Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Diana LaFenice    01/03/2019    0 recensioni
«Sapevi che esistono ben più di ottantotto costellazioni, nella volta celeste? Alcune sono scomparse, altre esistono già, alcune sono visibili a occhio nudo e altre ancora devono ancora nascere. Invece, alcune sono talmente lontane che non possono essere viste neanche con il telescopio più potente del mondo. Io le conosco tutte, io le vedo e le sento tutte. Eccole, sono proprio qui, davanti a me, le sento sulla punta delle dita».
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quia Averno Tributes

 

 

 

Aldebaran
Il rombo di tuono risuonò come un ruggito in tutto il Santuario. Sperasti che non iniziasse subito a piovere, perché Yoshino non aveva portato con sé l’ombrello. Era andata a trovare la sua amica e, per la prima volta da che era entrata in contatto con il tuo mondo, o meglio, tornata a farne parte anche lei, eri preoccupato.
«Forse non avremmo dovuto lasciare che andasse da sola». Se ne uscì Shaina stringendosi nelle spalle, preoccupata. La guardasti. In tua presenza non indossava mai la maschera e la sua espressione la diceva lunga sui suoi pensieri.
Il messaggio telepatico di Kiki era risuonato forte e chiaro nell’aere. Dopo un momento di annichilimento, il Gran Sacerdote aveva subito preso in mano la situazione. 

 

Il Chrysos Synaigen si era svolto telepaticamente sfruttando i poteri telepatici di Kiki, che aveva fatto da antenna affinché tutti voi poteste ricevere e comunicare.
Aiolia e Milo avevano sbottato in coro con Seiya. Il quale aveva subito pensato a Lady Isabel e si era inalberato, subito seguito dai suoi fratelli e anche da te, più discretamente.
Shura aveva fatto scena muta finché non era arrivato il momento di intervenire nella riunione. Ossia quando aveva sollevato la questione della presenza di Odysseus all’interno del perimetro e aveva suggerito un piano di attacco.
Kiki era rimasto in silenzio come Aphrodite, entrambi riflettevano. Potevate quasi sentire i loro pensieri che comunicavano su una frequenza a parte. Facevano così molto spesso da quando Kanon decise di farli collaborare per risolvere il mistero del monastero. Ma se era facile intuire che stessero elaborando una probabile strategia, nonostante che i pensieri di Aries fossero più oscuri. Probabilmente stava pensando alle Armature e alla vostra inferiorità numerica. Shun tempestava l’assemblea di domande e rispondeva a quelle di Milo a proposito di tutte le cure che le aveva somministrato. Aiolia, il solito impulsivo, proponeva di istaurare una vera e propria caccia all’uomo. Milo invece era più subdolo, suggeriva di aspettare e attenderlo arroccati nelle Dodici Case come al solito. Perché era chiaro che Odysseus avesse due obiettivi: la testa della Dea e la sua allieva.     

 

C’era un piccolo problema che andava ad assommarsi a quelli già presenti: adesso di Dee Atena ve ne erano due. Questo significava che dovevate dispiegare le forze.  
Affidaste la strategia ad Aphrodite e a Kanon. Saga era stato scartato in quanto ancora in terapia. Era stato veramente difficile convincerlo a restare nelle retrovie. L’unico motivo per cui si era piegato era che aveva piena fiducia nelle vostre capacità. In fondo, tutti voi eravate dei Gold Saint., eravate più che sufficienti per difendere le Dee e il Santuario.
Forti di questo pensiero, vi eravate così organizzati tramite le informazioni che il Venerabile Shion vi aveva fornito. Vi eravate divisi in tre gruppi, ma, nessuno di voi avrebbe dovuto sapere dell’altro una volta che i nomi erano stati fatti. Sicché, nel caso fosse comparso Odysseus, anche se vi avesse letto nel pensiero, non avrebbe saputo né dove si trovassero i restanti, né quanti fossero, né chi fossero.
Pertanto, Lancelot, Mur, Shaina, Shun e te, avreste protetto Yoshino. Avevate faticato molto per convincerla a non andare da Astrid quella sera. Yoshino era stata in pena tutto il tempo per la sua amica e sapere questa nuova minaccia la spaventava. Ma aveva capito che era necessario, anche senza l’intervento di Shura. Il quale aveva deciso di restare al fianco della Custode della Luce Ombrosa. Kanon aveva organizzato le forze di modo che i più potenti tra i Gold Saint si radunassero attorno ad Atena, perciò  Shun si era schierato al fianco della Vostra Dea su alle Dodici Case, come avevano fatto anche Shiryu, Hyoga e Seiya.
Milo ti aveva fatto un grandissimo favore a lasciare che Shaina restasse al tuo fianco per stanotte, così avresti potuto proteggere anche lei. Troppe volte avevi temuto per lei e avevi pregato che si salvasse. Anche se era una potente Silver Saint ed eri orgoglioso che una donna così bella, fiera e forte stesse al tuo fianco, non avevi saputo impedirtelo. L’amavi troppo, ecco la verità e per lei avresti combattuto anche con il doppio delle tue forze. Se fosse stata in pericolo saresti corso da lei. Come in Giappone i primi anni passati insieme. La guardasti e, lei, come se avesse percepito il tuo sguardo su di sé, volse il volto mascherato verso di te. Sapevi che anche lei stava ricordandosi di quel giorno che fu mandata a controllare che il Cosmo che aveva percepito fosse effettivamente il tuo. Quello che non si era aspettata, fu anche il primo soldato dell’Altra Dimensione, inviato dall’Antipapa per recuperare la neonata Yoshino.
Quella che sarebbe diventata la tua consorte ci rimase di stucco quando tu la salvasti, seppur sprovvisto di Armatura. ancora di più quando tu ti prendesti cura di lei. Nello scontro aveva riportato qualche ferita. Avevi cercato di darle meno tormento possibile e questo l’aveva sorpresa ancor di più. Anche se indossava ancora la maschera l’avevi capito lo stesso. anche se a volte, nel sonno l’avevi sentita mormorare «Cassios». Ma non le avevi mai chiesto spiegazioni per rispetto.
Con il tempo lei si era aperta un po’ con te e aveva cominciato a darti una mano con Yoshino, che era già vivace all’epoca e, come tutti i neonati, piangeva di notte. 
Non avresti saputo dire quando tra voi fosse scoccata la scintilla, ma, piano piano, grazie anche all’aiuto inconsapevole di Yoshino, capisti di provare qualcosa per la tua sottorango. Avevi sentito molte storie su di lei al Santuario. Ce l’aveva proprio messa tutta per farsi temere e rispettare. Ma non pensavi che nascondesse tanta dolcezza. Pensasti che Seiya fosse fortunato. Avevi visto anche tu la ferita della donna in mezzo alle scapole, laddove la freccia d’oro l’aveva colpita, respinta dal Cosmo di Poseidone, ti disse.
E, fu proprio a causa di Seiya, di quel ragazzino allegro e caparbio che sorrideva quasi sempre, che decidesti di non sfiorarla senza intenti puri. Amava Seiya, si vedeva, anche se le pesava non poterlo raggiungere a Villa Thule.    
Quando i soldati dell’Altra Dimensione erano tornati, guidati da un Silver Saint dal Cosmo tutt’altro che benevolo, rivelandovi chi fosse davvero quella bambina, Shaina ti aiutò. Insieme proteggeste la giovanissima Atena respingendo le forze nemiche.
Solo quando scomparvero lei, per la prima volta, si tolse la maschera di fronte a te. E ti aveva sorriso, timida. Da allora non vi eravate più lasciati.
Ovvio che il vostro amore non aveva precluso il vostro lavoro. Lei aveva addestrato Kouga di Pegasus e tu avevi continuato a vegliare su Yoshino, aiutato anche dal Venerabile Shion, che poi si era messo in contatto con te una volta percepito il tuo Cosmo.
Insieme, voi tre concordaste che quella serie di eventi non era normale. E, presto, vi sareste dovuti ritrovare ad affrontare dei nuovi nemici. Avreste dovuto addestrare qualcuno, ma il Venerabile si offrì di pensarci lui, dopotutto, voi adesso eravate genitori. Anche se non avevate alcuna idea di come avessero fatto a oltrepassare la barriera che separava le realtà. Neppure il Venerabile Shion, che ai tempi era ancora nascosto in un monastero shintoista, una volta terminato l’apprendistato di Kiki, aveva saputo dirvi qualcosa. Ma questo lo scopriste solo nove anni dopo. Fino a quel momento avevi pensato di essere l’unico Gold Saint risorto. E, se c’era qualcuno che, in questo frangente poteva aiutarvi, era proprio lui. In quanto ex allievo di Odysseus doveva aver assimilato qualcosa da lui. E, fu sempre lui a ordire una trappola nei suoi confronti. L’uomo che avreste dovuto affrontare era più infido di uno spirito e astuto come pochi. Non per niente aveva partecipato alla Guerra di Troia e aveva espugnato la città. Avreste usato la stessa tecnica di Mur contro Myu della Farfalla durante la Guerra Sacra per impedirgli di scappare.
«È un rito che non viene più eseguito da tempi immemori, ma è così che la Signora di Avalon eresse la barriera sul Santuario dei Celti durante l’Età del Ferro.» v’illustrò e voi tutti lo guardaste stupiti. Non avevate mai sentito parlare di una tale tecnica, ma poi, lui disse che non era una tecnica bensì magia.
Sgranaste gli occhi: «Ma noi Saint non sappiamo usare la magia. L’unica che potrebbe farlo è Astrid». Obiettò Aiolia ragionevole. Ma il Venerabile scosse il capo, continuando a tenere le braccia incrociate: «Non è necessario l’aiuto di Astrid per questo, basterà il benestare della Dea e la collaborazione di tutti e Dodici, sempre che per la Divina vada bene».
«Fate quello che dovete». Concesse Kanon a nome della Dea. L’uomo annuì e  
Per realizzarlo avreste usato la luce, creando una vera e propria rete luminosa. In base a dove avreste avvertito qualcosa, allora lì avreste trovato Odysseus.
«Venerabile Shion, siete certo di ciò?» Domandò Shura preoccupato facendosi avanti e voialtri lo guardaste. Un unico pensiero vi balenò nella testa: Ionia. Lo chiedeva principalmente per questo.   
Infatti, secondo i piani, fu lui il primo a scendere in campo quando, concentrando i vostri Cosmi

 

«Maestro Odysseus». Salutò il venerabile Shion. Il Cavaliere Maledetto si volse verso di lui.
«La barriera di luce». Commentò. «Non mi sarei mai aspettato che saresti ricorso addirittura a un incantesimo di tale portata pur di trovarmi».
«A mali estremi, estremi rimedi».
«Così si suol dire».
«Dunque adesso immagino che vorrai combattere contro di me».
«Così sembra, venerabile maestro». Odysseus chiuse gli occhi e sospirò: «Così sembra».
Battere un lemuriano nel suo stesso campo era un’impresa impossibile, eppure, il nobile Shion ci riuscì.
L’ex Cavaliere dell’Ariete stava per scagliare il colpo finale quando Odysseus gridò: «Maestro!» Con la voce dell’attuale Gold Saint di Ariete. Il venerabile Shion si fermò. «Kiki!» Esclamò e l’immagine di Odysseus andò in pezzi. Poi, lo scagliò lontano con la sua psicocinesi.
«Venerabile!» Urlaste. Mentre tu e qualcun altro correva in aiuto del Sommo, Odysseus fece per muovere un passo ma Hyoga glielo impedì con il Koliso combinato con il Restriction di Milo.
Anche se non fu lo stesso sufficiente, in quanto il Cavaliere maledetto se ne liberò espandendo il suo Cosmo. Ma non riuscì lo stesso a muovere un passo che si ritrovò imprigionato in un cerchio di sigilli di Atena. 
«Un cerchio di sigilli?» Domandò stupito.
«Precisamente». Asserì Kanon facendo la sua comparsa. «Non avete idea di quanto tempo io abbia atteso per poterli usare».
«Le stesse parole che il vecchio Sage rivolse al Dio del Sonno». Commentò Odysseus.
Il vostro compagno perse i sensi e te lo ritrovasti fuori dall’arena che Kanon aveva creato con i sigilli della Dea. Lo soccorresti chiamandolo ma l’uomo era resistente, infatti, si rialzò a sedere, dolorante.
«Come al solito credi ancora di essere l’unico capace di saper padroneggiare la telepatia».
Il Venerabile si deterse il rivolo di sangue che gli era uscito dalla bocca con la mano. «Ma non sono neanche più lo stesso Cavaliere inesperto che affrontaste quella volta, due secoli or sono». Ribatté il Venerabile assumendo una posizione d’attacco. Il Cosmo ribollente. Nonostante la benda sugli occhi e le protesi bioniche, incuse lo stesso un forte timore. Anche se così menomato, era comunque letale. «Desideri confrontarti con me?»
«No, desidero sconfiggervi, Starlight Extintion».
Ma Odysseus evitò il colpo e ingaggiarono battaglia finché il Venerabile non crollò al tappeto. 
A quel punto si fece avanti Shun. «Vi conosco», lo salutò il Tredicesimo Gold Saint, osservando l’Armatura dell’ex Bronze, «Siete il successore di Shijima di Virgo».
«Se vi ricordate di me, allora sapete anche che non voglio che ci siano spargimenti di sangue».
«Neppure io li desidero». Si accordò il Gold Saint di Ophiuchus, che era pur sempre un medico legato al giuramento di Ippocrate.
«Allora comprenderete bene le ragioni per la quale vi pregherei di tornare nell’Oltretomba e desistere da questa campagna, prima che ci pensino le Creature».

 

«Rolling defense». Odysseus curvò la bocca in un sorriso compassionevole e improvvisamente Shun cominciò ad accusare la fatica e la stanchezza. Crollò in ginocchio mentre la sua difesa rotante rallentava. Non aveva mai sperimentato la forza di Odysseus adesso. Né la sua astuzia. «Che cos’è questa? Perché ho così sonno?»
«Questa è l’Hypnoterapy, buon riposo, Cavaliere di Virgo».
Ma era presto per lui per cantare vittoria. Infatti, il paesaggio attorno a lui cominciò a mutare.

 

Odysseus si guardò attorno non riconoscendo l’ambiente dell’Another Dimension e voi altri lo accerchiaste. Neanche vi guardò. Chiuse gli occhi e domandò, retorico: «Credete che questo possa bastare per imprigionarmi?»   

 

«Non sottovalutare la tenacia dei Cavalieri d’Oro». Lo rimbeccò Kanon, comparendo nelle sue vesti sacerdotali e con decine e decine di sigilli di Atena con sé.
Il Gold Saint di Ophiuchus lo osservò senza battere ciglio. Era come se la presenza di Kanon, attuale Pontefice del Santuario, non gli dicesse niente. E la cosa ti fece preoccupare come poche volte era accaduto. «Credete che sia saggio restare qui a giocare? Aprite gli occhi, non sono io il nemico, qui e, prima che ve ne accorgerete, sarete già in disparità numerica».Vi sgridò Odysseus. E, proprio in quel momento percepiste i rumori della battaglia sottostante a voi. «Per oggi vi lascio andare. Non male, ma, come ho sentito dire spesso, lo spettacolo deve continuare». Si accomiatò il Gold Saint di Ophiuchus. Ciò detto vi dette le spalle e scomparve nell’Another Dimension.
Poi, la tecnica si dissolse e, con essa, anche la presenza del Gold Saint di Ophiuchus.   

 

«Cosa intendeva dire che non era lui il nemico a cui dovevamo prestare attenzione?» Domandasti guardando Kiki. Un lampo passò nelle sue iridi violette e sgranò gli occhi: «Non si stava mica riferendo…»
«Le reclute!» Esclamò Lancelot sgranando gli occhi rossi. E, parte voi che eravate scesi in campo, correste ai dormitori, animati dalla speranza che Odysseus mentisse. Ma così non era stato. 
Tu non avevi combattuto, ma eri stato il primo a giungere al dormitorio e avevi trovato alcuni Bronze e Silver Saint e i soldati semplici stremati e feriti dalla battaglia che si rialzavano o prestavano soccorso ai feriti.
Andasti incontro a Ionia che stava sorreggendo Geki dell’Orsa, che si premeva una mano sulla testa ferita. «Nobile Aldebaran!» Esclamò l’ex Saint di Capricorn vedendoti. «Ionia, Geki, che cosa è successo?»
«Non lo so, a un certo punto siamo stati attaccati».
«Da chi?»
«Dagli Specter».
«Gli Specter? Com’è possibile? Come hanno fatto a entrare nel Santuario? Non dovrebbe esserci la barriera?»
Aiutasti l’ex Capricorn ad affidare Geki alle cure dei medici che erano accorsi e andaste ad aiutare altri feriti. La battaglia era stata così cruenta che parte del dormitorio era crollato, probabilmente alcuni ragazzini erano rimasti intrappolati sotto le macerie. Alla sola idea il cuore cominciò a battere rapidamente e sgranasti gli occhi per la paura. «Non lo sappiamo, abbiamo dato tutti noi stessi per proteggere le matricole».
L’unico motivo per cui le Creature non erano accorse per pasteggiare coi vostri Cosmi, era la presenza di Astrid. Che adesso che aveva sprigionato il suo Cosmo aveva rinforzato la barriera. Ma bastò alzare il naso al cielo, per vederle svolazzare via, oltre la barriera.
Dopo quest’avvenimento, Kiki richiese un colloquio urgente con la Dea e il Gran Sacerdote. Se scopriste ciò che accadde fu solo grazie ad Aphrodite, che s’intrufolò nella Sala delle udienze e, a quel punto, la Vostra Dea chiamò a raccolta voi Gold nella Sala della Meridiana.  

 

Alcuni di voi erano in piedi, mentre altri erano accomodati in terra a gambe incrociate o in ginocchio. Tutti voi formavate comunque una mezzaluna attorno allo scranno della Divina. La quale, assisa sul suo trono di pietra, proprio tra le statue di Pesci e Ariete, vi osservava con aria compassata. Ma il cuore della Divina era grande, potevate solo immaginare quanto per lei tutto questo fosse grave e pesante. Probabilmente lei stessa si stava chiedendo il perché di tutta questa situazione. Ammesso che ci fosse un perché.
Il pensiero ti corse immediatamente a Yoshino e sperasti che stesse bene.  
«La situazione è disperata». Iniziò Kanon senza troppi giri di parole dopo che concludeste il rapporto. Sarebbe voluto partecipare anche Saga, ma era ancora in congedo. Secondo i medici era più importante che mai fornirgli quella sicurezza e quella protezione che non aveva potuto avere in passato, durante la riabilitazione. Saga stava seriamente giocandosi l’Armatura D’Oro nel periodo sbagliato. Possessione demoniaca o no che fosse.
A pensarci ora era un bene che Odysseus non l’avesse trovato, altrimenti avrebbe potuto aizzarlo contro di voi in qualche modo. Non conoscevi il Tredicesimo Cavaliere e, onestamente, non eri neppure certo che rispettasse il giuramento di Ippocrate. Quell’uomo era molto astuto e sapeva come ingannare le persone, si era fatto alleati sfruttando il debito che questi Gold avevano con lui. Ma voi non avevate alcun debito nei suoi confronti.  
L’unica cosa di cui eri certo era che i parigrado di Shaina si stessero occupando di ristabilire l’ordine. Sperasti che Shaina stesse bene con tutto se stesso.
Era facile parlare di Saga, vero? Ma anche tu, mio caro Aldebaran, eri compromesso. Il Toro Selvaggio aveva finalmente un punto debole. «Siamo vulnerabili e le nostre forze stanno calando sempre più rapidamente». Persino voi stessi vi sentivate più deboli e stanchi quando bruciavate i vostri Cosmi per combattere. E la preoccupazione per tua moglie e tua figlia non accennava a diminuire. Ancora una volta il tuo pensiero corse alla tua bambina. Se voialtri avevate manifestato questo problema allora non osavi immaginare quanto potesse essere grave per Shaina e Yoshino. La tua bambina ti sembrava un po’ più spenta rispetto a prima. Che avesse cominciato a manifestare analoghi sintomi?
L’unico che sembrava ancora normale era Shura. Lui c’era abituato da tempo, ormai, a questa situazione di svantaggio. Oltre che a considerarsi già morto da tempo, proprio come un vero samurai. «Stando alle sentinelle sopravvissute, gli Specter sono comparsi dal nulla nel bel mezzo del cortile della Palaestra e da lì si sono diretti ai dormitori. Ma i ragazzini hanno opposto resistenza, questo ci ha dato un leggero vantaggio, prima che gli insegnanti riuscissero ad accorrere». Rispondesti tu.
«Bene, avete un’idea di come siano riusciti a passare?» Chiese il fratello minore di Saga ignorando la faccia scontenta di Aphrodite. Avevate fatto male i conti, non avevate minimamente pensato che i vostri alleati facessero una mossa simile. «No. Ho controllato dappertutto e ho guardato nelle menti di tutti gli abitanti di Rodorio, ma non ho trovato nulla. Quindi possiamo escludere la possibilità di una talpa o di un traditore tra noi».
«Che Odysseus e gli Specter abbiano agito in concomitanza?» Ipotizzò Aiolia uscendo dal suo mutismo per la prima volta da quando la sua squadra aveva fatto rapporto.
«No, non mi è parso, credo che sia stata una coincidenza, altrimenti non avrebbe tradito i suoi alleati».

 

«Stiamo pur sempre parlando di Odysseus di Ophiuchus. É molto astuto, potrebbe averci ingannati tutti».
«No, non credo sia così». Se ne uscì Aphrodite a un certo punto e voi tutti lo guardaste. «Odysseus ha solo agito in concomitanza con loro, perché Astrid si è ricordata di lui solo adesso». Rivelò mentre Kiki lo guardava esterrefatto, ma senza aprire bocca. Erano rarissime le volte in cui il giovane Ariete si sbilanciava a questo modo.
«Sei sicuro, Aphrodite?» Domandò Shura.
«Ma perché gli Specter avrebbero dovuto allearsi con lui?» Chiese Hyoga.
«Non l’hanno fatto, infatti». Replicò il Gold Saint dei Pesci. «Odysseus non può sapere del Patto di non aggressione e di alleanza tra noi e gli Specter perché…»
«Era già morto, allora». Completasti tu e il tuo collega, un po’seccato per quest’intromissione, annuì. Era come se tu gli avessi rubato tutta la scena. 
«Non esattamente». Vi contraddisse Kiki e adesso guardaste il giovane Saint di Aries, che girò la testa verso il giovane Virgo e gli domandò: «Quando è stato stretto il patto, Shun?»
«Sei mesi dopo la scomparsa degli Inferi, perché?»
«Questo conferma le tue supposizioni, Aphrodite. Odysseus non poteva saperlo, ma è possibile che sia risorto in quell’occasione, come Aldebaran avrebbe fatto pochi anni dopo e, si sia nascosto fino alla nascita di Astrid. Ho potuto osservare i ricordi della ragazza, mentre recuperava definitivamente la memoria e ho scoperto che lui l’ha accompagnata lungo l’arco di quasi tutta la sua vita vissuta finora. Le ha persino donato il suo midollo osseo per sopportare peso del suo Cosmo, alla nascita».  
Molti di voi, te compreso, sgranaste gli occhi per questa rivelazione. Finora sapevate che soltanto il suo sangue fosse compatibile con quello delle altre persone, non pensavate che anche altre parti di lui lo fossero. «Le ha donato il midollo osseo?» Ripeté Aiolia in coro con te. Hyoga invece si accigliò: «Perché avrebbe dovuto farlo?»
Aphrodite rispose: «Per il potere che custodisce, mi sembra ovvio; anch’io se scoprissi un potere simile farei di tutto per preservarlo, svilupparlo e accrescerlo e proteggerlo onde evitare che cada nelle mani dei miei avversari». Meditò pensieroso.

 

«Ah, sì, la Luce Ombrosa o quel che diavolo è», fece Seiya, capendo al volo il suo ragionamento.
«Aspetta, ma anch’io le ho donato del sangue dopo la battaglia contro Eris, com’è possibile che sia ancora viva?» S’intromise Milo.«Per di più il suo sangue non mi è sembrato d’oro come narrano le leggende».
Era vero, il sangue di Odysseus era compatibile con quello di tutti gli altri Saint ed esseri umani al mondo, ma non valeva il contrario. Lo svedese meditò su per un po’, ma fu Shun ad aprire bocca e rispondere: «Probabilmente Odysseus deve averle tolto il sangue e sostituito con il suo».
«Oppure, nottetempo, deve averle fatto un’ulteriore trasfusione, di modo che il suo sangue andasse a distruggere quello di Milo».
«E se invece la spiegazione fosse diversa ancora?» Domandò la Vostra Dea, prendendo parola per la prima volta nell’assemblea. «Cioè, che intendete, mia Signora?» Domandò Kanon.  
«Non so come spiegarlo bene visto che sono stata estranea ai fatti fino a questo momento, ma ci provo. Milo, di che colore hai detto che era il sangue di Astrid quando le hai donato il tuo?»
«Rosso». Rispose il tuo collega scoccandole un’occhiata perplessa. La Dea si rivolse al fratello di Seiya. «Shun, tu le hai fatto una visita completa poco tempo fa, le hai anche fatto le analisi del sangue?» Capiste subito dove voleva andare a parare. «Sì, le infermiere che se ne sono occupate sono corse da me spaventate per dirmelo e quando l’ho visto era d’oro. Non come una malattia, non esistono malattie che ti fanno diventare il sangue di questo colore in particolare, ma c’è dell’altro, ho controllato tre volte, sembra che abbia cambiato gruppo sanguigno rispetto alle analisi originarie che le facemmo quando Aphrodite e Death Mask la salvarono. Il suo gruppo sanguigno era B, adesso appartiene allo stesso di Odysseus e di voi, milady». Rivelò, ben conscio di trasgredire il rapporto paziente-dottore.
Tu guardasti Aiolia e Shura; con Astrid, il numero di Saint recanti Ichor nelle vene era aumentato a tre. Non poteva essere una coincidenza.
La Dea spalancò gli occhi e non disse altro, ma a prendere parola furono Aiolia e Seiya, all’unisono: «Questo significa che, volendo…»
«Potrebbe attivare la misophetamenos e potrebbe aver acquisito altre proprietà che prima non aveva». La notizia fece ammutolire tutti voi. La Divina si accigliò pensierosa.
Seiya balzò in piedi, i pugni contratti: «É per questo che finisce sempre per richiamare a sé ogni sorta di nemico? Non è solo per la Luce Ombrosa da lei custodita e le magie che può operare con essa?»
«Temo proprio sia così». Confermò la Dea, dispiaciuta.
«Volete dire che con il recupero della memoria, Astrid ha subito una metamorfosi anche a livello fisico?» Chiosò Shura sgranando gli occhi a sua volta.
«Sì». Mormorò l’erede di Shaka, pensieroso, in vece della vostra Signora. Anche Kanon e voialtri concordaste. «Ma a parte quanto riferito, il suo DNA non ha manifestato modifiche di altro tipo, per adesso». Si sentì in dovere di aggiungere in tono lugubre, quasi più tra sé e sé che a voi. «Non sappiamo se ha ereditato altro da lui». 
«Ma perché adesso e non prima?» Chiese Aiolia guardando Kiki.
«Probabilmente perché qualcuno aveva sigillato i suoi ricordi e rimarginato le sue ferite, può darsi che quando le hanno apposto il sigillo, abbiano anche chiuso le proprietà curative del suo sangue. E lei, da quando ci ha incontrati, ha cominciato a romperlo». Rispose quest’ultimo.
Kanon si volse verso la Dea che sedeva al suo fianco e domandò: «Mia Signora, non sarebbe meglio apporre un nuovo sigillo sulla signorina av Stjernene onde evitare che usi accidentalmente tecniche proibite per un Saint?»
«Vi riferite alla misophetamenos?» Domandò la Dea ricambiando il suo sguardo e il Gran Sacerdote confermò con un cenno del capo. Ma la Somma Dea non fece una piega: «Non c’è di che preoccuparsi, non arriverà a tal punto, solo io posso usare quella tecnica».
Ma il Portavoce di Atena in Terra fece un cenno di diniego e le ricordò, preoccupato: «Non credo che sia il caso di sottovalutarla, ha dimostrato molte volte di riuscire ad arrivare dove i Saint arrivano dopo anni di studio e impegno».  
La Divina non proferì verbo.
«Nei suoi ricordi che fine faceva Odysseus?» Chiedesti allora, tu.
«Non l’ho mai visto nei suoi ricordi, invece ho trovato questo». Rispose Kiki (con la coda dell’occhio ti parve di vedere Shura inarcare un sopracciglio) e vi mostrò uno scorcio di un cielo tempestoso che si apriva a mò di tromba d’aria, per lasciar passare delle catene dorate culminanti con una punta triangolare affilata molto simile alla catena di Andromeda.   
Alcuni di voi si sporsero verso di lui: «Che cos’è questo?», «Una nuova tecnica?», «Che tipo di tecnica?» Kanon rabbrividì e la Dea trattenne il fiato rumorosamente, riconoscendola. «É una tecnica proibita».
«Una tecnica proibita?» Ripeté Seiya e, Aiolia, «Che cos’è?», Milo, «Non ne ho mai sentito parlare prima».
«Esistono delle tecniche il cui utilizzo è stato proibito dalla Dea in persona molto tempo fa. Questo è uno dei misteri cui solo il Grande Sacerdote può accedere, ma non avrei mai immaginato di assistere all’esecuzione di una di esse. É la Moira».  
Milo e Aiolia sgranarono gli occhi, mentre Seiya e gli altri trasalirono. Tu aggrottasti la fronte: «Perché la conosce? È stata lei a evocarla?»
«Non è chiaro, i suoi ricordi sono molto confusi». Si scusò Kiki.
«Cavaliere di Aries, cerca di scoprire qualcosa di più su questa faccenda». Ordinò Kanon, poi prese a darvi istruzioni sul da farsi. Tra cui, proclamare lo stato d’allerta e vi ordinò di tornare alle vostre Case.
Una volta nella tua Casa mandasti a chiamare i tuoi sottoposti tra i Silver, i quali avrebbero provveduto a informare anche i restanti Bronze. Ne erano morti altri da quando Astrid si era ammalata, ed eri preoccupato. Per questo tirasti un sospiro di sollievo mentale quando li vedesti giungere tutti.
Desti loro le disposizioni, dopodiché tu e Milo scendeste a vedere i bambini.
«Adesso dove stanno?» Domandò Milo.
«Sono tutti in infermeria, al momento». Rispose Shun. «Ho finito di visitare l’ultimo poco fa. Sono ancora molto scossi, ma solo pochi hanno riportato lesioni gravi e ancora meno sono morti a causa delle macerie. Ma mi hanno riferito che alcuni sono dispersi». 

 

«Trovateli». Ordinasti in tono spiccio. «Cercate di trovarli il prima possibile». Ti raccomandasti, cercando di mantenere tu stesso una calma che non avevi, sebbene avessi le membra avvolte dalla tua Gold Cloth. Una volta, in Brasile, una chiromante ti aveva spiegato che la tua carta era il Papa. Un baluardo, un qualcosa che ti permetteva di restare retto e saldo, un pezzo degli scacchi, anche. E, in effetti, sembravi veramente una torre dorata.
Ma ora, del Papa, ti sentivi solo l’Armatura e non ti sentivi più tanto retto e saldo come prima.
E se te ne accorgevi tu, era tutto dire. Non che tu fossi un idiota, non lo eri affatto.      

 

Una volta date tutte le disposizioni necessarie ai Silver e ai Bronze, la prima cosa che avevate fatto era stato mettervi immediatamente sulle tracce di Odysseus. Se, come sostenevano i Custodi della Prima e della Dodicesima, Astrid era la sua discepola, allora il suo maestro non era lontano. E, in nome di Atena, era compito vostro trovarlo.
Ma non potevi chiedere questo sacrificio a tua moglie, davvero non potevi. Neanche lo volevi. Il solo pensiero ti distruggeva. E, infatti, non ne avesti bisogno. Perché fu lei a dirti: «So cosa sta succedendo e voglio aiutarvi anch’io». Il suo Cosmo d’argento ribolliva. Era pronta a lottare e a tirare fuori il suo caratteraccio pur di lanciarsi in quest’impresa. 
Nonostante la paura e l’amore che nutrivi per lei e il desiderio di proteggerla, non te l’eri sentita di dirle di no. Anche perché, se tu l’avessi fatto, lei avrebbe ribattuto per le rime. Non era quel tipo di donna che restava a casa a fare la calza mentre il suo uomo era in pericolo.
A questo pensiero un sorriso involontario curvò le tue labbra. Era inutile provare a imporle qualcosa. Solo la  Divina aveva questo potere. «Sei sicura?»
Strinse i pugni con ancora più forza. «Sono sicura».
«Allora vengo anch’io». S’intromise una voce. Vi giraste e vedeste vostra figlia. «Vi prego, posso aiutarvi».
«No, tu non puoi Yoshino».
«Perché no?»
La tua consorte fece per ribattere ma la fermasti posandole una mano sulla spalla. Le avresti parlato tu: «Perché uno degli obiettivi del Gold Saint Maledetto è proprio la testa di Atena e tu sei Atena, è troppo pericoloso. Ho un’immensa fiducia in te, ma quello che ti ho detto quando ho sconfitto Mordred vale ancora».
«Lo so papà, ma…»
«Yoshino, va alla Decima, lassù sarai più al sicuro».
«Non posso, papà, mamma, non posso farlo, non voglio lasciarvi andare incontro al pericolo. Non posso sopportare che voi possiate…» La sua voce si spezzò. «Per favore, non vi sarei d’impiccio».
E così, alla fine, vi eravate arresi. Yoshino era molto meno indifesa della Vostra Dea, inoltre, stando a contatto con Shun e voialtri Gold, aveva imparato a usare un po’il proprio Cosmo. Shura non avrebbe approvato la decisione di Yoshino, ma era meglio che non ne sapesse niente.
«Dove dobbiamo andare?» Domandò la tua bambina.
Per tutta risposta, tu e tua moglie volgeste lo sguardo verso le Case restanti, per la precisione, nell’enorme spiazzo tra l’Ottava e la Nona. Anche se sapevate che Milo e Seiya stavano già monitorandolo. Seiya con particolare attenzione, forse persino più di Milo.      
Tua moglie non amava tornare in questo posto. Non dopo quello che aveva provato a causa del Gold Saint Maledetto ventinove anni fa. Anche se l’aveva salvata Marin, lei si ricordava tutto fin troppo bene e, se avesse potuto, il Gold Saint sarebbe finito ben volentieri preda dei suoi artigli. Dopotutto lei era pur sempre Shaina, la donna nelle cui unghie dimora il fulmine.
E, colei che non era mai stata insignita ufficialmente del titolo di Cavaliere d’Oro in quanto, non avesse mai risvegliato il Senso Supremo.
Risaliste le Case senza troppi problemi. Alla Quarta trovaste Lancelot e Sirrah. Lancelot decise di accompagnarvi e lasciaste la custodia della Casa a Sirrah che, per quanto inquietante fosse, era un ex Gold Saint.
Alla Quinta Aiolia cercò di farvi desistere dal salire e mancò poco che si scatenasse una Guerra dei Mille Giorni, se Yoshino non lo avesse convinto a farvi passare. Alla Sesta Shun si limitò a dirvi di stare molto attenti e a Yoshino di usare il suo Cosmo per difendersi. A quel punto, Yoshino decise di restare alla Sesta. Se necessario vi avrebbe aiutati a distanza con l’aiuto di Shun. E tu fosti grato all’ex Bronze per l’aiuto. Odiavi ammetterlo, ma in questo momento era l’unica difesa più grande di cui disponevate. Alla Settima Ryuho e Paradox cercarono di farvi desistere ma Shiryu vi accordò il permesso, guidato dalla Bilancia.   
Il vero problema, dopo Aiolia, sarebbe giunto adesso.
Milo era uno dei primi che poteva ritrovarsi ad affrontare il Gold Saint decaduto. Appena metteste piede nella sua Casa vi venne incontro. «Non posso lasciarvi passare». Annunciò. Aveva già capito i vostri intenti. Gli era bastato uno sguardo, uno solo, soprattutto a Shaina, che era la sua seconda in comando. «Nobile Scorpio…» Iniziò lei.
«No, la mia risposta è no, non possiamo sapere quando attaccherà, l’unica cosa certa è che probabilmente se lo farà si manifesterà qui e servirgli su un piatto d’Argento il suo successore e la Divina Atena è una mossa idiota». Non avevi pensato che anche Milo fosse a conoscenza di questa storia ed era ovvio che fosse preoccupato per tua moglie. Eri felice che anche a lui importasse qualcosa e anche un po’geloso. Nonostante che sapessi che lui glielo stava impedendo per te.   
Eppure, alla fine, anche Milo fu costretto a farvi passare. Seppur con riluttanza. Non approvava per niente il piano di usarla come esca, anche se usciva dalla testa della medesima Shaina.
Perciò adesso eravate qui.
Sembrava quasi di entrare in un’altra dimensione. Ti stupisti a pensarlo tu stesso. Non ci avevi mai fatto caso prima, in tutti questi anni di servizio e, ora, ti domandavi come fosse stato possibile. Eppure era così evidente.
Ogni suono all’interno di questo posto ti sembrava più ovattato, ogni cosa sembrava che avesse occhi per scrutarvi. In quel momento ti ricordasti che i serpenti erano al servizio di Odysseus e che erano loro che trasportavano e custodivano la sua Gold Cloth. «Fate attenzione, il Cavaliere Maledetto ha potere sui serpenti, potrebbe averne messi alcuni di guardia in questo posto». Ti raccomandasti, anche se erano animali a sangue freddo ed era più facile incontrarli di giorno che di notte.
L’aria stessa sembrava viva ed era calda, come il respiro di una persona. L’atmosfera stessa era satura di Cosmo. Le rovine che si confondevano con il paesaggio sotto la luce delle stelle e delle fiaccole, emettevano ondate di Cosmo.
Guardasti tua moglie preoccupato. «Tutto bene?» Le domandasti sfiorandole un braccio con il dorso della mano. Lei sussultò. Poi ti guardò e annuì. Con la maschera non riuscivi a capire che cosa pensasse. Lei, che era trasparente e fragile come il cristallo, così facile da leggere senza la maschera. Ma con quella ritornava la vecchia, potente Silver Saint che diede parecchio filo da torcere a Seiya e compagni prima di dichiararsi per via della legge delle Sacerdotesse-Guerrieri.  
«Sì».
«Tu pensi che lui possa essere qui?»
«Deve essere qui per forza, avverto il suo Cosmo aleggiare da queste parti».
«Ti chiama ancora?»
«No. Non sta chiamando me. Questo Cosmo mi riconosce, mi sfiora e mi passa accanto, ma non sta chiamando me». Rispose sollevata. Ma il sollievo durò poco, perché se il bersaglio non era lei, «Allora chi?» “Che stia chiamando Astrid come sostiene Aphrodite? Oppure peggio, nostra figlia?” Entrambe erano candidate probabili per una sua eventuale chiamata. «Speriamo che non chiami Yoshino».   
«Dunque questo era il Tempio del Santo d’Oro d’Ophiuchus?» Domandò Lancelot, raggiungendovi. Sembrava uno scolaretto in gita e, di quelli piuttosto rumorosi e fastidiosi. Era come se stesse cercando di attirare l’attenzione.
Shaina strinse i pugni lungo i fianchi, poi guardò il paesaggio circostante e rispose: «Sì, sono proprio queste le rovine».
«Sono ribollenti di energia». Costatò lui rabbrividendo. Eppure neanche così il suo sorriso folle fu sostituito da un’altra espressione. Era come se ne fosse estremamente affascinato.  
Improvvisamente vi rendeste conto di camminare sull’acqua. Abbassaste i piedi e vedeste il liquido.
«Mi dispiace per voi, ma non posso permettervi di avanzare oltre».
«Cosa?»
«Lancelot! Che diavolo stai facendo?»
Il Lost Saint del Cancro sogghignò mentre usava la sua tecnica mortale. «Mi dispiace, ragazzi, mi era stato detto che dovevo portarvi qui e così ho fatto». Ribatté in tono leggero, come se parlasse di sciocchezze.
«Fatto? Perché?» Esclamò Shaina.
Lui sogghignò e vi puntò l’indice contro: «Sekishiki Mei Kai Ha!» Esclamò e la sua tecnica vi colpì.
«Lancelot!» Gridaste prima di essere colpiti. Ti parasti davanti a tua moglie, facendole scudo con il tuo corpo, ma quello che otteneste fu solo di essere spintonati. Shaina si aggrappò a te per non cadere e tu puntasti le gambe per tenerti in piedi, anche se l’onda riuscì comunque a piegarti.  
Vi guardaste e lei annuì rispondendo alla tua muta domanda. Tirasti un sospiro di sollievo e poi vi volgeste entrambi per affrontare il Lost Saint che vi osservava soddisfatto con un pugno sul fianco. Un sorriso sornione, quasi pazzo, dipinto in faccia.
«Lancelot! Che razza di scherzi sono questi?» Sbottaste in coro e Shaina fece per avvicinarsi al Lost Saint quando fu sbalzata indietro da un muro invisibile e tu le impedisti di cadere acchiappandola al volo. Lei si portò una mano al volto coperto dalla maschera e poi si rialzò. Segno che stava bene. Entrambi a questo punto cominciaste a battere i pugni contro la barriera. Ma era come abbatterla su un muro di stoffa elastica che assorbiva ogni vostro colpo senza tuttavia lacerarsi. «Facci uscire!», «Abbassa la barriera!»
Lui curvò la bocca in un sorrisetto beffardo. «Desolato, ma non posso, lui mi ha chiesto di portarvi qui e io l’ho fatto».
«Lancelot!» Ruggì Shaina con più foga. Ed entrambi pensaste a Yoshino. Ora che voi eravate qui lui… No! Non dovevate pensarlo, voi sareste usciti da qui.
«Di chi stai parlando?» Domandasti tu. Poi sentiste il sibilo. Abbassaste lo sguardo e vedeste che il lago velenoso che delimitava il velo si trasformò in una fossa di serpenti che traboccò e gli animali cinsero la zona costringendovi ad arretrare. Soprattutto Shaina che era più vulnerabile di te. Tu nella tua Armatura eri al sicuro, la sua non la copriva interamente. Le lasciava scoperto il collo, la testa i fianchi, le cosce, le braccia e, soprattutto, le gambe e i piedi.     

 

Anche bruciando il Cosmo, per ogni serpente che si allontanava o veniva fatto a pezzi, due prendevano il suo posto, come le teste dell’Idra. Non aveste altra scelta che arretrare, tu soprattutto per proteggere Shaina. La quale non disse niente e si limitò a tenere d’occhio i serpenti.
Vi ritrovaste circoscritti in una circonferenza dal diametro di cinquanta centimetri, quando una voce profonda e tranquilla ordinò: «Lasciateli». Giraste le teste nella direzione della voce e, vedeste, in piedi tra le rovine, a due metri di distanza, un uomo di dieci centimetri più basso di te. Pur avendo smesso i Panni d’Oro di Ophiuchus, nulla perse la sua aura. Emanava ancora carisma e potere, un magnetico mix che solo voi sapevate di poter esercitare. Questa era la prova che era come voi, un vero Gold Saint. La chioma indomabile ed eccezionalmente lunga ti ricordò tantissimo la chioma di Medusa dei miti. Non riuscisti a capire di che colore fosse perché alla luce della falce di Luna, sembrava completamente bianca come la tunica a mezze maniche lunga fino alle caviglie che indossava. Sulla spalla sinistra era drappeggiato un mantello che si allacciava diagonalmente al torso tramite la cintura di corda, somigliante a una fusciacca.

