Il
Gioiello del Vaticano
Capitolo
13 - Gli Amanti
Nei Tarocchi,
la carta degli
Amanti esprime amore come bellezza spirituale, come legame universale
attraverso l’espressione di un sentimento. Simboleggia l’amore puro,
gli
ideali. Indica i desideri migliori, il potere di scelta, il libero
arbitrio.
Al negativo, però, esprime dubbio e indecisione, cose che sono in
sospeso e non
si realizzano, esitazione, prova attraverso una tentazione.
Leonardo
passò per l’ultima volta l’affilata lama lungo il profilo del mento,
prima di
sciacquarla nell’acqua e gettarla senza cura in un angolo qualsiasi
della
stanza. Si appoggiò con la schiena alla vasca e rimase in silenzio a
fissare al
soffitto.
Aveva
così tanti pensieri per la testa che non riusciva a decretare quale
catturare e
seguire, per cui decise che la scelta migliore era ignorare ogni cosa e
cercare
di distrarsi. Lentamente si lasciò scivolare lungo la liscia superficie
alle
sue spalle e si immerse completamente nell’acqua, trattenendo il fiato
e
serrando con forza gli occhi.
Rivide
lo sguardo di Lucrezia nell’aula di tribunale, dopo l’emissione della
sentenza,
e non riusciva a togliersi dalla testa quella fastidiosa sensazione che
gli
aveva annodato lo stomaco: nel suo sguardo non c’era solo tristezza e
pietà,
c’era un dolore che la stava mangiando viva, un senso di colpa
straziante. E
più l’artista cercava di trovare una spiegazione a tutto ciò, più si
rafforzava
in lui un terribile presentimento.
Quando
i polmoni iniziarono a bruciare per lo sforzo, Leonardo riemerse
dall’acqua,
respirando profondamente per riprendere fiato. Non solo non riusciva a
spiegarsi la sua presenza al processo, ma avrebbe proprio fatto
volentieri a
meno di vederla.
Eppure,
in un minuscolo angolo della sua mente, troppo piccolo per essere
raggiunto, da
Vinci sapeva perfettamente qual era il suo vero desiderio, la persona
che
effettivamente avrebbe voluto vedere, nonostante gli eventi degli
ultimi
giorni.
Voleva
vederla. Voleva toccarla. Voleva baciarla.
Magari
proprio in quella vasca.
Ma
scosse energicamente la testa, bloccando la sua fantasia sul nascere.
Aveva
capito fin da subito l’effettivo piano dietro a quell’accusa, e quei
suoi
assurdi pensieri erano nettamente in contrasto con lo stato d’animo che
avrebbe
dovuto avere.
Sbuffò
sonoramente e si stropicciò gli occhi con aria stanca. La sua mente
stava
lavorando troppo e, se non si fosse fermato in tempo, avrebbe ottenuto
solo un
fastidioso mal di testa.
Per
sua fortuna, il cigolio della porta d’ingresso della sua bottega gli
fornì un’ottima
via di fuga da tutta quella confusione: Zoroastro e Nico avevano già
fatto la
loro comparsa per assicurarsi che stesse bene, per cui l’unica persona
rimanente era Vanessa. Il tempo di un saluto e di qualche
rassicurazione, e
sarebbe potuto tornare a mollo nell’acqua calda.
«Sto
bene, Vanessa», esclamò Leonardo, alzandosi in piedi ed uscendo dalla
vasca, circondato
da deboli filamenti di vapore tutt’intorno al suo corpo.
Riacquistò
la sua tipica espressione da artista presuntuoso ed arrogante e si
diresse
verso le scale, senza preoccuparsi di mettersi qualcosa addosso.
Non
appena mise piede sui gradini più in alto, scorse una figura di spalle,
coperta
dalla testa ai piedi da un semplice mantello nero.
«C’è
una meravigliosa vasca piena d’acqua profumata, al piano di sopra»,
iniziò
Leonardo, più seccato di quanto non volesse sembrare. «E vorrei
trovarla ancora
calda quando-…», ma le parole gli morirono in gola quando la donna di
fronte a
lui si voltò.
