovo sull’altezzosa compagna di classe. «Lo faccio per Adrien», mise subito in chiaro quella, dando poca importanza alla gentilezza che le aveva appena fatto. «Non voglio che tu lo faccia sfigurare per colpa della tua stupida pelle grassa.»
   «Funziona sul serio?»
   «Con quello che costa!» fu l’eloquente risposta che ottenne a quell’inutile domanda, mentre Chloé le voltava le spalle e si dirigeva a passo svelto verso il proprio banco. Marinette sorrise con riconoscenza, stringendo fra le dita la confezione di una delle creme antibrufoli più care presenti sul mercato.












Rieccoci e perdonate il ritardo, ma sono stata influenzata e, oltre a non aver potuto rispondere ai vostri messaggi e commenti, non ho potuto rivedere a dovere questo capitolo prima di oggi (e vi assicuro che c'erano diverse cosette da sistemare).
Ormai siamo in dirittura di arrivo, manca davvero pochissimo: un capitolo e l'epilogo (che sarà piuttosto breve). In un paio di settimane dovrei riuscire a postare tutto, insomma (salvo contrattempi).
Non mi dilungherò oltre, limitandomi a scusarmi per la mia assenza e ringraziandovi di cuore per essere ancora qui con me. ❤️
Un bacio a tutti,
Shainareth





  
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