 

I serpenti obbedirono e si ritrassero, nascondendosi nelle ombre fino a tornare un tutt’uno con esse, come se non fossero mai esistiti.
Ti tornò in mente una leggenda a proposito di un condottiero greco che, in barba alla legge della lealtà, decise di attaccare l’esercito nemico di notte ed ebbe l’idea di cospargere sé stesso e il suo esercito di polvere bianca, facendosi passare per spiriti. Impressione rotta soltanto dal colore scuro dei bracciali che, interrompendo quel candore, facevano presagire che le mani fossero una cosa a parte rispetto al resto del corpo. Ma non era solo questo, c’era qualcos’altro: un’aura di morte e distruzione, ma anche di pezzi ricuciti insieme come il mostro di Frankenstein.
Il vostro avversario se ne accorse, perché puntò i suoi luminosi occhi dorati su di te e domandò, tranquillo: «C’è qualcosa che non va, Gold Saint di Taurus?» Proprio allora comprendesti, sgranando i tuoi occhi azzurri e per poco non arretrasti: quei bracciali ti ricordavano delle manette. Era come se si fosse portato dietro dall’Oltretomba i resti delle catene che lo tenevano imprigionato.    
Da quel poco che riuscisti a scorgere comprendesti di aver davanti un Saint. E, non uno qualunque, dal Cosmo corrotto che emanava, capisti che fosse un Gold Saint.
Anche se non potevi vederlo bene in viso a causa della distanza, il suo sguardo lo percepivi benissimo, come anche il colore luminoso dei suoi occhi. Era come se avesse dei fanali gialli al posto delle iridi.
Si sedette sul masso, portandosi più in ombra rispetto a prima, accentuando l’idea che ti eri fatto di lui. Il suo Cosmo d’oro corrotto cominciò a vibrare nell’aria circostante.
Ora più che mai percepiste tutta la pericolosità e la potenza di quella persona. Per lui non eravate nulla di più che semplici burattini che avrebbe potuto spezzare con estrema facilità.  
«Odysseus di Ophiuchus». Esclamò tua moglie, accorrendo rapidamente.
Ti girasti verso di lei e tendesti un braccio come a fermarla: «Sta indietro Shaina!» Urlasti e lei trasalì e si fermò di colpo, restando però in posizione di attacco. «Non ti permetteremo di prendere la testa di Atena». Minacciò da lì, mentre Odysseus osservava la scena impassibile.
«Ma io non sono qui per la sua testa». Rispose quest’ultimo senza scomporsi. «La sua testa non m’interessa, ma se serve per raggiungere i miei scopi, allora la prenderò di nuovo».
Tornasti a voltarti verso di lui. «Non ti conviene scherzare con noi, tutto il Santuario sa che sei qui, i miei colleghi della Nona e dell’Ottava sono pronti a intervenire per arginarti e così anche tutti gli altri e il Lost Saint dell’altra dimensione può rispedirti da dove sei venuto».
«E, palesando il mio Cosmo avete rilevato tutti la mia posizione, capisco, guardate in basso». Lo faceste e vedeste numerosi serpenti tutti attorno a voi sibilare e schioccare le mascelle. Cercasti di arretrare. Accidenti, dovevate aspettarvelo che Odysseus di Ophiuchus non si sarebbe mosso da solo. Ma non pensavi che i suoi serpenti sarebbero sbucati anche di notte. I serpenti erano creature a sangue freddo, di notte dovevano dormire, no?
Anche Shaina si ritrovò circondata. La sentisti rifugiarsi su un masso per sfuggire agli aspidi.
«Non mi fanno paura i tuoi servitori e loro non possono perforare la mia Cloth». Dichiarasti spavaldo, in una passabile imitazione di Aiolia. 
Il Gold Saint di Ophiuchus incrociò le caviglie sulla roccia cui si era appoggiato e ribatté, lentamente: «La tua no, ma la sua sì». Sgranasti gli occhi quando capisti a chi si stava riferendo e che cosa stesse guardando. Shaina per quanto potente fosse non poteva controllare i serpenti e, anche il Bronze Saint di Serpens sotto questo punto di vista era inutile. Maledisti te stesso per non aver dato retta a Milo.
Il cuore ti batté più rapidamente in petto per la paura.
Girasti repentinamente la testa verso tua moglie e la vedesti che cercava di arretrare dai serpenti: «State indietro! Indietro!» Urlò cercando di tenerli d’occhio più che poteva. Sarebbe bastato un morso su una coscia o su un braccio per metterla fuori dei giochi. «Shaina!»
Lei mise un piede in fallo e cadde a terra. I serpenti si gettarono sibilando addosso a lei e tu facesti per precipitarti in suo soccorso ma altri serpenti ti sbarrarono la strada, comparendo da sopra i massi all’altezza delle tue dita. Già, anche la tua Sacra Armatura aveva un punto debole e, non erano le corna in questo caso. «Non è una mossa saggia voltare le spalle a un avversario». Soffiò Odysseus in tono flautato.
Digrignasti i denti: aveva ragione. Ti ritrovasti diviso tra il tuo dovere e salvare tua moglie, girato di tre quarti, con gli occhi che saettavano da lei, che lottava a l’altro che osservava la scena tranquillo.    
«Non pensare a me!» Ti gridò lei e il Gold Saint catturò nuovamente la tua attenzione dicendo: «Puoi stare tranquillo, non le faranno niente di male. Ho detto loro di immobilizzarla, non di attaccarla».
«Che cosa vuoi?» Esclamasti. 
«Dov’è la mia allieva? Ditemelo o prenderò la testa della Nostra Dea». Minacciò. 
«Dovrai passare sul mio cadavere per riuscirci!» Esclamò tua moglie. “Shaina!” La chiamasti con il Cosmo e lei ti sentì e rispose “Cosa c’è?”
“Se continueremo a combattere alla cieca non riusciremo mai a uscire”. Lei digrignò i denti, frustrata. Non era una persona paziente ed era molto impulsiva. “Lo so”. Ammise, ragionevole, nonostante l’ira e la frustrazione per la propria incapacità. 
Non vi sareste mai arresi. Mentre Shaina provava a sfondare il muro con il suo Thunder Claw tu ti girasti ad affrontare Odysseus. «Vuoi combattere contro di me?» Chiese quest’ultimo, simulando uno stupore che non provava affatto. Tu sottolineasti le tue intenzioni assumendo la posizione d’attacco del Gold Saint del Toro. Odysseus chiuse gli occhi per un momento e sospirò. «D’accordo, se è questo ciò che desideri». Poi la sua figura si illuminò completamente di una luce dorata e, quando la luce scomparve, indossava i Panni Dorati dell’Ophiuchus e riaprì gli occhi, adesso rossi come il sangue.
«Fermi! Basta!» Esclamò la voce di Yoshino. Vi giraste e la vedeste correre da voi, accompagnata da Milo.
«Yoshino! Cosa ci fai qui?»
«Vattene! Non è posto per te, questo!»
«Voi siete la Divina Yoshino di cui ho tanto sentito parlare». Costatò il Gold Saint di Ophiuchus, incuriosito. Lei ricambiò il suo sguardo e confermò. «E voi siete Odysseus di Ophiuchus, il maestro di Astrid av Stjernene».
«Per servirvi». Disse cerimoniosamente quest’ultimo, disegnando un piccolo inchino, portandosi una mano al petto. Poi tornò dritto e voi riprendeste a urlare alla vostra bambina di fuggire da lì. Eravate così spaventati che non vi accorgeste neanche che i serpenti erano arretrati da lei, come tenuti a bada dal suo sublime Cosmo.   
«Nobile Odysseus, ascoltatemi, so che avete servito fedelmente il Santuario e vi sono grata per aver protetto la mia amica, ma tutto questo non è necessario, non è necessario far sprofondare il mondo in una nuova Guerra Sacra, ditemi che cosa volete».
Il Gold Saint la fissò per un po’ prima di rispondere: «Divina Yoshino, il vostro coraggio è ammirevole e si vede che tenete veramente ai vostri genitori e a tutti i Saint, anche se non appartengono alla vostra dimensione d’origine. Trovo tuttavia ridondante da parte nostra arroccarci dietro sciocche convinzioni e belle parole quando quello che desidero sappiamo entrambi qual è. Ho saputo che è sotto la vostra ala protettrice, dunque è a voi che debbo rivolgermi allora».
«Astrid è sotto la protezione di tutto il Santuario, non solo della mia». Dichiarò. Ma non ebbe il tempo di dire altro che Lancelot le fu alle spalle, la trasse a sé e minacciò di decapitarla con una mano, strappandole un grido di orrore: «Desolato, miss Yoshino». Scherzò costui.
«Come vedete, Lady Yoshino, non c’è spazio per le trattative. Spero che perdonerete l’irruenza del mio compagno, ma abbiamo fretta».  Si scusò il maestro di Astrid. Lancelot si accodò a lui nelle scuse: «Mi dispiace tanto, milady Yoshino, ma devo farlo».      
«No!» Urlaste entrambi e, stavolta, l’ira e la paura furono sì tante che tu e Shaina, combinando il Thunder Claw con il Great Horn, riusciste a lacerare, quel tanto che bastò, il Velo per sfuggire alla trappola del Lost Saint. Anche tu ti muovesti per seguirla, ma una morsa impedì ogni tuo movimento: «Dove vai, Cavaliere? Avevi detto che avresti combattuto contro di me». Chiese retorico il tuo avversario e tu, comprendesti che ti aveva bloccato tramite i suoi poteri telepatici. Sgranasti gli occhi spaventato: fino a questo momento non pensavi fossero così forti.
Il quale si staccò immediatamente da Yoshino sgranando gli occhi rossi per lo stupore. Yoshino cadde a terra e Shaina cercò di colpire il tuo parigrado ma questi, una volta ripresosi dalla sorpresa, la mandò al tappeto con una manata di taglio dietro alla testa.
«Shaina!» Urlasti tu, che non eri stato altrettanto veloce e Odysseus ti aveva costretto all’immobilità. «Mamma!» Strillò Yoshino spaventata. Poi ti sentisti sollevare per aria e trasalisti. Yoshino se ne accorse e girò il volto verso di te: «Papà!» Gridò mentre Odysseus ti trascinava di nuovo al centro del ring delimitato dai massi e dai serpenti.
Cercasti  di divincolarti, bruciasti il tuo Cosmo per sciogliere la sua presa mentale e ci riuscisti perché cascasti a terra. Ma non facesti in tempo a rialzarti che ti ritrovasti la mano di Odysseus a un palmo dal viso e un improvviso torpore s’impadronì delle tue membra. Nello spazio tra le sue dita, vedesti il Gold Saint, di nuovo con gli occhi gialli dalla pupilla serpentina e un mezzo sorriso malefico dipinto in volto. «Buon riposo». Ti augurò.
Fu allora che comprendesti che non avevi affatto sciolto la sua tecnica. Mentre le tenebre dell’incoscienza ti chiamavano a sé, lui ti girò attorno e ordinò ai suoi sottoposti di controllarti.
Anche se la presa del Cosmo di Odysseus era molto forte, cominciasti a lottare contro il suo effetto.
Balbettasti il nome di tua figlia quando ti girasti e cominciasti a strisciare verso Odysseus. La stanchezza ti appesantiva le palpebre e le tue membra erano come addormentate e prive di energia. Non riuscivi neanche a bruciare il tuo Cosmo.
L’uomo dai lunghi capelli bianchi e il manto stracciato e sporco si avvicinò sempre più a tua figlia, che guardava atterrita la scena, chiamandoti a gran voce. Cercasti di rialzarti ma ricadesti subito a terra.
Proprio allora i serpenti di Odysseus si avvicinarono sibilando a te e, per puro miracolo, riuscisti a evitare che una di quelle creature ti azzannasse al volto. Arretrasti. «Yoshino».       
Odysseus fece per avvicinarsi a vostra figlia e tu gridasti: «Yoshino!» Improvvisamente un rettangolo di luce si palesò tra di loro, assumendo la forma della Morte nell’immaginario collettivo, se non fosse stato per le grandi ali d’angelo che si ergevano dietro la sua schiena.
Mulinando la sua falce a manico lungo, allontanò Odysseus che fece un balzo indietro per schivare i fendenti. Anche tu ti fermasti mentre il nuovo arrivato cinse le spalle di Yoshino con un braccio scheletrico e la trasse a sé, strappandole un gemito sorpreso.
«Yoshino!» Esclamasti.
«Papà!» Rispose lei mentre, ti accorgesti che gli orli del manto della Morte risplendevano dei bagliori fosforescenti di Astrid. Li stessi che avevi visto quando lei sciolse la tecnica pietrificante di Argor di Perseo.
Yoshino si rese immediatamente conto che la Morte Alata era giunta in suo soccorso e smise di temerla.  
Odysseus si allontanò di scatto, sì come Lancelot. «E tu chi sei?» Domandò mentre con la Dark Resurrection si rimarginava la ferita che questa persona travestita da Morte ritraeva la sua falce dalla lama insanguinata. Vostra figlia urlò, ma poi, si accorse che questo nuovo venuto risplendeva di un lieve bagliore come quello di un Cosmo d’Oro. Ma la Morte? Cosa c’entrava con Astrid se… ti tornò in mente che lei era una lettrice di Tarocchi. Da quel poco che sapevi, la Morte faceva parte del mazzo.
Oppure era solo uno scherzo dovuto allo stato in cui vertevi, che era molto simile alla paralisi del sonno. L’energia silente che permeava quelle figure era la stessa di questo nuovo venuto. Ma allora… «Astrid!» Esclamasti. E Yoshino, udendo quel nome, smise di urlare e dimenarsi. «Astrid?» Ripeterono Lancelot e Odysseus guardando la figura incappucciata. Anche se quest’ultimo lo disse più come se se lo fosse aspettato. Un sorriso sinistro affiorò sul suo volto, mentre si rilassava. Come aveva saputo? Eppure ti avevano detto che era in astanteria perché ammalata a causa di una carenza nel suo sistema immunitario.
Carenza che, evidentemente, non aveva influito sulla Luce Ombrosa.
Dopotutto, anche se un’apprendista Astrid era una di voi, era ovvio che cercasse di proteggere Yoshino. Anche se non eri sicuro che lo facesse solo per dovere. Era come se, così facendo, Astrid vi stesse dando il via libera per combattere senza remore. Soprattutto a te, in quanto la Morte poi si spostò e, raccolse anche tua moglie, che, superato il primo istante di timore e stupore, allacciò un braccio al collo di vostra figlia. La quale prese a chiamarla ripetutamente, rassicurarla su questa nuova protettrice e, a cercare ferite su di lei. Che, per contro, cercò di tranquillizzarla.  
Rassicurato da questa visione, riprendesti a bruciare il Cosmo con più forza e ti scrollasti, con uno sforzo sovrumano, gli effetti di quello di Odysseus da te. Il quale se ne accorse e si tolse da lì prima che tu lo raggiungessi con il Great Horn.
«Mia Signora!» Esclamò Lancelot e avanzò verso di lei, ma la Morte, continuando a cingere madre e figlia, mosse la falce verso di lui, costringendolo a restare dove si trovava. Il Lost Saint sibilò di dolore e su una delle sue guance si aprì un taglio rosso gemello di quello che si colorò subito sul suo braccio sinistro.
Yoshino sussultò, guardò la figura e, aggrappandosi al manto nero, prese a supplicarla: «Astrid, non lo uccidere!»
Ma la Morte restò impassibile e continuò a tenere d’occhio il Lost Saint.
Shaina si sfilò dall’abbraccio protettivo della carta di Astrid e prese Yoshino in braccio: «Io la porto al sicuro!»
«Vai!» Le urlasti di rimando e Shaina si girò e corse via mentre tu e la Morte vi sareste occupati di questi avversari. O almeno così credevi ma la Morte puntò la falce verso di te. Spalancasti gli occhi colto alla sprovvista. «Astrid! Che stai facendo? Aiutami a sconfiggerli, non…!» Non facesti in tempo a finire la frase che dovesti evitare il fendente della falce con un salto. «Astrid! Si può sapere che ti prende?» Urlasti quando atterrasti su un masso.
Perché adesso si ribellava contro di te? Che fosse stata tutta una trappola e avesse deciso di ucciderti già in partenza? Poteva anche essere, dopotutto tu eri la persona più vicina a Yoshino insieme a Shaina. Ma perché fare fuori prima te invece di lei che era meno potente? «Stai dalla parte di Odysseus?» Gridasti alla Morte Alata che continuava a incombere su di te, costringendoti ad arretrare passo dopo passo.
Preso com’eri a schivare quei fendenti, ti accorgesti solo troppo tardi che ti aveva costretto a imboccare le scale e stava costringendoti a scendere.
Lo capisti quando sentisti il Cosmo stupito e allarmato di Milo.
«Ne ho abbastanza, Great Horn!» Urlasti e le scagliasti addosso quest’attacco, che fece scomparire la figura della carta e, così, tornasti alle rovine. Lì ritrovasti i due avversari, ma, prima che potessi colpirli, Lancelot fece per colpirti di nuovo con L’Onda Infernale, che stavolta evitasti. Meno male che il dolore delle ferite gli impediva di ragionare lucidamente come prima. «Lancelot! Lo stesso attacco non funziona più di due volte su un Saint!» Gridasti, ma non potesti lo stesso fare molto perché ricomparve la Morte che, con un frullo d’ali si frappose di nuovo tra te e i tuoi avversari prima di scagliarsi addosso a Lancelot.          
Il quale, continuandosi a tenere il braccio ferito, cominciò a ridere dapprima sommesso e poi sempre più sguaiato. Soprattutto quando utilizzò il proprio potere per evitare un fendente della figura e riapparve su un masso più distante.
Temporaneamente al sicuro, rovesciò la testa indietro e rise «Mi senti, Astrid? E’ un ottimo potere, ma è inutile! Anche se hai la Luce Ombrosa, resti sempre un’apprendista che non ha risvegliato il Settimo Senso! Spade dello Tsei She Ke!» Urlò e la Morte finì tagliuzzata dall’attacco di Lancelot. L’energia di cui era costituita riassunse la forma di una carta d’energia grande cinquanta centimetri e larga trenta e volò via. Lasciando tua moglie e tua figlia alla sua mercé.
Questa non ci voleva. Pensavi che la Luce Ombrosa fosse invincibile, ma nessuno di voi aveva mai provato a contrastare il suo potere. Questa era una pecca mastodontica nella vostra difesa. «Astrid!» Urlasti in coro con tua figlia che cercò di liberarsi dalla stretta di Shaina, senza successo.
«Non temere per lei, sta benone». Vi rassicurò il Lost Saint. «Ho solo annientato il suo incantesimo, non la sua persona».
Ma la carta non se ne era ancora andata. Infatti s’alzò di quota e, disponendosi orizzontalmente s’allargò per calare su di voi come un telo. Vi riparaste tutti la testa tra le braccia e, improvvisamente, i serpenti scomparvero e tu ti ritrovasti di nuovo nel Mondo dei Vivi.
Odysseus continuò a restare appoggiato alla colonna mentre l’energia defluì, si sollevò, riacquisì la sua forma di Morte alata con la falce e si scagliò contro di lui. Il quale evitò l’attacco con un movimento che ricordò quello dei serpenti.
Ma il suo bersaglio non era stato il suo maestro, eri tu. Aveva, infatti funto da diversivo per permettere a una seconda figura, il Sole, comparire e irradiare improvvisamente la sua luce su di voi, costringendovi a chiudere gli occhi. Nel mentre ti irradiava percepisti in quella luce anche il Cosmo della Vostra Dea. “Divina Atena?” Pensasti stupito mentre la sua energia ti rinvigoriva. Era impossibile che appartenesse ad Astrid, ogni Cosmo è unico, proprio come la persona cui appartiene e, questo, era senza dubbio quello della Divina. Quando scomparve, però, sentisti il torpore che, finora avevi combattuto, abbandonarti e la tua energia scorrere di nuovo nelle tue vene.
Dopodiché questo scomparve e, con esso, anche il Cosmo purificatore della Dea.    
Sentisti emettere un verso al tuo avversario. Ti rialzasti e lo guardasti, sembrava divertito dalla situazione.        
Non potevate andare avanti così. Odysseus ti era superiore sopra ogni senso. Dovevi tentare un’altra strada. La strada della diplomazia. Anche se era difficile, ma dovevi riprovare.
«Fermati, risolviamo questa faccenda in un altro modo! Non voglio passare mille giorni a combattere contro di te. Dimmi che cosa vuoi, Odysseus?»
«La mia richiesta è molto semplice, voglio la mia discepola, consegnatemela e tutto finirà».
«Cosa le vuoi fare?»
«Semplicemente guidarla verso il suo destino. Ora dimmi dov’è».
«E farla diventare un ricettacolo per il tuo spirito? Giammai».
Il Tredicesimo Gold Saint assottigliò gli occhi, adesso rossi e ripeté: «Dov’è?»
«Non te lo dirò mai».
«Potrei provare a rintracciarla io, se permettete». S’intromise Lancelot, continuando a sorridere beffardo. «Dopotutto, io sono una delle persone che meglio la conosce, posso immedesimarmi in lei e trovarla». A questa notizia strabuzzasti gli occhi. Anche così poteva effettivamente essere trovata.
«Perché lo fai, Lancelot?» Urlasti e l’ex Cavaliere della Tavola Rotonda ti guardò impassibile, quasi infastidito e tu, continuasti: «Perché lo fai? Lei è una tua amica! Perché la tradisci?»
Quest’ultimo ti guardò simulando sgomento: «Ma non è da adesso che lo faccio. È da un po’che sono a conoscenza dell’esistenza del signor Odysseus».
«Cosa?»
«É da molto tempo che sono al corrente dell’esistenza del Signor Odysseus, in effetti sono stato il primo di voi a trovarlo» e ti mandò un’immagine, un suo ricordo. Di sé stesso che camminava per i sentieri tra le montagne fino a giungere in una radura erbosa e parlare con Samael. Uno dei serpenti messaggeri di Odysseus.  
E anche a nasconderlo finora. Ecco perché non l’avevate mai trovato. Non era solo perché era un fantasma. Neanche Kiki, che era capace di vedere cose che nessuno poteva, soprattutto legate alle Cloth, era mai riuscito a individuarlo tramite essa. Lancelot l’aveva schermato. «Tu, hai fatto il doppiogioco per tutto questo tempo?» Urlasti allora, mentre Lancelot si poneva al fianco di Odysseus. La cosa che vi sorprendeva era che il Lost Saint non avesse ancora perso la sua Cancer per un simile tradimento. Neppure Death Mask arrivò mai a tanto.
«Scusate, miei cari, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la richiesta d’aiuto del mio socio». Si scusò l’ex Cavaliere della Tavola Rotonda, sfoderando il suo sorriso beffardo.
«Come hai potuto, Lancelot? Yoshino si fidava di te! Noi ci fidavamo di te!» Urlasti, ma le tue parole non lo scalfirono affatto. Il traditore alzò le spalle e le lanciò un sorriso beffardo: «Che vi devo dire? Ho il cuore tenero e non sono riuscito a restare impassibile alla toccante storia del Tredicesimo Cavaliere».
Improvvisamente Shura ti mandò un messaggio tramite il Cosmo: “Aspetta Aldebaran, non muoverti, non fare niente”.
“Perché?”
“Non è veramente qui, i nostri attacchi gli passerebbero soltanto attraverso”. 
Non ascoltasti altro che Odysseus esclamò: «Basta così, bambini impertinenti, ve lo ripeto un’altra volta; dov’è la mia allieva? Che cosa le avete fatto?»
«Lei è al sicuro, perché, cosa vorresti farle, tu? Vuoi usarla come ricettacolo per il tuo spirito corrotto? Traviarla e far sì che porti a termine la missione della tua maledizione? Non te lo permetteremo mai». Esclamò di nuovo Shaina, ottenendo soltanto di fargli curvare le labbra in un sorriso di compatimento.
«Vedo che non me lo volete dire, d’accordo, non mi lasciate altra scelta: se entro la prossima luna piena non mi sarò riunito a lei, allora assalirò il Grande Tempio e prenderò la testa di Atena, come nel XVIII secolo. Queste sono le mie condizioni, o la mia allieva oppure la Nostra Dea, cosa scegliete? Buona decisione e, vi avverto, non sono un tipo molto paziente». Poi si dissolse nell’aria e non vedeste più nessuno. Anche Lancelot sembrava essere scomparso.
Solo allora percepisti il tumulto nei Cosmi alla Palaestra. Che cosa stava succedendo?
Ti rialzasti e corresti in quella direzione superando tutte le Case. Quando arrivasti vedesti i sottoposti di Shura cercare di radunare e rassicurare i bambini nei loro pigiamini. Shaina, in particolare, aiutata da Yoshino, stava cercando di tranquillizzare una bambina in lacrime che continuava a urlare: «Dov’è mia sorella? Dov’è mia sorella?»
Ti avvicinasti e Shaina ti raccontò tutto, dopo averti domandato se tu stessi bene. Yoshino continuò a tenere la bambina stretta a sé ma era felice di vederti sano e salvo. Non ti pose domande, dal tuo sguardo capì che era il caso di parlarne in un altro momento.
«Come si chiama tua sorella?» Domandò Shura, comparendo accanto a voi all’improvviso, facendovi sussultare.
«Saoirse». Poi corse via e tu lo seguisti.
«Cosa fai qui Aldebaran?» Ti domandò mentre correvate fianco a fianco per le strade e spiccavate un balzo per raggiungere i tetti e saltare da lì in poi, di tetto in tetto, all’inseguimento dello Specter.
Shura lo individuò contro luce della Luna e scagliò uno dei fendenti ma tu lo bloccasti: «No, rischi di colpire la bambina!»
«Il tuo compagno ha ragione!» Lo schernì lo Specter e Shura digrignò i denti. Il problema era che entrambi non disponevate di tecniche di cattura.
L’unico che poteva effettivamente fare qualcosa era… “Rientrate, ci penso io” Ecco, appunto.
“Sei sicuro, Kiki?” Domandò Shura e al suo assenso disse “Ok, tu intrappolalo, noi ci occuperemo di salvare la bambina”.
“Va bene”.
E, immediatamente, la barriera della Dea venne rinforzata dal Crystal Wall. Vi accorgeste, però, che circondava tutto il Santuario come se fosse stata una gabbia in alcuni punti. Ma non aveste il tempo di domandarvi perché in quanto individuaste Myu vicino alla Prima Casa e, un secondo dopo, anche verso Rodorio e, poi, anche verso i sentieri che collegavano il Santuario alle montagne. Vi fermaste sulle rocce. «Che sta succedendo?»
«Myu non può uscire da qui, è in trappola, sta sicuramente giocando con la nostra mente». Disse Shura scrutandosi attorno con aria frustrata. Non aveva mai amato i giochi di pazienza quando non aveva tempo. La fretta era il suo tallone d’Achille ed era palese che lo Specter ci stesse giocando, in quanto era riuscito addirittura a farvi percepire il suo Cosmo in tre, no, quattro, cinque, punti diversi. «Che cosa sta facendo?» Domandasti preoccupato, guardandolo, «É come se si stesse comparendo in più punti».  Non potevate neanche focalizzarvi sulla bambina, in quanto il Cosmo di entrambi rimbalzava nella Trappola di Cristallo eretta da Kiki. “Kiki, distruggi la trappola ad aree, altrimenti non riusciremo a localizzarli!” Ordinò Shura. “Ma se lo faccio scapperanno!”
“Non c’è scelta, fallo!” Il lemuriano obbedì e, tu e Aldebaran vi lanciaste all’inseguimento dello Specter dai poteri psichici.
E lo trovaste che stava cercando di portare via la ragazzina. Shura ingaggiò battaglia con lui, intanto che tu andasti a controllare la seconda zona dove si era elevato il Cosmo e avevi capito dove cercare, perché rilevasti anche la presenza dei soldati e dei sotto rango, che cercarono di impedire la fuga allo Specter.
«Fermati, Myu della Farfalla!» Esclamasti allo Specter che teneva tutti lontano da sé con le Fairy evocate direttamente dagli Inferi. Alcuni sottoposti erano a terra, privi di vita. Conoscevi il suo nome perché Kiki nell’ultima riunione ne aveva parlato, a proposito della sua pericolosità. 
«Il lemuriano è scaltro, ma non quanto me». Commentò lo Specter quando ti vide arrivare. Come aveva fatto a indovinare che ve ne aveva parlato Kiki? Era la prima volta che lo vedevi. Era alto pressappoco quanto Mur, ma aveva i capelli di un altro colore e scuri. Non era un lemuriano. La cosa che ti colpì era che era un giovane di bell’aspetto. Era come se per gli Specter il tempo non esistesse neanche, dal momento che costui non dimostrava più di diciannove anni. Ma quello che ti sorprendeva di più, era proprio la sua Surplice. Adesso capivi perché si chiamava così; aveva la forma di una farfalla. Come tale, sulla sua schiena si aprivano delle grandi e variopinte ali dalle listature evidenziate di nero. I suoi occhi erano scuri, come se fosse sprovvisto di sclera.
«Libera subito la ragazzina».
«Desolato ma debbo rifiutare la vostra proposta, il Cavaliere di Aries non ha rispettato gli accordi, pertanto noi siamo autorizzati a prenderci quanto ci spetta».
«Gli accordi?» Ripetesti accigliandosi.
Lo Specter ti guardò simulando stupore. «Oh, non ditemi che non lo sapevate, mi dispiace per voi». Ma era comunque uno Specter quello che stava parlando, non potevate fidarvi a priori di costui. Ma, proprio come scopristi quando ti scagliasti addosso a lui, ne risultasti scagliato immediatamente di lato. «Spiacente, Cavalieri, ma non mi lascerò abbattere una seconda volta come ventinove anni or sono». Sogghignò mentre ti rialzavi. L’avevate sottovalutato. «E, a differenza di allora, il mio Cosmo è notevolmente aumentato, Fairy degli Inferi». Al suo ordine, le farfalle che finora avevano svolazzato placidamente qui e là, ti si scagliarono addosso e tu fosti costretto a usare il Great Horn per liberartene. Ma quando la strada fu libera, scopristi anche che lui era scomparso.  
Proprio in quel momento, Kiki distrusse una delle barriere e sentisti Shura combattere contro lo Specter.
Accorresti in suo aiuto e lo trovasti sul fondo di un crepaccio che saltava di roccia in roccia alla ricerca della bambina in mezzo a (sgranasti gli occhi) bozzoli di seta di ogni dimensione. Ma, tutto quello che vedesti fu il tuo commilitone gridare il nome della piccina che era stata risucchiata nel bozzolo di Myu della Farfalla. E questi? Da quanto tempo erano qui? Improvvisamente percepiste un barlume del suo Cosmo. «Saoirse!» Esclamò lo spagnolo e si precipitò a tagliare la seta ma, quando lo fece, il bozzolo si rivelò essere vuoto. Lo Specter della Terra Misteriosa aveva già trasportato la piccola aspirante Saint negli Inferi.

 
Camus
Avevate lasciato la Foresta Rossa da un paio di giorni. Tu non ti ricordavi come, dal momento che avevi perso i sensi a metà del pomeriggio del primo. Intuivi solo che era stato Shaka a trasportarti. Per quanto Lady Asia fosse stata forte, dubitavi seriamente che il tuo collega avrebbe lasciato che s’incaricasse di tale compito. Poi con l’Armatura non eri mica leggero.
Ma Shaka sicuramente non aveva accusato alcuna fatica. Lo stesso che adesso se ne stava placidamente in meditazione, sotto la finestra della stanza del vostro albergo a pochissime stelle. Non avevate fatto niente, in realtà, ci aveva pensato Lady Asia sfruttando una tasca temporale che aveva creato per l’occasione. In pratica occupavate la stanza ma non potevate interagire con i loro effettivi inquilini. Il che era fastidioso, ma era comodo ed era un bene. Anche se eri separato dal tuo corpo, ne avvertivi tutto il peso. Non amavi troppo questa sensazione, ti sentivi un fantasma, Lady Asia invece, sembrava esserci abituata. «Non guardarmi così» Ti ammonì, quando avevi capito come era riuscita a procurarsi questa stanza, da quel poco che ti aveva raccontato Shaka. Non avresti mai pensato che sarebbe ricorsa alla magia in mancanza di un portafogli con soldi, documenti e carta di credito.
«Non approvo il metodo, ma neanche lo posso disapprovare». Commentò solo Shaka. «Non potevamo lasciarti all’aperto, avevi bisogno di un posto caldo dove riprenderti».
Proprio allora la Dea era uscita dal bagno e aveva replicato, dopo averlo fulminato con lo sguardo: «Potrei dire la stessa cosa anche di te, perciò non ti atteggiare, anche tu sei nella sua stessa situazione».
«Mi permetto di dissentire, milady». Replicò il tuo collega volgendo il volto verso di lei, sempre tenendo gli occhi chiusi. «Noi Cavalieri d’oro siamo addestrati a sopportare fatiche ben peggiori di queste».
La Dea tacque e ascoltò impassibile tutto il sermone del tuo collega. Quando finì sorrise con aria scaltra e posò una mano sulla maniglia per appoggiarcisi: «Grazie, Shaka, ma si dà il caso che tu ti riferisca alla vostra condizione originaria, qui siete spiriti e con un evidente calo di energia, o vuoi forse nascondermi il fatto che ti tremano le gambe da quando abbiamo combattuto contro l’Astronauta? Dì la verità, è stato sfiancante anche per te combattere con due Guardiani. Non mi sorprenderei neanche se tu avessi riportato delle ferite che ti ostini a nascondere sotto l’Armatura». Cloth che, per inciso, non si era tolto. «In più, ci terrei a farti notare che la meditazione non nutrirà mai il tuo corpo spirituale come il cibo, quindi te lo sogni di meditare a tempo perso finché avrai di nuovo fame; se muori in questo stato, considerati morto per sempre, reincarnazione o no di un Illuminato che tu sia e, finché sarete sotto la mia tutela, col cavolo che vi lascerò morire di fame. Non ci tengo ad avere anche voi sulla coscienza».
Un pesante silenzio scese su di voi come una cappa. Non sapevate questo. O meglio, tu sì, l’avevi intuito, dal momento che ti veniva fatto recapitare il cibo ogni volta che finivi le scorte nella tua izba nel Cocito. Ma non sapevi che fosse anche per questo. Avevi immaginato che fosse per via del fatto che la Dea non volesse che vi alimentaste del cibo dei morti per le vostre anime, ma non che ci fosse anche questo motivo dietro. Né, francamente, avevi idea di quanto tempo avesse effettivamente passato Shaka senza nutrirsi.
Lo guardasti preoccupato. Lo vedesti sforzarsi di mantenere il tono e l’espressione neutra, mentre diceva: «Anche se fosse», ammise il tuo commilitone, dopo quella che ti parve una lunga lotta con sé stesso, «in India, la mia terra d’origine, ci sono persone capaci di sopravvivere senza mangiare e senza bere; io sono capace di meditare per giorni e giorni».
Lady Asia gli scoccò un’occhiata scettica e annoiata, come se avesse sentito questi discorsi per anni e li avesse bollati come un delirio allo stato puro. Tu eri indeciso se ridere o se accodarti al parere della Dea. Per una volta concordavi con lei. Incrociò le braccia e sospirò, appoggiandosi allo stipite con una gamba incrociata sull’altra: «Lo so, anch’io sono indiana». Stavolta entrambi sollevaste le sopracciglia. «Allora, vuoi continuare a elencarmi le prodezze del nostro Paese oppure la pianti e adesso ascolti me?» Così vi aveva istruito sul da farsi. In quanto spiriti non potevate nutrirvi di energia, quelli erano anime cannibali che era meglio non incrociare mai sul proprio cammino.  
Strano ma vero, vedesti il tuo collega incassare chinando il capo. Checché ne dicesse sul Nirvana, era ancora molto legato alla vita, anche come spirito, per scomparire in essa. Infatti, disse, in tono conciliante: «Vi ascolto».
La giovane vi spiegò come fare per procurarvi da mangiare. Vi sarebbe bastato scendere nelle cucine e prendere ciò che volevate senza timore di ciò che sarebbe successo. E qui entrambi vi accorgeste del sorriso che fiorì sulla sua faccia e del brillio divertito delle sue iridi scure.
Che vi stesse prendendo per i fondelli?
Il pensiero ti corse di nuovo all’esplosione di Cosmi che avevate avvertito e le parole di Lady Asia in merito.
Come faceva a dire che quei Cosmi terrorizzati stavano affrontando la Luce Ombrosa? Voi non ne sapevate niente e, soprattutto, non avevate sentito il fantomatico Cosmo che si era risvegliato.
Apristi la porta e facesti per uscire. A trarti da questa riflessione ci pensò il tuo collega che, disse: «Voi non venite?» Domandò Shaka girando il volto verso di lei. Ti girasti a tua volta.
Lei si stiracchiò sulla sedia e scosse il capo, continuando a sorridere sorniona: «Tra poco, ora non ho voglia». Non avevi mai visto la Vostra Dea in atteggiamenti come questo, non ne avevi avuto proprio in tempo. Distogliesti lo sguardo, imbarazzato: la Vostra Dea non si prendeva tanta libertà con voi e, poi quella scollatura era indecente perfino per una Divinità, nonostante che la collana d’argento con il pendente che le scendeva tra i seni e si tuffava sotto il tessuto, (ormai l’avevi capito) serviva a sorreggere la camicia, probabilmente anche i lembi e ad evitare che si scoprisse più del dovuto. Come una sorta di zip a cui erano stati tagliati i lembi del tessuto.
Fino a questo momento non ti eri accorto del corpo della Dea, ma adesso fu impossibile non notarlo e distogliesti lo sguardo, imbarazzato, pregando che Shaka non se ne accorgesse.
«Come volete», disse quest’ultimo, apparentemente ignaro di ciò che ti passava per la testa. Dopodiché ti superò. Apriste la porta, più per effettiva abitudine che per reale necessità (anche se anime vive non eravate sicuri di poter oltrepassare la materia, almeno durante la battaglia avevate appurato che non era così). Mentre scendevate, però, ti sovvenne un altro pensiero, più impellente; ma Shaka sapeva come rapportarsi con le persone?
Vero che avevi vissuto a lungo al Santuario, però era anche vero che tu avevi sfruttato in un modo più produttivo del suo la vostra libertà data dalla carica. Era risaputo, infatti, che voi Gold godevate di molta più libertà di un semplice Saint. E tu eri entrato in contatto con la società, sapevi come funzionava, non eri così tagliato fuori dal mondo come sembrava all’apparenza. Shaka, sotto questo punto di vista, era messo peggio, lui non aveva neanche la tessera sanitaria. Tu avresti, al limite, dovuto rinnovare la tua e inventarti qualcosa di credibile per giustificare una resurrezione. Il tuo compagno della Vergine, invece, era completamente digiuno di queste cose. Dopotutto lui era la reincarnazione di Buddha, cosa vuoi che se ne facesse un illuminato di queste bazzecole?
Queste bazzecole potevano rappresentare un enorme problema.
Ti appuntasti mentalmente di domandargli se avesse una vaga idea di come funzionasse la società umana in generale, onde evitare disastri. Guardasti in faccia la realtà, tra la Dea Azona e Shaka, non avresti saputo dire chi dei due fosse più disadattato dell’altro.     
«Qualche problema?» Ti domandò il tuo commilitone.
«No, nessuno».
Shaka, a quel punto, fece un timido tentativo di conversazione, infatti ti domandò, in tono mite: «E’ per via di quello che è successo nella Foresta Rossa?»
«Eh? No, è tutto a posto». A dir la verità, adesso che avevi dimostrato a te stesso che eri capace di superare questo e altro, eri molto più tranquillo di così. Gli gettasti un’occhiata da sopra una spalla: «Piuttosto, Lady Asia ha trovato quello che doveva cercare?»
«Sì».
Lo guardasti vagamente stupito: «Ah, non erano i due Guardiani?»
«Non solo. Aveva perso una cosa molto importante in quella foresta».
«Ah, e tu l’hai vista?»
«Naturalmente».
«E che cos’era?»
«Una penna». Rispose semplicemente.
Vi fermaste per lasciar passare una coppia che entrava nel ristorante e ne approfittasti per lanciargli un’altra occhiata, per vedere se ti stava prendendo in giro. Ma era difficile stabilirlo da un’espressione neutra e pacifica come la sua. Decidesti di accontentarti di questa sua versione. Una penna, ok… doveva essere qualcosa che aveva un grande valore sentimentale per lei, altrimenti non ne vedevi la ragione.
Arrivaste nella cucina dell’hotel e vi scambiaste un’occhiata, vabbè, parolone, dal momento che l’altro continuava a tenere gli occhi chiusi. Poi, prendeste quello che volevate, come vi aveva detto Lady Asia.
Una volta che faceste ritorno in camera, lei vi spiegò questo fenomeno raddrizzandosi dalla sedia. «Questa si chiama clonazione». Rispose alle vostre mute domande, continuando a sorridere divertita, quando vi vide tornare sconvolti e vagamente colpevoli, con il cibo. Inspirò e continuò: «Gli spiriti hanno la facoltà di clonare quello che desiderano, che sia cibo, vestiti, telefoni, libri. Quella di cui vi nutrirete in questo caso, è l’essenza del cibo che avete estrapolato dalla materia. In altre parole è come se vi nutriste dell’idea in sé di cibo che avete preso». Gettò un’occhiata al piatto e inarcò un sopracciglio: «Vorrei anche dirvi cosa avete preso, ma non conosco la cucina di questo Paese». Guardasti i piatti, a occhio sembravano una zuppa e degli arrosti con condimento di verdure.  
«Anche le persone?» Domandaste in coro.
«No, quello no». Poi si alzò e si avviò verso la porta.
«Dove andate?» Domandò Shaka perplesso. Lei lo guardò da sopra una spalla e sorrise: «A prendere qualcosa da mangiare».
«Perché non siete scesa con noi?»
«Ho pensato che sarebbe stato meglio non affossare troppo il vostro orgoglio. Con le facce che sicuramente avrete fatto, sarei scoppiata a ridere senza ritegno alcuno». Ridacchiò maliziosa.
«Non siamo così permalosi». Le facesti notare, cercando di non sembrare troppo imbarazzato. Ma davvero, non sapevi come comportarti con questa Dea. Shaka invece era diventato rosso come un pomodoro.
Quando uscì dalla stanza lo guardasti e facesti per dirgli che la sua fiamma era un tipo malizioso, ma lui lo intuì e ti sibilò: «Non dire niente».
Attendeste che la Signora tornasse prima di cominciare a mangiare. Restò abbastanza stupita dalla cortesia che le riservaste. Era come se non fosse abituata ad avere a che fare con altri esseri viventi in generale. Comunque mangiò insieme a voi. Tu avresti preferito di no, anche se non lo desti a vedere. Non ti fidavi ancora di Lady Asia. Dopo quello che aveva fatto era impossibile per te non guardarla con sospetto: non era da tutti organizzare a tempo di record una trappola come quella e menarvi tutti per il naso. Avevi creduto davvero che fosse morta, ma non ti immaginavi potesse essere così subdola.
Eppure, da quando avevi combattuto nella tasca temporale e avevi sconfitto il tuo vecchio demone, ti sentivi più rincuorato. Sì era strano a dirsi, però era proprio così. Eri ancora ben lungi dal non temerlo, ma almeno adesso, sapevi di avere i mezzi per sconfiggerlo. Avresti tanto voluto dirlo a Milo, eri sicuro che lui sarebbe stato orgoglioso di te. Ti avrebbe sicuramente regalato un sorriso smagliante, si sarebbe posto le mani sui fianchi e avrebbe detto: “Era ora, amico mio! Ero sicuro che ce l’avresti fatta!” Che, nonostante il carattere brusco, era anche il più premuroso e giocherellone tra tutti voi.
E al pensiero del tuo amico un sorriso si delineò sul tuo volto, facendoti persino dimenticare dove ti trovavi e con chi.

Quando scese la notte, da bravi Cavalieri (di nome e di fatto) lasciaste il letto alla Lady. E da qui si generò un piccolo battibecco su chi avrebbe lasciato il letto a chi. «Io sono abituata a dormire per terra». Vi disse scoccandovi un’occhiata perentoria. Ma Shaka insistette altre due volte e, solo allora lei cedette. Così voi vi prendeste il pavimento e la poltrona, un’altra volta.
Solo quando foste certi che si fosse assopita chiedesti spiegazioni al tuo commilitone. «Perché Lady Asia è rinata in India; da noi si usa rifiutare fino a due volte prima di cedere a un invito». Ti spiegò serafico. E tu che credevi che fosse un disagiato. «Di solito è anche disdicevole stare nella stessa camera di una fanciulla». Aggiunse dopo qualche secondo, come se ci avesse pensato.
«Questo lo è un po’dappertutto, ma credo che a lei non importi più di tanto».
«Piuttosto, cosa ne pensi?»
«Di cosa?» Gli domandasti smettendo di grattarti la fronte.   
«Di tutta questa storia».
«Sinceramente non so ancora che pensare e, tu? Lo sapevi che esistevano questo genere di Divinità?»
«Francamente ho sempre avuto il sospetto che ci fosse qualcosa che non andasse, ma non mi sarei mai immaginato una schiera di Divinità capaci di controllare il Tempo e, creature ancora più potenti dei Titani». Già, i Guardiani. Se ci pensavi non avevi ancora recuperato tutta la tua forza. Il riposo a cui ti eri sottoposto non ti aveva giovato molto. Se tu da Redivivo eri capace di tutto questo potere non osavi immaginare i Guardiani, dal momento che, quando eravate usciti dalla tasca temporale, era ancora in forze e illeso. Persino nel suo Cosmo non avevi avvertito tracce di fatica per tutta la durata del combattimento. E, anche Shaka se ne era accorto. Ti appoggiasti allo schienale e gli domandasti: «Che cosa intendi con qualcosa che non andasse?»
«Non ti sei mai accorto che c’erano delle incongruenze di fondo in tutto?»
«Incongruenze?»
«Sì, come se ci fossero stati dei buchi nella trama, non so come spiegarlo bene, ma prova a immaginare la Storia del Santuario come una storia di quelle che puoi leggere nei libri.» Annuisti e lui riprese il discorso, «Ora ripensa a tutto quello che è successo fino a qui. Non noti anche tu dei buchi?»
«Sì, ma questo perché noi abbiamo una percezione relativa della realtà. Noi siamo individui che possono conoscere solo ciò che gli è utile di sapere, se non abbiamo interesse a conoscere altro, allora non ci premureremo mai di scoprirlo e, quel qualcosa resterà sempre sconosciuto alla nostra persona. Per esempio, per ogni cosa che so, ce ne sono altrettante e anche di più, che non so».
«Giusto, ma questo perché la nostra percezione è più limitata rispetto all’insieme, se volessimo conoscere tutto l’insieme, dovremmo essere nella testa e nelle vite di otto miliardi di persone, Divinità, animali e piante compresi». Rilevò. Non capivi perché stesse usando su di te la tecnica della maieutica socratica (l’arte di Socrate di far partorire le anime), ma stesti al gioco, incuriosito. Anche perché era la prima volta che avevi una conversazione con Shaka. «Ma tu che sei un Illuminato che cosa hai visto?»
«Visto è una parola grossa, non è che ho visto, è che ho intuito e non sono neanche sicuro dell’esattezza e della veridicità di ciò che ho percepito». Lo guardasti stupefatto. Questa poi, Shaka, che credeva di avere la verità assoluta, incerto. Il biondo inspirò prima di cominciare a spiegare: «Da quando siamo risorti per la terza volta e abbiamo combattuto nella Guerra contro il Gran Dio Zeus, siamo entrati in contatto con altre realtà parallele. Noi stessi, attualmente, ci troviamo in una realtà alternativa, creata dalle azioni degli Dèi e dalla fine del conflitto tra le due Dimensioni. Io e Mur ne abbiamo parlato tanto, allora e, siamo giunti alla conclusione che i portali come questo non si aprono da soli e, che esiste sempre una causa. Ti dirò di più, hai presente l’elenco dei nostri predecessori?»
«Sì, certo».
«Ti sei accorto che nello stesso periodo c’è stata una “mattanza”?»
«Ti riferisci alla Guerra Sacra del Millesettecento?»
«Proprio quella».
«Bè, è normale in Guerra…»
«Sì, in Guerra lo è, ma non prima e non nell’èlite». Era normale in tutte le caste che qualcuno cercasse di fare l’arrampicatore sociale e di accumulare ancora più potere. Ma che fosse successo questo, non tanto. «Stai parlando del tradimento di Zaphiri di Scorpio e la morte di Lugonis di Pisces?» Tentasti.
«Anche. Non so se lo sai, ma quando eravamo vivi, bè, più vivi di adesso, l’archivista dei Saint, la Bronze Saint di Horologium, stava investigando proprio su questo periodo».
«D’accordo, ma perché darsi la pena di investigare su una Guerra Sacra?»
Quello che disse ti lasciò completamente spiazzato: «Perché Atena rinasce ogni cinquecento anni, non duecento».
«Cosa?»
«Sì, segui il mio ragionamento, la Divina Atena rinasce ogni cinquecento anni, proprio come una fenice. In questo secolo è rinata nel Millenovecentosettantatre, ricorda molto il dio indù Vishnu, che si reincarna periodicamente per salvare il mondo dal Chaos, ma anche Gesù Cristo, dal momento che è una sorta di Messia e, stando alle leggende, la sua prima impresa è stata la lotta con Lucifero. Ma, quel cinquecento, ricorda anche un’altra creatura leggendaria».
Ti ci volle un po’ per capire che si riferiva a «La Fenice». Infatti, la Fenice rinasceva ogni cinquecento anni in un Tempio a Eliopoli. E se la  Fenice avesse semplicemente cambiato residenza? E, qui, Shaka, sganciò la bomba: «Allora perché ci sono documenti che attestano la sua rinascita ad altri periodi della Storia, intermedi a questo ciclo di incarnazioni cinquecentenari?»
«Tu cosa pensi che voglia dire?»
«Probabilmente che nel Millesettecento non ci fu solo una “mattanza”, ma che ci sia qualcos’altro che ci hanno nascosto finora».
«Secondo me non può essere così. Pensaci, è facile, muoiono i precedenti maestri dei Cavalieri che combatterono la Guerra Sacra e gli succedono quelli che combatterono al fianco di Sasha».
«Sei sicuro che sia andata così?»
«Sì, certo».
«Allora perché in un lasso di tempo così breve ci sono Mistoria e Degel di Aquarius? Perché tu sei stato addestrato da Mistoria e non da Degel? Perché Death Mask è stato addestrato da DeathToll di Cancer invece che da Manigoldo? E perché, persino io, nelle mie generazioni precedenti, ho come predecessori Shijima il Laconico e Asmita nello stesso anno?» Il discorso di Shaka stava prendendo una piega inquietante. «Cosa vorresti dire?»
«E se ci fosse stata una scissione negli eventi, che ha portato alla formazione di due realtà parallele che poi si sono unite?» Non ti era inusuale parlare di questo, a seguito della tua rinascita ci avevi riflettuto molto anche tu, assieme a Milo, quando non eri in compagnia di Hyoga e della tua nipotina. Ma se ciò che avevate ipotizzato allora si fosse verificato molto tempo prima non l’avevi mai ponderato.
Spalancasti gli occhi: «Una scissione Spazio-Temporale? Ma per avere una cosa simile bisognerebbe…»
«Viaggiare nel Tempo». Disse per te. Anche un bambino con un minimo di fantasia ci arrivava. Ok, no, forse un bambino con un’intelligenza media no, ma uno prodigio come voi dodici sì. Inspirò e continuò: «Se non ti ricordi la Divina lo ha fatto per salvare Pegasus e noi l’abbiamo seguita». E, questo ve lo ricordavate perfettamente. In quanto di nuovo spiriti, eravate capaci di ricordare ciò che avevate fatto in questa forma, avevate anche i ricordi di Asgard e della Guerra Sacra contro Zeus, ma, riconoscevi anche tu, che vi mancava un pezzo. «Però non sono più tanto sicuro del fatto che ci siamo riusciti in virtù del Cosmo e del nostro legame con la Dea». Concluse, pensieroso.
«Credi che qualcuno ci abbia aiutati, quella volta?» Domandasti preoccupato. Questo significava che c’era qualcosa di ancor più pericoloso di quello che avevate affrontato, nell’Oltretomba.
Shaka ci pensò. C’erano numerosi buchi nei vostri ricordi. Ora cominciavi a sospettare che non fosse solo l’incoscienza della morte o la memoria che, a volte, doveva dimenticare alcuni passaggi per evitare di ingolfare il cervello. E, finalmente, comprendesti dove volesse andare a parare. «Tu credi che dietro tutto questo ci sia lei?» Domandasti accennando a Lady Asia addormentata sotto le coperte.
«É possibile, in fondo può manipolare il Tempo».
«Ma non può viaggiarci dentro, voglio dire, come farebbe?»
«Forse può».
«Che te lo fa dire?» Chiedesti. Non ti saresti mai aspettato che Shaka mantenesse una certa lucidità mentale in presenza della Dea di cui si era infatuato. Questo significava che non si fidava completamente di lei, sebbene lei desse invece l’impressione contraria. Altrimenti perché avrebbe dovuto accettarlo come compagno di viaggio ed estendere anche a te la sua protezione, se non si guardava al Patto? Perché ti aveva mostrato quella parte di sé? Ti era sembrata troppo sincera per essere una bugiarda.      
«Hai presente le nostre tecniche? Non trovi che somiglino un po’alle magie del Tempo che lei è in grado di operare? Bene e, se avessero una base comune?»
«Una base comune? Non mi sembra che lei abbia la forza per congelare gli atomi, può solo rallentare il tempo, oppure accelerarlo e creare tasche temporali e illusioni solide.» Elencasti alzando gli occhi a destra, poi tornasti a guardare lui: «Mi sembra che ci sia una sostanziale differenza tra congelare e decelerare soltanto, inoltre, il ghiaccio e il Tempo sono composti di sostanze completamente diverse. Al limite è Saga quello che potrebbe avere più tecniche in comune con lei. Nei ranghi inferiori l’unica che mi viene in mente che possa avere qualche attinenza con lei è la Bronze Saint di Horologium, però non penso che possa effettivamente usare i poteri di cui decanti. Ma dimmi, che somiglianze hai rilevato tra le tue tecniche e le sue?»
«Ancora non lo so, sento di essere vicino a comprenderlo, ma non so cosa possa essere».
«Poniamo il caso che tu abbia ragione, a che cosa serve la Luce Ombrosa e questi Guardiani? Da dove vengono queste Creature?».  
«Non ti saprei proprio dire». Ammise. Poi girò il volto verso la Dea girata sul fianco: «Tuttavia, credo che la Sua comparsa non sia casuale come può sembrare come neanche, questo senso di famigliarità che sentiamo per lei. Provi lo stesso anche tu, no?» Confermasti, anche se non con la stessa intensità che invece provava Shaka. Se no, non avresti pianto per lei quando avevate creduto che l’Astronauta l’avesse uccisa. Non eri così debole, ma, di fronte a un’ingiustizia, anche in momenti simili, ti infuriavi come pochi al mondo. Invece quelle lacrime erano state una rivelazione. Avevi scoperto di volerle bene, come se fosse un’amica. Ora lo capivi. Altrimenti, non ti saresti confidato così facilmente. Stare insieme a lei ti era famigliare, un po’come con Milo, lo percepivi sulla tua pelle questo senso di sicurezza che emanava. Però non ricordavi dove l’avessi incontrata e perché. Era questa la cosa che ti angosciava, e se si fosse rivelato tutt’un inganno? Dovevate essere prudenti. Pertanto chiedesti: «Cosa suggerisci di fare?»
«Per ora aspettiamo e vediamo il da farsi, non possiamo elaborare delle congetture con  così pochi elementi a disposizione».
«D’accordo, cominci tu il primo turno di guardia?»
«Non credo che sia necessario, queste tasche temporali ci schermano in tutto e per tutto, ma, se ti fa piacere, d’accordo».
«Svegliami, mi raccomando».
«Contaci».           
Allora chiudesti gli occhi e cercasti una posizione più comoda sulla poltrona. “In che cosa siamo coinvolti?” Pensasti prima di lasciare che il sonno ti avviluppasse nelle sue maglie e ti portasse nel suo mondo incantato.    