Gemma
impiegò giusto un secondo per perdere la sua aria distaccata ed
indifferente, e
ancora meno tempo per voltarsi di nuovo di spalle.
«Artista,
è così che accogliete una donna nella vostra bottega?», domandò, il
tono della
voce fermo ma ben diverso dall’espressione, decisamente più turbata,
che aveva
in volto. Per sua fortuna, però non poteva essere vista.
«Dipende
dalla donna in questione, contessa», rispose tranquillamente da Vinci,
per poi
rendersi conto dell’assurdità di quella situazione: avrebbe dovuto
sentirsi infuriato,
infastidito, o come minimo in imbarazzo, eppure nessuna di quelle
emozioni
sembrò scalfirlo.
«Temo
di appartenere ad un livello decisamente superiore rispetto alle vostre
solite
compagnie», commentò la giovane Riario, riacquistando il suo tipico
tono
tagliente.
Leonardo
approfittò di quei pochissimi secondi per acciuffare un paio di
pantaloni dal
mobile al suo fianco, cercando di essere allo stesso tempo il più
veloce e il
più silenzioso possibile.
«La
vostra stima nei miei confronti crolla tragicamente, quando non
parliamo della
mia genialità», continuò a tono l’ingegnere, approfittando delle sue
parole per
coprire il rumore della stoffa, mentre indossava i pantaloni.
Gemma
era perfettamente consapevole di quanto tempo stesse perdendo, ma era
più forte
di lei: non appena lei e Leonardo iniziavano una conversazione, tutto
diventava
una gara a chi dei due sarebbe riuscito a prevalere sull’altro. E,
purtroppo
per lei, azzuffarsi verbalmente con quell’artista era una tentazione
irresistibile.
«Credo
che definirla stima sia esagerato»,
continuò la nobildonna romana, senza riuscire a celare un sorrisetto
malizioso
sulle sue labbra.
Alle
sue spalle non aveva udito altro che silenzio, ma ad un tratto avvertì
perfettamente dei passi avvicinarsi a lei, lenti e calcolati.
«Non
la pensavate così quando mi avete supplicato di sottomettermi a Roma»,
mormorò da
Vinci, ormai sempre più vicino alla ragazza.
«Confondete
le suppliche con le minacce, artista», rispose la contessa, combattendo
l’irresistibile tentazione di voltarsi.
Non
si accorse che l’uomo era ormai alle sue spalle fino a quando non sentì
le sue
parole ad un soffio da lei, e fu difficile trattenere un sussulto.
«Nel
vostro caso, sembrano coincidere», bisbigliò Leonardo, abbassandole
lentamente
il cappuccio del mantello.
Era
così abituato a vederla costretta in complesse ed austere pettinature
quando
indossava la divisa del Vaticano, che rimase molto sorpreso nel vedere
i suoi
capelli completamente sciolti, acconciati in morbidi ricci che
sembravano
implorare le sue mani di accarezzarli.
La
vide mantenere lo sguardo dritto davanti a sé, e capì di essere
riuscito a
rivestirsi senza farglielo sapere.
«Ero
convinto che nulla riuscisse a turbarvi», la provocò di nuovo,
avvicinandosi
volutamente al suo orecchio e mantenendo il tono della voce basso e
roco.
«Credete
davvero che un pittore sia in grado di turbarmi?», si difese lei
immediatamente,
ma sapeva benissimo che, finché rimaneva di spalle, dimostrava il
contrario.
Decise
di correre il rischio, facendo affidamento sulla sua incredibile
capacità di
celare le sue emozioni, e si voltò lentamente verso l’artista,
sostenendo il
suo sguardo. Con la coda dell’occhio notò i pantaloni e, suo malgrado,
si sentì
sollevata.
«Sapevo
che eravate vestito», mormorò la contessa, ritrovata tutta la sua
sicurezza.
«Avete
un udito strabiliante o avete sbirciato?», la provocò lui, alzando le
sopracciglia
con eloquenza.