 

Sognasti di ritrovarti di nuovo nell’accampamento di Lady Pandora e vedesti la piccola Fianna, poi, vedesti un’orca nuotare nella terra della Foresta Rossa, fendendola come fosse acqua. Poi l’orca aprì le fauci e ti svegliasti madido di sudore con un gemito, raddrizzandoti di scatto sulla poltrona. Il tuo scatto fece destare anche Lady Asia, che, si girò verso di te e, fece aprire gli occhi a Shaka: «Che è successo?» Ti chiesero, lui sussurrando incuriosito e lei preoccupata.
«Un incubo, solo un incubo».
«Lo stesso?»
«No, ho sognato, un’orca».
«Un’orca?» Domandò Shaka inarcando un sopracciglio.
«Sì, era… tutta nera, metallica». Facesti portandoti una mano alla testa, mentre cercavi di calmare te stesso. Il cuore batteva furioso tra le tue costole.
Lady Asia disse, senza staccarti gli occhi di dosso:  «Dove?»
«Come?» Domandasti togliendo la mano, guardandola. Non aveva acceso la luce. Quella della luna, che filtrava dalle finestre era sufficiente a illuminarla, mentre ti guardava, seduta sul letto.
«Dove era la balena? C’era anche altro nel sogno?»
«Sì era… qui».
L’Azona trasalì.
«Milady?» Domandò Shaka confuso. «Raccontami tutto il sogno, sbrigati».
«Perché, Milady? Era solo un sogno».
«Ho un brutto presentimento, ecco perché». La accontentasti e lei, dopo averti ascoltato in silenzio, si rilassò e disse: «Stai tranquillo, era solo un incubo». Le chiedesti se fosse sicura e lei confermò dicendo che non c’era niente di cui preoccuparsi. Poi gettò un’occhiata alla radiosveglia e  si passò una mano tra i capelli striati d’argento per ravvivarli e s’infilò di nuovo la tiara: «Non mi rimetto a dormire, non ne vedo il motivo visto che tra cinque minuti sarebbe dovuto cominciare il mio turno di guardia».
«Ma, mia Signora…» Protestò debolmente il tuo collega. «No, Shaka». Lo fermò con dolcezza, «Ho riposato anche troppo a lungo».
«Ma…»
«Potreste restare almeno a letto».
«Perché mai? Sono tutta intorpidita». Commentò prima di nascondere uno sbadiglio dietro la bocca e stiracchiarsi come un gatto. E, se tu facesti del tuo meglio per non guardare all’altezza del suo petto (era pur sempre una Dea, in fondo e, poi eri dritto davanti a lei. La stessa lei che poteva reagire malissimo se se ne fosse accorta) Shaka invece, un occhio ce lo buttò eccome, approfittando della penombra. Tu la penombra la ringraziasti per celare invece il tuo rossore e anche qualcos’altro.
Distogliesti lo sguardo lanciandolo altrove e, ti accorgesti dell’occhiataccia fulminante che ti lanciò il tuo collega della Vergine. Perfetto.
In ogni caso, non riposasti granché lo stesso, anche durante il giorno. Anche se la Dea ti aveva assicurato che non era niente, tu non eri convinto. Avevi un brutto presentimento, per questo, mentre Shaka dormiva (nello stesso letto precedentemente occupato dall’Azona, che glielo aveva ceduto) tu, chiedesti alla successiva Atena di andare in ricognizione: «Sei sicuro?» Ti chiese, preoccupata, «Non hai ancora recuperato le tue forze».
«Quelle che ho sono sufficienti, non temete, Milady, starò bene».
«E, sia».   
Avevi setacciato la foresta, ma non avevi trovato niente. Forse la Azona aveva visto giusto. Allora perché quella sensazione non ti abbandonava? Eri rientrato in paese e stavi riflettendoci quando un piccione volò a pochi centimetri dalla tua testa. Anche se eri più di Là che di Qua, ti abbassasti lo stesso. Non avevi mai amato questa particolare specie animale. Soprattutto per la loro tendenza ai voli radenti, stile kamikaze. Ora che ci pensavi, non avevi mai neanche pensato a quale animale ti piacesse effettivamente. Non che fossero cose di vitali importanza, però era anche un modo per ricostruire un ponte che avevi distrutto. Non come quello che distrusse Shura, ma quello interiore, così potevi definirlo, con te stesso.
Non sapevi perché ci pensavi, ma forse era perché eri rimasto solo troppo a lungo. Con Milo, per quanto gli fossi grato e sentisti questo ricordo di affetto nei suoi confronti, non avevi chissà quale rapporto. Con Hyoga ti sentivi suo padre e sapevi che era così che ti vedeva anche quest’ultimo. Uno dei grandi rimpianti che sentivi di avere quando non pensavi alla situazione in cui vertevate, era proprio la tua famiglia. Anche se era in fondo al tuo cuore ti mancava molto. Soprattutto adesso che si era allargata con il ritrovamento di Isaac.  
Avesti una fitta alla testa e ti portasti una mano sul capo. Lo sforzo che avevi impiegato nella tasca temporale per usare tutto il tuo Cosmo si era fatto sentire. Avevi, infatti, dormito per tre giorni per recuperare le energie e, ancora, sentivi di non averle recuperate completamente, nonostante le premure di Shaka e le cure di Lady Asia. La quale, nonostante tutto, ti guardava ammirata, adesso, si potrebbe dire, anche orgogliosa. Anche se non sapevi e non capivi perché, mentre ti aiutava come poteva. Vi eravate rifugiati in una città Ucraina abbastanza lontana da Černobyl’, ormai rinchiusa nel suo sarcofago come una mummia egizia.
Se ci pensavi, ancora non ti capacitavi di ciò che era accaduto. Né comprendevi come avessi fatto a sprigionare tutta quella potenza, superiore persino a quella che avevi sfoderato ad Asgard. Se tu ti fossi ricordato di Hiroshima, mio dolce Camus, non ti saresti sorpreso più di tanto.    
Rientrasti in albergo passando davanti al receptionist senza che questi si accorgesse della tua presenza. Altro trucco che avevi imparato da quando avevate abbandonato quei territori: se volevi essere visto, allora le persone ti vedevano, se volevi toccare qualcosa, allora lo potevi toccare. Era come se tu ti stessi avvalendo di un principio simile a quello che ti permetteva di congelare gli atomi, per interagire con il Mondo dei Vivi.
Asia e Shaka ti avevano spiegato che voi due vi trovavate nell’intersezione tra il Mondo dei Vivi e quello dei Morti. Il piano inferiore del Piano Astrale, si potrebbe definire. Se ci pensavi un leggero brivido correva lungo la tua spina dorsale. Avevi già sperimentato cosa significasse risorgere negli Inferi e tornare nel Regno dei Viventi. Anche se non avevate avuto tempo per soffermarvici, era come se qualcuno avesse deposto un piccolo blocco di marmo sulle vostre spalle che vi aveva affaticato più del dovuto. Invece, ritornare qui ora, non ti diceva niente, ti sentivi solo meglio, rispetto a quando sostavi nel Regno di Hades. Era come se tu fossi un pezzo di un puzzle che avesse ritrovato la sua collocazione. E lo sentivi, come lo sentiva il tuo commilitone, ma come potevi non sentirlo, il richiamo della tua carne imprigionata in quella teca al Santuario?
Spesso, come un musulmano prega rivolto verso La Mecca, ti giravi verso Sud Ovest dove sapevi esserci il Santuario della Vostra Dea. E, altrettanto frequentemente, Shaka ti aveva posto una mano sulla spalla e tu, avevi incontrato il suo volto a occhi chiusi e il suo cenno d’assenso: “Sì, lo sento anch’io”. E a volte, diventava difficile non sentirlo. 
Mentre salivi le scale sospirasti. Meno male che avevi deciso di uscire a prendere una boccata d’aria, ne avevi approfittato per compiere un giro di ricognizione. Eri sicuro che Eaco ormai si stesse muovendo, il tempo era scaduto per forza. Ma chissà da quale parte sarebbe sbucato, adesso, che esistevano numerosi varchi verso il dominio degli Inferi. Per ora non avevi avvistato né la sua temuta Ala, Violate di Behemoth, né gli Skeleton. “Che si sia dimenticato di me?” Pensasti aggrottando la fronte, mentre ti prendevi il mento tra indice e pollice. “No, impossibile”. Qualcosa ti diceva che non fosse così, ma non riuscivi a percepire il suo Cosmo. In effetti, ti eri accorto, di non essere più capace di percepire il Cosmo di chi si trovava all’Altro Mondo, da quando Death Mask ti aveva spedito qui. 
Lasciasti passare una coppia di turisti che scendeva e poi ripartisti. 
Avevi monitorato con il Cosmo la situazione al Grande Tempio e l’angoscia si stava facendo divorante. Che cos’era quel Cosmo gigantesco? Superava in potenza persino quello di Aiolia e Kanon. Si avvicinava a quello della Divina Atena.
Eri ancora assorto in questi pensieri quando tornasti nella stanza che occupavate.       
Appena apristi la porta sussultasti e facesti un passo indietro per lo spavento. Lady Asia era sospesa a mezz’aria a gambe incrociate, la schiena un po’curva e la testa china, quasi ciondolone sul petto. con le braccia si cingeva le spalle, come se stesse cercando di ripararsi dal freddo. I capelli le sventolavano dolcemente attorno. Le maniche della camicia verde ondeggiavano verso l’altro come se una dolce brezza le sollevasse. Anche gli orecchini erano sollevati.
La mantella stava su una sedia a parte, accanto alla spada verde.
Per un attimo temesti di averla deconcentrata e invece neanche sembrò registrare la tua presenza. Non solo perché teneva gli occhi chiusi, risplendeva di oro bianco a intermittenza. Shaka la osservava incuriosito con gli occhi aperti.
“Cosa sta facendo?” Domandasti a Shaka, quando ti fosti ripreso. “Sta cercando di rilevare la presenza del prossimo Guardiano”. Lo guardasti stupito, non solo perché non credevi che ciò fosse possibile, ma era il “Come?” che ti sorprendeva, considerando che il tuo compagno non le aveva ancora restituito il suo album da disegno.  
“Scandagliando il globo intero con i suoi poteri, così ha detto, quando ho chiesto spiegazioni”. Una smorfia di fastidio le increspò il viso e si abbassò dolcemente. I suoi piedi toccarono terra di taglio, poi anche i polpacci e il resto di lei si adagiò dolcemente a terra. I capelli, i gioielli e le vesti smisero di volteggiare, ricadendo dolcemente nella loro posizione originaria. Riaprì gli occhi con uno sbuffo seccato.
«Avete trovato qualcosa, Milady?» Chiese Shaka, in tono speranzoso, richiudendo i suoi.
«Purtroppo no. Oh, quando sei rientrato?» Ti chiese, accorgendosi finalmente di te, quando sollevò gli occhi.
«Proprio adesso». 
«Hai trovato qualcosa, almeno tu?»
«No, mi dispiace».
«Sei più tranquillo, adesso?»
«No». Ammettesti. La Azona chinò il capo, ancora seduta a terra e mormorò: «Allora è grave per davvero».
Quel pomeriggio decideste di ripartire. Fu una partenza abbastanza rapida, in realtà. La Azona dovette solo raccogliere le sue poche cose e dissolvere la tasca temporale una volta usciti dall’albergo, che comunque era abbastanza scomodo per i tuoi gusti. Nessuno sembrava fare caso allo strano abbigliamento della Vostra Dea, anche se era difficile che passasse inosservata.
Secondo i piani, avreste camminato a passo d’uomo fino all’uscita del paese, solo una volta nella foresta, avreste ripreso la velocità della luce e oltre (nel suo caso).
Peccato che, una volta coperti una dozzina di metri dopo il limitare del bosco, ti bloccasti di colpo. «Cosa c’è, Camus?» Ti domandò la giovane, accorgendosi del tuo cambiamento.
«Sento un odore strano». I due annusarono l’aria ma non sentirono niente di rilevante. «Che cosa?» Ti chiese Asia. «Non so, sembra un vino sul punto di diventare aceto». Perché percepivi l’odore di entrambi.
La giovane ti si accostò, preoccupata. «Sei sicuro?» Ti chiese e, anche lì, lo sentì anche lei, l’odore.  Confermasti guardandoti attorno, persino la luce era la stessa del sogno.
L’espressione del volto della Azona s’indurì: «Alegre». Sibilò, poi imprecò, facendoti inarcare le sopracciglia (non eri abituato a sentire una Divinità imprecare). Anche Shaka inarcò le sopracciglia per quest’uscita poco elegante.
«Alegre?» Chiosò.
«Di Black Whale, uno degli ufficiali di Don Avido. Ci ha trovati». Spiegò. Conoscevate entrambi questi Black Saint, avevate letto anche voi il rapporto sulla missione di Venezia di Manigoldo di Cancer e Albafica di Pisces.
«E ora?»
«Dobbiamo scappare e…»
«Non andrai da nessuna parte, dolcezza!» Esclamò Alegre emergendo dalla vegetazione, l’immancabile bottiglia di vino rosso in mano. La Dea s’irrigidì e tu e Shaka scattaste a proteggerla. Ma il Black Saint del Millesettecento v’ignorò e, dopo aver tracannato un sorso dalla bottiglia, si pulì la bocca con la mano e disse: «Non mi è piaciuto affatto quel giochino al museo».
«Davvero?» Chiese lei, mutando espressione, lo capiste dal tono di voce.
«State indietro, Milady, ci pensiamo noi a costui». Diceste. Questo almeno potevate farlo, dopotutto, il Black Saint era un vostro pari.  
Lady Asia si volse e sorrise divertita, raccogliendo la sfida: «Scommettiamo, sprecone?»
Proprio in quel momento, Shaka comunicò con le vostre menti. “Milady, lasciate che me ne occupi io”. Si offrì il tuo collega e lei domandò, senza staccare gli occhi di dosso al nemico. “Sei sicuro, Shaka?” Ribatté lei, facendo eco anche al tuo pensiero e lui asserì. “Porta in salvo Lady Asia, di questo posso occuparmi anch’io”.
“Fa attenzione, Shaka, dette parecchie grane ai Cavalieri d’Oro del Millesettecento che lo affrontarono”. Lo avvisò lei, nervosa.
“Costoro non erano me. Non preoccupatevi, vi raggiungerò presto”. Promise il suo connazionale. “D’accordo”.
Shaka poteva effettivamente fare qualcosa, disponeva della tecnica del ciclo della trasmigrazione, avrebbe mandato quel Black Saint direttamente all’Inferno se necessario.
Cominciaste a scappare. Avevate percorso cinquecento metri quando Lady Asia sussultò e si bloccò. Ti girasti verso di lei e la vedesti a occhi e bocca sgranati. Lo sguardo puntato nel vuoto come se vedesse qualcosa. Guardasti nella sua direzione ma non vedesti niente.  «Milady?»
«Dobbiamo tornare indietro».
«Milady?» Domandasti di nuovo, però come a chiedere, “come, scusate?” Lei si girò, angosciata: «Dobbiamo tornare indietro, sbrigati!»  E tornò indietro a gran velocità. Tu non avesti altra scelta che seguirla, soprattutto, quando ti accorgesti del Cosmo Infero che stava avvicinandosi alla zona della battaglia. Aiacos!
I tre giorni erano passati.
Tornaste da Shaka e lo trovaste nella posizione del loto. Neanche si girò quando vi sentì tornare e la giovane Dea lo chiamò. «Milady», rispose lui, «non dovreste essere qui, sta arrivando lo Specter di Garuda».
«Anche peggio, alzati, presto!» Esclamò lei.
«Non dovete preoccuparvi io…»
«Sì, invece, per loro sei un disertore!» Rilevasti a tua volta con urgenza nella voce. Non gliel’avevi ancora detto, questo.  
«Ma io avevo detto…»
«Gliel’avevo detto, ma non mi hanno voluto ascoltare». Rispondesti. Solo allora Shaka si alzò in piedi e ti volse il viso con gli occhi chiusi da sopra una spalla: «Il Patto?»
«Adesso non pensare al Patto e vai via, presto arriveranno le Creature».
«Dov’è Alegre?» Domandò la Dea che, fino a quel momento non aveva fatto che guardarsi intorno. «L’ho rispedito all’Inferno, dove deve stare. Per quanto riguarda lo Specter, non c’è problema, li ho già affrontati e…» Si vantò, borioso, mettendosi in mostra per lei. Solo che a quel punto la giovane perse la pazienza e lo interruppe: «Andiamo adesso. Questo è un ordine. Se è vero che hai deciso di seguirmi, allora ti ordino di farlo!» Esclamò Lady Asia con un tono che non ammetteva repliche.  Era una donna molto forte, questo dovesti riconoscerglielo, ma tu non la trovavi così attraente e carismatica come sembrava invece trovarla il tuo compagno.
«Ma lo Specter?»
«Ci penserò io». Ti offristi repentinamente tu e i due volsero la testa verso di te, mentre il Cosmo del Garuda si faceva ancora più vicino e incombente. «É me che vuole, si fermerà soltanto se mi avrà preso».   
«Tu pensi di poterlo fermare? D’accordo». Ti accordò la Dea, dopo averti lanciato un’occhiata fiduciosa. Tu annuisti e congelasti istantaneamente degli Skeleton che, armati di falce, si scagliarono addosso a voi. Dopo averli rinchiusi nella Freezing Coffin, zittisti immediatamente il tuo Cosmo, giusto in tempo per evitare che le Creature calassero in picchiata su di voi. Shaka si era già affrettato a fare da scudo alla Dea.
Le Creature si allontanarono pigramente e tornaste a concentrarvi sulla battaglia imminente.
Pure i sicari, questa ti mancava. Aiacos era più folle di quanto pensassi. Il Drago Rosso aveva ragione, non potevate difenderla da esseri superiori. Le sue battaglie non erano le vostre, ne avevi avuto una prova tangibile anche tu, ma potevate difenderla dai servitori umani dei vostri avversari e dei vostri alleati.   
«No, in realtà spero soltanto che capisca che non può darvi la caccia per un malinteso». Che Lady Asia era colpevole tanto quanto Shaka, in quanto aveva privato l’esercito infero di un valido elemento, già di suo un alleato. Lady Pandora riusciva a malapena a controllare le bestie che i Signori della Notte avevano affidato a Shaka.
«E tu pensi che sia una buona idea? Non hai pensato che magari questo metterà anche te in pericolo?»
«Non preoccupatevi per me, me la caverò benissimo». Rispondesti, animato da una nuova determinazione. Poi quando fu abbastanza vicino, li esortasti ad andarsene. Lady Asia ti scoccò uno sguardo angosciato, ma né lei né Shaka si mossero. «Andate!» Urlasti allora con più convinzione.
Shaka si girò e pose una mano sul braccio della giovane, che lo guardò. «Andiamo, Milady». La quale annuì e lo seguì.
Ti girasti verso lo Specter che si stava dirigendo verso di voi a gran velocità e facesti un respiro profondo prima di gridare: «Fermati, Eaco di Garuda, non è Lei il nemico, fermati!» Esclamasti. Ma il suo bersaglio non era mai stato lei, o Shaka, come avevi pensato, eri sempre stato tu. Infatti  
obbedì, ma solo per afferrarti per il collo e sbatterti contro un tronco d’albero con tutta la forza di cui era capace. Difatti, spaccò l’albero che cadde a terra con un rumore di legna infrante, chiome fruscianti e uccelli spaventati che si alzarono in volo.
Cercasti di reagire ma scopristi, con tua grande sorpresa, di non poterlo fare. Lo Specter sembrava invincibile, persino il Cocito non riusciva ad arrivare da te, bloccato com’era dal suo Cosmo, intanto che le Creature vi svolazzavano attorno, incendiando ogni cosa al loro passaggio, ma senza avvicinarsi allo Specter, come se neanche esistesse. Strabuzzasti gli occhi. Com’era possibile tutto ciò?
Cercasti di smettere di gonfiare il tuo Cosmo, perché era solo per via di quello che le Creature erano ancora qui. «Certo, bravo, sì, gonfia pure il tuo Cosmo quanto vuoi, ma non riuscirai a liberarti di me, la mia Surplice mi permette di essere immune ai colpi e ai poteri degli spiriti». Ti rivelò e tu sgranasti gli occhi. «Magari quando eri vivo saremmo potuti anche essere pari, ma qui sono io a essere più forte di te». Sogghignò avvicinando la sua faccia alla tua, di modo che tu potessi vedere bene il suo ghigno e i suoi occhi lucenti di follia, trionfo e arroganza.
Cercasti di sottrarti alla sua presa, ma lui strinse ancora più forte. Allora, annaspasti, lottando per restare cosciente: «Perché fai questo? Sei un Silver Saint anche tu, sei fedele alla Divina Atena, perché…?» Ti ricordavi che lui era Suikyo di Crateris, il predecessore di Aeson, no? Stando ai rapporti del Venerabile Shion, anche costui come te, aveva pianto lacrime di sangue. Se qualcosa dell’ex Cavaliere d’Argento esisteva ancora, allora era il caso di riportarlo allo scoperto. Ma gli occhi del Garuda non piangevano  come ti eri aspettato. Questi occhi neri erano accesi di una luce folle e basta.
«Cosa pensavi di fare, Gold Saint di Aquarius?» Ti canzonò: «Credevi forse che mi sarei fermato solo per due belle paroline sulla giustizia e la fedeltà ad Atena? Per chi mi hai scambiato? Io sono uno dei Giudici Infernali, sono uno dei comandanti del Grande Hades e sono venuto qui per reclamare ciò che mi hai promesso! Hai finito di giocare al latitante, adesso torni negli Inferi con me e stai certo che il viaggio di ritorno sarà una vera sofferenza per te. Sarà la mia vendetta la ricompensa per tutte le volte che mi hai preso in giro!»
Ciò detto si girò a guardarti e, un folle sorriso si delineò sulle sue labbra. Neanche il luccichio dei suoi occhi ti piacque. Benché fosse l’ex Silver Saint della Cloth di Crateris del Millesettecento, Suikyo, di quell’uomo non restava più niente. L’amico d’infanzia dei Venerabili Roshi e Shion non esisteva più da tempo, ormai.
Il tuo tentativo di appellarti a queste memorie era fallito. Ciliegina sulla torta, rincarò la dose annunciandoti che: «Visto che tu mi hai privato del mio divertimento, allora anch’io ti priverò di qualcosa, ma non ti dirò cosa né quando lo farò».
Sgranasti gli occhi e il tuo pensiero corse istintivamente ad Isaac. «Non puoi farlo, è contro il Patto».
Se tu avessi mai visto un demone in vita tua, avresti saputo che con loro, in quel momento, Eaco aveva molto in comune. La paura che ti incuteva la percepivi tutta e t’impediva di mantenere il tuo solito contegno. Non ti eri mai sentito così inerme prima d’ora. Impotente sì, ma inerme mai. Adesso che conoscevi anche il segreto delle surplici eri spaventato e vedevi gli Specter e gli Skeleton sotto una luce nuova.
Non avevano rivelato tutti i loro poteri nel corso di questi secoli.
Ora capivi anche tu cosa provò il dottor Faust nel vedersi davanti un demone dell’Inferno. «Ma io non infrangerò il patto». Ti promise, avvicinando un poco il volto al tuo, per imprimerti nello sguardo il colore dei suoi occhi e tutta la follia da cui essi trasparivano. Poi la stretta sul tuo collo si sciolse e il Garuda ti lasciò lì, voltandoti le spalle.      
 
Ma ora avevi problemi più grossi cui pensare. Per esempio come giustificare tutto questo a Lady Pandora. La risposta ti giunse immediata quando la Somma Sacerdotessa si adombrò e ti congedò. Ma non era questo a preoccuparti. Shaka si era messo nei guai, esattamente come temevi. Il che poteva significare due cose: o si sarebbe rifatta su di te, facendo del male al tuo ritrovato allievo e alla piccola, oppure avrebbe mandato sulle tracce di Shaka e della Azona dei sicari.
Sicari, possibilmente al soldo di Atavaka.
Ti grattasti la testa pensieroso: un’Azona.
Stando a quello che eri riuscito a capire dopo la scomparsa della Colomba Astrale e del rinsavimento degli Specter, c’era movimento anche nella zona retrostante il palcoscenico. Finora non avevi mai pensato di vedere le vostre vicende come rappresentazioni teatrali improvvisate. Avevi già intuito che gli Dèi vi usassero, anche la vostra, per quanto cercasse di non farvelo pesare.
Ma non ti saresti mai aspettato che dietro di loro ci fosse qualcun altro a sostenere il Tutto.
Avevi già sentito parlare degli Azoni dal tuo maestro, ma non avevi mai pensato che ne avresti incontrato una e che, il tuo commilitone si unisse a lei. 
D’accordo moltissime cose, ma non ti saresti mai aspettato questo. Si diceva che fossero leggende, secondo i vostri insegnanti erano altri nomi degli Dèi, non Dèi a parte. Dèi dei quali non si sapeva niente. Ma se erano potenti quanto avevi percepito dal Cosmo della Azona che vi aveva aiutato, allora era preoccupante.
Chi erano? Che cos’erano? Com’erano? Quando erano stati creati? Perché erano stati creati? Quanti erano? Cosa volevano? Che poteri avevano? Per chi lavoravano? Queste ultime due domande in particolare ti angustiavano. Mai quanto le parole di quella Azona: Sono la figlia del Guardiano della Casa di Marte.     
Avevi ritrovato Isaac, che adesso era curato dalla piccola pitta cui non avevi mai chiesto il nome. E, l’avevi portato assieme a te nella tenda, quando si era ripreso. Con grande disgusto di Valentine ma se ne era rimasto zitto quando avevi decretato che avrebbe messo un terzo sacco a pelo anche per lui. Di sera la bambina preferiva dormire assieme agli altri bambini della sua tribù. Avevi anche avuto modo di conoscere l’unico membro rimasto della sua famiglia. Tutti gli altri si erano già reincarnati. Suo fratello maggiore. Il quale a malapena ti sopportava, solo perché la Somma Niniane aveva decretato che Fianna ti stesse accanto e ti aiutasse.
«Fianna, eh?» Domandasti alla bambina, guardandola. Lei alzò le piccole spalle e mormorò qualche scusa che stavi cominciando a capire. Le scompigliasti i capelli indomabili con una mano e lei ti guardò sbalordita. «Non preoccuparti, non te l’avevo mai chiesto».
«Allora non sei arrabbiato con me?» Ti chiese esitante nella tua lingua madre. Aveva una vocina tenera e dolce, in accordo con la sua persona. Eppure la guardasti con tanto d’occhi e non solo perché, per la prima volta, ti aveva parlato nella tua lingua, dopo le lezioni che le avevi dato. Ma perché adesso sembrava davvero la bambina che sarebbe dovuta essere. «No», le sorridesti. 
Lady Pandora non si aspettava una risposta simile quando le raccontasti quello che avevi scoperto.
«Un’Azona». Mormorò stupefatta fissando un punto nel vuoto.
«Sapete chi sono?» Domandasti sorpreso dalla sua espressione sgomenta. E, poi, era la tua impressione o quel poco di colore che aveva era sparito?
«Sì», ammise la donna sedendosi. «Credevamo tutti si fossero estinti. Allora è suo il Cosmo che ho sentito in Thailandia e poi negli Inferi contro Virgo». Mormorò a mezza voce.
«Cosmo?»
«Sono capace di percepire il Cosmo altrui». Rivelò la corvina e tu strabuzzasti gli occhi per la sorpresa. Lei riprese a borbottare tra sé e sé: «Adesso ha un senso, l’intensità che ho rilevato in questi mesi con ciò che mi hai riferito da parte del tuo allievo».
«Signora, voi sapete a cosa si riferisce Isaac?»
«Non l’hai ancora capito, Aquarius? Quella  Dea appartenente a un ordine che si credeva estinto da secoli. Gli Dèi stessi tremano quando compare uno di loro, gli Azoni sono il collegamento tra le Divinità e i loro controllori, sono coloro che fanno sì che noi possiamo continuare a esistere, tutti noi, non solo gli Dèi che serviamo».    
«Sì, mi ha detto che sono i custodi della Storia».
La Sacerdotessa di Hades ti guardò, spaventata e, al tempo stesso avida di sapere: «Cos’altro ti ha detto?»
«Nient’altro, ma ho avuto un assaggio dei suoi poteri e sono formidabili». Ammettesti ancora spaurito dal ricordo di come era riuscita a intrappolare e ingannare l’Astronauta. E Shaka era andato con lei perché se ne era innamorato. Pregasti che fosse capace di scappare in caso le cose fossero andate storte. Se era persino più potente di quanto immaginavate c’era di che esserne preoccupati: un Azone da solo poteva arrivare dove neanche un Cavaliere d’Oro sarebbe mai riuscito. E, fino a ora, avevi sempre creduto che più in su del livello che avevate raggiunto, non ci fosse altro.  
«Per nostra fortuna, gli Azoni non si intromettono nelle faccende degli Dèi. Non avremo problemi da parte loro. Hai scoperto cosa ci faceva qui, invece?» Chiese apparentemente rilassata. A tradirla era l’irrigidimento delle spalle.
«Sì, signora, è sulle tracce dei Guardiani delle Case degli Astri».
Pandora sgranò gli occhi violetti. «I Guardiani delle Case… è impossibile». Anche lei li conosceva?
«Eppure non lo è, io stesso e i miei compagni del Cancro e della Vergine abbiamo avuto a che fare con ben tre, no, quattro Guardiani».
«Quali erano?»
«Il Guardiano della Casa di Marte, il Guardiano della Casa di Plutone, quello della Casa di Mercurio e quello della Casa di Urano».
«Mancano Terra e Luna, Venere, Giove e Nettuno». Mormorò pensierosa.
«Non c’era anche Saturno, mia signora?» Interloquì Minosse del Grifone.
«Se la mia ipotesi è giusta, quello l’ha già trovato». Non avevate mai visto Lady Pandora tanto sconvolta.
A quel punto osasti porre una domanda: «Che cosa sta succedendo?»
«Questi non sono affari che ti riguardano, esci da qui! La tua presenza non è più richiesta!» Ti scacciò Rhadamantys parandosi di fronte a te, minaccioso.
Tentasti di protestare ma lo Specter della Viverna ti scacciò. «Fuori!» E tu non avesti altra scelta che obbedire.    


Aphrodite
Il rapporto di Aldebaran lasciò tutti sconcertati. Non solo per la rivelazione del coinvolgimento di Kiki nella faccenda dei bambini, ma mai avresti mai pensato che Lancelot potesse essere un traditore. Il tuo sguardo corse istintivamente a Shura, il quale non lasciava trasparire alcuna emozione, oltre all’ira. Ira nei confronti del giovane Ariete, in quanto avrebbe dovuto riferirglielo subito: i ragazzini erano pur sempre sotto la sua protezione.  
Era come durante la Notte degli Inganni, quando, ancora bambini, foste incaricati di fermare Aiolos e lui tagliò quel ponte. Gli leggesti in faccia quella stessa risolutezza di allora. Il volto in ombra per metà. Era come osservare il Bene e il Male dipinti sullo stesso volto.
Un fragile equilibrio in cui lui oscillava come un pendolo e sceglieva, coraggiosamente, di stare nel mezzo.
Lo stesso che lo aveva portato a recidere quel ponte e a decretare la salvezza della neonata Dea e la morte del suo modello. Solo adesso lo capivi. E ti sorprendesti di comprenderlo adesso invece che prima. Ma forse era perché allora fosti solo un bambino e non sempre i bambini colgono tutte le sfumature come invece fa un adulto.  
Perché ci pensavi adesso, allora? Perché proprio adesso e non anni addietro, quando era il momento di pensarci? Perché? Forse non c’era una risposta alla tua domanda. Alcune domande non ne hanno necessariamente una, come alcuni rami senza foglie. Le avevi sempre viste così questi interrogativi e, non che fossero mancati, ultimamente.     
Le domande in questo mese te le eri poste, anche se non eri un investigatore come Aiolia. Però eri uno stratega ed eri colui che si occupava di proteggere Astrid con Death. Certo che non l’avevi lasciata sola, anche se era colpa sua di un mucchio di cose era pur sempre una tua amica. Le volevi bene, per quanto tu potessi voler bene a qualcun altro all’infuori della tua magnifica persona.
Ma non eri un tipo asfissiante, lasciavi alle persone che venivano poste sotto la tua tutela tutta la libertà di cui necessitavano.
Solo perché ti rimiravi allo specchio continuamente, non significava che tu fossi completamente estraniato dal mondo. Per esempio, sapevi perfettamente che Astrid passava tutte le mattine dalle Dodici Case per scendere ad allenarsi alla Settima e ora anche dove stendevano i panni, assieme a Lady Yoshino e a Paradox. Eri un po’geloso di Paradox, dovevi ammetterlo; con la sua presenza distoglieva le attenzioni di Astrid da te. E, sinceramente questo t’infastidiva. In effetti, tra te e Paradox era stata una silenziosa guerra aperta da quando la Custode della Luce Ombrosa era tornata al Santuario. Anche se non ti eri mai esposto apertamente, Paradox era perfettamente conscia della tua presenza.
Soprattutto ora che era primavera, quasi estate e le piante ti parlavano. Lei non poteva distruggere le piante a suon di Galaxian Explosion. E le rodeva il fegato per questo.
Perché le piante erano le tue spie, non solo le tue rose. Le tue spie erano presenti dappertutto e su tutto ti aggiornavano, pur non avendo occhi e bocca per parlare o un cuore battente. Nessuno avrebbe mai sospettato che una piccola margheritina potesse rivelarti chissà quali segreti. Come per esempio, i pisolini segreti della tua protetta tra i frutteti. Li avevi visitati e li avevi trovati rustici, in un certo senso, però non erano neanche così brutti a certe ore del giorno. La tua amica aveva buon gusto, si respirava un’aura di pace e tranquillità, lì. Anche se in quanto a bellezza non poteva neanche competere con il giardino-serra della Dodicesima.
Oppure, quello che aveva fatto Astrid per debellare l’invasione di serpenti, non avresti mai pensato che sarebbe ricorsa all’aiuto del Bronze Saint di Serpens. Oppure, per rompere il sigillo sulla sua stessa memoria meditando nel giardino della Sesta. Non ti aspettavi però che, meditando, avesse perso il contatto con la realtà e avesse passato varie notti a mezze maniche. Anche se in Grecia era pur sempre maggio e la notte alle tre del mattino non è comunque caldissima, anche con il riscaldamento globale. Queste in particolari erano state piuttosto umide. Per questo, quando aveva rivelato il suo Cosmo, tu non avevi fatto una piega.
Kanon poteva sforzarsi di cacciarti fuori dalla sala delle udienze quanto gli pareva, finché avrebbero continuato a coltivare il Giardino della Tredicesima e ornare le stanze di fiori, soprattutto la camera della Dea, niente ti sarebbe mai sfuggito. A parte Lady Asia.
Quando le piante ti avevano riferito che lei era giunta al Santuario passando per la Quarta e, dunque anche dalla Dodicesima, ti era preso un colpo. Soprattutto quando si era infilata nella camera della Divina per conferire con lei. E, stando al colloquio e al Cosmo Divino che si era sprigionato, che avevi finalmente compreso la reale natura di colei che ti aiutò in Thailandia. Non ne avevi mai parlato con nessuno, neanche con la Divina. Non tanto per una questione di potere, quanto perché neanche tu sapevi cosa pensare. Eri rimasto che il dominio del Tempo appartenesse a Kronos, Kairos e alla Divinità del Tempo in sé, non ad altri Dèi. Se non altro, adesso sapevi che intenzioni avesse quella giovane. Ma cosa significavano le sue parole? Era dunque tanto grave?
Ti guardasti per la millesima volta allo specchio alla ricerca di segni di deperimento, o forse, delle tue stelle. Quelle stelle che lei aveva detto che adesso erano ridotte a semplici fiaccole. Ma tu non le potevi vedere neanche se ti fossi sforzato.
E dire che, in queste notti, avevi scrutato la volta celeste come se avesse potuto dare una risposta, una parola di conforto per il dolore che sentivi. Un dolore sordo all’altezza del petto, ma che ti stringeva il cuore in una morsa e ti faceva inumidire gli occhi. La morte la sentivi vicina, anche se i suoi segni non erano visibili sulla tua pelle. Allora era questo che provavano le persone normali? Morire eri già morto e risorto. Ricordavi ancora la paura che la Nebulosa di Andromeda ti aveva suscitato e poi il buio. Ricordavi anche la tua seconda caduta e la terza e la quarta. Sempre in battaglia e sempre da guerrieri vittoriosi.  
Perché il destino aveva scelto di riversare la sua crudeltà proprio su di voi? Che cosa avevate fatto voi dodici per meritarvi tutto questo?     
«Dobbiamo spostare i bambini». Decretò il Gran Sacerdote. «É evidente che il bersaglio sono loro».
«Sua Santità, voi sapevate già qual era l’intento degli Specter?» Domandò Aiolia.
«Il Cavaliere di Aries me ne aveva messo a parte da tempo ma non credevamo che le loro condizioni fossero disperate a tal punto».
«Condizioni disperate?» Ripeté sconvolto da tanto menefreghismo.
Kanon ribatté, con calma: «Per quale altro motivo, se no, violerebbero un trattato in tempo di pace? I rapporti con il Signore dell’Oltretomba sono stabili e non ci sono contrasti né con lui né con la sua luogotenente. Deve essere successo qualcosa di grave negli Inferi per spingerli a questo…»
Aiolia fece un notevole sforzo di volontà per non vomitargli addosso tutto ciò che pensava. Si limitò a digrignare i denti e a fulminarlo con lo sguardo a più riprese. Si vedeva lontano un miglio che disapprovava gli ordini.
Tu invece ti accigliasti e ti domandasti: “Sì, ma che cos’è questo?” Cosa stavano cercando di fare gli Specter? E voi, dovevate lasciarglielo fare? Questa era la cosa che temevi di più. Scoprire che avreste dovuto insabbiare tutto questo? No, era una cosa che andava ogni oltre crudeltà perfino per voi. Almeno questo avresti dovuto pensare, ma tu eri uno dei tre che tempo addietro sostenne Saga e la sua usurpazione, ricordi? Tu nei segreti e nelle situazioni scomode ci sguazzavi come un pesce perché eri di natura infida come le bellissime rose che curavi. Non è così, mio caro Aphrodite? Mio valoroso cavaliere a capo di un potente, letale, esercito floreale? Eh, Re di Fiori?    
Il difficile sarebbe stato convincere quella retta zucca vuota di Aiolia che il mondo non era sempre in bianco o in nero e che a volte esistevano le sfumature. Che a volte era necessario sacrificare alcune pedine per vincere una battaglia. Di questo eri sicuro che ci avrebbe pensato Shura al momento giusto, oppure Shun o qualcun altro. Adesso era meglio che il Leone d’Oro se ne tornasse sbattendo i piedi alla Quinta e restasse a sbollire. 
Ti appuntasti mentalmente di fare delle ricerche, prima che altri mostri e altrettanti nemici saltassero allo scoperto e vi attaccassero. Perché la vostra forza, ormai era tale solo all’apparenza. Già. Mostri e nemici, ecco da cosa eravate circondati. Dovunque tu ti girassi vedevi solo questi.
In quanto migliore stratega tra i Gold non avevi tutta questa necessità di infiltrarti nella Sala del Trono e ascoltare (origliare, sii sincero) tutte le udienze.
Annusasti il profumo della rosa che ti rigiravi tra le dita, mentre restavi in disparte, appoggiato contro la colonna. 
«Perché non hai detto a nessuno il resto?» Chiedesti.
«Il resto?»
«Oh, andiamo, Kiki, puoi fingere quanto ti pare di non sapere, ma non puoi ingannare me. Perché hai lasciato che lo scoprissimo per bocca di Odysseus invece che dircelo subito?»
Il Cavaliere della Prima Casa spalancò gli occhi violetti e ti guardò aprendo la bocca in un’espressione esterrefatta. In quel momento ti venne da pensare che era un bell’uomo, ma che se non avesse chiuso la bocca ci sarebbero entrate le mosche. Quell’espressione attonita non gli si addiceva proprio. Lo preferivi ieratico come un mosaico come quelli della Basilica di Santa Sofia di Istanbul.    
Non ti chiese chi te l’avesse detto, non ne aveva bisogno (o forse non gli interessava), ormai, lo sapeva da quando avevate lavorato insieme nel caso del Monastero dei Cinque Picchi, come agivi.  Provasti a imboccarlo tu, scostando la bella rosa rossa da sotto il tuo naso: «É per via del tuo amore per lei o perché temevi che noi avremmo potuto eliminarla se avessimo saputo?»
«Io… io…» Balbettò prima di arrendersi. «Sì». Poi si sedette sul davanzale e si prese la testa tra le mani, rivelando così tutta l’afflizione e la tristezza che provava. Tu gli battesti una mano sulla spalla (anche se non riuscisti a reprimere la smorfia di disgusto che s’impossessò dei tuoi bellissimi lineamenti). Non ti era mai piaciuto vedere le persone così, soprattutto uno dei tuoi compagni. Se erano lacrime quelle da versare, meglio che fossero di gioia, quelle erano molto più belle. 
Quando parlasti, cercasti di controllare la voce per evitare che trapelasse il tuo disgusto per come si sarebbe ridotto di lì a poco se tu non gli avessi passato un fazzoletto: «Lo immaginavo. Ti dirò, in altre situazione sarebbe anche la prima cosa che faremmo, via la causa, via il problema. Ma Astrid è prima di tutto un’ospite, un’amica e una di noi, anche se il suo maestro è il Cavaliere Maledetto, quindi non vedo perché darsi pena per celarci questo dettaglio». Fortuna che il fazzoletto ce l’aveva lui, lo estrasse da una manica del cloth e si dette una ripulita. Infine, aprì bocca: «Ho visto Milo cercare di attentare alla sua vita». Ti confessò crollando il capo.
«Milo? Sul serio?»
«Sì».
«Perché?»
«Credo che avesse intuito che Astrid potesse diventare troppo pericolosa, penso che volesse evitare che Ionia potesse controllarla. Ho letto nella sua mente, più che altro erano la tristezza e la disperazione a muoverlo. Ovvio che non gliel’avrei permesso neanche per scherzo».
«Sì, però è strano che Milo abbia agito così, non è da lui. É uno dei più stoici e pragmatici tra di noi, a dispetto del caratterino che si ritrova».
«In effetti sembrava strano, era come se fosse manipolato da qualcuno».
Entrambi vi guardaste pensando la stessa cosa. «E se fosse…?»
«Il nemico?» Completò lui. Poteva avere senso. Nessuno di voi aveva dimenticato per quali motivi era scoppiata la Guerra Sacra con Artemide e, neanche, le parole di Kanon dopo l’intervento di Astrid. Un’altra Divinità fissata con la Luce Ombrosa. «Potrebbe essere Hades, stavolta?» Ipotizzasti.
«Lo escludo, altrimenti ce ne saremmo accorti». Già, anche lo spirito del Dio aveva una mente e Kiki, la poteva leggere, inoltre, Shun lo teneva a bada.
«Che ci sia dietro lo zampino di Ionia?»
«No, lui era stato mandato altrove su ordine di Shura». Che Ionia era rimasto ferito durante l’assalto ai dormitori della Palaestra. E, Shura, quando aveva saputo, cioè subito, aveva ordinato ai medici di curarlo in separata sede rispetto ai ragazzini che, quella notte, avevano condiviso l’infermeria con Astrid in quanto, unico spazio atto a contenerli tutti lì dentro. Inoltre, se conoscevi almeno un po’ lo spagnolo, era probabile che, anche se non fisicamente presente coi suoi protetti, li sorvegliasse, probabilmente, con l’aiuto di qualcun altro. «Un altro trucco di Odysseus?»
«Non penso. Forse ci stiamo inalberando e basta, forse non c’è nessuno e Milo ha agito così perché ha soltanto ragionato come un Saint. Forse quei pensieri non significavano niente». Fece Kiki spostandosi la frangia dagli occhi. Aveva bisogno di spuntarsela un po’. Avevi i tuoi dubbi, però era anche vero che stavate diventando paranoici e, si sa, il confine tra prevenzione e paranoia è labile.  
E poi, la paranoia non faceva affatto bene alla tua pelle di seta.    