«Non
sopravvalutatevi, ho visto di meglio», rispose lei prontamente, con uno
sguardo
di sufficienza.
Suo
malgrado, il sorrisetto impertinente ed arrogante di Leonardo crollò di
colpo a
quelle parole, mentre quello della contessa si fece ancora più
soddisfatto.
Gemma
lo superò, iniziando a camminare per la bottega e concedendogli qualche
secondo
per raccogliere i cocci del suo orgoglio infranto. Anche se non
l’avrebbe mai
ammesso, nemmeno sotto tortura, in cuor suo sapeva che si era spostata
solo per
non cedere alla tentazione di osservare quanto del corpo dell’artista
non era
coperto dai vestiti. Inoltre quelle sue prime parole, riguardo ad una
vasca di
acqua calda che non doveva essere sprecata, suonavano fin troppo
stuzzicanti
alle sue orecchie.
«Allora
perché siete qui, quando avete evidentemente di meglio da fare?»,
domandò da
Vinci, maledicendosi subito dopo per il tono da cucciolo offeso che non
era
riuscito a nascondere.
Gemma
si destò dai suoi pensieri, decisamente poco consoni alla situazione,
ed
indossò di nuovo la maschera della fredda ed imperturbabile contessa
Riario.
Si
voltò di nuovo verso di lui, con un sorrisetto appena accennato, e
congiunse le
mani davanti a sé.
«Volevo
mettervi in guardia, artista», iniziò lei, con tono freddo e deciso.
«Avverto
una nota di preoccupazione, contessa»,
rispose Leonardo, ritrovando un po’ della sua tipica arroganza e
marcando
notevolmente il suo titolo.
Nel
mentre, si era concesso alcuni istanti per osservarla. I suoi abiti
erano
quelli di sempre, la cupa ed austera divisa papale, ma notò come il
mantello e
i lunghi capelli sciolti coprissero perfettamente il simbolo del
Vaticano. Senza
quell’emblema cucito all’altezza del cuore, sembrava una fanciulla come
tante
altre, libera da obblighi e missioni.
E
Leonardo si chiese come sarebbe stato conoscerla in altre circostanze.
Un
giovane uomo che conosce una giovane donna, niente di più.
«Continuate a
sopravvalutarvi», rispose lei con una finta
aria dispiaciuta, abbattendo per la seconda volta il sorriso
dell’artista.
«Permettetemi di essere chiaria», aggiunse, avvicinandosi di qualche
passo.
«Voi non siete niente di più di un mero strumento, un investimento.
Semplicemente, detesto gli imprevisti durante un affare».
Da
Vinci avrebbe voluto dirsi turbato, o quanto meno intimidito
da quelle parole, ma invece fu distratto da tutt’altro. Il suo sguardo
sfuggì
al suo controllo ed indugiò ovunque: sul suo viso, sui suoi occhi,
sulle sue
labbra, sui suoi capelli, sulla sua camicia così accollata. Troppo
accollata.
«Quanto accaduto questa settimana non è altro che la
dimostrazione del potere di Roma. Dunque, siete ancora convinto che la
vostra
fedeltà a Firenze vi manterrà in vita?»
La
voce di Gemma lo riportò con i piedi per terra, e lo
costrinse a recuperare la sua tipica arroganza, nonostante il duro
colpo
assestato da un commento in particolare. Un piccolo dettaglio nel
discorso
della contessa, però, gli fornì una perfetta distrazione.
«Detestate gli imprevisti?», ripeté l’artista, e la
contessa capì immediatamente, dal suo tono e del suo ghigno, che stava
per esserle
restituito il favore. «Deduco quindi che quell’accusa di stregoneria
non
rientrasse nei vostri piani», aggiunse lui, avvicinandosi di qualche
passo,
tanto da costringerla ad indietreggiare per sostenere il suo sguardo.
Gemma
avrebbe voluto prendersi a schiaffi da sola: talmente
presa dal desiderio di zittirlo a dovere, si era tradita senza nemmeno
accorgersene. Doveva trovare al più presto una soluzione o la sua
visita di
intimidazione le si sarebbe ritorta contro.
«Ogni cosa è stata attentamente calcolata», rispose la giovane
Riario, con il suo tipico atteggiamento freddo e distaccato. «Non avete
mai
corso il rischio di finire sul rogo».
«Non riesco a spiegarmi il perché, ma ho la netta
sensazione che stiate mentendo», ribatté l’artista, con non poco
sarcasmo.
«Mi assumo io il compito di spiegarvi più accuratamente la
situazione: le esplosioni fuori dalla prigione sono state
l’imprevisto», iniziò
la contessa, incrociando le braccia al petto. «È stato subito chiaro
chi ne fosse
l’artefice».
Leonardo
annuì distrattamente, fingendo di credere alla
spiegazione appena fornitagli, ma notò chiaramente i tratti del viso di
Gemma:
non più rilassati e sicuri, ma tesi e nervosi.
Nonostante
tutto, ancora non riusciva a spiegarsi il motivo
dietro la sua visita. Evidentemente i Pazzi avevano assunto il comando
della
situazione, alterando il piano inizialmente elaborato dalla contessa,
ma grazie
al suo ingegno era riuscito a scappare dalla pena di morte. Ma allora
perché la
nipote del Papa aveva fatto tanta strada per incontrarlo di persona?
«Supponiamo, per un istante, che io creda al vostro
maldestro tentativo di salvarvi», iniziò lui, con tutta l’arroganza di
cui era
capace. «Ancora non mi è chiaro il perché della vostra presenza qui, a
Firenze,
nella mia bottega», continuò Leonardo, e ad ogni parola il suo tono di
voce era
sempre più basso e la distanza tra lui e la contessa sempre più
insignificante.
Gemma
tentò di indietreggiare ancora ma si ritrovò con le spalle
al muro, letteralmente. Nonostante la
fastidiosa sensazione di sentirsi in trappola, recuperò tutto il suo
autocontrollo e la sua maschera non si incrinò.
«Non mi avete ascoltata, artista», mormorò lei, il tono di
voce che si era adeguato a quello di da Vinci. «Vi sto mettendo in
guardia:
questo processo è solo una minuscola dimostrazione di quello che Roma è
capace
di fare, pur di ottenere ciò che vuole».
«Ovvero me?», l’anticipò Leonardo, raggiungendola contro
la parete. Poggiò una mano a lato del suo viso e l’altra sul tavolino
al suo
fianco, imprigionandola.
«Ovvero voi», confermò Gemma, con un sorriso freddo e
tagliente.
Dietro
al turbamento nel vedere tutte le sue vie di fuga
bloccate, la contessa percepì perfettamente qualcos’altro, una
sensazione che
non avrebbe mai dovuto provare in una situazione del genere, e ancora
meno con colui
che era suo nemico e bersaglio.
«Non
dovreste avere più cura del vostro strumento?»,
la provocò da Vinci, sottolineando il modo in cui lei stessa lo aveva
definito,
poco prima.
Gemma
stava per rispondere con una delle sue frasi provocatorie, ma Leonardo
avanzò
improvvisamente verso di lei, fermandosi solo all’ultimo secondo, ad un
soffio
dal suo viso, bloccandole così qualsiasi risposta sul nascere. Lo vide
indugiare con lo sguardo sulle sue labbra, e il ricordo del loro primo
incontro
le ritornò in mente con prepotenza.
Leonardo
sembrava decisamente intenzionato a raggiungere il suo scopo, ovvero
annullare
del tutto quella distanza a dir poco logorante; tuttavia, non azzardò
alcuna
mossa, caricando l’atmosfera di aspettativa.
La
contessa Riario rimase in silenzio qualche altro istante, prima che la
sua
impazienza avesse la meglio.
«Che intenzioni avete?», mormorò in
un soffio, e d’istinto l’artista serrò gli occhi con forza.