 

Ti eri riunito con Shura e Saga per discutere della faccenda quel pomeriggio con la scusa di un tè party. I tuoi compagni non avevano rifiutato. Era raro che tu cercassi la loro compagnia ma avevano intuito che, dietro al tè e ai biscotti (che effettivamente furono serviti nella tua magnifica serra-giardino) ci fosse una richiesta più specifica. Molti servitori e cittadini di Rodorio esigevano spiegazioni. C’era addirittura chi sosteneva di aver visto una luce strana tra le Dodici Case. Le voci che si erano sparse, ormai erano praticamente incontrollate e, c’era chi additava Astrid come responsabile. «In questi casi è meglio muoversi con cautela». Concordò lo spagnolo, finora rimasto silenzioso e pensieroso. Aveva parlato con Kiki, quando anche lui si era completamente sbollito. Se da un lato poteva dirsi lieto di avere qualcun altro su cui contare per proteggere i ragazzini, dall’altro avrebbe preferito sapere molto prima tutto quanto. «Persino riportarla alla Tredicesima può rivelarsi un grosso errore, la gente penserà che in qualche modo sia collegata con quello che è accaduto». Per una volta concordaste tutti con lui, anche Saga, che, per l’occasione, era di nuovo in forma umana. Per lei andava più che bene la protezione che già aveva. Inoltre, riportarla alla Casa di Atena non avrebbe fatto che fomentare il vespaio che si era sollevato tra i servitori. Saga vi aveva anche riportato alcune voci.
«Io so solo che probabilmente anche lei lo ha percepito. E, se non l’ha fatto, probabilmente cercherà di mettersi sulle sue tracce». O almeno, questa era l’ipotesi più probabile. Saga mise la sua tazza sul tavolo e accavallò una gamba: «Non ci giurerei troppo, Astrid è parecchio imprevedibile».
«Imprevedibile persino per te che sei stato appresso a lei più di tutti noi?» Chiedesti.
«Sì, già prima mi era difficile capirla, adesso potrebbe essere ancora peggio. Cioè, ora che ha riacquistato completamente la sua memoria, ci sta che non sia più la stessa persona che conosciamo». Insinuò lui ed era un’ipotesi abbastanza realistica, anche se qualcosa ti diceva che la ragazza non era così stupida e così asservita al suo vecchio insegnante. Sì, la vecchia Astrid, ma questa?
«Credi che adesso potrebbe lavorare contro di noi?»
«Sì».
«Non lo credo possibile». Decretasti mettendo a tua volta la tua tazzina sul tavolo.
Shura si pulì la bocca dalle briciole con il tovagliolo di carta. Aveva continuato a restare rigido tutto il tempo, benché sprofondato tra i candidi cuscini morbidi della tua ottomana da esterno. Come se non si fidasse affatto di te. Di voi, avresti voluto dire, ma in Saga aveva dimostrato già una fiducia smisurata, era di te che non si fidava e ti sorprendesti di questa sua diffidenza. Ma perché sorprendersi? In fondo tu del veleno e delle rose demoniache eri il sovrano, lui dalla sua aveva solo una spada e una fede d’acciaio. Eppure era lui il più forte tra voi, fisicamente parlando, se non altro. Ed era lui che vi guidò e trovò modo di riscattarsi nella Guerra Sacra contro il Gran Dio Zeus.   
“É così difficile, adesso, accettare che qualcun altro vi guidi, Shura?” Pensasti. «Fossi in voi, io non mi preoccuperei di Astrid». Aggiungesti convinto, «Finora lei non sa che cosa sta succedendo con gli Specter e, fintanto che possiamo contare sulla collaborazione di Aiolia per tenerla al sicuro, non ci saranno problemi, se l’andiamo a trovare basterà solo che nessuno nomini questo problema. Adesso torniamo all’argomento principale».
I tuoi compagni parvero ben felici di cambiare argomento, nonostante il sospetto e il dubbio che aleggiava su di voi a causa della nuova natura di Astrid.
Metteste in atto il piano quella sera stessa. Secondo i piani avevate diviso i bambini in gruppi e, li avreste spostati in altrettante zone sicure. Il primo gruppo sarebbe partito quella notte stessa e l’avresti accompagnato tu.   
Erano appena le dieci, ma, con la penuria di stelle, il buio sembrava ancora più profondo. Stavi accompagnando i bambini al traghetto che li avrebbe portati ai rifugi. Fortunatamente il Santuario poteva contare su una fitta rete di spie e anche, di una cospicua parte dei mezzi pubblici. Non come le persone comuni, ma come veri e propri investitori e proprietari. La Divina Atena aveva acquisito gran parte delle società marine, tranviarie, aeree e dei trasporti e, il Gran Sacerdote prima di Saga aveva investito nella realizzazione di opere pubbliche, invenzioni e società che poi avevano dato i loro frutti. Inoltre, il cotone di Rodorio veniva esportato ed era famoso a livello mondiale. Era solo così che il Santuario si salvava un po’ dalla Crisi e riusciva a prosperare nonostante tutto.
Perciò, se il Gran Sacerdote prenotava una traversata da Atene a dove voleva, nessuno glielo negava. Così era successo.   
Aiolia aveva pensato di affidarti Neera. «É in gamba ed è migliorata molto dalla missione a Roma, adesso ti sarà d’aiuto, vedrai». Tu avevi annuito e avevi guardato la Sacerdotessa-Guerriero con indosso la Bronze Cloth d’Indus. Le piume del copricapo simulate dalla corazza s’innalzavano dietro la sua testa, facendola somigliare a una sciamana di certi documentari. Persino la maschera coi segni blu aumentò quest’impressione. La protezione al busto ricordava una giacca di pelle scamosciata, aveva persino le decorazioni di uno scaccia pensieri. Il fianco era cinto da una fusciacca azzurra e  braccia e gambe erano protette da schinieri e bracciali.
Indossava delle calze di colore scuro ma a causa dell’oscurità della notte, non riuscisti a riconoscere il colore e degli stivali cinti dagli schinieri. Al polso sinistro una polsiera scura e un guanto senza dita con un bracciale di perline colorate che lanciavano un tenue brillio alla luce delle fiaccole e della Luna e un guanto senza dita. Le unghie erano affilate e smaltate di un colore scuro.
Non sembrava neanche la stessa ragazza che Aiolia prese sotto la sua ala protettrice solo una settimana prima. Non che tu l’avessi osservata granché prima (degnata di uno sguardo. “D’accordo, degnata di uno sguardo”, pensasti in tono conciliante).  
«D’accordo». Concedesti, poi, la portasti con te, intuendo la mossa di Aiolia. Probabilmente, ammesso che Astrid avesse di nuovo osato attaccare, avrebbe avuto rimostranze nel vederti. E, sì che pensavi che non avesse fiuto per le strategie, quell’impulsivo. A meno che non gliel’avesse suggerito qualcun altro.
In ogni caso arrivaste ai dormitori e, come d’accordo con Geki e gli altri insegnanti prendeste i bambini. Avevate stilato un percorso che passava da un corridoio sicuro monitorato dal Bronze Saint del Reticolo.   
Sareste passati da una scorciatoia che vi avrebbe portati al Pireo, ergo molto vicini alla Macchia Incantata (da te così rinominata in uno slancio poetico) quel che non potevate prevedere, fu Astrid. Tutto vi sareste aspettati fuorché trovarvela lì tra quelle rocce.   
Eravate stati anche molto attenti a nascondere il Cosmo e a non passare nei pressi dell’infermeria. I capelli smossi e la camicia da notte bianca, dal vento. Bella come la Luna, terribile come un esercito. Sembrava sul punto di trasformarsi in chissà quale creatura demoniaca, con quegli occhi che, anche da qui, ti sembrava splendessero, gialli, nel buio. Non solo le mani. 
Le spalle si sollevavano e si abbassavano velocemente mentre lei respirava col naso per calmarsi.
Si era fatta tutta questa strada a corsa nelle sue condizioni? No, non era affanno, era frenesia, lei stava fremendo. Stava ritta in piedi davanti a voi ma aveva l’aria di chi aveva atteso un’eternità. E, a giudicare da come fulminava la Sacerdotessa-Guerriero al tuo fianco, non era per l’attesa che era così incollerita.
Le braccia lungo i fianchi e i pugni contratti. «Astrid?» Domandasti perplesso.
«Dì la verità». Sibilò lei per tutta risposta senza calcolarti di striscio.
«Cosa? Ma di cosa stai parlando? Ti ha dato di volta il cervello?»
«Ne ho abbastanza di questi giochetti, Neera, potrai ingannare tutti gli altri ma non puoi ingannare me». 
«E questa chi è?» Domandò lo Specter della Farfalla, guardando la nuova arrivata confuso e poi divertito. La giovane ignorò direttamente l’invasore per concentrarsi sulla Sacerdotessa-Guerriero al tuo fianco.   
«Astrid, vattene via!» Rincarasti la dose spazzando l’aria con un braccio nel tentativo di scacciarla. Ma la tua amica non si mosse. Sfoderasti una rosa rossa dal nulla e i bambini lanciarono dei gridolini mentre Neera cercava di tranquillizzarli e, al tempo stesso, tenere d’occhio la probabile avversaria. «Non ti azzardare ad avvicinarti alle voliere, Neera». Sibilò minacciosa lei mentre lo Specter passava all’azione quasi scavalcandola. «Con permesso, bellezza, ma c’ero prima io». Sorrise sornione mentre sfoderavi una delle tue rose e lo Specter sorridendo divertito sollevava con la forza del pensiero dei massi. «Ma che diavolo vuoi, tu!» Esclamò Astrid rivolta allo Specter prima di spintonarlo da parte con tutta la forza di cui era capace e materializzare il suo falcione di cosmo dorato. Per la sorpresa lo Specter perse la presa sui massi che caddero a terra, facendola vibrare e Astrid si scagliò addosso a Neera mentre i bambini arretravano.
Tu non permettesti ad Astrid di toccarla che le lanciasti contro una serie di rose che fu costretta a schivare. Saltò su una roccia e si portò relativamente al sicuro mentre lo Specter osservava stupito la scena.
La bionda si accucciò, una smorfia bestiale dipinta in faccia.
Minacciasti di lanciarle altre rose. «Non un passo».
«Nobile Aphrodite!» Esclamò la giovane Bronze.
«Via! Porta via i bambini, questi li fermo io!»
«Illuso, tu credi di fermarmi?» Ti sbeffeggiò il nemico, mentre la seconda se ne restò zitta. Poi scomparve e riapparve dietro Neera, puntandole il suo falcione di Cosmo al collo. Non l’avevi neanche vista spostarsi, come diavolo aveva fatto? Al sentire il piccolo strillo della giovane Sacerdotessa, le grida dei bambini cambiasti immediatamente bersaglio. Ti girasti e bersagliasti la tua amica con le tue rose nel tentativo di sfiorarla. Sarebbe bastato anche solo essere sfiorata dalle spine o la punta dei tuoi letali boccioli per finire avvelenati. Ma a te, sarebbe bastato far sì che Neera si scostasse mentre tu, con un salto, scagliavi le tue rose tutto attorno ad Astrid, formando un cerchio. La ragazza non fece neanche in tempo a emettere un verso che si sentì crollare in ginocchio.
La Bronze Saint volse il volto coperto dalla maschera verso di te.
Tornasti a terra e, tornasti a occuparti di Myu, che stava arrivando. Ti girasti, piantasti un piede a terra e facesti crescere tutta una selva per impedire alle fairy e al loro padrone di raggiungere i ragazzini. Infatti, facevi nascere alla velocità della luce, nuove spine e nuovi tralci, proprio dove passavano queste farfalle, uccidendole con la mira del cecchino qual eri. E, lo Specter, per evitare di ferirsi e vedersi lacerare le ali in quella selva di spine acuminate, si fermò e arretrò salendo di quota con un’agilità e una grazia che non gli credevi proprie.   
Proprio in quel momento vedesti la ragazza, che era caduta a terra, rialzarsi e lottare contro il profumo stordente della gabbia. «Che cosa? E’ ancora sveglia?» Esclamasti sbalordito mentre Astrid si teneva la gola con una mano e si puntellava con l’altra a terra, per evitare di cadere completamente a terra.
«Lo hai dimenticato, Aphrodite? Anch’io sono una Saint». Riuscì a dire, il volto nascosto dai capelli che le erano scivolati in avanti, prima di tapparsi le vie respiratorie con entrambe le mani.  «Porta via tutti, subito!»
«Sì!» Esclamò prima di correre via, dietro ai bambini.
Improvvisamente la terra cominciò a tremare violentemente. Ti girasti e vedesti i tuoi tralci di rose spezzati da macigni che venivano scagliati sulla barriera di spine a una velocità e un’angolazione impossibile per una semplice frana. «Myu!» Sibilasti. I massi non cadono in orizzontale. Astrid fece per rialzarsi in quel momento e tu spalancasti gli occhi. Le facesti da scudo con il tuo corpo, frapponendo tra te e il masso una rosa demoniaca. La roccia andò in frantumi non appena la toccò e Astrid si riparò dietro di te per evitare di essere colpita dai frammenti. Proprio mentre il masso esplodeva lo Specter comparve davanti a te spalancando le ali e, con un ghigno, ti schiantò contro un’altra roccia tramite i suoi poteri telecinetici. Accidenti. Non avevi contato che approfittasse del suo stesso attacco per coglierti di sorpresa.
Ma mai quanto la ragazzina che, approfittando di questo momento di distrazione, era riuscita a uscire dal cerchio di rose e adesso, stava scendendo rapidamente la china. Ma te ne accorgesti solo quando ti girasti.  

 

Ti lanciasti al suo inseguimento e riuscisti ad afferrarla. Lei lanciò un gridolino sorpreso, forse pensando che era inciampata. Poi percepì la tua stretta, ma non fece comunque in tempo a fare niente che la prendesti per le spalle e la inchiodasti con violenza contro la roccia. Non t’importò niente della sua beltade, in quel momento; volevi solo tenerla ferma. Lei provò a divincolarsi, ma tu glielo impedisti. Provò anche a colpirti ma le catturasti il polso con una mano. Te ne bastava una sola per tenerla ferma. «Ascolta, Astrid, basta, fermati!» Cominciasti, sentendo quanto questi modi ti fossero estranei. Urlare contro una persona non era da te, non era nelle tue corde, ma non avesti altra scelta: «Astrid! Astrid! Smettila!» Come se ti avesse finalmente udito, per la prima volta ti guardò davvero. Catturasti il suo sguardo con le tue iridi, costringendola a inchiodare i suoi occhi, fiammeggianti d’ira e puerile rabbia omicida, nei tuoi. «Non è lei il nemico! Non è lei il nemico! Non è lei» Le urlasti, sovrastando finalmente la sua voce. Lei ti trapassò con lo sguardo. Le iridi gialle erano accese di un bagliore ferino. Ora non ti sembravano più così umane, nonostante che continuassero a mantenere la pupilla tonda. Per un momento vedesti balenare il muso di un uccello rapace al posto del suo viso, ma non smettesti di parlare. «Mi senti? Non è lei! Qui c’è uno Specter, quello è più pericoloso! Quello vuole Yuna, Kouga, Ryuho Raki e tutti coloro che non hanno ancora un’Armatura!» A sentire quei nomi i suoi occhi si accesero di paura, come se, fino a quel momento, non si fosse neanche accorta che erano presenti «Non t’importa niente dei bambini? La tua vendetta è più importante di loro?»
«No, certo che no». Disse, abbassando finalmente il braccio con cui la tenevi ferma. «Ma Neera…»
«Non è importante! Adesso sei una Saint, devi imparare a fare ordine nelle priorità e a non intralciare i tuoi superiori. Stai intralciando una missione di salvataggio, te ne rendi conto?»
«Io, io non… sì». Ammise alla fine, sconfitta, rilassando le sue fragili membra. La traesti a te, stringendola in un abbraccio per consolarla. Poverina, avevi molta compassione di lei. Forse fu proprio questo che ti spinse a trarla a te. La giovane trasalì sconvolta da questa manifestazione d’affetto nei suoi confronti, decisamente fuori luogo. Soprattutto dopo che le avevi ricordato che tu eri un suo superiore e, come tale andavi rispettato. Però era come amico che la stavi stringendo a te e, lei se ne accorse. Infatti, ricambiò la stretta. Proprio allora, ti domandò, «Cosa posso fare per rimediare?» Niente, non c’era niente che potesse fare. Aveva causato abbastanza danni e, anche volendo, non era capace di affrontare uno Specter in uno scontro diretto. Per non parlare del fatto che Lancelot e il suo maestro, probabilmente erano nelle vicinanze e stavano aspettando il momento giusto per coglierla di sorpresa e catturarla. Le avevi detto che era una Saint, ma era solo un’apprendista, uno dei tanti soldati della Dea, appena un gradino più forte dei soldati semplici. Il suo Cosmo si era appena ridestato e, sicuramente, non era neppure in grado di controllarlo. Non dopo la visione che Kiki aveva condiviso con voi.
La cosa migliore da fare era rispedirla da dove era venuta. Avresti potuto farlo, con tanto di nota di demerito e punizione per insubordinazione. Però la conoscevi, lei era uno spirito libero, non si sarebbe mai piegata a nessun ordine neanche sotto tortura. Ricordavi ancora troppo bene, grazie ai racconti dei tuoi compagni, come avesse risalito da sola le Dodici Case e, come avesse quasi bastonato Aiolia. Anche se tu le avessi detto di no, lei non ti avrebbe ascoltato. Eppure, più ci pensavi, più realizzavi che lei non era una sprovveduta. In quel corpicino che stringevi tra le braccia, sentivi la sua forza come una luce giallo dorata con il nucleo bianco. Una forza che gridava di essere usata. E che l’avrebbe spinta a gettarsi nella mischia a ogni costo. Perché lei sapeva che buona parte delle disgrazie che erano accadute erano colpa sua. E, per questo, non avrebbe mai lasciato i suoi amici in pericolo. 
E, con questo, ogni tua remora, fu spazzata via.
La discostasti per guardarla e le dicesti: «Astrid, ho bisogno che tu faccia una cosa per me».
Lei ti guardò sbalordita. «Cosa?»
«Ho bisogno che tu usi il Potere dei Tarocchi per fermare lo Specter».
«Non so se funzionerà anche in questo caso; i suoi poteri sono di una natura completamente diversa e poi le Creature sono appena qui fuori…».
«Io so che riuscirai a farlo funzionare». La bloccasti, poggiandole la punta del dito sulla bocca, per zittirla. Continuando a guardarla negli occhi con intenzione. Lei annuì e tu togliesti il dito. Poi la lasciasti andare e cominciasti la discesa. 
«Dopo posso tornare a dare la caccia a Neera?» Ti domandò la tua amica.
«No».
«Sì».
«Scusami?» Domandasti retorico girandoti di tre quarti verso di lei, una mano sul fianco.
«Hai sentito». Ribatté con aria di sfida. «Non tirare troppo la corda e limitati a fare quello che ti ho detto». Le ordinasti in un tono che non ammetteva repliche. Lei ti scoccò un’occhiataccia e sbottò, inviperita: «Come desideri».
«Dopo farai tutto quello che ti pare, ma non adesso, è un ordine». Mormorasti dandole le spalle.
«Signorsì, capitano». Sibilò prima di materializzare nuovamente la sua falce di Cosmo. «Ma lo farò a modo mio!» Ti urlò lo stesso prima di scendere agilmente tra le rocce, sinuosa come un serpente.
Alzasti lo sguardo al cielo e vedesti le Creature sciamare attorno alla barriera della Dea. Ti venne istintivo di pregare Atena, che Astrid riuscisse a sostenere il compito che le avevi affidato.
Raggiungesti Neera e gli altri in paese, mentre i soldati provvedevano a evacuare i civili. Ti facesti largo tra la folla (maledicendo la malasorte che vi impediva di combattere con i vostri pieni poteri. Adesso capivi perché proprio Myu era stato mandato qui) e vedesti la giovane combattere assieme a Ryuho del Dragone e a Yuna, contro lo Specter, supportati da Raki, che, con le sue capacità, cercava di tenerlo a bada assieme al suo maestro. Tutti che ben presto si ritrovarono al tappeto dalla psicocinesi dell’uomo, che li giudicò uno per uno: «Troppo debole, troppo frettoloso, acerbo».
«Myu della Farfalla!» Gridò Kiki e l’uomo si girò verso destra, restando comunque sospeso a mezz’aria grazie al battito delle sue ali e, il tuo commilitone fece la sua comparsa. Raki gridò, felice di vederlo: «Maestro!» Ma il suo maestro l’ignorò e concentrò la sua attenzione sull’avversario.
«Ci conosciamo?» Domandò lo Specter incuriosito dallo sguardo di fuoco che il Gold Saint di Aries gli stava scoccando. Anche se la sua domanda suonò troppo sorpresa per essere sarcastica.
«Direi proprio di sì». Ribatté il lemuriano prima di tendere un dito verso di lui e mandare incrinare pericolosamente la sua Armatura. L’avevi dimenticato, ma lui era capace di vedere i punti deboli delle Cloth e, a quanto sembrava, anche delle Surplici. Ma lo Specter non restò inerme, infatti, lo spinse via con la telecinesi e, si riparò la Surplice da solo. 
«Indietro!» Urlò il Cavaliere d’Oro ai bambini, prima di tendere le braccia verso lo Specter e gridare: «Crystal vortex!» Ma lo Specter si spostò velocemente ed evitò il colpo, che andò a distruggere il piano superiore di una casa vicina.
Improvvisamente, Myu afferrò Kiki con la psicocinesi, provocando le grida di Raki e tuffò il suo sguardo nel suo: «La tua mente è debole».
«Filo del Tomahawk!» Urlò Neera e lanciò il proprio attacco contro lo Specter che lo evitò facilmente e, ordinò alle fairy di catturare quante più persone possibili. «No! Crystal Wall!» Fece Kiki e aprì il muro di cristallo a ventaglio sui bambini e la Bronze Saint. Le farfalle ci passarono sopra e, dopo averlo appena sfiorato, cominciarono a spaccarlo. «Credi davvero che possa funzionare? Non ti distrarre, ragazzino!» Fece e, Kiki tornò a concentrarsi solo su di lui.
Improvvisamente comparvero tutta una serie di lacci attorno alle case che andarono a formare una ragnatela e, tra di essi, scese un uomo dai lunghissimi capelli bianchi, dello stesso colore di quei lacci. Se non fosse stato per il tenue alone che lo avvolgeva, non avresti neanche capito che si trattasse di una carta. Una carta, che riprese ad accanirsi contro Neera e, al tempo stesso, contro lo Specter.  
Il nuovo arrivato isolò tutti voi con una fitta rete di fili o capelli (o qualsiasi diavolo di cosa fosse) e impedì ai soldati semplici di portare via i bambini, che, per contro, presero a battere sulle pareti della carta. Neanche i soldati dall’altra parte riuscirono a fare qualcosa. Neera provò a tagliarli per aprirsi una via ma la carta si scagliò contro di lei. Presto si ritrovò con le caviglie immobilizzate e anche il resto del corpo. Ti precipitasti dalla Bronze Saint che cercava di liberarsi dei lacci senza successo, ormai immobilizzata quasi del tutto. Corresti in soccorso della ragazza urlando: «No! Che stai facendo? Non ti ho ordinato questo!» Ma i tuoi tentativi di liberarla si rivelarono inutili, allora ci provarono Ryuho e Yuna ma non cambiò niente.
«Tiratemi fuori!» Strepitò lei. Provaste a concentrare tutto il vostro Cosmo su Neera, dandole la forza per riuscire a liberarsi e, la ragazza, spezzò i fili, che si dissolsero. Nello stesso momento anche quelli su una strada laterale si allentarono e, i soldati riuscirono ad aprire un pertugio per permettere ai bambini di passare. 
Kiki piombò a terra, creando una piccola depressione sotto di sé. Che diavolo stava facendo, Astrid?
«Oh, adesso avete persino le illusioni. Questa non me l’aspettavo, Gold di Aries, devo ammettere che siete molto più forte del vostro predecessore, ma è tutto inutile».
Non capivi queste battute, era come se metà se le dicessero nella mente e l’altra metà a voce.
L’essenza della carta stava per colpirlo quando lo Specter girò il volto verso di lei, tese una mano e la medesima s’immobilizzò e, con un grido muto, s’inarcò all’indietro e poi, esplose in una miriade di scintille che crollò al suolo. La stessa fine fecero anche i lacci. I bagliori si radunarono in un rettangolo di luce che se ne volò via.
«E, adesso a noi».
«Prima dovrai passare sul mio cadavere!» Esclamasti. Sapevi che, in virtù del Patto, non poteva ucciderti, ma lo Specter sorrise sinistro: «Come desideri». E, usando la sua psicocinesi, ti spostò con violenza verso le rovine d’allenamento e, ti mandò a schiantarti contro una colonna. Provasti a opporgli le tue rose ma queste, sospinte dalla sua forza si ribellarono a te e si scagliarono contro te medesimo. Riuscisti a evitare tutti i fendenti per un soffio, ma uno ti ferì sotto l’ascella.
«Ah!» Esultò trionfante lo Specter, poi, spingendo di lato, cercò di infilarti le tue stesse spine dentro la tua carne, strappandoti ululati di dolore. Mentre la tua stessa pianta ti gridava che non voleva, che non riusciva a respingerlo.  
Allora l’afferrasti con l’altra mano e te la strappasti da te, lanciando via il fusto. Poi, ti tamponasti la ferita con la mano. Che dolore, così non potevi usare il Cosmo né difenderti. «Addio, Pisces!» Ti urlò prima di scagliarti contro uno sciame di fairy degli Inferi.    
Stavi per essere colpito, quando, improvvisamente, dietro di te, sentisti la presenza di Astrid. E, un drappo variopinto si parò davanti a te. Guardasti meglio e vedesti un giovane uomo dai capelli corti con una benda bianca sulla fronte e ornamenti floreali sulle braccia, sul collo, persino tra i capelli, pararsi di fronte a te. Quello che avevi scambiato per un drappo variopinto, altro non era che la sua veste rossa, decorata con il simbolo dell’infinito in oro, ripetuto per varie volte sulla schiena. Alle orecchie indossava dei pendenti di forma circolare. La mano destra, recante una bacchetta bianca, sollevata verso lo Specter come a indicarlo. Nell’altra un bastone e, indossava una tracolla da cui s’intravedeva una coppa.  La sua figura era circonfusa da un alone di luce dorato, più lieve del tuo, quasi bianco, a dir la verità, come se lui stesso nascesse dalla luce. Allacciata al suo fianco c’era una spada, 
Myu della Farfalla s’immobilizzò a mezz’aria con un grido strozzato: «Cosa sta succedendo? Chi sei tu?» La Carta non rispose e, quando lo Specter le scagliò contro le fairy, il nuovo arrivato, mosse la mano con la bacchetta e, attorno a voi comparve uno splendente, lussureggiante tappeto di fiori e piante tali, da fare invidia alla tua Profusione Floreale. Ti portasti accanto a lui e ti accorgesti che gli orecchini recavano un pentacolo inciso su di essi. Al collo portava un medaglione recante lo stesso simbolo.
«Che cos’è questa luce?» Urlò lo Specter cercando di ripararsi gli occhi con le mani, alzandosi di quota, mentre le fairy si posavano sui fiori, finendo nella trappola della Carta. La quale, dissolse l’illusione e rivelò di trovarvi tutti sulla Carta della Luna. Non avevi mai visto una cosa del genere prima d’ora, non così grande. Poi tornasti a guardare lui: «Tu sei il Mago». Dicesti, sorpreso, mentre ti tenevi la mano premuta sulla ferita con l’altra, per arginare l’emorragia, laddove ti aveva colpito, trovando la carne morbida.  
La carta si limitò a restituirti lo sguardo con la coda dell’occhio, dopodiché tornò a prestare la sua attenzione allo Specter. «Credi di farmi paura?» Domandò e gli lanciò contro altre Fairy un’altra volta. Il Mago estrasse una coppa dalla bisaccia e la tese verso di lui come una pila elettrica e, le farfalle cambiarono immediatamente direzione, lanciandosi addosso al loro padrone. Il quale, fu costretto a evitarle di nuovo con un volteggio. Il Mago abbassò la coppa.
«Non è possibile!» Esclamò sorpreso lo Specter, vedendo la Carta della  figura maestosa della Morte Alata emergere dalla Luna, che, si era aperta in due come una porta. Una porta da cui uscirono degli spiriti urlanti. «Spiriti?» Esclamò l’avversario, riconoscendoli. «Non è possibile! Il Gold Saint di Cancer è negli Inferi! Chi è che usa il suo potere?»
«Non è un Cosmo! Questa è magia!»
«Menzogne!»
In quel momento, Kiki si teletrasportò da te e restò sconvolto nel vederti in compagnia delle carte di Astrid. «Aphrodite!»
«Kiki!» Lo raggiungesti e lasciassi che le carte duellassero contro questo sfidante d’eccezione.
Lo Specter si era dimostrato talmente abile, che Astrid si era vista costretta a usare ben tre carte contro di lui. Questo significava soltanto una cosa: cioè, come temevi, non era abbastanza forte per tenere testa a uno Specter.  
«Che cosa sono?» Ti urlò Kiki mentre osservava lo Specter della Farfalla battersi contro la Carta della Morte, la quale elevò la falce, che lanciò un sinistro brillio e, si lanciò contro di lui. Ben presto lo Specter iniziò a perdere terreno, accorgendosi di essere ancora bloccato mentalmente. «É il Potere dei Tarocchi di Astrid».
«Astrid? Vuoi dire che lei…»
«Sta combattendo assieme a noi, sì!» Poi sibilasti di dolore e fosti costretto a piegarti a causa di una sferzata più bruciante delle altre. «Aphrodite!»
«Sto bene».   
Ti lasciasti portare via dal tuo commilitone, che, riuscì a importi il suo volere e lasciasti che se la sbrogliasse Astrid. Vedesti che Neera e gli altri avevano radunato i bambini lì ed erano nei pressi della Macchia Incantata. Anche se sul punto di svenire, le tue narici funzionavano ancora.
Bene.
Eravate quasi usciti dalla zona rocciosa e, stavate per raggiungere il mare. Ti scostasti da lui asserendo che da lì in poi ce l’avresti fatta anche da solo e lui ti lasciò fare.
Neera e gli altri vi vennero incontro. «Venite con me, nobile Aphrodite…» aveva appena proferito la Bronze Saint di Indus quando Astrid fece la sua comparsa, balzando su un masso. «Trovata, finalmente!» Esclamò facendo spaventare tutti, soprattutto Neera.
«Astrid!» Esclamaste voialtri e tu avesti un mancamento. Che cosa ti stava succedendo?
Ma la giovane non ci fece caso e alzò una mano come se fosse un burattinaio. Le sue dita passarono a rilucere dal bronzo all’argento e poi all’azzurro. «Fermati!» Ruggì lanciandosi addosso a Neera, la quale, non poté fare altro che ripararsi il volto dietro il braccio ma Kiki l’afferrò, solo per scostarsi a sua volta a causa di una bastonata a tradimento. Aveva appena materializzato il suo falcione di Cosmo. «Sta indietro, Kiki, è una faccenda tra me e Neera!»
La Bronze Saint cercò di farla ragionare: «É per via del sasso che ti ho tirato? Se è così mi scuso, sono mortificata…»
«Non me ne può importare di meno di quel sasso, ti avevo detto di stare lontana dai miei amici».
«Astrid!» Esclamò Kiki mentre ti fasciava la ferita con una parte del suo mantello.  «Te lo ripeto un’altra volta, sta lontano da loro, traditrice!» A queste parole la folla prese a mormorare, soprattutto quando la bionda si mise in posizione. «Cosa?», «Una Bronze Saint?», «Ma che fa?», «Non è vero! É impossibile!»
«Ma cosa vai dicendo, Astrid?» Urlò Kiki e Raki guardò sconvolta la sua amica. La quale continuò, il respiro affannoso per lo sforzo compiuto: «Li ha uccisi lei, è lei che vi sta uccidendo tutti, ancor prima delle Creature!»
«Iago!» Gridò una vocina: «Dov’è Iago?».
«Chi è Iago?»
«É uno dei bambini. Manca all’appello, vuoi vedere che…!» Rispose Yuna.
Nonostante questo, le due sfidanti non smisero neanche per un secondo di guardarsi. Era come se si fossero completamente estraniate dal resto del mondo. Due leonesse pronte a sbranarsi per niente; ecco cos’erano. Approfittasti di questa parapiglia per imprigionare Astrid, tra le tue rose. La giovane non riuscì neanche a tagliare i fusti e Kiki urlò ripetutamente il suo nome. 
«E siamo a cinque». Mormorasti, mentre la bionda cercava di liberarsi dalla stretta dei tuoi rovi, ferendosi la pelle e lacerandosi la camicia da notte. Se fin qui avevi sperato che fosse la proiezione del suo spirito, adesso provavi solo dispiacere. Era quasi un dolore per te, vedere cotanta bellezza lunare gettata al vento in nome di un’ossessione. E con che forza continuava a perseguire codesta ossessione!
Il potere sprigionato dalle carte che aveva rivelato era gigantesco. Era riuscita a utilizzare tecniche proprie dei Gold Saint di Cancer e di Aries. Ma non era riuscita a fermare lo Specter. Non avevi contato che avesse già giocato d’astuzia. Guardasti questa ragazza non riconoscendola. “Chi sei, tu? Che ne hai fatto di Astrid?” Dicevano i tuoi occhi, mentre turbato cercavi in te la forza di non stringere troppo la presa sui rovi.
Ma, prima che succedesse qualcosa, Astrid crollò svenuta dopo il colpo di taglio alla testa che le dette Kiki. La sorresse e tu allentasti la presa sulle rose e le facesti ritrarre, di modo che il tuo compagno potesse prenderla in braccio.
Poi, tornaste alle Dodici Case senza dire niente.
Ai piedi della Prima, trovaste il Pontefice, Milo e Aiolia. Se persino Kanon si era scomodato, la situazione era molto più grave del previsto.
«Portatela a Capo Sounion». Ordinò Kanon appena vi vide, mentre la giovane Saint cercava rifugio tra le braccia del Cavaliere del Leone. Il quale, imbarazzato dalla manifestazione d’affetto eccessiva della Sacerdotessa, chiese congedo per lei e la mandò alla Quinta. Ben presto Neera scomparve, inghiottita dall’oscurità.
«Signore!» Esclamasti tu in coro con Kiki. Avevi fatto crescere le tue rose e ti eri curato le ferite tramite le medesime, che si erano scusate a più riprese per averti ferito. Quando fosti guarito e il tuo Cosmo fu di nuovo allo stato ottimale, avevi fatto sparire quei fusti ed eravate tornati al Santuario, mentre del gruppo dei bambini si era offerto di completare il lavoro un altro Saint minore. «Non resisterebbe, siate magnanimo».
«O questo o le prigioni. Astrid si è rivelata problematica e ingovernabile. Finora le abbiamo taciuto la verità sul suo maestro ma se continua così, non ci resta altra scelta».
«Non sarebbe più semplice, invece, allontanarla dal Santuario e portarla in un luogo sicuro?» S’intromise il vostro collega dell’Ottava, prendendo parola per la prima volta nella faccenda. «Quale, Scorpio?» Chiese il fratello minore di Saga interessato.
«Per esempio l’Isola di Milos, o quella di Kanon». Propose.
«E tu credi che lei ci resterebbe?» Ribatté Sua Santità, pungente e sarcastico. “Credi forse che lei possa essere sì mansueta e docile?” No che non ci sarebbe rimasta, quella era arrivata a un punto in cui non ascoltava più nessuno. Ti doleva ammetterlo, ma Astrid aveva perso la testa. Cosa che invece nessuno sembrava voler accettare e vedere. «Sì se glielo spieghiamo. So che sembra impazzita ma non lo è, è una ragazza assennata e ragionevole, ma non si rende conto dei pericoli in cui si mette e lo stress accumulato in questi mesi ha influito notevolmente sulla sua psiche, portandola a questo tracollo. Io sono convinto che sia caduta sotto l’influsso di Odysseus, altrimenti non attaccherebbe mai così senza motivo e con tanta ferocia. Inoltre, se l’allontanassimo, avremmo qualche probabilità di mandar via anche il suo maestro e il suo aguzzino». Gli occhi color del mare di Milo si posarono su Astrid tra le braccia di Kiki, poi concluse, tornando a guardare il Portavoce di Atena in Terra, «Se c’è veramente un traditore come sostiene, allora va protetta e finché resta qui è un bersaglio tanto quanto noi».
Quest’ultimo soppesò le sue parole prima di dichiarare il suo verdetto: «D’accordo allora l’affido a te, partirete domani stesso».
«Sua Santità».
«Sua Santità! Io protesto formalmente!» Esclamò invece Aiolia adirato e Kanon lo guardò. «La giovane av Stjernene non se la può cavare con così poco per tutto lo scompiglio che ha portato nelle Dodici Case, soprattutto dopo la compromissione della missione di salvataggio». Il Gran Sacerdote si girò verso di lui, che continuava a sproloquiare. «Adesso è una Saint, non può più permettersi certi colpi di testa, deve attenersi alle regole, pertanto va punita secondo le regole. Per un’insubordinazione deve essere punita».
«Non è così, ha usato il Potere dei Tarocchi perché gliel’ho detto io». Esclamasti tu, portandoti una mano al petto come a indicarti, mentre avanzavi di un passo. E i tre uomini ti guardarono sbalorditi. Kiki aggiustò meglio la presa su di lei. 
«Cosa suggerisci, Aiolia?» Domandò Kanon senza lasciar trapelare alcuna emozione.
«Che venga sottoposta all’Ordalia».
«Intendi quella pratica barbara ove l’accusato deve subire la pesatura del sangue con la Gold Cloth della Bilancia? Vuoi davvero che, in caso di colpevolezza, il suo sangue bagni la sabbia dell’arena per ovviare al peccato di cui lei stessa si è macchiata?»
«No. Richiedo di sfidarla io stesso».
«Sai che non te lo posso permettere, Astrid è sotto la protezione di Lady Yoshino Hino, deve essere lei a decidere come punire la Saint, anche se appartiene alle nostre schiere. Purtroppo, so che non ti farà piacere saperlo, ma ci troviamo in un conflitto d’interessi. Inoltre adesso, abbiamo un nemico più potente contro di noi e Astrid potrebbe rappresentare la nostra unica speranza di salvezza, dal momento che manca un Cavaliere d’Oro all’appello».
«Quindi avete intenzione di non fare niente?»
«No, parlane con Scorpio, delego a lui ogni responsabilità della faccenda, in quanto lo nomino  custode di Astrid av Stjernene seduta stante».
Aiolia girò la faccia verso il compagno dell’Ottava, rivelando due occhi grandi così nel vedere l’espressione ferma e seria dell’amico di tante battaglie. Il quale, se ne stette a braccia incrociate con aria di sfida.
Kanon se ne tornò alla Tredicesima, seguito da Aiolia, che lanciò uno sguardo truce all’aracnide. Quando fu abbastanza lontano raggiungeste il vostro commilitone, che l’aveva accompagnato tutto il tempo con lo sguardo. Il quale si girò verso di voi.
«L’hai salvata». Mormorasti stupito.
«Non potevo non farlo». Ribatté mentre tu e Kiki vi avvicinavate. Gli occhi del cicladico indugiarono un secondo su Kiki e Astrid. Tu ti accigliasti leggermente, quando vedesti il lemuriano spalancare i propri per lo stupore. Che l’avesse fatto per lui? Allora si era accorto anche lui della sua cotta.
Milo si guardò intorno, circospetto, prima di avvicinarsi a voi e confidarvi, sottovoce: «Non sono sicuro al cento per cento che Astrid sia dalla parte del torto, credo che ci sia veramente qualcosa che non va tra le nostra fila, proprio come ai tempi della dominazione di Arles».
«Anche le piante mi dicono la stessa cosa». Confermasti tu con il medesimo tono.
«Anch’io ho percepito delle stranezze nei pensieri delle nostre file, ultimamente. Tu sapevi di Astrid?» Chiese invece il Gold Saint di Aries, stavolta guardando te.
«Sì, ho chiesto alle piante di tenerla d’occhio, credetemi, le piante non mentono. Mi hanno riferito che qualcuno all’interno del Santuario pensa che lei sia un ostacolo, se non fosse stato per la sua fissazione nei confronti di Neera, sarebbe stata uccisa stanotte stessa».
«La stessa cosa che ho sentito anch’io. Ho ritenuto opportuno sondare i pensieri di Neera da quando è stata spostata nella Casa del Leone e più volte mi è sembrato che la sua mente non fosse naturale».
«La sua fissazione per Neera sta portando scompiglio». Dicesti tu. «Non credo che portarla altrove contribuirà ad arginarla».
«Non è solo questo». Disse Kiki, scoccandoti uno sguardo riprovevole, mentre aggiustava la presa sul corpo privo di sensi di Astrid. Ed entrambi lo guardaste. «Allora cosa?» Chiedesti e, così, venisti a conoscenza di ciò che era accaduto alla tua protetta. Milo non sembrò affatto sorpreso, al contrario di te. «Quando è successo?» Domandasti tu, sorpreso, togliendoti la rosa da sotto al naso. Battesti le palpebre sorpreso. Non ti risultava che fosse morto qualcuno a lei caro ultimamente e Kiki, mentre la riportavate in infermeria, ti raccontò cosa era successo per farla cambiare tanto. Milo ascoltava scoccando ogni tanto degli sguardi di pietà ad Astrid.
Ascoltasti il tutto con vago interesse e dispiacere, poi guardasti Astrid, o almeno, quel poco che riuscivi a vedere di lei, a causa della posizione. Questo le piante non te l’avevano detto. Ma questo perché anche tu non avevi mai parlato con gli arbusti delle montagne del suo osservatorio astronomico. Neanche con la macchia mediterranea. A onor del vero, neanche sapevi che lei avesse un osservatorio astronomico, perché la tua sfera di influenza era circoscritta al tuo raggio d’azione. Altrimenti le piante ti avrebbero assordato e fatto impazzire.
«Comunque, non può restare qui, per stanotte, va riportata in astanteria». Disse Kiki. «E’ uscita prima della completa guarigione e si è ferita un’altra volta, non vorrei che si prendesse un’infezione».
«Hai ragione, Kiki, non credo sia neanche il caso di portarla da Shun, dobbiamo per forza attraversare la Casa di Aiolia e, francamente, non mi fido». Si accodò Milo. Che, da quando era stato buggerato per tredici anni, si era fatto ancora più acuto di prima. E, se persino lui non vedeva di buon occhio Neera di Indus la cosa faceva riflettere moltissimo.
«D’accordo, allora dalla a me, ce la riporto io, così posso curarla immediatamente durante il tragitto». Spiegasti a fronte dell’occhiataccia lanciatati da Kiki. Così fosti costretto a dirgli di venire a sua volta.
E lui acconsentì.