I
tratti del viso di lui rivelavano chiaramente
tutta la sua frustrazione e il suo conflitto interiore, la lotta tra il
desiderio di baciarla e il ricordo del suo ruolo in quella battaglia.
La
contessa lo notò e, per quanto fosse sbagliato, lo provocò
ulteriormente.
«Potrei anche decidere di
assecondarvi», aggiunse lei, facendo scivolare lo sguardo sulle sue
labbra.
«Ah sì?», domandò Leonardo con un
filo di voce, senza concedersi il tempo di capire se fosse giusto o
meno
indagare oltre.
«Chi può dirlo, artista», mormorò
Gemma, chinando la testa di lato e mordendosi il labbro inferiore.
«Non siete tentata dall’idea di
scoprilo?», chiese da Vinci, genuinamente curioso, mentre le sue labbra
si
incurvavano in un sorrisetto dei suoi.
«Scoprire che cosa?», ribatté la
contessa, la voce ridotta ad un sussurro e la mente ormai lontana dal
vero
motivo della sua visita.
«Cosa potrebbe succedere…», iniziò
Leonardo, avvicinandosi nuovamente al suo viso, fino ad arrivare ad un
soffio
da lei. «…se sceglieste di lasciarvi andare…», proseguì, mentre le sue
mani le
cingevano la vita, avvicinandola a sé. «…di pensare a voi stessa, per
una
volta, ignorando il vostro ruolo e i vostri ordini…», e lentamente
iniziò ad
accarezzarle i fianchi, risalendo lungo tutto il suo corpo. «…se
provaste a
dimenticare che sono il vostro bersaglio», concluse in un sussurro,
giungendo con
le mani al nodo che legava il suo mantello.
«Ho quest’impressione che voi invece scordiate
facilmente che sono vostra nemica», replicò Gemma, fingendosi
perplessa.
Eppure,
se quella piccola dimenticanza
comportava tutto il resto, tutte le attenzioni e tutti i gesti
dell’artista per
lei, rinfrescargli la memoria sarebbe stato un vero peccato.
«Perché sono un artista», rispose lui
semplicemente, lasciando cadere il pesante mantello a terra.
Da
quel punto, le sue mani non si mossero di un
centimetro, e si dedicarono al primo bottone della giacca del Vaticano,
facendolo scorrere con una lentezza a dir poco straziante fuori
dall’asola.
«Dunque?», domandò la contessa, poco
soddisfatta della risposta.
«Riesco a vedere il mondo con occhi
diversi», spiegò lui, continuando il suo percorso, un bottone alla
volta.
«Lotto contro i limiti, e mi rifiuto di vedere solo bianco o nero, ma
cerco
anche tutti gli altri colori», continuò, finché la giacca non fu aperta
per
metà.
«Continua a non essere una risposta»,
obiettò Gemma, mentendo spudoratamente: aveva capito perfettamente
quale fosse
il punto di vista di Leonardo, ma proprio per quel motivo voleva
sentirlo
proseguire, ascoltare finalmente qualcuno che riuscisse a pensare fuori
dagli
schemi, che riuscisse…
Quasi
trasalì, rendendosene conto.
Che
riuscisse a vederla come nessun altro faceva.
«Potrebbe essere un invito», mormorò
da Vinci, mentre le sue abili dita d’artista raggiungevano la seta
della
sciarpa e si dedicavano al nodo che la affliggeva. «Ad andare oltre i
ruoli che
gli artefici di questa recita hanno scelto per noi», e anche la morbida
stoffa
scura che le avvolgeva il collo cadde a terra.
«Un invito ancora poco allettante,
non trovate anche voi?», domandò la contessa, nel tentativo di prendere
tempo.
E
nel tentativo di calmare quella sensazione di
tepore che le stava stringendo il petto. Non sapeva che cosa stesse
succedendo,
o più probabilmente aveva paura di conoscere la risposta, ma sentirlo
parlare
in quel modo, di fuggire dalle maschere, dalle menzogne, dalla
solitudine… la
stava colpendo più di quanto non credesse possibile.