Restaste in compagnia di Astrid le ore restanti della notte e, se Kiki si addormentò al suo fianco, seduto su una sedia, tenendole una mano, tu vegliasti sui due piccioncini tutto il tempo. Se non gli scattasti qualche foto era perché temevi che il flash del telefono, avrebbe potuto svegliarli.
Poi, ti alzasti dalla sedia e restasti a guardare l’aurora.
Stava sorgendo il sole quando Astrid si agitò e batté le palpebre, poi si accorse di aveva Kiki al suo fianco e si mise a sedere. «Buongiorno». La salutasti parlando piano.
Lei sussultò leggermente e poi ti riconobbe: «Buongiorno; cosa è successo?» Ti chiese spaesata, la voce ancora impastata di sonno.
Tu glielo spiegasti, asserendo che stava terrorizzando i bambini. «Kiki è voluto rimanere con te; credo che non se la sentisse di lasciarti sola e io pure, volevo parlarti». Prendesti un bel respiro e ti girasti verso di lei, che ti guardava. «Perché ti sei comportata così? Non è da te questo comportamento e, non mi riferisco al fatto che hai eseguito i miei ordini a quel modo». Ma forse era anche colpa tua, essendo lei un’empatica e tu un narcisista, avevi addossato a lei buona parte delle tue colpe. A cominciare da come ti lucidò l’argenteria a gennaio. O di come non ti stesse bene il suo abbigliamento e la giudicassi comunque e sempre quelle volte che usciste insieme. E, visto che non avevi peli sulla lingua, con un bel rigiro educato, l’avevi fatta sfigurare. E ci avevi goduto, ammettilo, a trattarla così, che a causa della vostra amicizia te l’aveva lasciato fare. Adesso eri spaventato da lei e dal fatto che le tue parole l’attraversassero e non la toccassero minimamente. Questa per te era la peggiore delle torture perché ti stava beatamente mandando a quel paese, tu, la vostra amicizia e la tua indole. E, tu, non ci sapevi vivere senza lusinghe e senza essere al centro dell’attenzione. 
Sì, ti eri un po’approfittato della sua bontà d’animo, entro un certo limite, in quanto lei era sufficientemente sveglia da accorgersene e aveva un margine di sopportazione abbastanza limitato.
Una volta avevi pure sognato di farla diventare parte del tuo giardino per far sì che la sua bellezza non svanisse mai e restasse sempre giovane e incorrotta nella tua psiche. Per fortuna era solo un incubo; Santo Cielo, c’erano metodi meno devastanti come le fotografie, i ritratti, le storie, ma per carità! Non avresti mai permesso che le tue rose demoniache venissero insozzate dal sangue di una persona in generale. Tu la bellezza preferivi elogiarla non sfigurarla a questo modo. Non solo da Astrid. Anche se la consideravi un’amica, una vittima del tuo narcisismo, restava sempre la tua protetta. Ma potevi ancora definirla così? “Aspetta che lo venga a sapere Death Mask…” 
La sua voce interruppe le tue elucubrazioni: «Scusami, Aphro. É che voi non mi ascoltate e allora ho pensato di agire per conto mio».
La guardasti sorpreso: «Noi non ti ascoltiamo? Ma cosa vai dicendo? Noi ti ascoltiamo sempre, se non l’avessimo fatto non avremmo mai sondato la mente di Neera in base alle tue congetture».
Lei sospirò, chiuse gli occhi e girò la testa da un’altra parte: «Non è vero, se così fosse avreste già preso provvedimenti».
«E li hanno presi, ma per te; hai rischiato grosso attaccando Neera nelle Dodici Case in mia presenza. E anche stanotte, hai quasi mandato all’aria una missione d’estrema importanza per il Santuario. Avrei tutti i presupposti per denunciarti formalmente e farti rinchiudere a capo Sounion, come aveva proposto Kanon, ma l’unico motivo che mi trattiene, oltre a Milo e a Kiki è la tua bellezza, che non voglio che sfiorisca a causa di un probabile soggiorno in prigione». Già era più trascurata del solito, mettiamoci anche questo… No, non potevi soffrirlo. Tu stesso avevi i sensi di colpa per averla deturpata per fermarla. Ma grazie alla Dark Resurrection sembrava che non avesse avuto altri problemi.
«Se dici che è tanto grave, allora che ci faccio qui? E, poi, cosa c’entra la Piattola?» Tossì.
Le raccontasti come si era ritrovata sotto la protezione di Milo. Omettendo il resto. Lei sgranò gli occhi stupita: «Milo ha cercato di salvarmi?»
«Sì e ci è riuscito per un pelo, sappilo. Appena starai di nuovo bene dovrai andare con lui sulla sua isola e dovrai restarci finché non verrai richiamata, il che potrebbe accadere anche molto tardi o mai».    

 

La bionda affondò di nuovo tra i cuscini e sbuffò portandosi entrambe le mani agli occhi per la frustrazione. «Ho combinato un casino». Mormorò. E tu, con un certo sforzo e una piccola punta di mendacità, le dicesti che la capivi, che capivi che adesso era sconvolta e che stava soffrendo. Lei abbassò le mani dal suo volto nel sentirti chinarsi su di sé e i tuoi magnifici boccoli biondi dalle punte verde mare, scivolarono dalle tue spalle, sfiorandola come tende slegate. Le carezzasti la testa con dolcezza, tra quei bellissimi, perfetti, folti capelli biondi e le dicesti, sforzandoti di non guardare il suo volto sciupato e i suoi occhi arrossati: «Io ti capisco, davvero, so che stai soffrendo, che ora è tutto un caos, che sei spaesata e non hai valvole di sfogo, davvero, lo capisco. So anche che sei una splendida, assennata persona, perciò non lasciare che il dolore offuschi il tuo giudizio, non lasciarglielo fare, non è bello. Prenditi il tuo tempo e riposati, ci penseremo noi a sistemare tutto». Le promettesti.
«Ma come farete? Non è così semplice come sembra e le vostre stelle…» Le posasti l’indice sulle belle labbra screpolate per zittirla. Il massimo che potevi concederle in questo momento: «Tu fidati di noi». Togliesti il dito liscio e perfetto rispetto a quella pelle, ma il suo sguardo spaventato non cambiò. «Vorrei farlo, Aphrodite, ma non posso, non c’è tempo, me lo sento e poi non posso lasciare che lei continui a bazzicare per le Tredici Case. Lei non è chi dice di essere. Ho cercato di dirlo agli altri, ma non mi vogliono dare ascolto».
“E tu pensi che io ti creda dopo tutto quello che dicono di te e di me, adesso?” Pensasti per poi pentirtene subito. Dovevi almeno darle una possibilità, anche se l’avvisasti che «Secondo me stai prendendo un granchio e anche bello grosso».
«Allora dimmi questo, perché quando guardo Neera non vedo la costellazione dell’Indiano?» Chiosò lei, preoccupata. La guardasti perplesso: ora aveva pure le allucinazioni? «Come sarebbe?»
«La costellazione cambia quando i Cavalieri vengono promossi, come è accaduto a Seiya e a Shun. Se fossero ancora Bronze Saint al posto del Sagittario e della Vergine vedrei Pegaso e Andromeda. Invece non è così». Spiegò, chiudendo gli occhi. Un brivido risalì la tua schiena in concomitanza con un vago, serpeggiante, senso di timore.
Ti raddrizzasti sulla sedia, improvvisamente immobile e cereo. Avevi l’impressione che i tuoi lineamenti fossero diventati una maschera di cera: «E allora cosa vedi quando la guardi?» Chiedesti con voce fragile come cristallo.
«La costellazione della Carena».
Sgranasti gli occhi. La costellazione della Carena, non era una delle Armature scomparse dall’ultima Guerra Sacra con Artemide? Non era più stata ritrovata, né lei né il suo Cavaliere. Non era possibile. Ma Astrid sembrava seria e convinta delle sue parole. Non era che la Luce Ombrosa le avesse dato alla testa? No, non era così, qualcosa ti diceva che non se lo stava immaginando. Se era vero, allora quella cloth e il suo Cavaliere non erano mai usciti dai confini del Santuario. Perché allora non rivelarsi prima? «Non è che ti sei confusa?» Domandasti, poco convinto tu stesso, aggrappandoti alla speranza che si fosse sbagliata.
«Impossibile che io mi confonda. Ho guardato e riguardato nei libri di astronomia e in lei. Ho fatto il confronto e anche la conta, mi sono basata sul metodo delle associazioni per vedere se mi ero sbagliata o no. Qualsiasi cosa io faccia, ci sono ventisette stelle di troppo perché sia la costellazione dell’Indiano». Poi ti guardò seria e angosciata: «Era questo quello che cercavo di farvi capire, prima che mi colpiste e poi, lei non è una Silver Saint, non è neanche una Bronze».
«Come fai a dirlo?»
«La luce delle mie mani, adesso l’ho capito, assume il colore del rango dell’Armatura che indossano davvero, non del Cosmo. Nel caso di Neera si sono manifestate tre luci; Neera ha tre Armature». Come era possibile? Perché? Un Cavaliere ne aveva una per tutta la vita, al massimo poteva essere promosso, ma sempre un’Armatura restava, la precedente veniva rimessa in palio per i prossimi aspiranti Saint.
«Non era un effetto psichedelico?» Chiosasti.
«No. Vi prego, state attenti». Si raccomandò con voce impastata di sonno, prima di chiudere gli occhi e riaddormentarsi.
Non potevi metterla in pericolo ma non potevate neanche permettervi di attendere che Odysseus facesse la prima mossa. Dovevate agire voi per primi e, dovevate farlo uscire allo scoperto. Non avreste usato la pazienza delle dionee acchiappamosche, stavolta sareste stati cacciatori in piena regola. Cacciatori di mostri. Perché tu eri sicuro che Odysseus fosse qui da qualche parte. Non poteva essersene andato così da quando aveva fatto la sua ricomparsa. Poteva anche essere una proiezione astrale quella che avevano visto Aldebaran e Shaina, ma chi vuole una cosa non sparisce così di punto in bianco. Soprattutto se il suo obiettivo sono la sua allieva e, per esteso, la testa di Atena.  
Avevate però un vantaggio: il Cosmo silente di Astrid. Te lo ricordi? Di quella colonna nera che superò l’arena ricordandovi un cratere durante una violenta eruzione vulcanica? Che spettacolo inquietante. Tu lo vedesti solo perché in quel momento le tue piante presero a urlare per lo spavento tutte insieme e tu accorresti. 
Già, proprio quello. Lo potevate vedere ma non lo potevate percepire come tutti gli altri Cosmi. Questo vi dava un vantaggio perché anche Odysseus, per quanto potente fosse, non poteva essere riuscito nell’impresa, anche da Redivivo. Per forza che doveva esserlo, era già resuscitato una volta anche lui, nel XVIII secolo, avevi sentito dire e fu sconfitto dalla freccia d’oro della Dea. Ma 
Non avevi altra scelta. Appena fuori di lì fermasti una dottoressa e le ordinasti: «Assicuratevi che Astrid di Ophiuchus abbia le migliori cure del Santuario».
La dottoressa batté le palpebre stupefatta: «Ophiuchus? Scusatemi, nobile Aphrodite, ma non era la nobile Shaina il Silver Saint di Ophiuchus?»
«E lo è, ma Astrid è la Gold Saint di Ophiuchus».
La giovane donna trasalì sconvolta. Si portò una mano alla bocca stringendosi la cartella medica al petto con l’altra. Però adesso non t’interessavano le sue reazioni. «Lo farete?»
«Certo, nobile Aphrodite».

 

Proprio come avevi previsto, in pochi giorni la notizia della comparsa dell’Apprendista del Gold Saint di Ophiuchus si sparse per tutto il Santuario, finendo per richiamare Saint che erano stati precedentemente mandati in missione e, sollevare un vespaio. La Dea stessa restò a bocca aperta quando lo seppe. Kanon invece fece del suo meglio per evitare che i più superstiziosi si rivoltassero contro di Astrid e cercassero di ucciderla.
Il ritorno del Tredicesimo Cavaliere d’Oro era effettivamente un cattivo presagio; significava che una Guerra Santa senza precedenti stava cominciando: la Guerra contro il Cielo. Combattere Zeus e l’Atena dell’altra dimensione era stato solo un preludio di ciò che vi avrebbe atteso.
Ma solo una piccola minoranza, tra cui anche voi, pensavate anche a un’altra possibilità: Astrid, come aveva confermato lei stessa, non aveva appreso da sé l’uso del Cosmo e queste tecniche.
se lei era questo allora da qualche parte c’era anche il suo maestro. E avevano ragione. La domanda era: dove?
Ma al momento eri più occupato a consumare il pranzo che la servitù ti aveva preparato. Avevi percepito anche tu gli sguardi che ti avevano rifilato. Stavolta non di ammirazione per la tua bellezza perfetta, ma di sospetto e incredulità. Ai servi nulla sfugge e, più che i sovrani sono i servi a comandare davvero. E voi servi tra i servi, sapevate. Le voci correvano rapide sulle ali di Zefiro se necessario. Posandosi di bocca in bocca e passando di lingua in lingua come un bacio.
Un bacio che se nel mito trasformò Clori in Flora, qui fece fiorire pettegolezzi e riportò in auge la leggenda del Tredicesimo Gold Saint.
Bevesti un sorso del vino rosso che ti eri fatto servire, ignorando quegli sguardi. Non avevi ragione di preoccuparti di loro: erano troppo in soggezione per osare porgerti delle domande. Anche ammesso che avessero intuito le tue intenzioni, tu eri uno stratega e qui, non stavi giocando una partita a carte, bensì a scacchi, tirando le fila del Santuario.
Non lo avevi fatto per amor di pettegolezzo, ma per ammantare Astrid di un’aura che le avrebbe concesso la stessa fama e protezione della Madonna. Un’aura di rispetto e timore che metteva in soggezione chiunque. Una fama solida quanto il terrore nelle schiere nemiche che incuteva. Un nome che nessuno esorcizzava per timore di una punizione divina e, qui, non era tanto diverso. Avevi solo dato un nuovo volto a una leggenda.
Adesso dovevi solo aspettare che le persone, parlando e sparlando, la restaurassero e l’alimentassero, costruendo attorno a lei una fortezza di potere efficace quasi quanto quella della Dea. 
Forse Astrid ti avrebbe ringraziato per questa protezione. E Neera l’avrebbe temuta. Ricordavi perfettamente di come l’avesse trattata finora. Sempre lì a ostentare la propria superiorità perché lei era una Saint mentre Astrid (che sopportava in silenzio) era solo un’ancella. Un’ancella da non sottovalutare per niente, c’era da ammetterlo. Ricordavi ancora come vi avesse smascherato, salvato e dimostrato l’effettiva portata delle sue doti più volte.
Posasti il calice e tornasti alla tua insalata più per mantenere la facciata che per vero appetito. Ti si era chiuso lo stomaco ma non volevi darlo a vedere.   
A pensarci adesso era ovvio che non fosse una persona comune, come avevi fatto a essere così cieco? E persino Kanon che era accorto quasi quanto te. Ed era con accortezza che, a dispetto di tutto, avreste dovuto agire, adesso.
Il volto del vostro comune nemico si manifestò davanti ai tuoi occhi, subito seguito da quello del Lost Saint traditore. Poi scomparve di fronte alla tua occhiata accigliata. Ti pulisti la bocca e ti alzasti da tavola. Il tuo obiettivo non era più solo Odysseus, adesso era una giovane Sacerdotessa-Guerriero dai lucidi capelli neri e un’Armatura che non le apparteneva.
Tu avevi già deciso che ti saresti occupato di Neera, al resto avrebbero pensato i tuoi compagni.
Dovevate trovarlo al più presto e fare in modo che maestro e allieva non si riunissero. Non sapevate per quale motivo Odysseus di Ophiuchus l’avesse designata come allieva al di là della Luce Ombrosa da lei custodita. Poteva anche essere che volesse possederla come era già avvenuto ad alcuni di voi. Persino Death Mask, avevi sentito, fu posseduto da un Driade.
Dovevate rispedire Odysseus negli Inferi.
Grazie alle piante, poi, riuscisti a tenere d’occhio l’astanteria e Astrid.
Ti sedesti sui gradini di marmo davanti la tua Casa per goderti il sole di maggio. Alla fine era arrivato anche questo mese, sembrava che non dovesse mai giungere. Come le domande da parte dei tuoi commilitoni, come l’ennesimo tentativo di Kiki di proteggere Astrid mettendo in giro una contro voce che non fu ascoltata.
Quel giorno, altre domande arrivarono alla tua persona, precedute sulle scale dai passi di Shura (riuscivi a riconoscerli) e poi, dalla sua voce. «Perché hai sparso la voce ai quattro venti?» Ti chiese incuriosito avvicinandosi.  Apristi gli occhi e guardasti Rodorio dopo avergli gettato una vaga occhiata di disprezzo. Ma lui continuò: «É forse una trappola? Ma per chi, Aphrodite? Lo sappiamo tutti che Astrid è il bersaglio di Odysseus».
«Non è per vanità che l’ho fatto».
«Allora per cosa?»
Emettesti un sospiro rassegnato. “Certe volte sei proprio tonto, Shura”. Pensasti chiudendo gli occhi mentre lo spagnolo si accomodava accanto a te. Eppure per battere i nemici occorreva anche a lui un minimo di strategia. Possibile che lui, che in quanto a indole e strategia stava a metà tra te e quello sboccato di Death Mask, non ci arrivasse? Tanto valeva parlare chiaro fino alla fine ed essere coincisi. «É un avvertimento per Neera, per farle sapere chi si è inimicato per davvero». Lui distolse lo sguardo, pensieroso e lo lanciò verso Rodorio. «Tu credi che funzionerà?»
Ti chinasti in avanti anche tu per stare più comodo: «Lo spero, se non altro, dovrebbe garantire un po’di tregua alla nostra amica». Anche se, probabilmente, Aiolia si sarebbe visto soffiare la nomea di taumaturgo. Vabbè, pace.
«Quindi tu le credi». Dedusse.
Lo guardasti e ribattesti un: «Tu no?» che preannunciava tutte le motivazioni che gli avresti rovesciato addosso se fosse stato contrario a te.  
Tutto ti saresti aspettato, osservando il suo profilo, fuorché se ne uscisse con un deciso: «Le credo anch’io. Sono mesi che sto cercando di incastrare la spia che scartabella nei miei diari e nei miei registri. Avevo già dei sospetti, francamente, ma non avevo pensato che potesse essere una persona diversa». Rivelò aggrottando ancor più la fronte coperta dalla frangia scompigliata, color ala di corvo, smossa dalla brezza.
Già, la sua famosa ossessione per il suo predecessore.
Lo osservasti tanto per fare. Si sostenne il mento con una mano. Il gomito appoggiato sul ginocchio. Tu non potesti fare altro che dargli ragione, maledicendo la nebbia che aveva ripreso ad avviluppare il tuo cervello. Era ufficiale, gli effetti della vacanza di un anno prima erano finiti. «Già, non è normale che una Sacerdotessa-Guerriero stia così a stretto contatto con noi Saint senza avere un effettivo legame approvato dalla legge di Atena».
«Senti, tu sai se Neera abitasse alla Quarta assieme a Lancelot?» Chiese a quel punto il custode della Decima, colto da un dubbio.
Alzasti le spalle e appoggiasti la testa sugli avambracci incrociati sulla gamba. Senza volerlo avevi assunto una posa simile alla sua.
Tu davi per scontato che fosse così, visto che l’avevi vista anche prima che Aiolia la prendesse in casa sua. Ma ora… «Sai che non ne ho idea? All’inizio pensavo di sì dal momento che ci viveva Lancelot, anche se di solito le Saint si addestrano altrove, nel campo femminile o alla Palaestra. Ma ora che mi ci fai pensare, non ne sono più sicuro». Vedesti Shura stringere le mascelle e tu capisti subito a che, o meglio, a chi, pensò.
Solo uno scemo non ci sarebbe arrivato in questo momento. E, a proposito di scemi, l’investigatore della fratellanza tra i Gold, ancora sosteneva l’effettiva innocenza della Bronze Saint di Indus.
«Non sa quello che sta facendo». Mormorò Shura o forse lo intuisti dallo sguardo che rivolgeva al tetto della Quinta Casa? Posasti una mano sul braccio del tuo compagno e questi ti guardò: «Prima di fare una mossa, aspettiamo e vediamo». Consigliasti. «Neera non sa ancora che Astrid mi ha confessato tutto, pensa ancora che noi la proteggeremo dalla sua follia e, con il fatto che presto leverà le tende, si sentirà presto più sicura e libera di agire».   
Shura ti trapassò con un’occhiataccia ma restò zitto, interessato, mentre tu ti sforzavi di non tremare. Eppure la mano la staccasti da lui come se ti fossi scottato. «Se è veramente un nemico, allora agirà».
«D’accordo. Quanti lo sanno?»
«Per adesso solo Astrid, tu ed io e solo noi tre dobbiamo restare».
Lui annuì. Dopotutto eri pur sempre lo stratega del Santuario, no?    
Quel che dovevi fare, era solo dare una piccola spinta agli eventi per far uscire allo scoperto la traditrice.
Per questo, finito questo colloquio indossasti la tua lucente, bellissima Gold Cloth e salisti alla Tredicesima, dove chiedesti udienza al Pontefice. Tanto era solo questione di tempo che Kanon ti avrebbe mandato a chiamare. Era inevitabile dopo il polverone che avevi sollevato.
Il quale, la prima cosa che fece fu chiederti spiegazioni in merito alla tua mossa in toni accusatori. A causa delle Creature stava già avendo un mucchio di problemi, non occorreva (a suo dire) anche il tuo contributo. E, Kiki, che era lì presente, sempre per la questione degli infanti, gli dette ragione. Ma ci voleva poco per uno come te a rivoltare la frittata, soprattutto quando spiegasti la tua idea. 
«Non possiamo farlo, abbiamo già perso degli allievi della Palaestra e altrettanti Saint». Rilevò Kiki, distrutto. «Quello che mi stai chiedendo è impossibile, ormai è sulla bocca di tutti e tutti la cercheranno per questo o per quest’altro, non possiamo anticipare la sua partenza. Non ci siamo neanche ripresi completamente dallo scontro con Odysseus e Lancelot. Il Cavaliere di Cancer non è ancora tornato dagli Inferi, non possiamo abbassare la guardia».
«Da qualche parte, ma dobbiamo nasconderla. Non possiamo permetterci che maestro e allieva si ricongiungano, potrebbe essere la fine».
«Tu credi ancora nell’innocenza di Astrid?»
«Non è una questione di innocenza. Non è da noi tremare così per un po’di Cosmo. Riconosco che ha una potenza fuori del comune, ma anche noi non siamo persone normali. Anche noi abbiamo un Cosmo, persino più potente del suo e siamo addestrati a usarlo, conosciamo tecniche che spazzerebbero via i nemici in un istante. Tutti noi siamo più pericolosi di lei. Mi sembra una stupidaggine continuare a darle contro. Di che ci lamentiamo? Abbiamo una nuova aspirante Sacerdotessa-Guerriero che varrà come dieci Neera».
«É pericolosa».
«Anche noi, Santità». Rilevasti e, con queste parole catturasti definitivamente la sua attenzione. «Non potete negare che questo ci faciliti le cose».
«Per esempio?»
«Con i tempi che corrono i suoi poteri ci fanno comodo, inoltre potrà partecipare attivamente alle battaglie senza più creare problemi».
«Ma il Gold Saint di Ophiuchus è maledetto».
«Lei non è Odysseus, può darsi che la maledizione non si estenda fino a lei e, poi, non è detto che sia destinata a indossare per forza la Gold Cloth di Odysseus». A giudicare dalla fatica che aveva fatto, non era molto più forte di un comune Silver Saint.  
«Ma se lo fosse?» Insinuasti.
«Come puoi dire una cosa simile, Aphrodite?» Chiese il custode della Prima Casa con voce irosa. La voce di un dannato. Non facesti neanche in tempo ad aprire bocca che lui inveì: «Non buttare lì piani senza né capo né coda e ragiona, per una volta. Capisco tutto ma lei non è una ragazza normale, non c’è bisogno di anticipare la sua partenza. Si è adattata solo dopo qualche mese al Grande Tempio, conosce la nostra storia, conosce noi, per di più è l’apprendista di un Gold Saint! Non possiamo permettere che faccia da esca per catturare un possibile traditore e…» A quel punto interrompesti il suo sproloquio da innamorato. «Lo dico sia per noi sia per il Santuario in generale. E poi le tecniche del Gold Saint di Ophiuchus sono andate perdute da tempo. Non farà male riaverle tra noi, anche se forse apparterranno a un Saint di rango inferiore». Sospirasti e, con più calma: «Quello che sto per dire non lo ripeterò e gradirei che non sorgano commenti inappropriati. Ascoltami, Kiki. Credi che faccia piacere anche a me? Sarò insensibile e crudele quanto ti pare, ma non sono così sanguinario. Ho capito perfettamente che cosa stai cercando di dire ma non abbiamo altra scelta. È vero che non ama combattere ma lei è una combattente e, ora che ha le prove che le sue congetture erano esatte non si fermerà. E lo sai anche tu. L’unica cosa che possiamo fare è mettere in giro questa voce e lasciare che al resto pensi lei. Non la stiamo usando perché noi monitoreremo ogni suo passo e accorreremo per difenderla, in caso di necessità». Anche se tutta questa necessità non la vedevi più. Addolcisti il tono e lo sguardo, mentre il giovane Ariete continuava a guardarti con occhi fiammeggianti di rabbia e disapprovazione. «Devi fartene una ragione. Lei ha scelto di restare qui e alla fine non poteva che andare così. Sono fermamente convinto che sia una seccatura in meno sapere che è perfettamente capace di cavarsela da sola e ora pure di difendersi. Ma è l’unica cosa positiva che riesco a vederci. Non parlo solo per interesse del Grande Tempio, so anch’io che cosa comporta tutto questo. Conosciamo tutti il potere di Odysseus e sappiamo a cosa va incontro, la cosa migliore che possiamo fare è seguire il piano». “Anche se tutto quello che abbiamo fatto è stato vano. Abbiamo cercato di proteggerla per niente. Tutto doveva condurre qui, proprio come sosteneva lei”. Pensasti mogio. Era una tua amica, le volevi bene e ora saltava fuori anche questo. Ma se voleva davvero rendersi utile, allora non avevate altra scelta.
Ti girasti verso il Pontefice e dicesti: «La decisione spetta a voi, Santità».
Kanon dichiarò che avrebbe mandato un paggio ad avvisare il Cavaliere di Scorpio di questa decisione. Dopodiché congedò entrambi.
Una volta fuori Kiki si allontanò repentinamente e tu lo seguisti restando qualche passo indietro. Lo vedesti appoggiarsi a una colonna vicino a una finestra trifora e, lo guardasti mentre si disperava. «Astrid», sospirò affranto. «Non volevo questo per te». In altri momenti avresti pensato: “"nteresInteressante”, ma ora tutto quello che riuscivi a pensare era quanto ti dispiacesse. Perché, oltre al danno anche la beffa, Astrid non era neanche una Saintia. 
L’unica cosa che sentivi di poter fare per lei era procurarle una maschera come quella di Shaina. Ripensasti ai primi tempi, quando eri tu a procurarle i vestiti. Inconsciamente l’avevi già abbigliata proprio come una Saint. Non ti eri mai soffermato a pensare sul perché di questa scelta, avevi pensato che ficcarla direttamente in un chitone o un peplo potesse peggiorare la situazione. Già era traumatizzata di suo, darle il colpo di grazia a quel modo ti era sembrato inopportuno. Almeno, così ti avevano spiegato in infermeria.
Fortunatamente avevi un buon occhio e avevi scelto bene i vestiti per lei, persino la fusciacca le si intonava bene. Lei era una delle poche persone su cui il giallo non stonava, anzi. La tua sorpresa era stata quando si era tolta la fusciacca per indossarla attorno al collo come una sciarpa. Adesso, ti domandavi se effettivamente non ci avessi preso nel vestirla così.
Se tutti voi non aveste intuito subito che una vostra compagna era finalmente tornata a casa. Se la situazione fosse stata meno problematica di così, se lei non fosse stata la probabile nuova Gold Saint di Ophiuchus, avreste festeggiato il suo ritorno. Perché il ritorno del Gold Saint di Ophiuchus era comunque presagio di sventura.
In quel momento, mentre scendevi le scale diretto alla tua Dimora, avesti pietà per lei. «Povera Astrid, sotto quale infausta stella sei nata…» Non era l’unica, Shoko di Equuleus e lo stesso Aiolia, anche Saga e Kanon condividevano lo stesso avverso destino. Ma Astrid era l’unica della quale ti importasse qualcosa in più. Nata con un Cosmo sordo e silente e con un potere immenso. Non era una buona idea allontanarla a quel modo dal Santuario, ma non v’era altra scelta. Anche se per una buona causa.   

 

Aiolia
Ti sfilasti l’elmo dalla testa e ti sedesti al tavolo della tua scrivania. Non era possibile. In meno di pochi giorni avevate perso Neji, Tokaki, Saoirse, Anna, Iago. Ma voi eravate venuti a conoscenza della fine di Neji e Tokaki solo recentemente a causa del silenzio di Kiki.  
Ti sentisti sconfitto come poche volte. Oh, se solo non aveste avuto tutti questi problemi con il Cosmo e le Creature. Lo Specter della Farfalla, poi, non si era neanche dovuto sforzare per riuscire nell’impresa. Adesso capivi perché Hades avesse mandato lui, uno Specter telecinetico e telepatico. E dire che l’avevi pure incontrato, quando assalì le Dodici Case insieme a Saga, Shura e Camus. Non avevi mai avuto occasione di vederlo perché Seiya lo sconfisse prima, però avevi percepito anche tu quel Cosmo.
E ora questo, Astrid l’apprendista di Odysseus di Ophiuchus. Che macabra consolazione, avevate un confratello in congedo per malattia e una possibile Gold Saint refrattaria a tutte le regole del Santuario. La stessa che più volte aveva dimostrato un’ambiguità troppo pericolosa per essere innocua. Già a gennaio avevi anche avuto la prova che fosse pericolosa, a dispetto delle sue fattezze femminili eteree e apparentemente fragili. Ora non avevi la più pallida idea di come avresti fatto a proteggere Neera da lei. Perché Astrid, proprio come un uccello rapace, una volta messi gli occhi addosso a una preda, non l’avrebbe più mollata. Forse era un bene che Milo la portasse alla sua isola natia. Almeno avreste riavuto un po’ d’ordine nel Santuario e, chissà, magari anche le Creature si sarebbero allontanate. Eri sicuro che fossero accorse proprio per via di Astrid. Gettasti lo sguardo fuori dalla finestra e vedesti solo il cielo azzurro.
Assottigliasti gli occhi. Non si poteva mai sapere, ma potevi sperare. Il suo legame con quelle Creature non aveva ancora trovato risposta. Le avevi cercate tutte, ma neanche i miti e le storie ti avevano aiutato.
Andasti a trovare Kiki alla Prima.
Quel giorno stava lavorando ad alcune Armature con l’aiuto di Raki. I due ti salutarono e Kiki approfittò della tua visita per fare una pausa. Raki ti portò qualcosa da bere e tu la ringraziasti, poi Kiki la mandò a giocare. Anche se, così dicendo, si guadagnò un’occhiataccia dalla tredicenne.
Però non disobbedì.
«Tu lo sapevi già, non è così? Di Myu, di quello che sta accadendo nell’Oltretomba, di questo.» era vero che le cose le percepivi in ritardo, ma alla fine ci arrivavi a capirle.

 

«Sì». Ammise stanco. Aveva l’aria di chi aveva bisogno di farsi una bella dormita. La barba lunga di tre giorni poi velava le sue guance. 
«Perché non ce ne hai parlato?»
«Perché credevo di riuscire ad arginarle da solo e, per un po’, in effetti ci sono riuscito. Quando anche i miei sottoposti hanno cominciato a morire Myu ne ha approfittato e, per ripicca ha cominciato a rapire i bambini».
«Perché ce l’ha proprio con te?»
«Perché affrontò il mio maestro, quando ha capito che io ero presente, quella notte e che sono a mia volta un lemuriano, ha cercato di vendicarsi per tutti i problemi che il Grande Mur gli ha causato». Ti raccontò con un sospiro stanco.
«Credevo che tu quella sera non fossi presente».
«Invece c’ero, ero solo nascosto all’interno della Prima». Kiki ce l’aveva sempre avuto il vizio di scomparire, in effetti. «Perché Hades non fa niente? Perché non richiama il suo sottoposto?»
«Perché Atena gliel’ha concesso». Ti rivelò il custode della Prima Casa. «Ha detto O così oppure farò in modo che risentiate degli effetti dell’ultima Guerra Sacra che abbiamo combattuto». 

Ti sentivi ancora molto provato da questi ultimi avvenimenti. Anche il venerabile Shion aveva percepito quella colonna di Cosmo, nonostante la menomazione che tu stesso gli avevi procurato. 
Comunque fosse, portaste avanti il piano ordito da Aphrodite, Saga e Shura, ma con una sostanziale modifica, stavolta le guardie e i Saint rimasti sarebbero venuti con voi. E, stavolta, portaste con voi anche Raki. Avevi intuito, infatti, che Myu della Farfalla avesse intenzione di designarla come ultimo tributo. Per ripagarlo della tua resistenza e per dargli un’ulteriore smacco.
«Kiki, sono venuto qui per sottoporti una richiesta, immagino tu sappia già quale».
«Se credi che Raki sia un bersaglio e che vuoi portarla al sicuro? Sì, la mia risposta è sì». Ti disse.
Ma non faceste in tempo a completare un effettivo piano che sentiste l’urlo spaventato della ragazzina. Balzaste in piedi, lasciando cadere a terra i bicchieri, che s’infransero e correste nel corridoio di passaggio. Lì vedeste lo Specter che sogghignò, dopodiché scomparve.
Quella sera, due ore dopo cena, portaste Raki e un gruppo di altri bambini a un rifugio sicuro e tendeste una trappola allo Specter. Quest’ultimo fece la sua comparsa fuori della porta del rifugio ed entrò.  
Ma prima che potesse toccarli, le sue dita si scontrarono contro il Crystal Wall di Kiki. Lo Specter ritrasse la mano e se la strinse nell’altra. Un sorriso divertito gli incurvò la bocca. Poi si guardò attorno alla ricerca del tuo commilitone: «Così non si fa, Cavaliere d’Ariete, mi avevi promesso un settimo tributo e io sono venuto a reclamarlo». Sogghignò comparendo di fronte a te, facendoti strabuzzare gli occhi per lo spavento. Gli scagliasti il Lightning Fang e ottenesti solo di distruggere buona parte delle rocce presenti.
Ma il rifugio restò intatto, protetto dal Crystal Wall.
Seiya cercò di colpire l’avversario con l’Atomic Thunderbolt ma lo Specter della Farfalla, memore delle mazzate precedentemente ricevute, si tolse rapidamente dalla sua traiettoria, anche se Seiya riuscì a lacerargli un’ala. Ma neanche questo fu sufficiente, in quanto fu scagliato contro una roccia e tenuto imprigionato dai poteri telepatici dell’avversario contro la roccia. «Prova a bruciare il Cosmo, se ti riesce».
«Non ho bisogno di raccogliere le tue provocazioni!» Incoccò con uno sforzo sovrumano (pure per un Gold) arco e frecce e scagliò il Cosmic Star Arrow ma l’altro lo evitò. «Mancato».
«Non aveva mirato a te». Rifacesti tu, mentre Kiki, che era stato precedentemente bloccato e imprigionato dalle farfalle, riuscì a liberarsi grazie alla freccia.
Perciò raccogliesti la tua energia e scagliasti il Lightning Bolt allo Specter. Il quale finì contro le rocce, poi finì lacerato a terra, trascinandosi dietro qualche sasso e della polvere che lo fece tossire. Lo accerchiaste e lui si terse un rivolo di sangue dalla bocca.    
Ti girasti continuando a tenere la sua preziosa allieva dietro la schiena. «Raki non fa parte del patto!»
«Invece sì, sono tenuto a prendermi i ragazzini ritenuti più idonei e, con il Cosmo più potente e cosa c’è di meglio dell’apprendista di un Gold Saint?»
«Maestro».
«Scappa, Raki». Comandò Kiki perentorio ma determinato a non arrendersi. 
«Mae…»
«Ti ho detto scappa!» Le urlaste con tutto il fiato che avevate in corpo, girandoti di tre quarti verso di lei, più minacciosamente che potesti. E lei stavolta obbedì. «Non così in fretta, piccoletta». E, ben presto, Raki inciampò e cominciò a dimenarsi come se qualcosa la stesse legando. «Com’era quella trappola che mi rifilò il tuo maestro?» Domandò sarcastico Myu a Kiki, che, nel frattempo, si stava rialzando a fatica. Anche tu cercasti di imitarlo: «Trappola di cristallo? Bene, spero che ti piaccia la mia, allora, Bachi da seta!» E i bruchi dell’Oltretomba, come bachi da seta, vi avvilupparono nei loro fili.
Ma la bambina oppose resistenza e, con uno sforzo sovrumano, riuscì a liberarsi e a correre via. «Corri, corri pure, piccina, tanto ti ritrovo».
«Prima dovrai vedertela con me». Esclamò Seiya, comparendo nuovamente davanti a voi. «Seiya!» Esclamaste sorpresi.
«Oh, il Cavaliere di Pegasus che mi sconfisse, non ti avevo riconosciuto con tutto quell’oro addosso». Costatò a mo’ di saluto incrociando le braccia.     
«Ma ora mi riconoscerai!» Ciò detto gli scagliò il suo attacco e, stavolta, Myu combatté corpo a corpo con lui. Ma non ti tornava. Perché adesso combatteva fisicamente? Perché non usava più i suoi attacchi mentali?
La risposta ti giunse quando sentisti una serie di Cosmi spaventati. Ti separasti immediatamente dalla battaglia e facesti per entrare nel rifugio. Ti scontrasti contro una barriera d’energia negativa. E, sentisti dall’altra parte i ragazzini urlare e battere contro la porta.
«Ragazzi!» Urlasti per sovrastare le loro grida, continuando a battere contro la barriera. Poi un grido più forte e dall’altra parte fu silenzio. Non riuscisti a fare altro che sentisti Kiki urlare: «Raki!» E cercò di liberarla dal bozzolo di seta in cui lo Specter l’aveva avviluppata.
«Troppo tardi, Cavaliere, io prendo sempre quello che voglio». Sogghignò l’avversario.
Riuscì a lacerare la seta e balzò indietro perché uscì uno sciame di fairy che si librò alto nel cielo stellato, tra le risate divertite di Myu e il suo grido di disperazione: «Raki!»
«Il rifugio! Il rifugio è vuoto!»
Lo Specter della Farfalla rise sguaiato e voi capiste che vi aveva preso in giro.
«Forse siamo ancora in tempo per salvarli. Sbrigati, Kiki! Dobbiamo correre in Germania immediatamente!» Gli urlasti. Ma il tuo compagno non si mosse. Se ne stava bocconi in ginocchio, a fissare il bozzolo di seta disfatto. «Andiamo Kiki!» Lo spronasti. Ma il tuo compagno non rispose. Sembrava neanche non sentirti mentre articolava delle parole che tu non riuscisti a sentire: «Kiki?»
«É troppo tardi».
Non era da lui arrendersi così. Lui era abituato a lottare con tutte le sue forze da quando aveva sette anni. Lui era il più tenace tra voi. Cosa era cambiato per farlo desistere così di colpo? Neanche tu ti eri arreso a questo modo quando i Titani rapirono Lythos. «Cosa? Di cosa stai parlando?» Gli chiedesti mentre lo aiutasti a rialzarsi. Il giovane sembrava aver perduto le sue forze. «E’ tardi, Aiolia». Continuò a ripetere. «Cosa? No che non è tardi, possiamo ancora fermare gli Specter e il loro nuovo folle e scellerato piano, possiamo…»
«No, non possiamo, Raki e gli altri bambini, si trovano già nella parte più profonda degli Inferi e l’ultima porta, si è appena chiusa».
«Bè ma possiamo sempre scendere a recuperarli, spiegheremo tutto alla Somma Atena, ci darà il permesso e…»
«No, lei non ce lo darà mai». Ti bloccò e poi ti guardò con occhi pieni di tristezza, «Perché questo significherebbe la rottura del Patto seduta stante». E un’altra Guerra Sacra era l’ultima cosa che vi serviva.   


Astrid
Aprii di colpo gli occhi con il cuore che batteva forte per lo spavento. Che cosa era successo? Mi era parso di aver sentito Kiki lanciare un grido. E mi era sembrato che stesse chiamando proprio Raki. Cosa stava succedendo? Era forse la mia immaginazione a giocarmi qualche brutto scherzo?
Mi misi seduta e, poi, misi i piedi fuori del letto e mi alzai per guardare fuori della finestra. L’astanteria non aveva imposte, ma anche così non riuscii a vedere le Tredici Case. Sentivo che era successo qualcosa perché sentivo il Cosmo di Kiki affranto e molti altri in tumulto.
Posai le mani sul vetro: «Che cosa è successo?» Mormorai preoccupata. 
«Che ci fate in piedi a quest’ora?» Mi redarguì la voce di un’infermiera di passaggio, facendomi trasalire. La guardai da sopra una spalla: «Non dovreste stare in piedi, siete ancora malata». Fece avvicinandosi per aiutarmi a rimettermi a letto.
«Niente, è successo qualcosa al Santuario, per caso?» Domandai mentre la donna mi aiutava a sdraiarmi e mi rimboccava le coperte e mi sprimacciava il cuscino affinché stessi più comoda. «Nobile Astrid, il nobile Shun ha ordinato il riposo assoluto, siete già fuggita una volta da qui, per favore, non alzatevi ancora, potreste compromettere la vostra salute in maniera seria».
«D’accordo… cosa? Come mi avete chiamato?»
«Nobile Astrid».
«Nobile? Perché nobile?»
«Perché siete un Cavaliere d’Oro e dunque vi portiamo il rispetto che vi si confà». Ribatté lei. E chi diavolo l’aveva messa in giro questa voce? Non ricordavo d’aver già conquistato il Settimo Senso.
«Tecnicamente sarei un’apprendista». Proprio allora mi prese una fitta di dolore alla testa e mi ritrovai a sibilare e portarmi una mano al punto dolente. «Nobile Astrid». Mi chiamò l’altra poggiandomi le mani sulle spalle.
«Sto bene, mi gira la testa».
«Vi somministrerò immediatamente un’aspirina, ma vi prego, mettetevi a letto».
Mi tornarono in mente le parole di Aphrodite riguardo il mio imminente trasferimento sull’Isola di Milo e strinsi i pugni digrignando i denti: e la mia volontà? Io non contavo niente? La mia opinione non contava nulla? Io non ci volevo andare su quell’Isola. Ma la mia voce non contava niente. Non era mai contata, checché ne dicesse Shun.  
In seguito alla mia scoperta Shun mi aveva fatto una visita completa e aveva rilevato tutta la mia diversità. Quanto era strano, una volta mi avrebbe fatto piacere saperlo, adesso fantasticavo sul colore del mio sangue e le sue implicazioni. Stavo ancora facendo i conti con la mia vecchia nuova condizione. Riconoscevo questa sensazione, da piccola mi sentivo proprio così: forte, invincibile e piena d’energia. Ma ora era anomalo, era come tornare a essere se stessi dopo tanto tempo che sei abituato a credere di essere qualcuno e, poi scoprivi di essere molto di più. E, cosa più importante, avevo ricordato il volto del mio maestro. Il solo ricordo mi faceva palpitare il cuore. Adesso avevo anche un volto da associare alla sua voce.
Questo mi aveva aiutato a fare chiarezza in me, almeno sul fronte sentimentale, dal momento che Kiki era alla stregua di un ansiolitico per me. Gli volevo bene, ma era un bene diverso rispetto ai sentimenti che provavo per il mio maestro.
E, questo, gettava una nuova ombra su ciò che avevo appreso; era solo l’ennesima riconferma che non potevo fidarmi di lui. Conferma ricevuta quando affrontò Aldebaran, Yoshino e Shaina. Se ci pensavo mi sentivo il cuore in pezzi e le lacrime adesso debordavano per un altro motivo. Lo avevo sospettato, ma avevo sperato che non fosse così. Mi sentivo usata.
In quel momento ebbi un flash risalente al mio risveglio dopo la rottura del sigillo sulla mia memoria.

«Questo è impossibile, Astrid». Aveva detto scrutandomi angosciato.
«Impossibile? Perché?» Avevo chiesto indispettita; peccato che mi fossi soffermata solo sulle emozioni, come non mi capitava più da tre anni, altrimenti gli avrei dato ragione prima. Che stupida che ero stata. Ma quel giorno riuscivo solo a pensare: “Cioè, io gli comunicavo una notizia importante come questa e lui mi contraddice? Ma chi era quello che ha appena recuperato la memoria, lui o io?”
Nonostante questo le sue parole mi erano rimaste impresse nella testa come un marchio a fuoco: «Perché l’ultimo Gold Saint di Ophiuchus morì moltissimo tempo prima la Guerra Santa del Settecento, da allora non sono più esistiti. L’ultima volta che si sentì parlare di lui, si seppe che era risorto per attaccare il Santuario e prendere la testa di Atena. Se è davvero lui, allora la Dea è di nuovo in pericolo».
Quel giorno avevo represso l’istinto di prenderlo a sberle. E, poi, anche se l’avessi fatto, Kiki mi avrebbe anticipato. Era dotato di poteri telepatici: vuoi che non l’avesse scorto nella mia mente?
Ma a parte le sberle, adesso chi mi garantiva che dopo una notizia simile la nostra amicizia potesse restare in piedi? Di nuovo. Già una volta mi ero fidata di lui senza sapere che in realtà mi tenevano d’occhio, adesso che glielo avevo detto chissà come avrebbe reagito. Peccato solo che non avessi con me il mio telefono altrimenti l’avrei comunicata alla mamma e… Il mio entusiasmo si era afflosciato e gli occhi mi si erano riempiti di lacrime.
«Astrid?» Mi aveva richiamato il mio amico preoccupato per questo improvviso cambiamento d’umore. Avevo battuto le palpebre e i lucciconi erano piovuti sulle mie guance. «Ehi, tutto a posto?» Mi aveva chiesto mentre mi risedevo sul letto. Avevo annuito portandomi una mano alla faccia. «Sì, sì, tutto… a posto». Avevo mentito tirando su col naso.
Il poveretto mi aveva guardato preoccupato, ma io della sua preoccupazione non avevo saputo che farmene. Allora si era alzato a sua volta e mi aveva stretto a sé, tenendomi le mani sulle scapole. Pur avendocela con lui avevo ricambiato l’abbraccio di Kiki: «Ehi, su, non fare così. Io non volevo, davvero».
Riemersi dal ricordo e tornai alla realtà, detergendomi il volto con il dorso della mano. Io ero l’apprendista di un Saint. Ecco cos’ero e perché non avevo più paura di questo posto. Ecco come facevo a conoscerlo già, a sapere i nomi dei precedenti custodi delle Case e tutte quelle cose! Non era tanto per abitudine, quanto per il fatto che qualcuno me ne aveva parlato davvero in precedenza. Ecco anche l’altro motivo per cui non ero ancora scappata e per cui questo posto mi richiamava a sé continuamente. Ma qual era la mia vera vita? Quella che avevo vissuto finora, ignara della mia vera natura, oppure quella che apparteneva ai miei ricordi, assieme al maestro e alla tata in Germania?  

Sentii il cuore stringersi in una morsa e altre lacrime scesero sulle mie guance come acqua che esce da un panno strizzato.
Ancora una volta mi detersi il volto con una mano. Mia madre era morta, non avrei più potuto raccontarle niente.
Sentii bussare alla porta. Alzai lo sguardo e vidi la mia amica: «Yoshino». Salutai curvando la bocca in un sorriso nonostante tutto, cercando di ricompormi. E lei, guardandomi stupita: «Astrid, stai bene?» Chiese preoccupata.
«Sì, sto… bene. È solo un periodaccio.» feci tirando su col naso. Un periodaccio iniziato più di undici mesi fa.
Lei si avvicinò a me, guardandomi in pena per me. Mi accigliai e mi venne istintivo pensare: “Non guardarmi così. Per favore, non guardarmi così”. Ma lei non aveva poteri telepatici ed io ero a pezzi.
Colmò la distanza tra di noi e mi abbracciò. Io ricambiai la stretta dopo qualche secondo, quando il suo calore andò a riscaldare le mie membra e capii che stava cercando di rimettere insieme i pezzi.
«Mi dispiace…» Cominciò ma io l’interruppi scuotendo il capo.