Leonardo
si concesse qualche altro secondo di
tempo, abbastanza da dedicarsi ai primi bottoni della camicia, prima di
rispondere, con le labbra piegate in un piccolo sorriso.
«Posso renderlo più attraente»,
mormorò, mentre le dita indugiavano sul prossimo bottone lungo il suo
percorso,
senza dare segno di volerlo lasciare. «O persuadere la diretta
interessata»,
aggiunse, chinandosi abbastanza da pronunciare le ultime parole al suo
orecchio.
«In che modo, artista?», domandò la
contessa, sottovoce, cercando di combattere la tentazione di chiudere
gli occhi
e abbandonarsi a quello che stava per giungere.
«Perché rovinare così la sorpresa, Gemma?»,
ribatté Leonardo, cedendo per l’ennesima volta alla tentazione di
baciarla
lungo tutta la linea del collo, dall’orecchio a scendere fino
all’incavo con la
spalla. «È sufficiente un Sì»,
aggiunse, concentrando le sue attenzioni in un punto ben preciso.
Era
pronto a qualsiasi risposta, frecciatina,
battutina, offesa… Non si aspettò minimamente di sentirla sospirare e,
per
quanto si fosse sforzata di soffocarlo, quel piccolo segno di cedimento
non
passò affatto inosservato all’artista.
Incentivato,
le lasciò qualche altro bacio
nell’incavo del collo, prima di mordicchiare appena appena la morbida e
candida
pelle di quel punto tanto sensibile.
«Solo una volta, Gemma», mormorò,
facendola rabbrividire per il suo caldo respiro così vicino al suo
corpo. «Un’occasione
per fuggire dalle bugie, dagli inganni, dalle manipolazioni…»,
proseguì, mentre
le sue dita ricominciavano a dedicarsi ai bottoni successivi,
sfiorandole di
volta in volta la pelle.
Nessuna
risposta giunse alle sue orecchie, di nuovo, eppure
per Leonardo fu un
segnale tutt’altro che scoraggiante. Ad un soffio dal suo viso, sentì
il suo
respiro farsi più rapido e conciso, e questo gli diede man forte per
risalire
la linea del suo collo, bacio dopo bacio, fino alla guancia.
«Un’occasione di libertà», mormorò
lui, con un filo di voce, prima di lasciarle un lungo bacio sulla
fronte.
Gemma
stava per cedere. Ormai non poteva più
negarlo, lo sentiva fin troppo chiaramente. In gola. Nel petto. Nel
cuore.
Quando
sentì le labbra piegarsi in un Sì, capì di non avere
più alcun
controllo su quello che stava succedendo. E la possibilità che le sue
difese e
i suoi limiti crollassero era un rischio che non poteva permettersi.
«Attendo il vostro, di Sì», mormorò la
contessa, poggiando le
mani sui polsi di Leonardo e allontanandoli da sé stessa.
La
gola le si serrò dolorosamente, vedendo la
delusione tutt’altro che celata sul volto dell’artista, ma si rifiutò
di cedere:
se fosse rimasta, non se ne sarebbe più andata.
Si
limitò a spostare lo sguardo sul suo
mantello, che ben presto lasciò il pavimento della bottega, e allo
stesso modo
Gemma, senza mai voltarsi indietro.
Angolo
dell’autrice
Buonsalve
a tutt*!
Fa
un po’ caldo qui dentro o
sbaglio?
E
se dico che questo è
probabilmente il mio capitolo preferito tra tutti, sbaglio di nuovo?
È
una scena che ha preso vita
da sola nella mia mente, le parole sono uscite da sole e quando la
rileggo mi
vengono ancora i brividi. Diciamo pure che Leonardo e le sue proposte
sono una
bella mina all’autocontrollo di chiunque…
Sarà
l’ultimo incontro tra i
due nemici, prima della partenza di Leonardo lontano da Firenze. Be’,
si sono
sicuramente lasciati molto a cui pensare. Entrambi.
Al
prossimo capitolo, tra due
settimane!
Un
bacione
Amy
W. Gildeary