Quando mi fui calmata e fui in grado di sostenere una conversazione civile, le domandai che cosa ci fosse venuta a fare qui. Lei si sedette sul bordo del letto e rispose: «Sono venuta a ringraziarti per averci aiutati quando abbiamo affrontato Odysseus».
«Dovere». Almeno una cosa ero riuscita a farla. Anche se non mi aspettai il resto delle rivelazioni. Tesi le labbra in una linea dritta. «Non ti offendi se ti dico che non mi era mai piaciuto Lancelot, vero?» Domandai, titubante. Dopotutto quel pazzo apparteneva alle sue schiere. 
«Nessun’offesa, neanche a me è mai stato molto simpatico, mi dispiace solo che così io e mia sorella abbiamo perso un valido elemento delle nostre schiere».
«Ne troverete un altro, uno migliore». Ma quel qualcuno non sarei potuta essere io e lei lo sapeva. Mi venne da ridacchiare e lei mi guardò perplessa.
Mi spostai una ciocca dietro l’orecchio e le feci notare tutta l’ironia del caso. «É buffo, sai? Una volta fosti tu a offrirmi la tua protezione», sorrisi mesta, «adesso mi sa che sono io a dover proteggere te». Conclusi sempre con un triste sorriso a incurvarmi le labbra.
«Sì, è veramente buffo».

Poi, mi soffiai il naso con l’ennesimo fazzoletto che mi passò e, le dissi: «Nah, non dire così, in fondo me lo sentivo». In fondo i Saint se lo sentivano dentro di vivere per Atena, uomini o donne che fossero. Noi Saint tendevamo tutti verso la Dea, anche se qui ce ne erano addirittura due. E io l’avevo capito adesso perché era sorta quest’amicizia tra di noi. Forse era anche da questo che era dovuto il mio ritorno al Santuario. Era Yoshino a chiamarmi e la cosa mi faceva piacere perché le volevo bene, la vedevo come la sorellina che non avevo avuto. Ma veneravo l’Atena di questa dimensione, cioè Lady Isabel.
A dir la verità questo non mi causava alcun conflitto perché una era una degli Dèi che veneravo e l’altra era una mia amica. Ed io ero perfettamente in grado di combattere per proteggere entrambe. L’avevo già fatto altre volte, in fondo. Al limite mi cambiavano i motivi per combattere. 
Aldebaran tempo fa mi aveva spiegato che tutti i Saint si riuniscono attorno alla Dea. Come aveva fatto lui quando la trovò neonata, oppure Shura in quel sottopassaggio bloccato dalla mummia piromane, ma anche Aiolia, solo perché aveva seguito il primo e poi si era accorto del pericolo che correva la figlia del suo amico. Death Mask che si era messo a tenerle d’occhio, Shun che l’aveva visitata dopo l’attacco del Senza Volto.
E poi la nostra amicizia, dai, era palese. Yoshino lo sapeva che se avesse voluto io sarei corsa da lei e l’avrei aiutata a trarsi d’impiccio dai guai. Ed ero contenta che, nonostante tutto, almeno quest’amicizia fosse ancora in piedi.

La mia amica non fu l’unica persona che venne a farmi visita, anche mezza Rodorio e tutto il Santuario venne a trovarmi. Compreso il venerabile Shion. Quella fu la visita più difficile che dovetti sostenere. L’anziano guerriero si sedette sulla sedia di fronte al mio letto e restò lì immobile davanti a me per molto tempo. Anche se indossava una benda, anche se sapevo che le sue protesi ottiche non erano attive, lo sentivo fissarmi. E la sensazione che mi trasmetteva non mi piaceva. «Dunque tu sei l’apprendista del mio maestro». Costatò dopo un po’con un’espressione dura quanto il suo Cosmo (che adesso ero capace di percepire), che mi ricordò tanto una maschera, come quella indossata dalle Sacerdotesse-Guerrieri.  
«Il Gold Saint di Ophiuchus fu anche il vostro maestro?» Domandai titubante.
«Mio e di tutti i Gold Saint del Millesettecento».
«Me l’aveva raccontato, di voi e dei vostri compagni, di come avete eroicamente protetto le Dodici Case quando le risalì». Mi sfuggì. Ma neanche questo bastò a piegare quella bocca, dritta. Che gaffe, non doveva essere stato un bel periodo per lui. Sospirai e mi spostai una ciocca dietro l’orecchio: «Suppongo di essere considerata alla stregua di una nemica, non è così?»
La sua risposta mi giunse lapidaria: «Questo dipenderà essenzialmente da ciò che farai, non da ciò che sei». Annuii, anche se lui non poteva vedermi. Lui continuò, «Finché non andrai contro il Santuario e la legge di Atena non avrai mai nulla da temere». Annuii di nuovo. Mi ero preparata a molto peggio, considerando che era il predecessore del Sommo Kanon e che, nonostante tutto, restava un temibile guerriero. Potevo solo provare a immaginare cosa significasse questa scoperta, per lui e, non era neanche detto che ci avessi azzeccato. Anche perché il suo volto non lasciava trasparire alcunché e la mia empatia si era momentaneamente data alla macchia.  
Dopodiché se ne era andato.  Questa visita in part     
Adesso ero una Saint, non potevo più permettermi errori di alcun tipo, benché sprovvista di Armatura. A quel punto, avevo ripreso a pensare a Neera e alle carte.
Feci un bel respiro profondo e sentii le loro essenze dorate vorticare attorno a me, richiamate dalla mia volontà. Non avevo mai pensato che sarei riuscita a usare a questo modo il nostro patto, né che rispondessero a questo modo. Finora mi ero limitata a usarle come sempre, ma ora capivo perché mi mia madre, da viva ne fosse completamente assuefatta. Davano una sensazione di potere fuori del comune, ancora di più che della magia in generale.
L’Arcano della Morte aveva protetto Yoshino e la sua famiglia proprio come avevo desiderato. Ora dovevo solo trovare la carta giusta per intrappolare Neera. E la Luna non era adatta per questo. Dopotutto un bambino era stato rapito proprio perché avevo sfruttato nel momento sbagliato questo potere. Dovevo stare più attenta.
E, se conoscevo i miei commilitoni, dovevo esserlo per forza. Sapevo che non me l’avrebbero fatta passare liscia un’altra insubordinazione. E io, in quanto aspirante Saint, non ero niente di diverso da un soldato semplice. Accidenti. E dire che non mi ero mai vista bene nel ruolo del militare. Neanche quando guardavo Soldato Jane riuscivo a immedesimarmi completamente nella protagonista. L’ammiravo, ma non mi sentivo lei.
Bè, adesso, avrei potuto immedesimarmi completamente. Avrei preferito somigliare a Mulan, ma di qui a diventare generale ce ne correva. Soldato semplice.
Chiusi gli occhi e mi lasciai ricadere sul letto. La testa affondata nel cuscino.
Soldato semplice, ma dico io, ma chi me l’ha fatto fare?
Proprio in quel momento Castalia venne a trovarmi, assieme a Juan dello Scudo. Mi rialzai e li salutai. I due sembravano più stanchi e provati di prima, soprattutto Juan, che, senza Georg accanto, sembrava più triste. Juan era quello che tra i due aveva mostrato più sorpresa. «Così sei una di noi, caspita». Mentre Castalia mi aveva abbracciato, dopo aver posto un mazzolino di fiori accanto al mio letto: «Io lo sapevo che avevi qualcosa di speciale, non potevi essere una persona comune».
«Come no, ho una sfortuna che, in effetti è fuori del comune». Ironizzai mentre ricambiavo la sua stretta. Castalia mi aveva sostenuto tantissimo i primi tempi e anche durante la morte di mia madre. Quando i Gold o gli altri non mi trovavano, era perché ero con lei. Alla fine ci eravamo chiarite, anche se avremmo preferito entrambe che a farci riavvicinare fosse stato qualcos’altro che questo.
Fu la mia amica a portarmi il mio mazzo di carte. «Ho pensato che potessi averne sentito la mancanza». Mi spiegò.
Lo presi dalle sue mani e lo portai al petto, commossa. «Come lo hai avuto?» Le chiesi tornando a guardarla. «Quando sono andata alla Tredicesima stamani, mi sono fatta indicare la tua stanza e ho preso le carte». Lei sapeva quanto fu dura la perdita del primo mazzo per me. «Grazie, grazie davvero».     

Juan si accomodò sul letto vuoto alla mia sinistra e domandò: «Quanto ancora devi restare qui dentro?»
«Secondo Shun ancora un giorno. Dice che la frescata che ho preso è stata incrementata dall’esplosione del mio Cosmo, considerando che poi ero già provata da prima, il mio sistema immunitario ne ha risentito. Fortuna che l’altra sera non ho avuto ricadute».
«Sì, abbiamo saputo quello che hai fatto, come ti è saltato in mente?» Mi chiese il mio amico.
«Non sapevo che altro fare e mi sentivo inutile a restarmene così con le mani in mano».
«Astrid, adesso non puoi più ragionare così, non sei più un’ospite». Mi ricordò Castalia in tono pacato, ma ero stufa di sentirmi trattare così. Ero stufa di sentirmi redarguire e dirmi di stare al mio posto. Fintanto che ero un’ancella e che mi pagavano potevo anche piegare la testa (e masticare una ridda di insulti e accidenti contro i miei datori di lavoro che la metà bastava) ma ora, di soldi non ne vedevo neanche un centesimo e non sopportavo di dover sottostare a degli ordini. La mia prima reazione era quella di mandare tutti a quel paese. Se non l’avevo fatto era perché, sostanzialmente, di quello che dicevano di me, non mi importava niente.
Non dovevo per forza abbassare la testa. Non adesso che c’era tutta questa fretta.    
«Ma voi che fareste al posto mio se scopriste un traditore all’interno del Santuario?» Poi mi ricordai che Castalia tradì a sua volta i suoi compagni e il Santuario sotto Arles per aiutare Seiya e Lady Isabel.
Ma ero preoccupata per Raki, non avvertivo più il suo Cosmo e, il fatto che non venisse a trovarmi come di consueto, mi angosciava.

In compenso, quel giorno a trovarmi venne il suo maestro, recante con sé un mazzo di gigli bianchi e una faccia da spavento. «Kiki, cosa ti è successo? Hai una faccia sconvolta. Dove sono tutti gli altri?» Gli chiesi. Finora non mi aveva mai risposto quando gli avevo domandato perché, la notte in cui avevo aggredito Neera, stessero spostando quel gruppetto di bambini. Mi ci era voluto un po’ per accorgermi di questo dettaglio, ma non mi ricordavo che ai bambini facessero fare anche gite notturne, benché meno che, per questo, scomodassero dei Gold Saint.
Sebbene esibisse in volto la sua solita espressione neutra, non mi fregava più. Da quando era morta mia madre mi era stato vicino tutto il tempo. Persino di più del mio maestro e, se da un lato era quasi impossibile toglierselo di torno, dal lato sentivo il bisogno di averlo vicino. Come se Kiki fosse diventato la mia ancora di salvezza. E, a causa di questa vicinanza avevo imparato a riconoscere le micro espressioni del suo volto. Ed era proprio l’impressione di una maschera che, in quel momento mi dava a non tornarmi. Gliel’avevo visto spesso altre volte, ma non così. «Kiki?» Lo chiamai, preoccupata. Poi mi avvicinai e gli posai una mano sul braccio, chiamandolo ancora. «Kiki? Ehi, tutto a posto?»    
La sua reazione mi spiazzò completamente. Ancora di più di quando cercò di toccarmi mentre giocavo a carte con Death. Perché anche se nessuno ci aveva fatto caso, con la mano sotto al tavolo, aveva cominciato a risalire la mia gamba. Avevo fatto uno sforzo non indifferente per riuscire a concentrarmi sulla partita e non sui miei ormoni galoppanti.
Ma da lui, che lo ammiravo perché sembrava così fiero, così forte e così composto, non dissimile dalle armature che riparava, non me lo sarei mai aspettato. Non che la sua maschera andasse in frantumi a questo modo e l’impeto che nascondeva dietro la sua facciata si rivolgesse a me in questo modo in questa richiesta d’aiuto che tempo fa io stessa feci a Mur, sulla soglia della Prima.
Barcollai per tenermi dritta mentre lui mi stringeva a sé.

Tempo addietro fui io a cercare un contatto con gli altri, soprattutto con Death Mask, il Grande Mur, Aphrodite, Shun e lui. Ma erano le mani di Kiki che, più spesso di molte altre, mi avevano tratto dal baratro. Più rapidamente di altre si erano serrate alle mie e non avevano lasciato la presa neanche una volta. Per quanto Odysseus potesse piacermi, erano le mani del Gold Saint di Aries, quelle che speravo di sentire ancora quando stavo male.
E ora era lui a cercare rifugio tra le mie braccia. Dopo quello che era successo a Raki era crollato.
Di lì avevo compreso quanto amasse quella bambina, alla stregua di una figlia. Forse allo stesso modo di come Mur avesse amato lui. E io piansi assieme a lui, tenendolo stretto a me per impedirgli di andare alla deriva. «Non ti preoccupare, la salveremo, vedrai, ci riusciremo». Mormorai a caso nel tentativo di consolarlo. La cosa strana era che credevo davvero a quello che dicevo. «Vedrai, la ritroveremo, li ritroveremo tutti».
Poi, chiusi gli occhi e usai il Potere dei Tarocchi. L’aria si caricò immediatamente di energia e Kiki si discostò da me per osservare il fenomeno, mentre le figure dorate volteggiavano attorno a noi. Mi scostai da lui e alzai le mani come se avessi dovuto metterle sul vetro. Le carte risposero immediatamente al mio gesto.
«Ma queste cosa…»
«Sono le mie carte», risposi, girando il volto sopra una spalla per rispondergli. In fin dei conti non erano così diverse dalle precedenti, cambiava solo la grafica e qualche millimetro in più d’altezza. Poi tornai a guardare avanti a me e con un gesto le carte smisero di volteggiare e si abbassarono di modo che potessi toccarle, mentre Kiki mi osservava stupefatto. «Però non pormi domande, non posso farne parola con nessuno, altrimenti non mi concederanno più il loro aiuto». Mi raccomandai e lui annuì stupefatto senza staccarmi gli occhi di dosso.
Non l’avevo più usato dai fatti del cimitero monumentale e, anche se farlo mi ricordava mia madre (che ne abusava) sentii che era necessario. Perciò mi separai da lui e mi qui le mie carte.
«Mi dispiace, Kiki, ma questo è l’unico modo che conosco per capirci un po’ di più.» oltre riflettere, s’intende, ma dalla morte della mamma ho ancora dei problemi e qualcosa mi dice che soffrirò ancora a lungo. Anche usare le carte mi feriva, perché lei mi diceva sempre che le carte sapevano sempre indicarci la via, anche quando avevamo il cervello offuscato dal dolore. Le carte erano il nostro faro e, al tempo stesso, le nostre indicazioni stradali.   
Mi sedetti sul letto e cominciai a mescolare le carte, che furono ben felici di nutrirsi della mia energia in cambio delle risposte che cercavo. “Chi ha ordinato a Myu di rapire Raki?”
E, quando girai le carte, comparvero le figure del Matto e dell’Imperatrice uno accanto all’altra. Sovrastate dall’Imperatore e il Mago e la Morte.

Tu sai chi è stato, dicevano. Strabuzzai gli occhi quando vidi che uno dei possibili significati era: una persona che credevo fosse sparita e che ora si rifà viva. Una persona che per me è stata come un padre e una guida.
Che… Si stava riferendo a Odysseus, vero? La descrizione coincideva, ma non completamente. Non avevo mai considerato Odysseus come un padre. Chiusi gli occhi e poi dissi loro di darmi un dettaglio in più.
L’Imperatrice per esempio mi suggeriva che era una persona su cui si poteva contare. Su cui probabilmente avevo contato. Ma l’Imperatore, mi suggeriva che questa persona fosse un uomo e anche molto potente, ma la Morte simboleggiava anche il ciclo della trasmigrazione delle anime. E il Mago mi rappresentava anche l’azione.
Questa persona era un uomo d’azione che faceva parte della mia vita e che avevo considerato come un padre? L’unico che mi veniva in mente era Odysseus e basta. Però era anche vero che, l’affetto che da bambina portavo al mio maestro era molto simile a quello per mio padre, anzi, consideravo più lui un genitore che il mio vero padre. Aveva senso, ma perché avrebbe avuto bisogno di fare questo?      
Improvvisamente la brezza mi portò alle narici quell’odore di limoni e quel qualcosa di bruciacchiato che non riuscivo a identificare. Ora che ci pensavo, il mio maestro aveva un odore simile, ma più sull’alloro e del meltemi. Che significasse forse che Odysseus ha avuto un predecessore nella mia vita? O forse parlava del ciclo di trasmigrazione delle anime? Ossia una vita precedente?  
«Che cosa c’è?» Mi chiese Kiki smettendo di affondare le mani tra i capelli. «Limoni». Mormorai, riconoscendolo, «e qualcos’altro di bruciacchiato». Non pensavo che avrei finito per rincontrarlo adesso.
Il mio amico si accigliò: «Sì e allora?» Seguii l’aroma e mi ritrovai appoggiata al davanzale della finestra. La mente e lo spirito proiettati al rifugio tramite il vento e la fantasia. «Astrid?» Mi richiamò, preoccupato. «Io conosco questo odore». Mormorai a mo’ di risposta. «Quale odore?» Glielo descrissi e lui sgranò gli occhi colpito: «Come fai a conoscere il profumo che è rimasto intrappolato nelle stanze dei ragazzini rapiti?»
«Lo conosco e basta». Lui mi fece eco stupito. “Sì. Per favore, piantala di ripetere tutto quello che dico, sembri un disco rotto”. Evidentemente, non avevo ancora finito di recuperare tutta la mia memoria, mancava ancora qualche pezzo, anche se mi sembrava impossibile. «Sì, ma non riesco a ricordare di chi fosse».
«É di una persona?»
«Sì, su questo non ho alcun dubbio».
«Come lo sai?»
«Me lo sento dentro, non so come spiegarlo». Sapevo solo che il ricordo affondava nel profondo della mia memoria e mi suscitava tanta nostalgia, riaprendo un’altra vecchia ferita. Una ferita che mi faceva dire, “Credete di essere gli unici orfani qui? Anch’io sono stata abbandonata da qualcuno”. Il problema era che non mi ricordavo chi fosse e anche i miei ritrovati ricordi non mi aiutavano, so solo che l’avevo sentito dalla mia tata e che le avevo chiesto dove fosse andato mio padre. Ma mio padre in quel periodo lo sapevo dov’era. Che diavolo di ricordo era questo? Il ricordo di un sogno? No, non era un sogno, erano più difficili da rintracciare quelli.

Mi feci portare il telefono da Kiki e chiamai mio padre e gli chiesi spiegazioni. Lui, con riluttanza e vergogna, ammise che durante la mia prima infanzia non mi stette vicino quanto avrebbe voluto. Ma non per via del suo lavoro, quanto piuttosto per il fatto che non sopportava l’idea di vedere mia madre e la tata. Quelle due, insieme, lo inquietavano.
«Ok, questo lo so e ti perdono, ma se tu comparivi solo durante le vacanze e via chat, chi era che si occupava di me?» Tagliai corto. Silenzio dall’altra parte: «Lo so che non ti piace rinvangare quel periodo ma potrebbe essere importante. Per favore, devo saperlo».
«É successo qualcosa di grave?» Chiese, angosciato.
«Un po’di cose ma te le racconterò un altro giorno». Promisi. Solo allora mi rispose: «Non ne ho idea, un tipo alto con gli occhi gialli, lo incontrai, una volta e, per un attimo, pensai davvero che tu fossi più figlia sua che mia, tanto vi somigliavate. Lo so che fisicamente somigli a me ma eravate così legati che… Non farci caso, non è un attacco di follia è che tua madre, era tanto bella quanto affascinante e io non mi sono mai sentito alla sua altezza. Alcune volte pensavo addirittura che…».
«No, papà». Lo rassicurai addolcendo il tono. «La mamma non ti ha mai tradito quando stavate insieme e anche dopo, non ha avuto nessun altro. Lei diceva sempre che tu eri il suo grande amore, anche se non riuscivi a capirla e non credevi neanche alla metà delle cose di cui ti parlava». Lo sentii soffiarsi il naso dall’altra parte del telefono. «Anche se la tata la spronava a cercare di vivere di nuovo, lei non ha mai voluto». “Per lei eri perfetto così, lei ti amava perché tu eri il suo opposto e, al tempo stesso era al sicuro con te”. Me lo aveva detto lei stessa, quando le avevo chiesto che cosa ci avesse trovato di bello in papà, dopo l’ennesimo insulto sulla chiromanzia. Tuttavia, se gliel’avessi detto, sarebbe stato come affondare il coltello nella piaga. 
«Lo so; è solo che sì, mi vergognavo, a volte, per questo suo hobby. Però la verità era che mi metteva paura; non era che non le credessi, era che avevo paura che potesse succederle qualcosa a causa della magia. Temevo che non sarei riuscito a proteggerla». Mormorò affranto. Non avrei mai pensato che mio padre la redarguisse per questo. Non era solo per vergogna in generale. «Avrei voluto essere meno cinico». Sentivo perfettamente tutti i sottointesi che non diceva. Sentivo tutti i suoi “Sono stato uno stronzo”, “Non sono stato degno del suo amore” e “non pensavo che mi amasse così profondamente”. Ma tutto quello che potevo dirgli fu solo: «Ti capisco. Ma di questa persona, che ti ricordi?»
«Sono passati tanti anni, Astrid, i miei ricordi sono sbiaditi. Ricordo appena che fosse alto, che il suo sguardo era feroce e il colore dei suoi occhi». 
«Ed erano gialli». Ripetei. In pratica mi aveva descritto Odysseus. Ma perché se ne era andato nell’arco di tempo che dovessi sviluppare la memoria?
«Sì, giallo verde o qualcosa di simile. Ti occorre altro?»
«No, sono a posto così. Grazie, papà». Ci salutammo e attaccai. 
Fu così che presi la mia decisione, ossia che avrei usato il Potere dei Tarocchi, per andare a fondo di questa faccenda. Forse non c’entrava niente con Neera e quello che sospettavo, ma dovevo tentare.

Mi cinsi il busto con le braccia e mi girai verso Kiki. Sgranai gli occhi nel vederlo fissarmi con un’espressione assorta e perplessa. Era come se si fosse incantato a guardarmi e al tempo stesso, si domandasse chi fossi. «Sei cambiata». Costatò dopo avermi fissato a lungo.
«In che senso?» Chiesi intimorita.
«Sei diversa da prima, sei più forte». Spiegò senza sapere bene come esprimersi. Decisi di prenderla per un complimento. «Grazie». Annuì, poi mi strinse a sé come se avesse avuto paura di vedermi scomparire da un momento all’altro. Il suo gesto repentino mi strappò un gemito di sorpresa. Non si era mai sbilanciato tanto con me fino a questo punto. Sentii le guance scaldarsi mentre mi rilassavo e ricambiavo la stretta. Poggiò la fronte sulla mia e sospirò: «Devi scusarmi se qualche volta mi comporto ancora come nei primi mesi della nostra conoscenza. Mi ero abituato a crederti in un modo, invece sei completamente diversa. A volte mi dimentico anch’io che sei una di noi».
«Per te sono ancora quella ragazza che ha atterrato il tuo maestro e a cui hai stretto le mani per salvarla dalle crisi d’ansia?» Gli chiesi sentendo la mia bocca curvarsi in un piccolo sorriso.
«Sì». Confessò aprendo gli occhi viola, tuffando il suo sguardo nel mio. Tanto eravamo vicini la mia vista mi restituiva un’immagine monocola di lui. Gli posai una mano sulla nuca e gliela carezzai, confessandogli che «Non è sparita». “Anche se l’avrei voluto”, ma non glielo dissi. Per quanto apprezzassi la compagnia del Gold Saint di Aries, non mi piaceva molto l’idea di essere ancora identificata con quella Astrid fragile e ferita. Un conto è essere inabile per via delle ferite, un conto è accettare la gentilezza altrui e, ancora, un altro è essere scambiata per la D in D, che io non ero. Pensandoci bene, poteva tornarmi utile come maschera. Ma non con Kiki e neanche con gli altri. Non sopportavo più che mi vedessero ancora così. Poggiai la testa sulla sua spalla destra: «A volte è ancora lì a tormentarsi per le crisi e l’ansia».
«Non hai ancora imparato a dominarla?» Mi domandò con voce dolce, carezzandomi la schiena e i capelli, scaldandomi zone che non avevano niente a che fare con la colonna vertebrale.
«No». Ammisi; lo psicologo me l’aveva detto che ci sarebbe voluto del tempo prima che ci riuscissi, ma la verità era che non avevo neanche cominciato a lottare seriamente per questo. Ma non avevo intenzione di arrendermi.
Quella sera la passai in infermeria in compagnia di feriti generici. Rividi per la prima volta il Bronze Saint di Serpens con cui divisi la solitudine di questo stanzone e la cena che ci portarono. Lui era finito qui per appendicite. L’avrebbero operato l’indomani, mentre io, l’indomani, sarei stata ospitata da Kiki alla Prima, in attesa che partissi per Milos. Ai vestiti avevano già pensato gli altri e li avevano spostati lì. Sarebbe stata una sistemazione provvisoria e niente di più.
Poi, dopo aver passato la serata a chiacchierare, ci addormentammo. Prima che scivolassi nel mondo dei sogni feci mente locale.             
Neera non c’entrava niente con la sparizione di Raki e degli altri bambini. Le sue mire erano altre. Mi guardai le mani e mi ricordai il luccichio che avevano assunto quando avevo cercato di aggredirla. Tre luci, non era mai capitato prima. Un’Armatura di Bronzo, una d’Argento e una che non sapevo cosa fosse. Che lei fosse stata declassata? No, quando l’avevo conosciuta era un’aspirante Sacerdotessa-Guerriero come me. Avevo assistito in prima persona al suo combattimento d’assegnazione del Cloth.   

Questa fu l’ultima cosa che pensai, prima di scivolare nel mondo dei sogni.

«Svegliati». Mi chiamò una voce maschile conosciuta in tono paterno. Aprii gli occhi e mi ritrovai a fissare la sagoma controluce del nemico giurato dei parrucchieri, a giudicare dalla sua capigliatura sparata in quindici direzioni diverse. Ma proprio da questo dettaglio lo riconobbi: «Maestro…» mugolai.

La sagoma si scostò, uscendo dal mio campo visivo.
Battei le palpebre e mugolai, mentre il tatto mi informava che mi trovavo distesa su dell’erba. Girai il capo e trovai anche i fiorellini del soffice tappeto erboso tra la segale. «Dove siamo?» Domandai.
«In un sogno».
«Ah, mi pareva strano».
«Credi di riuscire a metterti seduta?» Mi domandò l’uomo, accovacciato sulle punte dei piedi.
Valutai rapidamente le mie condizioni. Non sentivo più né il caldo né il dolore alla testa. Anche il mal di stomaco e il mal di gola erano passati. «Sì». Affermai e mi misi a sedere senza problemi.
Poi lo guardai e mi riempii gli occhi di quei lineamenti che mi erano tanto mancati. E, scoprii di poter ripercorrere ogni suo tratto solo con l’ausilio della memoria. E che quei tratti rimasti invariati mi erano mancati.
Riconobbi il viso ovale e gli occhi verdi come prati, circondati da una linea di kohl che emulava il trucco dei sacerdoti egiziani. Le palpebre dipinte di un livido blu viola. Come se avesse esagerato con l’ombretto o si fosse pestato con il suo parrucchiere e quelli fossero i segni della scazzottata. Però gli donava.  
Nonostante l’espressione amichevole aveva lo stesso cipiglio di Shura. Anche se le sopracciglia del mio maestro erano più sottili e nere come le ciglia, forse un antico ricordo del colore originario della sua chioma. Il naso dritto e le labbra sottili. Ma quello che mi colpiva e riconoscevo maggiormente erano i lunghi, mossi capelli argentei che, sotto la luce, sembravano persino più chiari. Quattro ciocche gli scivolavano sul volto. Un paio laterali e le restanti, di diversa lunghezza, gli tagliavano in due il viso sopra il naso, deviavano sulla guancia sinistra e scivolavano giù sul petto. Come avevo già avuto modo di scorgere prima, la zazzera più lunga della sua stessa persona, erano letteralmente sparati in quindici direzioni diverse, mentre tutti gli altri scivolavano giù lungo il corpo come i rivoli di una sorgente di montagna su una roccia. Avevo dimenticato che il diavolo per capello del mio maestro batteva persino quello di Saga e Kanon.
Anche se accovacciato si capiva che era un uomo molto alto e prestante con le spalle larghe. Ora che ero cresciuta però, non mi sembrava più così gigantesco come mi ricordavo. Doveva essere all’incirca sul metro e novanta. Dimostrava ancora una trentina d’anni ed era bello, molto, forse più di quanto ricordassi. Indossava una lunga tunica bianca a mezze maniche con un drappo grigio sulla spalla destra allacciato diagonalmente in vita con una fune. E, bracciali di cuoio nero agli avambracci muscolosi. Anche lui mi osservava, ma più con l’occhio del medico che con l’occhio di chi fa la radiografia alla persona che gli piace. Come, invece, mi accorsi, di aver fatto io e, arrossii per l’imbarazzo. «Stai bene?» Mi domandò di nuovo e io sorrisi commossa, battendo le palpebre per liberarle dalle lacrime di gioia. «Sì, solo, che è la prima volta dopo anni che ci rivediamo davvero».
Lui ricambiò il sorriso e mi porse un fazzoletto: «Hai ragione».
«In tutti questi anni non ho mai capito una cosa».
«Cosa?»
«Perché non mi hai mai detto il tuo nome?» Lui mi guardò stupefatto: «Davvero non te l’ho detto?»
«No».
«Scusami, rimediamo subito, il mio nome è Odysseus». “Odysseus” Ripetei tra me e me. Prima che me ne accorgessi, un sorriso si era già impossessato della mia faccia. Per me, saperlo, equivalse a raggiungere un traguardo. Sorrisi «Astrid Micheila av Stjernene, anche se lo sai già. Finalmente so il tuo nome, maestro». Dissi ponendo l’accento sull’ultima parola e alzai un sopracciglio.
Lui sorrise di nuovo. Gli avambracci poggiati sulle ginocchia. «Sì, scusami, avrei dovuto dirtelo prima».
«Già, quando hai cominciato ad addestrarmi da piccola».
Un luccichio animò il suo sguardo. «Allora ti ricordi?» Mi chiese. Difficile dimenticarlo. Sentii le guance scaldarsi ma decisi di ignorare quel calore e rispondere: «Sì, ricordo tutto, anche tu».
«Ne sono felice». Si mise seduto a sua volta. «Ma non è solo per questo che sono qui».
«Ah, no? Per cosa, allora?»
«Devo riferirti due cose, la prima, riguarda la tua amica Paradox, lei ha un messaggio per te. La seconda il Cavaliere del Leone».
«Il Cavaliere del Leone? Che cos’ha?»
«Per ora niente».
«Aspetta, vuoi dirmi che presto succederà qualcosa ad Aiolia? La prossima vittima sarà lui?» Esclamai orripilata girandomi verso il maestro ma non c’era più e mi svegliai di soprassalto. «Maestro». Mormorai mentre mi calmavo, ma lui non mi rispose. Mi ridistesi a letto e mi passai una mano sulla fronte madida di sudore. “Cosa mi stai chiedendo di fare, maestro?” Pensai poggiando la mia fronte sul palmo. “Tieni d’occhio Aiolia” aveva detto, ma perché? Davvero Neera aveva intenzione di ucciderlo? Non era che me lo stavo solo immaginando?

Proprio in quel momento arrivarono le infermiere, attirate dalla mia confusione. «Nobile Astrid» e «Signorina av Stjernene», mi chiamarono prima di accostarsi al mio capezzale. «State bene?» Disse una, mentre l’altra prendeva a controllare il mio battito cardiaco.
Solo dopo che finirono di visitarmi ed ebbero la completa certezza che stessi bene mi portarono la colazione. Ancora una volta, colazione in infermeria, mi era mancata, guarda, ma porco… e giù un altro paio di ministri.
Erano ormai due giorni e tre notti che ero segregata qui con la scusa della malattia. D’accordo, magari all’inizio sì, ma la febbre che mi ero presa non era stata così grave, era solo il sigillo sui miei ricordi che si era aggiunto, a mo’ di reazione psicosomatica al raffreddore che mi ero beccata. Comunque niente di non debellabile con la tachipirina.
La cosa che mi sorprendeva era che questo sogno era strano, realistico. Ma mi sorprendevano le mie emozioni. Ok che non sempre rispecchiavano quelle che si provavano, ma ora mi domandavo che cosa avrei provato se ci fossimo visti faccia a faccia anche nella realtà e poi quel messaggio. Che cosa intendeva dire?
«Astrid». Mi chiamò la voce di Paradox. Alzai la testa e incontrai il suo sguardo azzurro e preoccupato. «Paradox». Ricambiai abbozzando un sorriso esausto.
«Tutto a posto?» Mi domandò, vedendomi stravolta. «Sì, tranquilla, è solo che ho fatto un sogno strano, ho sognato che c’era il mio maestro che mi diceva che tu avevi un messaggio per me; assurdo, non è vero? Il bello è che sembrava così reale, come se stessi facendo un Viaggio Astrale e… Paradox?» Domandai accorgendomi che mi fissava con due occhi spalancati per il terrore. «Paradox?» La chiamai e lei tornò in sé: «Eh? Sì scusa, è che le tue parole mi hanno ricordato una cosa».
«Ah, sì? Che cosa, se posso chiedere».
«Puoi, puoi, anzi, no, devi.» sospirò e si accomodò sulla sedia accanto al letto, «perché credo che questo sogno ti riguardi molto da vicino».
«Un sogno, me?» Chiesi stupita e lei annuì, «sì, anche il nobile Shun e il mio maestro Shiryu, concordano, finora credevo che fosse una cosa di poco conto ma ora…».
«Raccontami tutto».
E, fu così che venni a sapere che dovevo raccogliere i cinque colori fondamentali? «Cioè?» Le domandai alla fine. Non ero neanche sicura di aver capito bene, che diavolo stava dicendo? Ma che, aveva cominciato a drogarsi? No, perché non vedevo alcuna relazione tra me e questo sogno, voglio dire, avrei capito di più se avessi visto in me delle doti da pittrice, ma io non ce le avevo. Me la cavavo bene nel disegno tecnico ed ero piuttosto brava a usare le squadre e a capire i progetti e a disegnare delle mappe, ma… i colori? E poi, che colori? Ok che disse: «Non lo so, la donna del sogno mi fa vedere cinque luci che si alternano una dopo l’altra, una nera, una bianca, una gialla, una rossa e una blu, più di così non so dirti altro, ma vuole che ti venga detto», ma la domanda restava. Quali colori mi servivano in particolare? Perché dubitavo che la cartoleria di Rodorio fosse il posto giusto dove cercare tutto questo. Cioè, o questo, o Paradox, Shun e Shiryu dovevano farsi due chiacchiere con il mio psicologo. A volte a sentire queste notizie mi facevano venire seri dubbi sulla sanità mentale delle persone che mi circondavano. E, se fosse saltato fuori anche questo, neanche mi sarei sorpresa più di tanto, con tutte le mazzate che si scambiavano.
L’unica cosa di cui ero sicura, era che il mio maestro era qui. La Carta della Morte aveva protetto Yoshino e gli altri proprio come avevo desiderato. Anche se ero costretta a letto non significava che non potessi usufruire del Patto, anche se mi dovevo concentrare moltissimo. Non so neanch’io dove trovai l’energia per bloccare Neera la sera dopo. Mi guardai le mani senza timore, tanto Paradox era dovuta andare via subito dopo avermi riferito il messaggio.
Apparentemente sembravano ancora le mie mani, ma lo sentivo che avevano qualcosa di diverso. Sentivo l’energia del mio Cosmo in me. Le lasciai ricadere sulle mie gambe e mi guardai attorno sbuffando per la noia. Adesso era inutile pensare a queste cose, dovevo prima levare le tende dall’astanteria.
Proprio in quel momento arrivarono le dottoresse per la visita mattutina e, poi, potei finalmente fare colazione e andarmene perché fui dimessa.       

E, così, cominciai a investigare, anche su quest’ultima notizia. E, per farlo, mi recai in cartoleria a Rodorio. Non era fornitissima, ma il minimo indispensabile ce l’aveva.

«Avete scelto cosa comprare?» Domandò la commessa della cartoleria, mentre mi rigiravo tra le mani cinque tubetti di tempere. Uno rosso, uno blu, uno bianco, uno nero e uno giallo. «No, non ancora». Risposi pensierosa tornando a osservarli.
Cinque colori fondamentali con cinque luci. Se il sogno di Paradox aveva un senso, allora lo intuivo appena. Luci e colori. Photo e colore? Disegnare con la luce? Cioè scattare una fotografia? Praticamente secondo Paradox mi dovevo comprare una macchina fotografica? E a che diamine avrebbe dovuto servirmi? Io e la fotografia eravamo due mondi a sé stanti.
Rialzai la testa con un’espressione che la diceva lunga sull’assurdità di questo pensiero. Dopodiché rimisi a posto i colori, salutai la commessa e me ne andai.
Mentre camminavo (sbocconcellando un tortino che presi in una locanda) in direzione del Santuario (ignorando le occhiate di spavento che mi rifilavano) lanciai il mio sguardo sulla montagna delle Dodici Case. A eccezione della Casa di Atena, della Prima, della Sesta e dell’Ottava, le Tredici Case per me erano off limits. Maledissi me stessa per non essermi saputa trattenere, se fossi stata più civile probabilmente non mi sarebbe stato interdetto l’accesso a molte di esse. Ma cosa me ne facevo di attraversarle se mi piacevano di più i sentieri dei servi?
Mi fermai ad osservare la montagna illuminata dallo splendido sole di questa giornata.
Era inutile piangere sul latte versato. Anzi, ora, dopo, cosa pretendevano che facessi? Era anche vero che non potevo lasciare che quell’impostora continuasse a bazzicarvi. Se il messaggio di Odysseus si fosse rivelato esatto, Aiolia sarebbe morto e Neera avrebbe fatto qualcosa alla sua Armatura d’Oro. Perché era a questo che mirava.
Guardai un’ultima volta le Case e mi morsi il labbro, prima di muovermi in direzione delle medesime. Il cuore che mi batteva violentemente in petto. Mentre salivo le scale, mi ricordai e, realizzai, finalmente, ciò che avevo fatto, sotto l’ottica di un Saint e mi fermai, trasalendo per lo spavento. Il mio intento era stato quello di spaventare Neera al punto da farle vuotare il sacco, non avevo considerato tutti gli altri.
Mi feci forza per calmarmi e ripresi la salita, cercando di distrarmi.
Arrivata alla Prima, chiamai Kiki, il quale, mi venne incontro, come promesso. Mi fece una strana impressione trovarmi qui senza prima trovarmi Raki tra i piedi.
Quel giorno m’informò della sua decisione di comunicare al Gran Sacerdote la verità su di me, come se non la sapessi anch’io. Però, non riuscii a non impedirmi dal guardarlo spaventata. Già Kanon non mi aveva granché in simpatia. Ma il mio amico mi rassicurò dicendomi che era necessario e che presto o tardi la verità sarebbe venuta a galla. «Sai che quest’informazione non può restare solo tra me e te?» Mi disse a un tratto.
«Sì, purtroppo lo so, ed è giusto».
«Allora ho il tuo permesso di andarglielo a riferire?»
Annuii, anche se sapevamo tutti e due che il Pontefice lo sapeva già e che era una scusa per parlarci a quattrocchi. «Kiki». Si girò verso di me e io dissi, senza guardarlo, «Non sono un’idiota e non ho bisogno di essere tutelata. So perfettamente che lui lo sa già, per favore, da adesso in poi, potresti non mentirmi mai più?»

«Come lo sai?»
Gli rifeci il verso: «Nobile Astrid?»
«Ah, già. Scusami, è che… Non so neanch’io perché mi comporto così, con te è che, mi viene istintivo cercare di proteggerti da tutto e, vederti felice». Percepii istantaneamente la sua paura di essersi sbottonato troppo. Curvai la bocca in un sorriso di gratitudine. «E io ti ringrazio per questo, ma non puoi proteggermi per sempre».
«A volte vorrei davvero poterlo fare». Mormorò prima di andarsene, ma lo sentii lo stesso e, avvampai, sentendo il mio cuore battere più rapidamente in petto. Lo richiamai, stavolta guardandolo e lui tornò indietro e incontrò il mio sguardo spaventato: «Ora che cosa mi succederà?» Gli chiesi.
Se c’era una cosa che temevo, era che tutti mi voltassero le spalle, definitivamente. Il Gold Saint di Ophiuchus era stato bandito molto tempo fa. Io ero alla stregua del frutto della vergogna per i Saint di ogni rango.
«Non lo so, ma tu abbi fiducia in me».
Abbozzai un sorriso che sperai fosse abbastanza fiducioso. 
Kanon venne a trovarmi appena poté in giornata. Tra tutti i visitatori, lui era quello che meno speravo di vedere e, al tempo stesso, quello di cui più temevo l’arrivo. Dunque la mia sentenza di morte era arrivata, assieme a un messaggero d’eccezione. 
«Kanon!» Esclamai sconvolta nel ritrovarmelo in salotto appena uscii dal bagno (avevo infatti, perso le speranze da qualche ora). Il cuore mi balzò in petto per la paura. Però mi inginocchiai al suo cospetto istantaneamente. Forse se mi fossi dimostrata docile avrei avuto qualche chance in più. 
«Astrid». Replicò serio. Il suo portamento mi comunicò tutta la forza, la fierezza e la solennità di ex Cavaliere d’Oro. Una fierezza che io non avevo. Avevo la forza, ma non mi sentivo affatto fiera. Soprattutto dopo che più della metà dei Gold Saint si era schierata a protezione di Neera.
Non avevano idea dello sbaglio che stavano commettendo. 
«Ho saputo di quello che è successo». Esordì guardandomi dall’alto in basso con occhi inquisitori.
Chinai il capo, abbacchiata. «Sono desolata Sommo Kanon, non volevo… cioè, non pensavo che…» Farfugliai alla ricerca delle parole giuste. Mi zittii mordendomi la lingua. Qualsiasi cosa mi passasse per la testa sembrava non andare bene. «So cosa vorresti dire». Intervenne il Gran Sacerdote venendo in mio soccorso (?) Non potevo passarla liscia per tutto il caos che avevo provocato finora. 
Alzai il volto verso di lui, guardandolo. «Adesso molte cose sono chiare». Continuò, ricambiando con sguardo imperioso e diffidente. «Mentre altre sono ancora oscure. Ma tu non devi temere, sei una di noi e non ti verrà torto un capello».
Sgranai gli occhi, stupita. «Cosa?» Mi era parso di aver capito che l’avessi combinata troppo grossa. Ma forse mi ero posta fin da subito su un piedistallo che non avevo e queste cose erano all’ordine del giorno, qui.
«Io e i Gold Saint abbiamo deciso, di comune accordo con la Dea, di completare la tua formazione di Saint e di designarti a un’Armatura ma all’Isola di Milos». E, con queste parole, il mio stupore crebbe a tal punto che mi portò a spalancare la bocca. «Ovviamente quando tutta questa storia finirà, non possiamo permettere che tu corra dei rischi in più». 
«Io… io non so cosa dire…» Mormorai.
«Comincerai il tuo addestramento il prima possibile, immagino ti abbiano già detto che partirai dopodomani». Dichiarò, dopodiché aggiunse. «Manderò a chiamarti quando le acque si saranno calmate del tutto, anzi, provvederò io stesso a calmarle quest’oggi». 
«Signore, perché?» Domandai ancora sbigottita. “E Neera?” Avrei voluto dirgli invece.
«Perché da oggi tu non sei più un’ancella della Tredicesima, è tempo che tu prenda possesso del tuo vero titolo e del tuo ruolo, Apprendista di un Cavaliere d’Oro». Se Aphrodite non mi avesse avvisato per tempo, avrei creduto a tutta la pappardella. Seh, certo, peccato per tre punti: il primo, Aphrodite mi aveva già detto tutto, il secondo, non esisteva che un Cavaliere di rango inferiore istruisse uno di rango superiore. Odysseus mi aveva spiegato che i Cavalieri d’Oro venivano addestrati da altri ex Cavalieri d’Oro sopravvissuti o risorti e, quest’ultimi, avevano il veto assoluto di rimettere piede al Santuario. Ergo, erano gli stessi Gold, a volte a farsi carico delle nuove leve, come il Venerabile Dohko nel caso di Shiryu, Camus nel caso di Hyoga, Death Mask nel caso di Mei della Chioma di Berenice. Tutti gli altri venivano addestrati da un Silver o un Bronze loro pari. Eccezione facevano le Saintia e adesso, anche gli allievi della Palaestra e dell’altra scuola di Ionia sperduta chissà dove.
Terza cosa, probabilmente il mio maestro non si sarebbe lasciato ingannare da tutto questo. Mi sembrava anche strano che non ci fossimo ancora rincontrati, da quando avevo ricordato tutto. Anche chiamandolo mentalmente non rispondeva, ed era meglio così. Mi dispiaceva molto aver scoperto il suo coinvolgimento in tutta questa storia. La carta della morte mi aveva mostrato, poi, che cosa fosse successo e, io, avevo rivissuto tutto secondo il suo punto di vista. Ed era stato tremendo.
Mi fece male al cuore, lo stesso dolore dello strappo di una vecchia ferita dimenticata. Ma mai quanto vedere l’espressione triste di Kiki, che, una volta andato via il Gran Sacerdote, fece di nuovo capolino sulla porta.

Un sorriso rassicurante gli curvava la bocca come a dire “É andato tutto liscio, no?” Certo, se esiliarmi e lasciare campo libero a quell’altra, rientrava nella sua definizione di tutto liscio.

 

Quella notte, aspettai che Kiki dormisse. Vero che non avevo barriere mentali come quelle di un Gold, vero che non sapevo usare la telepatia con terze persone oltre il mio maestro. Tuttavia non ero propriamente sprovvista: mia madre mi aveva insegnato a zittire la mente. Era lo stesso principio con cui i Gold percepivano i Cosmi, solo che richiedeva una notevole concentrazione ed elasticità mentale. Se si prende la mente come una cosa perennemente in movimento, come le ali di una farfalla, allora la si può anche fermare. Come quando la farfalla si posa da qualche parte. Lo stesso era quello che ero riuscita a fare io grazie agli insegnamenti della mamma e della nonna. E, mi riusciva piuttosto bene, se ascoltavo della musica.
La canzone che mi stavo ascoltando in quel momento era Unda dei Faun e attendevo. Attendevo, per lo più, che la canzone mi restasse in testa come un tormentone estivo, di modo che, se Kiki avesse provato ad ascoltare, avrebbe sentito solo quella. Il piano vero e proprio era sempre il solito, le intenzioni idem, non mi serviva di ripensarci.       
Appena fui sicura che la canzone fosse sedimentata ben bene, spensi il lettore mp3 nel telefono e, mi avviai, facendo attenzione affinché Kiki non si svegliasse, fuori delle Prima. Da lì, onde evitare rogne, imboccai il sentiero dei servi ringraziando il mio Cosmo silente, perché i sentieri, spesso erano monitorati dagli stessi Gold Saint. Corre una sostanziale differenza tra percepire i pensieri e percepire il Cosmo altrui.  

Arrivai alla Casa del Leone e, cercando di fare meno rumore possibile, mi affacciai agli appartamenti privati, trovando la porta della camera di Aiolia aperta. Ma il suddetto non c’era. Probabilmente era in missione da qualche parte. Ma allora perché la porta del suo studio era aperta? Aiolia aveva l’abitudine di chiuderla.
Il mio cuore cominciò a battere ancora più forte e trattenni il fiato rumorosamente.
Mi accostai alla porta cercando di non farmi sentire e poi mi sporsi leggermente. A quel punto ritrovai tutto il mio coraggio. Materializzai il mio falcione di Cosmo che lanciò un brillio e lo puntai al collo della donna.  
«Non una mossa». Sibilai minacciosa. La sacerdotessa che s’immobilizzò. «Cosa ci fai qui?» Chiesi e lei si volse repentinamente per sferrarmi un attacco che parai. Il mio falcione di Cosmo mandò scintille contro il suo pugno, come se si fosse scontrato contro un oggetto metallico invece che con una mano. Per un momento persi presa sul bastone e questo si dissolse ma lo ricomposi subito.
Quando si girò trattenne il fiato rumorosamente: «Non è possibile, ma non eri partita?»
«Partita? Quando mai? Io parto domani, non stasera. Che cos’è questa storia? Perché tu hai due Armature? Che cosa rappresenta quella terza luce che si è manifestata l’altro ieri? Perché sei nello studio di Aiolia?»
La ragazza scoppiò a ridere, sguaiata e si portò una mano alla bocca della maschera. Mano che poi spostò su un occhio come a detergersi una lacrima: «Lo sapevo che eri una piaga. Quella notte al cimitero non avrei dovuto salvarti». Poi mi scagliò nel bagno con un colpo di Cosmo a tradimento. Sentii i miei piedi sollevarsi da terra e sbattei la schiena contro la porta, aprendola, per finire piegata e dolorante in più punti, nella vasca da bagno sotto la finestra. «Non pensavo che saremmo arrivate a questi punti».
Mi rialzai a sedere e mi puntellai sulle mani tremanti. In bocca il sapore del sangue: «Non eri tenuta a farlo».
«Oh, sì che dovevo. Eri tu quella che non doveva tornare». Ciò detto mi afferrò per i capelli e mi sollevò la testa per schiantarmela contro il bordo della vasca. «Non toccarmi!» Urlai ed espansi il mio Cosmo con violenza, costringendola a scostarsi. Anche se lo feci con una violenza tale che devastò il bagno della Quinta e l’acqua cominciò a fuoriuscire dalle tubature, inondando l’ambiente pieno di polveri e calcinacci e mi ritrovai sul pavimento. Mi rialzai all’istante e l’attaccai materializzando il falcione e cercando di colpirla, dovevo riuscire a liberarmi di lei e uscire da qui.     
«Filo del Tomahawk!» Ma le opposi il mio falcione di Cosmo dorato e l’attacco si arrestò a mezz’aria. Poi, con uno sforzo sovrumano che mi costrinse a gridare, glielo rispedii. Lei fece il ponte all’indietro e l’attacco tagliò la parete e la porta, facendole crollare, assieme a quelle che ci separavano dal corridoio di passaggio. Non le detti neanche il tempo di contrattaccare che mi mossi prima io. Ma avevo gioito troppo presto perché lei sfruttò il mio attacco a suo vantaggio e ci ritrovammo a massacrarci di botte. «Che cosa vuoi dai Gold Saint? Tu non sei una vera Sacerdotessa-Guerriero! Che cosa vuoi da loro?»
«Il potere!» Ruggì.
Mossi il bastone per poco non l’affettai in due, ma lei saltò via e io feci altrettanto, mentre il pavimento sotto ai nostri piedi si riempiva di crepe e sprofondava leggermente. «Vuoi il potere? Eccolo! Eccolo quanto ne vuoi!» Esclamai battendomi una mano sul petto per indicarmi: «Io sono la custode della Luce Ombrosa e sono l’apprendista del Gold Saint di Ophiuchus! Non c’è nessuno qui che possa eguagliarmi!» Anche se non sapevo quanto potesse essere vero fino in fondo tutto ciò. Sperai che lei ci credesse, ma non fu così. «La Luce Ombrosa, cosa me ne faccio di una cosa simile? Nessuno ha idea di cosa sia, nessuno all’infuori di te può usarla e, anche volendo non saprei proprio come estrartela. E poi, prima d’ora non s’era mai sentita nominare, per quel che ne so il tuo Cosmo è difettoso e quella che si vede è tutta apparenza. La magia non c’interessa, noi vogliamo qualcos’altro. Il mio Signore non ha interesse per questo, ma vuole indebolire le schiere dei Saints, questo è vero».
«Così ha mandato te». Completai per lei accigliandomi ancor di più.
«Esatto, all’inizio dovevo soltanto farmi più alleati possibili e portarli dalla nostra parte, ma poi ho avuto un’idea migliore: da dove derivano i Saint le loro forze? Dalle loro Armature, così ho cominciato a collezionarle».
«Le hai rubate!»
«No, le ho solo convinte a venire con me».
A quel punto gridai, fremendo di rabbia e di terrore: «Per chi lavori? Dimmi la verità, chi sei veramente?»
«Chi sono io? Io sono una semidea e sono qui per le Armature d’Oro». Ciò detto espanse il suo terribile Cosmo in tutta la sua piena potenza e l’acqua attorno a noi si animò. Non riuscivo più a muovermi. A un tratto mi afferrò per il colletto della mia tunica e mi scagliò nel corridoio. Mentre cercavo di rialzarmi, lei mi raggiunse e mi afferrò nuovamente per i capelli. «Devo ammetterlo, sei stata una vera spina nel fianco, ma adesso basta». E, mi tenne ferma. Usò il suo potere per comandare all’acqua di entrarmi nelle vie respiratorie e uccidermi. Cominciai a divincolarmi e cercai di scacciare l’acqua ma le mie dita passarono attraverso i fiotti senza tuttavia infrangerli.
Neera rise dei miei tentativi.
A un tratto non sentii più aria e il panico prese il sopravvento. Cercai di divincolarmi con più forza, ma la sua presa era troppo forte e stavo per buttare fuori tutta l’acqua. Ma la mia voglia di vivere era più grande. Così l’incanalai e il mio cervello si riattivò. “Se sei veramente un’Armatura di Atena, allora aiutami! Salvami!” Implorai mentalmente con tutta l’energia di cui ero capace. Perché ormai stavo respirando acqua e le energie erano sempre meno. “Ti prego, in nome di Atena, ti prego”. La sua Armatura che fin lì l’aveva rivestita, l’abbandonò per catturarla e strapparla via da me che potei così sollevare la testa dall’acqua e tossire. Mi cacciai due dita in gola e vomitai. Quando rialzai il volto lacrimante e boccheggiante, vidi la Bronze Cloth di Indus bloccarla ancora.   
«Non è possibile!» Strepitò Neera.
«Grazie». Mormorai alla corazza e, facendo leva sulle mani, mi rialzai, barcollante. L’ultima cosa che sollevai fu proprio la testa. Ma un capogiro mi costrinse di nuovo in ginocchio e Neera riuscì a sfilarsi dall’abbraccio della Cloth. «Che cosa fai? Tu dovresti proteggere me, non lei, me!>> La redarguì mentre la corazza, fluttuando a mezz’aria, si poneva davanti a me,   

Proprio in quel momento fummo raggiunte dalla voce di Lythos. «Astrid!» Urlò.  
«Lythos!» Esclamammo entrambe mentre la sorella minore di Aiolia faceva capolino da dietro dei detriti. Poi si avvicinò a noi mettendo i piedi in acqua.
«No! Sta lontana dall’acqua!» Le urlai mentre la Bronze Saint che soggiornava impunemente a casa sua si preparava a lanciare il suo attacco. E, anche Lythos si ritrovò immobilizzata da dei serpenti d’acqua.
«Lythos!»
«Astrid!»
A quel punto ricorsi di nuovo ai Poteri delle Stelle e mi girai verso Neera, ancora intenta a lottare contro la sua stessa Armatura. E ne vidi le stelle. Non potevo usare la gabbia astrale, qui. Non avevo tutto questo tempo a disposizione e, non sapevo per quanto ancora la Bronze cloth di Indus avrebbe retto. Non molto, a giudicare dalle crepe che si stavano delineando sul metallo. Crepe che vedevo a causa delle fiaccole e della luce delle mie mani.
Le disegnai tutte rapidamente, materializzando le stelle d’argento e le sottrassi la sua parte di Falsa Croce che si trovava nella Carena: le stelle Avior e Aspidiske, che erano connesse a Delta Velorum e a Kappa Velorum da un fiotto di energia azzurrino e indipendente che andava a incrementare il suo potere. 
La ragazza sussultò e si prese in pieno un pugno nello stomaco dalla Cloth. Perdendo così tutta la presa sull’acqua. Sicché dissolsi quelle stelle e mi precipitai dalla mia amica che era caduta bocconi nell’acqua, fradicia: «Lythos!» L’aiutai a rialzarsi dopo essermi accertata che stesse bene e poi mi misi davanti a lei.
Avrei voluto chiedere aiuto a Odysseus ma non potevo fidarmi di lui. Dovevo riuscirci da sola.
Neera nel frattempo si era rialzata, ed era più furibonda che mai.  
«Non ti avvicinare, Neera, non sono così sprovveduta!» Urlai e, per darle una prova, dissi a Lythos di aggrapparsi da qualche parte: «Ora farò sparire tutta quest’acqua». Ridisegnai la costellazione della Carena: «Cosa credi di fare con quelle stelline?»
Non risposi con le parole. Presi direttamente ε Carinae tra le mani e poi allontanai queste ultime dalla stella, facendola accrescere e, rivelando così una nebulosa. «Una Nebulosa! Dove hai trovato quella Nebulosa?» La trapassai con gli occhi prima di espandere l’oggetto, innalzandolo sopra le nostre teste e, allargando le braccia. Sollevando una fortissima corrente di vento che poi, abbassai ai nostri piedi e, così, impedii a Neera di usare ulteriormente il suo potere.
E, il vento cominciò a soffiare attorno a noi, spazzando via tutta l’acqua.
Quando l’acqua fu allontanata, la Quinta Casa era ridotta peggio di prima. Come se fosse stata assaltata nuovamente dai Ghost Saint di Eris.
La cosa che mi sorprendeva, era che Neera fosse ancora in piedi, appena scompigliata. Ci si lanciò addosso, ma prima che ci riuscissi Aiolia si frappose tra noi e bloccò il suo colpo. Scagliò indietro la Bronze Saint sciogliendo la presa delle braccia: «Sta lontana da mia sorella e da Astrid».
«Nobile Aiolia, non è come sembra, è stata Astrid, è lei che è ossessionata, io mi stavo solo…»
«Basta, Neera, non mi lascerò più manipolare dalle tue parole! Tu sei la traditrice che stavamo cercando!»
«Allora era una trappola? La vostra partenza e la missione…»
«Sì e adesso te la dovrai vedere con noi».
«Giammai».
L’acqua si sollevò avvolgendosi attorno al suo corpo e poi si abbassò di colpo. «É sparita!» Ringhiò. Poi si girò verso di noi e ci soccorse: «Lythos!»
«Sto bene, sto bene, Astrid mi ha salvato». Disse lei mentre il fratello l’aiutava a rialzarsi. Aiolia mi guardò stupefatto e io annuii: «Non c’è di che». Solo allora lui parve riaversi dallo stupore e mi tese una mano, per aiutarmi a rialzarmi. Io l’afferrai e mi lasciai rimettere in piedi: «Sembra che io abbia un debito di riconoscenza nei tuoi confronti». Costatò, a disagio. Non amava avere debiti di riconoscenza. «Così sembra». Confermai rigirando il coltello nella piaga anche per lui. Così imparava, per tutte le volte che aveva gridato che dovevo morire. «Ma intanto, lasciate che vi aiuti io stessa». Così gli raccontai tutto ciò che era successo e richiamai la Cloth dell’Indiano, che fu ben felice di tornare nelle mani di Saint onesti. A fine racconto cominciarono polemiche e obiezioni.
«Ma la sua costellazione è quella della Carena, non dell’Indiano». Obiettò Aphrodite (che nel frattempo si era aggiunto a noi assieme a Milo e a coloro che avevano deciso di tendere la trappola a Neera) e Aiolia stavolta guardò il suo compagno.
«Una Silver Saint? Perché avrebbe avuto bisogno di conquistare un’altra cloth, di grado inferiore, oltretutto?»
«Guarda che ce l’ha detto il perché».
«No, semmai come ha fatto, è impossibile che un Cavaliere possegga due Armature». Disse la Piattola.
«In teoria no, ho sentito dire che esistono delle medaglie che permettono ai Saint di indossare una cloth di grado superiore o inferiore a dispetto della costellazione d’origine d’appartenenza. Le ha fatte forgiare la Divina ai tempi del Mito, dovrebbero essere le stesse che indossano anche Seiya e gli altri».
«Aspettate, volete dire che voi non le portate?»
«Noi Redivivi no, noi eravamo predestinati a essere Gold Saint». Rispose orgoglioso Aiolia. Non seppi se guardarlo ammirata oppure delusa per questo suo vanto. Lui che si vantava, quasi non ci si credeva. «Ma da allora non sono mai state usate, anche i nostri eredi non ne hanno mai avuto bisogno». Continuò e Aphrodite concordò con lui: «No, infatti, può darsi che la stessa cosa non valga anche per Neera».
«Giusto, dividiamoci e…»  
«Io posso aiutarvi». M’intromisi. I Saint mi guardarono. «Io posso manifestare la sua costellazione, se è ancora all’interno del perimetro del Santuario, allora posso fare qualcosa». Spiegai avanzando di un passo.
Non vollero sentire ragioni. «Apprezziamo molto il tuo aiuto, Astrid, ma è meglio per te se resti al sicuro con Lythos, raggiungila alla Seconda e resta con lei e Yoshino». Ordinò Aiolia accigliandosi ancor di più. Prima di uscire dalla stanza, però, mi guardò da sopra una spalla e si raccomandò: «Ti affidiamo anche lei».
Io annuii. Non aveva neanche bisogno di chiedermelo; così, raggiunsi la Seconda dove fui accolta dai genitori di Yoshino Castalia, Juan, Paradox e Integra, e spiegai loro tutto. 
Questi ultimi, Yoshino ed io, di restare insieme a me, nonostante che le stelle di Georg fossero decisamente più flebili di quelle di Castalia e Juan.
«Mi dispiace, Astrid». Si scusò la mia amica strofinandomi le mani sulle spalle. Posai una mano su una delle sue e restai a fissare la porta per un po’. Le sorrisi e la rassicurai, coprendo la sua mano con la mia: «Tranquilla, non è colpa tua».
Il resto della notte la passammo a cercare di trovare un nesso a tutto, grazie anche a una buona dose di caffè. Insieme buttammo giù una lista di domande e cominciammo a investigare, accomodati in salotto.
Per quanto riguardava il messaggio del sogno di Paradox, le chiesi se poteva cercare qualcosa nelle mitologie e nelle stelle. E, così, le gemelle e gli altri Saint presero a raccontare qualcosa. Yoshino si scusò dicendo che non ricordava niente. In quanto Dea avevamo sperato che sapesse darci una risposta più esaustiva.
Ma tutto ciò che le venne in mente fu un vecchio mito indios sui colori. Più che altro una favoletta che aveva letto a scuola quand’era bambina.  Prese fiato e cominciò a raccontare: «Tanto tempo fa gli Dèi litigavano sempre perché il mondo era assai noioso con due soli colori: uno era il nero che comandava la notte, l’altro era il bianco che camminava di giorno; il terzo non era un colore, era il grigio che dipingeva sere e mattine affinché non si scontrassero troppo. Questi Dèi erano litigiosi ma molto sapienti. In una riunione si misero d’accordo per pensare a come rendere allegra la vita degli uomini. Uno degli Dèi cominciò a camminare per pensare meglio, e tanto pensava, che sbatté contro una pietra ferendosi la testa da dove uscì sangue. Il Dio, dopo aver strillato per un bel pezzo, guardò il suo sangue e vide che era di un colore diverso e andò dagli altri Dèi, mostrando loro il nuovo colore che chiamarono “rosso”. Un altro Dio cercava un colore per dipingere la speranza. Lo trovò dopo un bel pezzo e lo mostrò all’assemblea degli Dèi; gli misero il nome “verde”.Un altro cominciò a grattare forte a terra. – Che fai? – gli chiesero gli altri Dèi.
– Cerco il cuore della terra – rispose rivoltando la terra da ogni lato. Dopo un po’ trovò il cuore della terra, lo mostrò agli altri dei e chiamarono quel colore “marrone”.
Un altro Dio salì in alto. – Vado a guardare il colore del mondo – disse, e si mise a scalare una montagna. Quando arrivò ben in alto, guardò in giù e vide il colore del mondo, ma non sapeva come fare a portarlo. Allora rimase a guardare per un bel po’, finché il colore non gli si attaccò agli occhi. Discese come poté, a tentoni, e andò all’assemblea degli Dèi.
– Porto nei miei occhi il colore del mondo: l’azzurro.
Un altro Dio stava cercando colori quando sentì un bambino ridere; si avvicinò con cautela e gli prese la risata che diventò il giallo.
A quel punto gli Dèi che erano ormai stanchi, andarono a dormire, lasciando i colori in una cassetta sotto un albero. La cassetta non era chiusa bene e i colori uscirono, cominciando a far chiasso e festa. Così nacquero tanti nuovi colori.
Quando tornarono, gli Dèi si accorsero che i colori non erano più sette, ma molti di più.
Presero la cassetta dei colori, salirono sulla cima del monte, e da lì cominciarono a lanciare i colori, così l’azzurro finì in parte nell’acqua e in parte nel cielo, il verde cadde sugli alberi e sulle piante, il marrone, che era il più pesante, cadde sulla terra, il giallo, che era un risata di bambino, volò fino a tingere il Sole, il rosso giunse sulla bocca degli uomini. Gli Dèi lanciavano i colori senza fare attenzione a dove finissero e alcuni di essi spruzzarono gli uomini. Per questo vi sono persone di diversi colori e di diverse opinioni.
Allora, gli Dèi, per non dimenticarsi dei colori e perché non si perdessero, cercarono un modo per conservarli. Stavano pensando come fare quando videro un pappagallo, che era brutto e grigio come una gallina spennacchiata. Lo presero e gli attaccarono i colori. Ancora oggi il pappagallo se ne va in giro per ricordare agli Dèi che molti sono i colori e le opinioni e che il mondo potrebbe essere felice se tutti i colori e tutte le opinioni avessero il proprio spazio. Il bianco ed il nero si erano sentiti messi da parte nella creazione dei nuovi colori. Anzi, si erano proprio offesi! Possibile che gli Dèi non si erano ricordati almeno di chiedere loro che ne pensavano della novità? E così presero il coraggio in due mani e inventarono anche loro una bella cosa che potevano poi pensare solo loro... Perché aggiungendo ”chiaro” o “scuro” ai nuovi colori, ne inventarono il doppio! Rosso scuro e rosso chiaro, verde scuro e verde chiaro e così si divertirono ad arricchire tutta la gamma di tinte
. Mi dispiace, ragazzi, ma è l’unica leggenda che conosco».
«Io conoscevo una favola che mi raccontarono a storia, spacciandola per le storie della Preistoria». Dissi dopo aver bevuto un sorso della mia tazza. «In pratica narra di tre fratelli divini che, un giorno decisero di scendere tra gli uomini. Si chiamavano Argilla, Carbone e Ocra e ognuno erano uno più virtuoso dell’altro. Il primo a partire fu proprio Argilla, ma finì corrotto e allora Carbone partì per salvarlo, ma finì per passare al lato oscuro anch’esso. Allora a malincuore, il padre dei tre fratelli, lasciò partire anche la figlia più piccola, ma neanche quest’ultima riuscì nell’impresa e i tre si fecero la guerra, ma nessuno di loro sopravvisse e, il genitore, per punirli li trasformò nei materiali che ora portano questi nomi».
Juan, si sporse verso di noi da sopra le sue ginocchia, strette al petto: «Sì, ma queste come si ricollegano alla luce? I colori sono qualcosa di materiale in che senso dovresti raccogliere cinque luci così?»
«Non lo so, forse non sono luci in senso stretto». Ipotizzai.
«Manufatti, dici? Ma che manufatti potrebbero mai essere?» Domandò Juan accigliatosi. Sembrava che i Saint fossero abituati a fare le ore piccole, io, invece, mi dovevo riabituare in fretta.  Alzai le spalle, confusa: «Non lo so, probabilmente hanno a che vedere con i colori del sogno di Paradox, ma ora comincio a sospettare che non siano più luci qualsiasi».
«Bè, luce in italiano deriva da lucem, no?» Chiese la mia amica.

«Sì, ma in greco? In greco si dice phôs, no?»
«Perché hai pensato alle macchine fotografiche?» Domandò Yoshino, incuriosita, invece, dal mio ragionamento.
«Non lo so, ho solo pensato che fotografia in greco è composta da due parole, phôs e graphè, l’ho studiata al liceo quando abbiamo affrontato il cinema». Spiegai con una seconda alzata di spalle. «Quindi, stando al messaggio del sogno, tu dovresti disegnare con la luce?»  Continuò Castalia, perplessa e scettica al tempo stesso. «Così sembrerebbe».
«Ok, sì, ma a che cosa ti dovrebbe servire? In che modo è collegato a te e ai tuoi poteri? E, poi, quali manufatti? Perché dovresti farlo? Quando?»
«Non ne ho idea, davvero, non ne ho idea». Mi rendevo perfettamente conto che non aveva molto senso. Restammo a parlare così un altro po’.  
Solo verso l’alba ci giunse la comunicazione che i Saint non avevano trovato Neera e che potevo tornare alla Prima. Ci salutammo e io scesi le scale in compagnia di Kiki, che era tornato per tempo. Se non fosse stato per lui, probabilmente mi sarei addormentata sulle scale; invece, mi tenne sveglia ancora un po’, chiacchierando di cose a caso. Non ricordo neanche di cosa parlammo.
Solo quando toccai il divano di casa sua crollai come un sasso in un sonno profondo e ristoratore.
Sognai di trovarmi su un palcoscenico e di essere una ballerina di danza del ventre. Nelle mani, mi accorsi di stringere due parallelepipedi. Guardai la platea ma non vidi niente. La luce pioveva dal soffitto proprio sopra la mia testa. E, la musica su cui avrei dovuto danzare era tutta sbagliata, era Harp song di Rupert Gregson-Williams. Eppure, nel sentirla, me ne fregai e cominciai a ballare con una scioltezza e una leggiadria che solo da poco tempo sentivo di nuovo mia. E, mentre ballavo, scoprii che i due parallelepipedi altro non erano che due fan veils blu. E, quando li aprii, sempre danzando, il buio cominciò a risplendere di stelle che si staccavano dai fan veils.
Muovendomi a tempo con la musica, sparsi queste stelle dappertutto. Alcune piovvero su di me come coriandoli andando a depositarsi sul mio vestito, che, da blu scuro qual era, cominciò a tingersi delle sfumature più disparate e così la mia pelle, la mia persona, tutto di me.
E, alla fine, mi vidi come spettatore esterno, con la faccia variopinta, truccata con il cosmo make up che andava tanto di moda quattro anni fa. La me stessa del sogno si fermò e mi sorrise con un luccichio divertito negli occhi, mentre l’organza dei fan veils cadeva dolcemente attorno a lei.   
E, con quest’ultima immagine negli occhi, mi svegliai.
Mi ci volle un po’ per capire dove mi trovassi, ma poi misi a fuoco il soggiorno. Avevo la gola secca, mi sentivo debole, intorpidita e affamata. Avevo le gambe addormentate e insensibili. Dovetti scuoterle per svegliarle, dopodiché mi misi seduta e capii di essere stata accoccolata su un fianco sul divano e, avvolta in una coperta. La guardai. Doveva avermela sistemata Kiki sulle spalle. Questa gentilezza mi emozionò moltissimo; perché non c’ero abituata e, a volte, devo ammettere che Kiki era veramente tenero. Avevo ancora il giglio che mi portò a mo’ di scuse per non essere passato a trovarmi durante la convalescenza. E anche adesso, con questo piccolo gesto. Certo, mi avesse tutelato un po’meno e sarei anche potuta innamorarmi di lui. Però, era anche vero, che non mi sentivo di potermelo permettere, non tanto perché provavo già qualcosa per Odysseus e la cosa mi faceva soffrire (anche se non lo davo a vedere).
Proprio in quel momento Chrysafi fece capolino sulla porta. La salutai e lei sembrò piuttosto stupita di vedermi. Era un po’ cambiata dall’ultima volta, era un po’più magra e sciupata e i capelli erano più lunghi. «Mi dispiace di non aver potuto mantenere la promessa ma…»
«Non c’è bisogno che mi spieghiate niente, nobile Astrid». La guardai come se fosse scesa da Marte. «Sei sicura?» Domandai per sicurezza. Non mi era mai piaciuta granché questa donna, ma non volevo mettermi a litigare con lei.
«Certamente». Perché continuava a guardarmi così? Come se si aspettasse che da un momento all’altro le avessi impartito qualche ordine? Ah, già, giusto. Ora ero una Saint, un’aspirante Saint.
«D’accordo, cosa stavi facendo, qui?» Le chiesi e lei mi rispose che era venuta a riassettare. La congedai, finalmente e andai in cucina dove mi preparai qualcosa da sgranocchiare. 
Una volta abbastanza piena ripulii, mi presi un’arancia e poi andai in bagno dove mi detti una sistemata veloce. Dopodiché, andai a cercare Kiki e lo trovai nella stanza che usava a mo’ di fucina. Stava riparando la Cloth che ieri sera mi aveva difeso. Finalmente libera anche lei dalla presenza di Neera. e, lo salutai. Lui quasi sobbalzò, ma si riebbe subito e si aprì in un gran sorriso. «Oh, ciao Astrid, hai dormito bene?»
«Sì, grazie, quanto tempo…»
«Almeno nove ore, eri stanca morta». Quindi, se la matematica non è un’opinione, erano circa le tre del pomeriggio. Ok. Mi accomodai accanto a lui e gli chiesi come fosse andata la sera prima.
Lui mi raccontò che Neera sembrava essere scomparsa e che lui mi aveva creduto fin da subito per tutta questa storia.  Fui grata del suo sostegno. In tempi come questi ne avevo un assoluto bisogno.
«Invece per quanto riguarda…» Lasciai cadere la frase in sospeso, ma lui comprese ugualmente. Non staccò neanche un momento gli occhi dal suo lavoro, quando rispose: «Scomparso. È come se si fosse volatilizzato».
Proprio come un serpente alla notte, chissà dove si era rintanato. Cambiai immediatamente discorso.  
«Scusa, per ieri sera, per essermene andata così». E gli tesi metà dell’arancia che avevo preventivamente sbucciato. Lui accettò l’offerta sorridendo e mangiò. «Come va con la Cloth?» Domandai guardando l’ex Armatura di Neera. «Va bene, non ha rotture rilevanti. Sei stata molto coraggiosa ieri sera, hai cercato di proteggere le Armature. Se non ci fossi stata tu, probabilmente avrebbe finito per mettere le mani anche su una Gold Cloth».
«Non ho fatto niente di speciale, era quello che mi sentivo di fare» Ed era il motivo per cui Kanon mi aveva assunto. 
Solo in quel momento mi accorsi che aveva entrambi i polsi fasciati e provai un gran moto di tristezza e pena per lui. Il suo lavoro di riparatore di Cloth lo costringeva a svenarsi per salvare la vita di tutti noi. Anche gli altri davano il proprio sangue, ma il primo a cui si richiedeva era proprio il suo. E mi domandavo quanto fosse tremendo doversi svenare così. Se almeno stesse bene e non avesse contratto delle malattie e, se non stava attento, rischiava di tagliare troppo in profondità e salutare i suoi tendini per sempre. Più di ogni altra cosa, il suo pallore mi preoccupò molto, in netto contrasto con il rosso dei capelli lunghissimi. Sembrava sanguinare. 
Si accorse che gli stavo fissando le bende insanguinate e inghiottì l’ultimo spicchio. «Qualcosa non va?»
«No, niente è… che non riesco a vederti così senza soffrire anch’io».
Spalancò gli occhi, mostrando sorpresa. «Soffri per me?» Domandò con voce esile, appena un bisbiglio.
«Sì, per quelle». Spiegai accennando ai suoi polsi, che lui stesso si guardò. Dopodiché tornò a guardarmi e cercò di tranquillizzarmi asserendo che non dovevo preoccuparmi, che c’era abituato e, che era l’unico modo per ripararle. Sarà, ma non lo trovavo giusto. Gli posai una mano sul polso e lui mi guardò stranito. «Cosa vuoi fare?» Chiese incuriosito, sempre con lo stesso tono, ma non oppose resistenza quando cominciai a svolgergli le bende.
«Voglio provare a vedere se posso fare qualcosa».
«Non so se…»
«Per favore…»
«No, davvero». Ma avevo già afferrato i lembi della ferita e stavo già trasferendo la mia energia alla sua pelle. Vidi le mie dita illuminarsi d’oro. Lo stesso fenomeno accadde alla sua ferita. «Dark Resurrection». Mormorai. Poi, reggendogli il polso con l’altra, richiusi la ferita come se abbottonassi una camicia, ringraziando che fosse molto più superficiale del previsto. E, quando la luce si spense, restò una cicatrice rosea e sottile. Ripetei la stessa operazione anche con l’altra e, quando finii, le sue mani erano intrecciate alle mie. I nostri volti erano vicinissimi e i nostri respiri erano affannati, come se avessimo corso, invece che restare seduti. Eravamo confusi e inebetiti entrambi. Non era la prima volta che gli stavo vicino, ma così non era mai accaduto. Guardai le sue labbra, vicinissime alle mie e poi di nuovo le sue iridi che risplendevano di quello sguardo intenso.
Però il modo in cui ci eravamo incontrati tutti, mi ricordò che non era giusto. Non me la sentivo, non adesso che avevo ancora ben in mente tutto ciò. E, questo, era un ostacolo ancora più grande. Una macchia che m’impediva di provare a osare. Non finché non avessi ottenuto la mia giustizia. Kiki comprese, perché il suo sguardo si addolcì e disse, ritraendosi un po’: «Non ti preoccupare, Astrid». Poi sciolse la stretta, per spostarmi una ciocca dietro le orecchie, approfittandone per carezzarmi una guancia.
Ma nei suoi occhi lessi anche il dispiacere per questo qualcosa che non poteva esserci stato. Anche a me dispiaceva. Al di là di Odysseus, anche a me dispiaceva davvero. Non era una questione di sentimenti, ero sempre stata molto chiara e onesta con me stessa. Al liceo avevo avuto una conoscente che fece l’errore di fossilizzarsi su un ragazzo che era nella nostra stessa classe. La vidi struggersi giorno dopo giorno, perché tra le altre cose non era neanche corrisposta. Da allora decisi di non fare il suo errore. Quella non conosceva neanche il significato della parola divertirsi; era molto triste e solitaria. In compenso aveva un’immaginazione fervida come pochi, le mani di un’artista e un talento che io non avrei mai avuto. Mi facevo fare dei disegni bellissimi da lei. Lo facevo più che altro per non farla sentire troppo sola, non solo perché mi piacevano quei disegni. 
Ma finire in quello stato in cui verté per molto tempo, mi faceva orrore. Per questo non avrei avuto problemi a baciare Kiki o qualcun altro, sebbene la persona che amassi fosse Odysseus.
Guardai di nuovo la Cloth di Indus e cercai di tornare al discorso iniziale: «Sì, ma non so ancora che cosa volesse farci Neera con le Armature». Il mio amico sembrò ben felice di scrollarsi di dosso l’imbarazzo con questo cambio d’argomento e ribatté immediatamente: «Non ha detto niente? Di solito la fai uscire talmente tanto dai gangheri che sarebbe capace di urlarti qualsiasi cosa». Commentò. Che anche lui aveva assistito, nel corso di questi mesi alle ostilità tra me e la traditrice. Glielo ripetei e lui si accigliò: «Ma questo non è vero; la forza di un Saint non si misura dal grado e dal rango dell’Armatura e neanche deriva dall’Armatura stessa. Le Cloth ci proteggono e ci sostengono, incanalano le nostre energie e il nostro Cosmo, ma sicuramente non ci potenziano». Un esempio più che lampante erano proprio gli ex Bronze che lo stesso Kiki ammirava tanto. Lo capivo da come guardava i cinque fratelli. «La stessa cosa che mi disse Odysseus». Commentai tra me e me. «Quindi se ho capito bene il suo obiettivo ultimo erano le Gold Cloth, ma di quale?»
«Secondo me voleva quella di Aiolia, è il più forte tra di voi, ed era anche la più vicina alla sua portata, no?»
«Noi», mi corresse, «Però sì, ma non ne sarei più così sicuro».
«Perché?»
«Perché adesso la fratellanza dei Gold Saint è quasi del tutto riunita, se tu riuscissi a purificare Odysseus, potremmo riaverlo tra di noi oppure, se tu ereditassi la sua Armatura, automaticamente sarebbe quella la più potente di tutte». Osservò ragionevole; ma non lo pensavo. «La più potente di tutte non era quella di Atena?»
«Sì, ma è protetta con le unghie e coi denti dal Cosmo della Dea stessa, non riuscirà mai ad avvicinarsi a essa».
«Ma lei è una semidea». Gli feci notare e lui mi guardò sbalordito e allarmato. «Una semidea? Perché non ce l’hai detto subito?» A quel punto lo guardai confusa; mi era molto difficile capire quando mi leggeva nel pensiero e quando no. «Volevo pensarci da me, è compito mio proteggere le Cloth. L’ho già danneggiata ieri sera». Kiki sospirò e si strofinò la faccia con una mano. «Dovevi dirmelo subito invece! Ti rendi conto del pericolo in cui ti sei cacciata? Una semidea, per la miseria, ecco come mai è riuscita a camuffarsi così bene!»
«Kiki?» Si alzò di colpo e si scusò dicendo che doveva salire alla Tredicesima. E mi lasciò lì in compagnia delle Cloth.  
Perfetto, adesso con chi parlavo dei miei sospetti? Speravo che mi avesse aiutato a trovare una soluzione al rompicapo. Mi sa che mi sarei dovuta affidare al bloc notes un’altra volta. Per fortuna che l’avevo incorporato nel mio iPhone.
Mi spostai dall’officina e tornai in salotto, dove m’immersi nella riflessione più totale.
L’indomani sarei partita per Milos, non avevo molto tempo. Per non parlare del fatto che non sapevo dove fosse Neera e dove si stesse nascondendo il mio maestro. Se era vero quanto ipotizzato da Kiki, allora la Gold Cloth perduta era il suo bersaglio. Non credo che sarebbe stata così scema da mettersi contro la Dea stessa. Non ora che ce ne erano due e (si potrebbe dire) si tenevano d’occhio a vicenda. Era una semidea e percepiva il Cosmo assai meglio di me, era quasi impossibile che se lo fosse fatta sfuggire. Come anche che cercasse di attaccarmi, dal momento che sapeva che Yoshino era dalla mia parte. Quindi doveva per forza aver messo gli occhi addosso alla Cloth di Odysseus. Misi giù il telefono e sbuffai frustrata.  
Sicuro, sì, certo. Non faceva una piega, se si considera anche che non fosse neanche custodita, in quanto, il suo custode era tecnicamente morto, materialmente incerto e, la Cloth perduta. Per quel che ne sapevo, Odysseus non mi aveva mai detto dove aveva riposto la sua Cloth. Nei miei ricordi figurava già con quella indosso quando ci attaccarono i Ghost Saint e i Driadi. Invece nei ricordi più recenti datimi dalle Carte, lui non ne aveva avuto bisogno. Mi misi a gambe incrociate prendendomi le caviglie con una mano, spaventata dalle implicazioni di ciò. Era davvero così forte? Se era così non osavo immaginare gli Dèi stessi.
Ma se la Cloth di Odysseus era perduta, dove poteva essere finita? Riciclata come riserva di oricalco e altri materiali sostitutivi per Gold Cloth? Lo escludevo a priori, altrimenti Neera avrebbe ribaltato la Prima Casa con o senza la mia presenza. Anche se aveva detto chiaro e tondo che io non le interessavo.  
Reclinai il capo all’indietro sullo schienale e chiusi gli occhi. Improvvisamente, la voce del maestro mi contattò di nuovo. 
“Trovami”. Ebbi un flash di lui sotto il sole, che si girava verso di me, sorridendomi. Il colore biancastro delle montagne sullo sfondo. Conoscevo quella parete rocciosa ma non mi venne in mente dove potessi averla vista. “Perché?” Pensai, guardinga. Perché avrei dovuto dargli ascolto, adesso che avevo la conferma di ciò che sospettai all’inizio? Anche se ricongiungermi a lui era ciò che desideravo di più, ero perfettamente consapevole del pericolo che correvo se l’avessi fatto.  
Lo sentii sospirare, rassegnato: “Vorrei dirti che se verrai ti darò le risposte che cerchi, ma temo che sarebbe una bugia bella e buona” e la maschera di onestà che ostentava adesso no? Che poi era la stessa che poi ostentavo anch’io in certe situazioni, ma questo lo tenni per me. “La verità è che se vuoi evitare che la Dea corra un pericolo ancora maggiore, devi trovarmi”.
“Perché dovrei trovare te? Non sei un traditore?”
Lui non rispose subito. “Sì, ma sappiamo entrambi che se la Cloth finisce nelle mani sbagliate sarà anche peggio che affrontare me”.
“Tu sai a che reggimento, schiera, quello che è, appartiene Neera?”
“No, non riesco a riconoscere il suo tipo di Cosmo, mi dispiace.” Si scusò e, in quel momento, seppi che era sincero. “E, tu pensi che io rischierei la mia vita un’altra volta così?” Gli domandai, stringendomi nelle spalle, affondando le dita nella mia stessa carne e mordendomi il labbro, intimorita da me stessa e da lui. “Sì”.
“Perché?”
“Perché sei una brava persona e non lasceresti mai che i tuoi amici corrano dei pericoli”. Rispose, ma non riuscii a capire se si trattasse di un complimento o una minaccia. Per quel che ne sapevo potevano essere entrambe, sebbene avesse scandito quelle parole con fierezza. Se da un lato mi lusingò, dall’altra mi fece maledire il mio cuore tenero. “Se qualcosa della mia allieva è rimasto, allora ti prego di rispondere alla mia richiesta di aiuto”. Aggiunse poi, dopo un sospiro, in tono rassegnato. “Se non vorrai farlo, io lo capirò; nonostante l’alta posta in gioco”. 
Evidentemente Odysseus era rimasto un po’indietro, dal momento che anch’io avevo dei piani per il Santuario. Piani più terreni, certo, ma ce li avevo anch’io. Disgraziatamente, stavano raggiungendo il fondo della lista delle mie priorità. Masticai qualche imprecazione ai danni del sistema politico italiano. “D’accordo, come ti trovo?”
Ma a questa domanda non rispose. Aveva chiuso le comunicazioni. A questo punto le imprecazioni le urlai a gran voce e le mura di questo posto mi rimandarono la mia eco. Ringhiai come una fiera per la frustrazione. Accidenti a lui e ai suoi ricatti. 
Poi mi alzai e uscii nel giardino della Prima, che somigliava di nuovo alla visione che avevo di Shangri-La; come prima dell’attacco della Dea della Discordia.
Mi posi le mani sui fianchi e sbuffai. Dopodiché feci un bel respiro profondo, chiusi gli occhi e chiamai a me i serpenti. I quali accorsero immediatamente al mio richiamo. Uno di loro, sollevò la testa squamata e mi domandò cosa volessi, quando mi riconobbe come la giovane che tempo prima li calmò e li rimandò alle loro tane. «Il vostro aiuto, devo trovare la Cloth di Odysseus di Ophiuchus, voi siete i suoi custodi e i suoi messaggeri, vi prego di indicarmi la sua ubicazione».
«Anche se conosci la lingua dei serpenti e sentiamo in te lo stesso sangue della persona più sacra del Santuario, non vedo perché dovremmo aiutarti. Il nostro compito è proteggere quella Cloth, non ci è mai stato ordinato di condurre un Saint alla sua ubicazione, anche se fosse il suo successore».
«Non intendo indossarla», puntualizzai e gli spiegai la situazione. Il serpente mi ascoltò attentamente, dopodiché mi lasciò un indovinello: «Solo chi ha il sangue di Odysseus ne sente il richiamo, ascoltalo e lo troverai». Poi se ne andò e gli altri serpenti lo seguirono, prima che avessi il tempo di richiamarli e fermarli. «Aspettate…» Ma era troppo tardi, erano già spariti.
E, adesso? Adesso avevo altre domande e ancora meno risposte. Stava davvero cercando la Cloth del mio maestro o era solo un ennesimo trucco? E poi, dove aveva messo la Cloth della Carena? Perché quella era uno dei Pilastri delle Cloth assieme alla Chioma di Berenice, la Lince e il Triangolo. Neera era quasi impossibile da capire, per me, faceva le cose a caso e senza nesso logico, altrimenti si sarebbe conquistata una seconda cloth d’argento invece che una di bronzo. A meno che non conoscesse effettivamente la gerarchia tra Silver e Bronze e, di conseguenza, non sapesse riconoscerli. Ecco, questo aveva un senso. Ma va a capire le Divinità e la loro progenie semidivina, ti pare che quelle avevano lo stesso modo di ragionare degli esseri umani? Certo che no, sarebbe stato impossibile. L’unica scelta che avevo era l’indovinello lasciatomi dal serpente.

Non sapevo più dove sbattere la testa. Mi ero scervellata tutto il tempo e non era servito a niente, se non a farmi venire l’emicrania. Verso l’ora di cena mi recai alla Seconda. Kiki non era ancora tornato, il Grande Mur e il Venerabile Shion si erano volatilizzati e io non me la sentivo di passare da sola questa sera. Anche se proprio sola non ero, se si contavano le corazze.
Sarei voluta scendere in infermeria a trovare Lythos, che, avevo saputo, era stata ricoverata a causa delle ferite che aveva riportato. Mi sentii due volte in colpa per Aiolia, che adesso stava rientrando alle Dodici Case. Non bastava Galan, adesso ci mancava anche Lythos. Anche se era in debito con me, non ero riuscita a proteggere come si deve la sua famiglia. E, questo, lo sentivo che gli bruciava moltissimo.
Bussai agli appartamenti privati di Aldebaran e Shaina. E ad aprirmi fu Yoshino. La quale spalancò gli occhi purpurei per la sorpresa di trovarmi qui. «Astrid».
«Ciao». La mia amica mi abbracciò e mi si mozzò il fiato. Sebbene fosse molto più bassa di me, questa reazione non me l’aspettavo proprio. «Meno male che stai bene, ero così in pensiero».
Ricambiai la stretta: «Sì, sto bene, ero solo esausta». Lei si discostò da me e domandò: «Come mai sei qui?»
«Sono… Non volevo restare sola, stanotte, domani come sai parto e la Prima è deserta. Oh, state per mettervi a mangiare. Scusami per il disturbo, me ne torno alla Prima». Dissi, captando l’odore di cibo ai fornelli.
«Ma no, Astrid, non…»
«Yoshino?» La chiamò Shaina comparendo nel vestibolo, solo dopo si accorse di me e mi salutò. E, fu allora che mi venne in mente: «Shaina, posso parlarti da sola, per favore? É importante».
A questa formula non poté esimersi dall’ascoltarmi: «Ma certo, Yoshino, vai ad aiutare tuo padre».
«D’accordo». Acconsentì preoccupata e ci lasciò sole. La seguimmo con lo sguardo finché non scomparve alla vista. Poi lei tornò a guardarmi. Si era tolta la maschera per parlarmi apposta. «Cosa volevi dirmi?» Le spiegai quello che avevo compreso dal mio colloquio con Odysseus e i serpenti. Mi guardò spaventata a morte. «Astrid, ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo?»
«Sì e, credimi, se lo sapessi, non te lo chiederei». Ribattei. In quanto suo successore, era quanto più vicino ci potesse essere al suo sangue. Ma lei era restia a parlarne e, io cominciavo a nutrire dei dubbi sulla mia congettura. Forse non era una linea di sangue intesa come una successione di Armature. Capii che non avrei cavato un ragno dal buco, perciò, la ringraziai e, dopo averle promesso che non mi sarei cacciata nei guai, andai. Non prima di averle detto di salutarmi Yoshino e che non mi sarei fermata a cena. Avrei mangiato qualcosa alla Prima, tanto la  dispensa era piena. Ma lei mi richiamò e mi disse che ci teneva a ringraziarmi. «Per cosa?» Domandai spiazzata; non riuscivo proprio a capire di che cosa stesse parlando.
«Per averci aiutati, con Odysseus e Lancelot».
«Di nulla».
«Lo sapevi già?» Chiese, incuriosita dalla mia reazione tiepida, manifestando una nota di sospetto nella voce. Alzai le spalle, «Di Lancelot? Avevo già dei sospetti, non mi è mai stato particolarmente simpatico. Buonasera, Shaina».
Quella notte sognai di trovarmi nel labirinto di Cnosso. Sentivo alle mie spalle dei muggiti furiosi. Avevo paura, avevo paura di trovarmi di fronte al Minotauro. Lo avevo già evitato altre volte, ma sentivo che era vicino. Sentivo il pavimento rimbombare a ogni suo passo. Il cuore sembrava scoppiarmi in petto. Poi, tra le mie mani, comparve un filo d’oro. Un lunghissimo filo dorato che percorreva tutto il labirinto. Mi alzai e lo seguii, arrotolandolo man mano come un gomitolo prezioso, tra le mie mani. «Trovami, tu sai dove sono, Astrid». Ripeté la voce di Odysseus. Improvvisamente lo vidi davanti a me, in mezzo a tutti i fili che partivano da lui e si abbarbicavano per ogni dove, stavano cominciando a gocciolare, come se fossero stati tinti da poco o come se… Guardai le mie mani e scoprii i miei polsi squarciati e insanguinati grondare sangue d’oro.
Balzai a sedere di scatto ansimando per la paura e mi guardai i polsi, ancora intatti. Era stato un sogno. Proprio allora sentii dei passi nel corridoio e la voce di Milo chiamarmi: «Astrid? Ci sei? È ora, dobbiamo andare!»
Sussultai. Piattola!

Accidenti, avevo dormito troppo. Mi alzai e mi recai alla finestra che aprii mentre lui si avvicinava al soggiorno, continuando a chiamarmi. Scavalcai il davanzale e atterrai sul sentiero dei servi. Mi guardai indietro per controllare che non mi avesse visto. Poi corsi via. Risalendo il sentiero dei servi. Avevo capito dove dovevo andare.
«Trovami, tu sai dove sono». Aveva detto Odysseus. Come potevo essere stata così idiota?

A livello inconscio mi ricordavo che in questo posto si trovava la tomba del mio maestro. Quelle volte che ero stata al cimitero l’avevo cercata ma ero stata un’imbecille. La sua vera sepoltura non era lì, era nello spiazzo tra l’Ottava e la Nona. «Trovami, tu sai dove sono». Aveva detto e io non potevo perdere più tempo.

Milo ormai doveva aver capito che me l’ero data a gambe dalla finestra, dovevo agire ancora più in fretta.
Non potevo perdere quest’appuntamento. Odysseus mi aspettava alla sua Casa ma sentivo che non era il caso che andassi. Sentivo che qualcuno si stava aggirando nel luogo dove un tempo sorgeva il Tempio di Ophiuchus. Il Cosmo di una persona che in quel momento doveva essere scomparsa.
Mollai immediatamente lo zaino a terra e risalii le scalinate di corsa.  
Avevo ragione allora. E anche Neera lo aveva capito. Sicuramente anche lei si era recata lì! E, infatti, quando arrivai (dopo essermi nascosta un paio di volte dalla Piattola e le guardie sfruttando gli anfratti di questo posto), la vidi mentre rovistava tra le rovine del Tempio con l’aiuto di una pala. Nessuno se ne era accorto a causa della tecnica di Lancelot, la mefitica acqua del lago che scorreva tutto attorno apriva una breccia nel piano astrale. Ma io non ero nuova a tutto ciò. Perciò riuscii a entrare.
«Ehi, tu!» Urlai adirata. Lei sussultò e si volse di scatto verso di me e fece per scappare ma le bloccai la strada e lei fu costretta a saltare indietro e sbottare, esasperata: «Non è possibile! Ancora tu!»
«Cosa vuoi fare alla tomba del mio maestro?»
«Il tuo maestro? Ah, non farmi ridere! Una poveraccia come te non può avere maestri!»  Mi schernì, nonostante avesse già avuto una prova più che concreta della mia effettiva forza e della veridicità delle mie parole.  Per tutta risposta il mio Cosmo cominciò a ribollire increspando l’aria attorno a me. Come osava? «Vattene via da lì! Ti avverto Neera, non mi contraddire!» Minacciai di nuovo stringendo i pugni.
«Altrimenti che mi fai? Mi leggi la mano? Distruggerai un’altra Casa? Sai che paura. Dici di avere tanto potere ma non lo usi neanche, sei patetica, secondo me non è vero niente». Mi provocò, forse dimentica di quello che ero davvero in grado di fare. Forse era il caso che glielo ricordassi. Mi connettei immediatamente al Cosmo e materializzai un falcione di Cosmo dorato. L’ira dentro di me andò intensificandosi e bruciare più violentemente come una fiamma che s’innalza verso il cielo e si trasforma in un incendio. La Silver Saint traditrice sussultò.
«Te lo ripeto ancora una volta, oca giuliva, togliti da lì!»
Si raddrizzò immediatamente sull’attenti. Funzionava ancora, allora! «Oca giuliva a chi?» Ribatté piccata girando il volto mascherato verso di me. Per fortuna che bastava ancora fare leva sul suo orgoglio per catturarla. Il problema era che non sapevo che razza di bestia avessi catturato e, in questo momento, tutto mi sembrava fuorché un innocuo topolino.
Repressi la paura e ordinai, tendendo l’indice verso di lei: «Scendi immediatamente o ti distruggo!»
«Tu che vuoi distruggere me? Va bene, ragazzina, vediamo se ci riesci».
Le mie mani si illuminarono e le alzai per mettermi in posizione come mi aveva insegnato il maestro. Il bastone puntato verso di lei. Anche se era buio e, per me percepire il Cosmo era ancora complicato, potevo avvalermi della mia visuale sulle sua costellazione. La Carena. Totalmente diversa da quella che aveva appena conquistato.

Proprio come il Bronze Saint della Mensa aveva sospettato.
Lanciò un grido di battaglia e mi si avventò addosso. Non la vidi neanche arrivare che fui già piegata da due poderosi colpi nell’addome e da tre di taglio sul collo che mi fecero cadere bocconi al suolo. «Cosa, vorresti, farmi, tu?» Mi domandò, sottolineando ogni parola con un colpo. «Stupida - ragazzina - insolente. Ti - faccio - passare - io - la - voglia - di - spiarmi!» Ciò detto mi lanciò il suo attacco e fui scagliata di schiena contro una roccia che una volta facevano parte del frontone del Tempio Maledetto. Mi ritrovai senza fiato e con la schiena dolorante ad accasciarmi al suolo. Mentre la spina dorsale mi faceva un male cane, mi arrivò un  calcio nell’addome che mi piegò in due e mi fece gemere di dolore.
«Chi ti credi di essere, eh? Sei solo una miserabile ancella, tu. Ecco la verità! Non è vero niente che sei l’apprendista del Cavaliere d’Oro di Ophiuchus. Non puoi competere con una Marine».
Strabuzzai gli occhi ma non ebbi il tempo di fare altro che mi tempestò ancora e ancora. Quasi persi i sensi a causa del dolore e delle botte ma mi impuntai con tutte le mie forze per non svenire. Poi smise e si allontanò schioccando la lingua contro il palato: «Patetico».
Se credeva che questo sarebbe bastato a fermarmi si sbagliava. Mi sforzai di rialzarmi e ricorsi all’Anesthesia per cancellare il dolore e alla Dark Resurrection per rigenerarmi, snebbiandomi anche il cervello.
Una Marine, ecco a cosa corrispondeva la luce azzurra, alle Scale dei Marine di Poseidone. Lo sapevo che non dovevamo fidarci di lei.
Saltò di masso in rovina per tornare all’opera. «No», mormorai stringendomi la carne sopra lo stomaco. Gli occhi pieni di lacrime e qualcosa di caldo e denso che mi colava tra i capelli. La tomba del mio maestro… No. Non la doveva toccare. Non poteva profanarla. Non poteva. Nessuno doveva toccarla. Il solo pensiero di quella lì che rovistava nella terra sacra e cercava le spoglie fisiche del mio maestro mi mandò in bestia. La furia annichilì i resti del dolore, come una bomba distrugge una città. Il mio Cosmo esplose attorno a me. «Non lo toccare!» Ringhiai. Poi, più forte. «Non lo devi toccare!» E, spostando le braccia, posai i palmi a terra e, a scatti, riuscii a raddrizzarmi e tornare in piedi. Feci forza sulle gambe per non perdere l’equilibrio e mi girai di nuovo verso di lei. Che, nel frattempo, si era fermata e mi stava guardando da dietro l’inespressiva maschera d’argento che indossava. Grazie ai bracieri accesi sulle colonne riuscii a vedere la mia ombra proiettata sulla parete rocciosa dietro di lei.

Strinsi i pugni e le mani si illuminarono. «Mi hai sentito? Giù le mani dalla tomba del mio maestro!» Urlai e mossi il braccio come a darle una ciaffata con le dita contratte. Come se avessi gli artigli di luce, tracciai un percorso fino a lei.
Neera saltò via e il colpo s’infranse su parte del frontone e della parete rocciosa, lasciando profondi segni orizzontali. Qualche sasso e della polvere franò dai segni lasciati dal mio colpo.
Lei atterrò su un’altra roccia, il petto che si alzava e si abbassava velocemente. Poi si lanciò all’attacco e io, sempre muovendo le dita, la catturai. Lei si ritrovò in balia della luce che usciva dalle mie dita come fili o corde di arpa e a essere spiaccicata contro la roccia un’altra volta.
Il cuore mi batteva fortissimo ed ero sporca e il corpo stava già cominciando a versare gocce di sudore che si andarono a mescolare al sangue.
Lei si girò verso di me, spiaccicandosi contro la parete rocciosa. «Com’è possibile? Credevo di averti ucciso, da dove hai tratto tutta questa forza?»
«Non m’importa niente di dove l’ho tirata fuori! Vattene immediatamente, se vuoi ancora vivere! Io non sono Shun di Virgo e non ho remore a ucciderti, hai capito?» Urlai raddrizzandomi ringraziando i frammenti della gonna lunga che nascondevano almeno in parte le mie gambe tremanti. I pugni ancora luccicanti contratti e il mio Cosmo che illuminava come una fiamma la zona circostante. 
«No, io non me ne vado! Non prima di aver trovato il tesoro!»
«Di che tesoro stai parlando? Cosa ti fa pensare che sia sepolto qui?» Le urlai.
«Il Cavaliere d’Oro d’Ophiuchus era il Saint più potente di tutti, persino più dei Cavalieri della Vergine e dei Gemelli messi insieme. E’ovvio che sia nascosto qui, in un luogo maledetto. Anch’io, se fossi un pirata, ce lo nasconderei». Spiegò alzandosi in piedi, tenendosi la spalla ferita. La maschera scheggiata in più punti.
«Balle! Vattene via! Non te lo ripeterò una seconda volta!» Esclamai.
«Io non me ne vado, semmai vattene tu, non ho tempo per giocare con una contaballe come te. Tu hai messo piede al Santuario solo un anno fa! Prima non sapevi neanche che esistesse! E, ora, pretendi addirittura, che il defunto Gold Saint d’Ophiuchus fosse il tuo maestro? Ah». Scoppiò in una sonora risata. Poi disse: «Non male i colpi di prima, ma non sono niente, sono solo le carezze di una bambina che gioca. Guarda qui, questo è un vero colpo!» Urlò il nome del suo attacco e me lo lanciò.
Fui colpita in più punti senza neanche vederli arrivare. E, presto, mi ritrovai bocconi e coperta di sangue. «Spero che ti sia servita da lezione». Lei si volse di nuovo e fece per andarsene ma io, grazie all’adrenalina e all’Anesthesia, fui più veloce e le afferrai α Carinae, la stella più importante della sua costellazione.

Lei si fermò sussultando come se le avessi infilato una mano in una ferita aperta. 
«Ti ho detto di lasciar stare il mio maestro!» Ripetei, con la bocca piena di sangue e, forse, qualche dente rotto che la Dark Resurrection aggiustò all’istante.
«Lasciami subito andare!»
«No!»
«Ti ho detto di lasciarmi!» Poi, espanse il suo Cosmo ma anche questo non bastò. Era vero che avevo il potere di rigenerare le stelle, come quella che avevo in mano, ma qui rigenerarle non bastava, anzi, non serviva proprio. Eppure, proprio questo mi dette un’idea. “Se le posso rigenerare, allora le posso anche cancellare”. La luce che permeava le mie dita cambiò, passando da argentata a un colore lattiginoso e smorto.

«Cosa fai?» Domandò lei, spaventata da quella nuova luminosità.

Non risposi e, continuando a guardala dritto negli occhi della maschera, strinsi la stella nella mia mano e quella venne dissolta, mentre l’energia mi entrò nelle vene. Tutte le altre furono attirate dalla mia mano e ne risucchiai l’energia.

Lei si fermò immediatamente, gli occhi sgranati e il fiato improvvisamente mozzato e corto. Non le lasciai scampo.
Con le sue ultime forze mi lanciò il suo attacco: «Sperone della Carena!» Rivelandosi per ciò che era davvero. Non feci in tempo a spostarmi. L’ultima cosa che vidi fu il muro di luce che si abbatté su di me, cancellando ogni cosa.


Aiolia

La notizia della morte di Astrid aveva gettato il Santuario nello sconforto più totale.
La sensazione che si respirava nell’atmosfera era di annichilimento più totale.  
Il cimitero del Santuario era più spoglio di altri periodi. La prima volta che ci avevi messo piede era a quattro anni, poco tempo prima che tuo fratello partisse per la missione in Egitto, dove incontrasti l’archeologa Miko Hasegawa. A volte tuo fratello si distraeva e tu ne approfittavi per sgattaiolare via. Allora non avevi idea di che cosa ci fosse nel Santuario, a parte le rocce dove ti allenava, la Casa del Sagittario e le altre Dodici Case, tu non conoscevi granché. Anche le interazioni coi tuoi compagni, prima dei cinque anni, non ce le avevi avute, eccezion fatta per Saga.
Ricordavi persino che era una giornata di maggio più bella di questa, ma quando si è bambini, un po’tutte le giornate ti sembrano belle, anche se la tua infanzia era durata pochissimo. Quel giorno avevi scoperto quel bellissimo prato fiorito.
Non immaginavi che quel posto, in realtà fosse il cimitero. E l’avevi scoperto, solo quando avevi trovato la prima lapide. Ma non ti eri spaventato, non subito, la paura era venuta dopo, quando tuo fratello era venuto a cercarti tutto spaventato. E, quando avevi realizzato, eri scoppiato a piangere a dirotto.
Astrid non avrebbe mai avuto una lapide qui. Il suo nome non sarebbe mai spiccato assieme ai vostri e a quelli dei vostri predecessori in questa terra brulla. Che era dai tempi della dominazione di Mars che non era più rifiorita. Non potevate neanche farle il funerale, nessuno avrebbe pianto la scomparsa di un Cavaliere senza costellazione. Ma anche qui il destino era beffardo, perché ti avevano detto che lei era nata il trenta novembre, proprio come Aiolos. Ma lei con Aiolos a parte la data di nascita non aveva in comune niente. Avresti almeno potuto trattarla più cortesemente di così e, invece, fin da subito, eri stato sgarbato con lei. Perché non ti eri fidato, invece, avresti dovuto. Per quanto stronza potesse essere (per prendere in prestito un termine a Death Mask) era pur sempre una donna. Meritava il rispetto che le dovevi in quanto tale. Lei, in fondo, aveva chiesto solo questo. Ti aveva sorpreso non poco quando ti si era rivoltata come una biscia, la notte dell’assedio di Eris. Anche la sua combattività, la sua tenacia e la sua intelligenza ti avevano sorpreso. Quasi l’ammiravi, anche se, non capivi lo stesso le sue mosse e le sue scelte. L’avevi riportata con te soltanto per la ClothStone, non ti saresti aspettato che a seguito di ciò avesse deciso di restare in pianta stabile con i risultati che tutti conoscevate.
Tu eri sempre stato il primo a darle contro, ma a chi urlavi davvero? Chi era che fulminavi veramente con lo sguardo? Avevi visto in lei una traditrice dove il tradimento neanche c’era, avevi insinuato un’affiliazione con gli Specter che neanche esisteva. Un vero traditore non ti avrebbe mai salvato dalle Creature, né durante quella notte di gennaio, né quella al cimitero monumentale. Non si sarebbe sacrificato a questo modo per salvare tua sorella (anche se avresti potuto salvarla anche da solo); né avrebbe impedito a Neera di impossessarsi della Cloth di Odysseus.
Finalmente c’eri arrivato anche tu.  
Che da quando si era dimostrata capace di manovrare le Cloth, avevi cercato di proteggere i tuoi cari da lei, soprattutto Seiya, che vedevi alla stregua di un fratellino minore. Anche se lui non si era mai avvicinato più del dovuto, se non dal ritorno della sua ultima missione.  
Ti aveva raccontato che cosa fosse successo, quello che non sapevate era che aveva giurato a sé stesso di tenere d’occhio quella sfortunata ragazza, dalla morte della madre. Ma ora… non s’era mai sentito neanche lui così disperato. Neppure quando la Divina Atena si uccise per poter entrare nel Regno dei Morti. «Sono un eroe, ma a cosa mi serve se non posso salvare tutti?» Domandò più a sé stesso che a te, quando gli avevi parlato. Vedersi morire davanti una donna era stato scioccante per lui.  Eppure non era la prima volta che una donna cercava di difenderlo. Shaina recava ancora la cicatrice del tuo colpo sulle scapole e quella della freccia d’oro di Sagitter. Cosa aveva avuto di diverso la madre di Astrid da annientare a questo modo tutta la sua giovialità? Ma, questo non glielo avevi chiesto. 
Ti eri limitato a restargli vicino.
Ma passare dall’Ottava e la Nona adesso ti creava ancora più problemi. Ti sforzasti di focalizzarti sul problema principale. Perché ora dovevate cercare Neera.  

  
Saga
Ti girasti nel tuo letto, nella Terza Casa.
Ancora non ci credevi che Astrid fosse morta a quel modo. Non dopo quello che avevate scoperto. Avevate perso l’unica persona capace di usare le tecniche perdute del Santo d’Oro di Ophiuchus e una possibile consorella. Nonché colei che avrebbe potuto liberarti definitivamente del tuo demone. No, non demone, malattia.
La prima donna Gold Saint di una rosa che contava solo uomini da generazioni. Non perché ci fosse una regola specifica, ma più per consuetudine. Vero che i precedenti Gran Sacerdoti non nutrivano fiducia nelle capacità delle donne, ma solo perché c’erano le Saintia e, perché, le Silver e le Bronze Saint, non si erano mai dimostrate capaci di raggiungere il Settimo Senso.    
Dovevi solo sentirti lieto del fatto che avesse vissuto tra voi, anche se, per un tempo limitato. E lo eri, tu l’avevi conosciuta e, ti stava simpatica. Che motivi avevi perché non dovesse essere così? Nessuno. Le cose erano cambiate da quando Kanon ti assegnò il compito di farle da guardia del corpo.
A dispetto dell’incazzatura più che giustificata di quello che si poté considerare il vostro vero incontro, lei aveva cercato di aiutarti davvero. E, questo nessuno l’aveva fatto. Appena appena la Dea, ma oltre lei nessun altro, neanche il tuo gemello.  
Cosa potevi fare per renderle l’onore che meritava e per non vanificare il suo sacrificio? Lei si era messa più volte in pericolo per difendervi. Come un vero Saint. E, tu? Cosa avevi fatto davvero?
Sì, a parte durante la Titanomachia, negli Inferi e ad Asgard, e in Giappone, cosa aveva avevi fatto davvero?
Ben poco, in realtà. Oh, se solo tu non avessi avuto anche questo stra maledetto alter ego.
Ti recasti al cimitero alla tomba di Aiolos e, lì, trovasti una persona, che proprio non ti saresti aspettato di vedere: l’ex Pontefice. Il quale, ti salutò tranquillamente, tu ricambiasti, impacciato.
E, lui, con uno strano sorriso forzato in volto, ti parlò del tempo, tanto per fare conversazione e sentirsi meno a disagio. Ma era inutile continuare a girarci intorno, perciò, a un certo punto gli domandasti: «C’è una cosa che volevo sapere».
«Dimmi pure, Saga». Disse il Venerabile Shion, con calma e serietà. Anche se non poteva vederti e, anche se sembrava tranquillo, sapevi che era pronto a difendersi, stavolta. Il Venerabile apparteneva a quella categoria di persone difficili da gabbare più di due volte. L’unico altro che ci riuscì fu l’incarnazione precedente di Rune di Barlog. Non avresti saputo dire se la Notte degli Inganni cadde proprio per mano tua o se fu volere del Destino. Probabilmente anche questa domanda non avrebbe mai trovato risposta.
Ma forse, la domanda che gli avresti posto adesso, sì. «Era solo per via di Arles che non mi sceglieste come vostro successore?»
L’uomo non rispose, se possibile, divenne persino più immobile.
«Scusate, non avrei dovuto rinvangare il passato, scusatemi davvero, vi ho tediato anche troppo, sarà meglio che vada…» Avevi appena fatto due passi che la voce dell’ex Pontefice ti fermò: «Non è stato solo quello, Saga». Ti fermasti. L’ex Gran Sacerdote continuò: «Tu saresti stato un ottimo reggente, se non fosse che dimentichi sempre un piccolo particolare».
«Quale?»
«Il compito principale del Gran Sacerdote, non è comandare le truppe, è aiutare l’incarnazione di Atena a crescere, come un padre fa con il proprio figlio. Il Gran Sacerdote è colui che La deve proteggere più di ogni altro. E’ l’unico uomo a cui è concesso essere vicino al suo cuore, spronarla quando il coraggio le viene meno e infonderle speranza quando di speranza non c’è. Io l’ho capito vedendo lo sguardo che il vecchio Sage rivolgeva a Sasha. Adesso capisci perché scelsi Aiolos?»
Perché tu non sorridevi più da un pezzo. Solo circondato dai cittadini di Rodorio, infilato nella tua Armatura d’Oro sorridevi. Ma era un sorriso che non contagiava gli occhi, triste. Sebbene tu fossi molto amato dal popolo e stimato dagli altri Saint, tu eri felice quando eri circondato dalle persone. E ti domandavi perché Kanon fosse impazzito, se le cose fossero andate diversamente anche lui avrebbe potuto ricevere quell’amore.
Un sorriso divertito ti curvò la bocca: ma che diavolo andavi a pensare? A Kanon del popolo non era mai importato un fico secco. Anche ora le cose non erano diverse, eri tu quello che smaniavi per avere l’amore delle persone. Lui no.    
Ma avevi lasciato che l’orgoglio prendesse il sopravvento e ti eri convinto di essere un Dio in carne e ossa. E il tuo sbaglio era stato proprio qui. Carne e ossa. Eppure, nei tuoi ricordi, nessuno dei cittadini di Rodorio ti aveva mai chiamato così. Invocavano per te le benedizioni, quasi che presentissero la fine che avresti fatto.
Ma non per augurartelo, ma per salvarti. Quasi che, inconsciamente, fossero sicuri che loro non avrebbero mai potuto preservarti da questo tormento.   
Arles incarnava davvero tutto ciò che tu, nella tua immensa bontà, avevi messo da parte in nome della tua Armatura d’Oro e del Grande Tempio. La delusione e la rabbia, soprattutto la rabbia, che portò Arles a prendere pieno possesso di te, quella fatidica notte.
Oh, se niente sarebbe successo, probabilmente non avresti stretto la mano al demonio e Arles aveva preso il tuo corpo.
«Tu eri più bravo a dirigere i Saint che a ricordare alla Dea di essere paziente con gli uomini, di essere sensibile e di buon cuore. Perché quello che tutti i Saint vogliono, è stare con Lei. E’ questo il compito principale del Gran Sacerdote».
A quel punto sentisti le lacrime rigarti il volto. «Mi dispiace, Sommo Shion». Mormorasti. Era stato tutto un equivoco. Ma aveva ragione. Nel tuo animo, per quanto nobile e nella tua testa, non c’era spazio per la dolcezza.
Ormai eri un essere mosso solo dai sensi di colpa e dalla solitudine. Oh, se sentivi il bisogno di essere amato, di poter di nuovo guardare in faccia le persone e vedere che sorridevano per te. Non per cortesia o perché avevano paura di te, memori delle azioni di Arles.
Atena ti aveva già perdonato permettendoti di far evolvere il Gold Cloth, ma ti sentivi ancora un reietto. Perché tu rinnegavi te stesso per ogni cosa.
“Andiamo, Saga!”
“Aiolos, dopo tutto quello che è successo vuoi ancora che combattiamo insieme?”
Lui ti aveva sorriso e aveva confermato, determinato: “Sì”. 
“Sarebbe un onore combattere con te”. Ma questo non eri sicuro se fosse uscita dalla tua bocca o dalla sua. 
Di solito a quel punto i pensieri indugiavano su Aiolos, ma oggi presero una direzione completamente diversa. Per la prima volta abbracciarono anche i tuoi compagni. Come avevi fatto a non capire che loro non ti avevano mai abbandonato, seppure a modo loro? In quel momento ti tornarono in mente le parole di Astrid. “Hai capito i Gold? Dovresti essere felice di avere dei compagni come loro”. Quella mattina eri troppo rintronato dalle botte e troppo stupito per accorgerti che, dietro a quelle parole, Astrid intendeva dire: «Visto quanta gente vuole aiutarti?»   
Lei stessa, facendo così, ti stava già aiutando. Un’altra persona che stava spezzando la maledizione di Crono. Adesso vedevi il continuo del sogno che avevi fatto. I tuoi confratelli più Astrid, tendevano tutti una mano verso di te, chiamandoti. Ora tu dovevi afferrare quelle mani e rispondere al loro richiamo.
Ma la verità era che tu eri il Gold Saint che se la cavava sempre da solo, che «non necessitava l’aiuto di nessuno, benché meno da una donna.» come disse Death Mask quando fosti richiamato alla vita da Eris, decadi or sono. Ma ora i tempi erano cambiati, forse era il caso di adeguarsi. Sì, forse, ma prima c’era una cosa ancora più importante da fare.
«Sommo Shion, c’è una cosa che vorrei che faceste, se non vi è di troppo disturbo».
«Quale, figliolo?»
Ti inginocchiasti a lui, come quando eravate ancora nella Sala delle Udienze alla Tredicesima. «Vorrei sottostare al rito di purificazione, vi prego». Come in passato lo stesso Apollo fece più volte, per levarsi l’onta dei propri peccati. Era un rito antico, ma ne sentivi la necessità, per cominciare a tornare almeno un po’ più sereno.
La tua scelta l’avevi già fatta e, ti dispiaceva per Astrid, ma il Santuario era più importante.
E sperasti ardentemente che l’ex Pontefice acconsentisse.
Di abluzioni sacre ne avevi fatte tante quando reggevi (“Usurpavi” ti correggesti) il Santuario. Erano riti di purificazione veri e propri, ma per te avevano perduto di valore da tanto tempo a causa della Bestia che albergava in te e che Astrid e le medicine avevano relegato da una parte. Le mani che avevi usato per sollevare l’acqua che poi ti versavi sul capo erano sporche di sangue. Se in quei momenti chiudevi gli occhi, era più per non vedere il sangue sulle tue mani che per l’acqua che poteva finirti negli occhi.
Invece, se qualche soldato voleva farsi purificare da te, tu glielo concedevi, sia come Gran Sacerdote, ma, soprattutto, come Cavaliere dei Gemelli. Ogni Gold Saint poteva purificare qualcuno. Ma quello che più cercavi era il perdono del Venerabile. Dopotutto, era lui che, assieme ad Aiolos aveva pagato lo scotto della tua debolezza.
Esistevano numerosi riti purificatori che erano sopravvissuti nel corso della Storia. Quello che avrebbe officiato il Venerabile Shion alla vista della Divina era quello espiatorio. Quello cui ti saresti sottoposto, serviva a mondare il tuo spirito. Benché fossi di nuovo nella luce, volevi sentitici appieno, esattamente come prima.
Il Venerabile Shion ti si accostò e posò le mani sulle tue spalle. Mani fredde, dure, metalliche e artificiali. Mani estranee che con quelle che ricordavi non avevano niente a che vedere: «E sia». Acconsentì.
Il rito che dovevi fare era più articolato di quanto sembrasse, sarebbe stato un vero e proprio percorso di rinascita. Un percorso che ti avrebbe condotto nelle campagne greche e, che avresti dovuto portare a termine entro l’alba del settimo giorno dalla tua partenza.
Quando eri ancora un giovane cadetto non avresti mai pensato che tu, sì, proprio tu, avresti finito per sottostare a questo rito.
Chiunque poteva officiarlo, bastava solo che il penitente avesse la benedizione di Dodici Cavalieri d’Oro. Anche se all’appello mancava Death Mask, avevate ancora Sirrah e, fu quest’ultimo, infatti, a presenziare a nome della Casa del Cancro.
I tuoi compagni, quando lo seppero, non ti dissero niente, neanche i più polemici emisero un fiato. Anzi, capirono perfettamente i motivi per cui volevi espiare.
Per questo
E, tu, piccolo uomo, che avevi visto giovani soldati in pena, perseguitati dalla Furia delle Erinni, non eri da meno. Però, nel tuo caso, più che Erinni, erano Eumenidi, a te che mai avrebbero potuto fare di così tremendo che non ti eri già inflitto a te stesso? Infatti, era come se ti osservassero, ti seguissero a volo di corvo, quasi vegliando su di te, invece che il contrario.
E, così partivi con la tristezza nel cuore al tramonto, lasciandoti alle spalle il bianco Santuario della Dea come un Cavaliere Medievale. Ma nessuno di te avrebbe mai cantato le gesta, tranne me, s’intende.
Non come Odisseo la tua natia Itaca lasciasti, poiché in Grecia ancora camminavi. Ma la legge, il rito che seguivi ti imponeva solo una borsa, una tunica come quella di tuo fratello prima di diventare Pontefice e, dei calzari. In questo caso, anche dei documenti e un portafogli. Perché sì, tu non avresti fatto questo viaggio nella tua forma animale, bensì in quella umana.
Nessuno ti avrebbe torto un solo capello, dal momento che portavi la tenia del peccato allacciata in fronte. Il vecchio Shion si era ferito un’altra volta per lordarla del suo sangue e far sì che tu potessi sentire, ora più che mai, tutto il peso del tuo peccato. Perciò, se qualcuno si fosse messo sulle tue tracce con l’ordine di ucciderti, vedendo la tenia ti avrebbe risparmiato.
Anche Kanon lo sapeva e dubitavi che lui fosse così stupido e così maldisposto nei tuoi confronti. Almeno non dopo quello che avevi saputo. La tristezza del tuo gemello, quando aveva creduto che tu fossi morto, l’avvertivi ancora, sì come la sua speranza di tornare a essere fratelli. Dopotutto Paradox e Integra avevano infranto la maledizione sui Gemelli, allora forse, loro due avrebbero potuto indicarvi la via. Un giorno.
Gettasti un ultimo sguardo al Santuario prima di immergerti nel mondo oltre le montagne, le stesse che erano state teatro di incidenti, scontri, sconfitte e magie. Come quella perpetrata da Astrid quando trovò la Macchia Mediterranea. Tu non eri stato presente all’accaduto, ma Shura ti aveva raccontato che a un tratto gli era passata accanto senza neanche vederlo e lui si era preoccupato perché sembrava assente. Era come se fosse ipnotizzata, comunque preda di un rapimento estatico. Come le giovani dei miti si congiungevano agli Dèi.
Non a caso quando l’avevate ritrovata avevate temuto che fosse stata amata da una Divinità a sua insaputa e ne portasse in grembo la progenie. Il fatto che avesse continuato ad avere i suoi corsi vi aveva rassicurato tutti.
Però, se c’era una persona che, in questo giorno avresti voluto con te, quella era proprio lei, perché queste montagne le conosceva. Tu invece, conoscevi lei.
Stringesti la tracolla della tua sacca e cominciasti il tuo cammino arrossato dagli ultimi, caldi, raggi del Sole. 
Neanche il conforto di una torcia ti era permesso. “Che cosa ascoltavi, Astrid?”
Proprio mentre ci pensavi mettesti un piede in fallo e cascasti a terra. Ti rialzasti a sedere dolorante e controllasti la caviglia. Accidenti, avevi preso una storta. Strano a dirsi, vero? Anche quelli come te potevano inciampare e prendere delle storte. Però faceva male e il dolore sembrava essere ancora più intenso ora che non potevi più contare sul tuo Cosmo.
Perché sì, non l’avevi detto a nessuno, neanche al tuo terapeuta, ma l’energia che ti abbandonava la sentivi tutta. Non per un capriccio del fato, quanto piuttosto perché ci facevi caso, un po’ come alcune persone hanno paura di morire e allora si automonitorano il battito cardiaco. Ora non era poi così differente. “Se veramente vuoi concedermi il perdono, aiutami”. Implorasti la tua Dea, affranto. Vero che era a lei che volevi chiedere perdono, ma il volto che continuava a balenarti davanti agli occhi non era il suo. E tu non capivi perché, dal momento che era stata la bestia in te a volerla a tutti i costi. Certo che c’eri rimasto male quando avevi scoperto e ricordato i suoi occhi spaventati quella sera. Ma perché, ancora una volta, quella cosa ti aveva sopraffatto.
«Mi dispiace, io… non sono abbastanza forte».  Ecco quello che avresti voluto dirle. Non avresti mai voluto che lei ti guardasse così. Per questo, ti eri sorpreso quando aveva deciso di aiutarti, anche se in questa maniera e, senza nascondere la sua ira. Eppure, a ripensare alla vostra presentazione, ti venne da sorridere. 
E, poi, allo scoccare della mezzanotte, mentre ti eri fermato a riposare, la vedesti. Sollevasti lo sguardo e vedesti la giovane bionda comparire davanti a te, circondata dai bagliori fosforescenti del suo Cosmo. Mai come adesso ti erano sembrati più splendidi. Indossava un abito bianco a mezze maniche con dei veli semitrasparenti dello stesso colore e i suoi capelli sciolti fluttuavano come sollevati da una brezza.
Scattasti immediatamente indietro contro una roccia a occhi sbarrati. Adesso anche questo? Non erano bastati i mostri che avevi dovuto affrontare fin qui? 
«É così facile cadere quando si è sicuri della propria strada e delle proprie scelte, non è vero?» Ti domandò una voce nel vento. Alzasti la testa di scatto e ti guardasti attorno. Il battito impazzito. Da dove veniva quella voce? Ma tu non vedesti niente.
«Chi sei?»
Una persona avanzò verso di te comparendo dal niente letteralmente. Non riuscisti a capire bene, ma non era né giovane né vecchio, era solo un ragazzo.  «Io sono il custode dei viaggiatori e dei peccatori, coloro che in mancanza dell’Acheronte si rivolgono a me, il Cavaliere di Eridano».
«Il cavaliere di Eridano?» Ripetesti sconvolto, ne avevi sentito parlare ma non lo avevi mai visto di persona, neanche quando combatteste contro i Titani. A che cosa dovevi la sua presenza qui? Non ti ricordavi che nel rito dovesse comparire proprio costui. Sapevi che presiedeva a questi riti, che li supervisionava e che custodiva le anime di coloro che morirono in nome di Atena nel Piano Inferiore del Mondo Celeste. Potevi fidarti di costui? Era Virgilio o era una delle tre fiere?
L’adolescente restò serio e annuì con un cenno del capo. «Ma il rito prevede che io debba fare tutto da solo».
«E lo farai, ma niente ti vieta di avere delle guide o di vedere gli altri che tentarono». Spiegò il Bronze Saint. Tu non avevi dubbi sull’effettiva veridicità delle parole e anche sul ruolo da lui ricoperto. Dopotutto avevi toccato con mano la potenza che persino un guerriero di una casta inferiore alla tua era capace di sprigionare. E, ancora, se ci pensavi, non potevi che dichiararti stupito e ammirato per il coraggio che persino loro, semplici pedine, erano capaci di sprigionare
«Delle guide? Impossibile, io non ho bisogno di aiuto».
«Ne sei sicuro?»
«Sì, per quello che devo fare devo essere solo».  
«Come desideri, allora stai attento, Gemini, sono in tanti quelli che si perdono in queste lande. Se avrai bisogno di aiuto non esitare a chiamarmi e io verrò da te».
«Non serve». “E poi non conosco neanche il tuo nome”, pensasti. 
Solo se sceglierai quella sbagliata, per quale motivo sei qui, Cavaliere?»
«Devo…» Dovevi espiare un omicidio, anzi, un bel po’di omicidi. «Devo trovare la fonte d’acqua di Poseidone».
«Un’impresa ardua». Commentò il Cavaliere di Bronzo, dopo di ciò ti domandò: «Il Venerabile che vi ha mandato nelle mie terre vi ha spiegato che cosa dovete fare?»
«A grandi linee».
«Bene, allora buona fortuna, Cavaliere di Gemini».
Nonostante le tue buone intenzioni, i riti del Santuario sono crudeli quanto le prove che gli Dèi riservavano a chi desiderava incontrarli o le imprese dei semidei.
Ma le montagne che circondavano il Santuario erano impervie e tu finisti per perderti. A un certo punto ti parve di vedere Astrid seduta sopra un masso ma scivolasti e ruzzolasti giù per il pendio.
E battesti la testa perché a un certo punto perdesti conoscenza. Quando ti svegliasti ti ritrovasti ai piedi della montagna su un tappeto erboso. Ci mettesti un po’per mettere a fuoco il cielo azzurro sopra di te e capire che quelle sottilissime, fruscianti, ondeggianti colonne verdi, dallo stelo sottile come certe statuine di vetro di Murano, altro non erano che piante di segale verde. 
Solo allora prestasti attenzione alle tue membra doloranti e lasciasti che il lamento fin qui trattenuto tra i denti, sfuggisse alle tue labbra. Contraesti il volto in una smorfia di dolore mentre ti raddrizzavi e ti massaggiasti le parti lesionate. Avevi una gamba dei pantaloni a pezzi e un lungo graffio che andava dal tuo collo del piede al tuo ginocchio e gli insetti che ci stavano banchettando. Come se non bastasse ti doleva l’altra gamba e la schiena. Probabilmente avevi anche una costola incrinata. Ti fischiavano le orecchie, ti girava la testa e sentivi la pelle tirata in più punti, come se qualcosa si fosse seccato sopra di essa e tirasse. Anche le braccia erano messe abbastanza male, per dire, avevi l’ulna sinistra fuori dalla pelle e, la tua maglia era ormai uno straccio sbrindellato sulle maniche. Eri quasi sicuro di avere anche un dito rotto e parecchie abrasioni.
Niente di preoccupante. Nella tua vita eri sopravvissuto e avevi sopportato ferite ancora peggiori e più gravi di queste. Ciononostante sibilasti di dolore raccogliendo le gambe più vicine e le giunture protestarono.
Che volo.
Guardasti il pendio da cui eri precipitato, eppure non ti sembrava così alto per ridurti così.
Era solo per grazia divina che eri ancora tutto intero. Proprio allora trasalisti: «La tenia!» Ti toccasti la testa e tirasti un sospiro di sollievo. Quella era ancora lì.  
Ti alzasti in piedi e ti guardasti attorno, o meglio, dovesti schermarti gli occhi con una mano a causa della luce del Sole. Sicuramente dovunque tu fossi non l’avresti capito, se tu non ti fossi allontanato da questo campo. Ma che ti importavi? Dovevi risalire e, infatti, provasti a risalire la china con un balzo, ma il portale per la dimensione da cui eri cascato, non si aprì. Perché non si aprì?
Provasti a saltare di nuovo, ma dovesti fermarti a causa di una fitta di dolore lancinante che ti strappò dei gemiti. La gamba. Ti strappasti una parte della maglietta e ti procurasti una serie di lacci emostatici di emergenza. Dannazione, avevi bisogno di cure, cure reali.
Arrivasti a una strada deserta. Guardasti a destra e a sinistra e sbuffasti rassegnato: non valeva neanche la pena di fare l’autostop, qui non sarebbe passata anima viva neanche l’indomani.
Decidesti di dirigerti lo stesso verso nord. Magari avresti trovato un telefono o un ambulatorio. Meno male che tu avevi comunque un senso dell’orientamento migliore di quello di Shura.
E, con tua grande sorpresa, dopo aver attraversato un sito archeologico, arrivasti a un cartello stradale. Sperasti che potesse darti qualche indicazione utile ma era solo il limite di velocità. Andasti comunque avanti e Il luogo in cui ti trovavi era una frazione di un paesino in provincia di Calidone. Santa Atena, ma come diavolo ci eri finito qui? Nonostante il cielo spruzzato di nubi trasportato dal vento, sembrava che la luce, che tutto, qui, avesse un che di polveroso. E che, con tuo sommo orrore e sconcerto, non c’erano adulti in questa zona. Non ne incontraste nessuno neanche per scherzo. Le strade erano deserte, non solo perché eravate in campagna, ma proprio perché sì. 
Ti passasti una mano tra i capelli e ti guardasti attorno accigliato: e ora come saresti tornato indietro? Proprio in quel momento il vento ti portò alle orecchie il rombo di un motore. Ti girasti e vedesti in lontananza un autobus fermo ripartire. Ma quando raggiungesti la banchina, trovasti solo una ragazzina vestita di scuro come una goth lolita, con i capelli lisci a caschetto che ti guardò diffidente e intimorita. Ma tu non avevi tempo da perdere con le marmocchie, adesso dovevi capire dove ti trovavi. «Scusami, quando passa il prossimo autobus?» Le domandasti.
«Ormai domani, questo era l’ultimo della giornata». Ti rispose e si alzò con uno sbuffo. Poi aprì il suo ombrello bianco e se ne andò. Il rumore delle sue scarpe con il tacco basso echeggiava sull’asfalto in un modo che avresti trovato piacevole se tu non fossi stato in questa situazione. 
Accidenti. E adesso?
Non avevi la più pallida idea di dove andare perché eri più che sicuro che il Bronze Saint di Eridano ti avesse spedito fuori rotta, in un posto dimenticato dagli Dèi che più deserto non si può e... Avesti una folgorazione. Aspetta, ma quella era una persona. E, se era qui, significava che abitava nelle vicinanze, forse in uno di questi piccoli paesini adiacenti a Calidone. Ti girasti verso di lei e le urlasti: «Ehi». Lei si girò spaventata, pur essendoci dieci metri di distanza tra voi. Pronta a scappare via da un momento all’altro: «Scusa, sapresti indicarmi una locanda, un albergo un che so, qualche posto dove stare? Mi va bene anche un ambulatorio». Dicesti, notando come lei guardava preoccupata le tue ferite.  
Lei ti rispose che nel suo paesino non c’erano, ma che ce ne era uno a quello più a sud da lì. e tu avessi percorso la strada nella direzione in cui era ripartito l’autobus avresti trovato un paesino a otto chilometri da qui. «Ah, ti riferisci alle rovine che ho visto venendo qui?»
«Non sono rovine».
«Non… e allora che cosa è successo?»
«Non lo sa?»
«No sono… nuovo di qui».
«Un turista?» Domandò, cercando di classificarti.
«Sì». Sì, certo, il turista finito in un crepaccio, sbranato da un orso e cronologicamente disorientato. Forse persino dimensionalmente. «Allora, grazie per le indicazioni, andrò a vedere se l’ambulatorio è aperto».   
«Come vuole…» Mormorò preoccupata, pensando che era meglio lasciarti andare. In fondo era meglio assecondare il pazzo.
E, zoppicando, ti avviasti in quella direzione. Quando arrivasti, però, ti ritrovasti di fronte alla desolazione più totale. Era come essere approdati in una città fantasma.
«Ma queste… sono rovine». Mormorasti sgomento guardando le macerie e, anche se conoscevi i devastanti effetti delle Creature, questa non era opera loro.  «Che cosa è successo qui?» Chiedesti a te stesso senza aspettarti una risposta. Lo vedevi da te che questo posto era stato teatro di scontro. Ma non uno di quelli “puliti” come potevano essere i vostri. Era uno più terreno.
Ogni cosa, qui era come se fosse stata distrutta da mano umana. Ma perché?
Dove erano tutte le persone? Perché tutto ti sembrava abbandonato? Persino alcune auto erano parcheggiate alla rinfusa, altre erano semi distrutte.
Saltasti su un tetto (nonostante il dolore) e osservasti tutta la desolazione che potevi vedere. In più punti del paesino si sentiva solo il gracchiare dei corvi e vedevi le case crollare su loro stesse, nella desolazione più totale. Come se le fondamenta delle medesime fossero diventate improvvisamente pericolanti e fragili, come le ginocchia di un vecchietto ricurvo.   
Improvvisamente sentisti il gracchiare di un corvo. Alzasti la testa e ne vedesti una piccola cospirazione ergersi in volo per andare a pasteggiare sul cadavere di un uomo appeso a un filo elettrico. Tuo malgrado non potesti non trasalire e, arretrando, il tuo calzare toccò qualcosa che si smosse. Ti girasti per vedere cosa fosse e vedesti un cadavere spolpato. Chiudesti gli occhi e volgesti il capo. Come era potuto accadere? Che cosa era successo qui? Va bene che probabilmente questa non era neanche la tua dimensione, ma anche tu avevi un cuore e, questo spettacolo era straziante anche per te.
Riapristi gli occhi e guardasti altrove. Era impossibile che fosse ridotto tutto così.  
Udisti un rumore di spari in lontananza e ti guardasti attorno, guardingo e pronto a scattare. Anche se ciò probabilmente avrebbe aggravato il tuo stato. Ma non comparve niente. Probabilmente era solo l’eco degli spari di qualche cacciatore. Se non altro adesso sapevi che qui esistevano le armi da fuoco.
Ti avvicinasti a un muro e osservati i buchi che lo costellavano. Il tocco delle Creature inceneriva ogni cosa, non provocava questi squarci. No, questa era opera di mano umana, ma era difficile per te stabilire chi fosse l’artefice e, se ci fosse qualcun altro qui, oltre a te. Che fossero arrivati prima altri Specter? O i guerrieri di qualche altra divinità? Chiudesti la mano a pugno e lo abbattesti sul cemento, spezzandolo definitivamente. I detriti franarono ai tuoi piedi e tu tossisti per via della polvere che tu stesso sollevasti.
Qualcosa ti diceva, però, che era meglio per te tornare indietro. Anche a costo di prenderti un’insolazione.
Mentre ti lasciavi quelle macerie alle spalle riflettesti. Anche se era evidente che qui fosse accaduto qualcosa, dovevi trovare comunque un modo per completare il rito, avevi perso chissà quanto tempo svenuto ai piedi di quella montagna. Ed eri ferito, per giunta. Anche se un dolore come questo a te fisicamente non diceva niente, avevi bisogno di cure. E, questo, ci arrivavi persino tu a capirlo. Se tu avessi avuto l’occorrente avresti provveduto anche da solo, ma non ce l’avevi.
Ti stringesti le corde della sacca sulla spalla. 
Una farfalla svolazzò davanti a te battendo le grandi ali variopinte e, fu l’unica cosa vivente che vedesti finché non arrivasti al paese della ragazzina goth. Anche questo posto sembrava sono un cumulo di rovine, come certi paesini di montagna che erano abbandonati da una cinquantina d’anni. Però si vedeva che c’era ancora qualcuno, ne vedevi i segni dell’attività umana. Anche se ti faceva strano camminare su strade coperte da un velo d’erba. Non avevi mai pensato seriamente a cosa potesse succedere a una città se la si lasciava in balia di se stessa. Non ti era mai interessato, prima.
Ma ora, che dalle grondaie vedevi ergersi canapetti e altre erbacce infestanti e che i muri bianchi erano ingrigiti e rovinati da vandali, intemperie e incuria, te lo domandavi. 
Stavi camminando tra queste case abbandonate quando non ce la facesti più e fosti costretto a fermarti. Con tutto il sangue che avevi addosso e le ferite stavi rischiando grosso. Inoltre le mosche erano fastidiose e avevi bisogno di riposo. Non sapevi che ore erano, ma il tempo sembrava scorrere molto lentamente qui, o forse era perché ti girava la testa e avevi anche sete.
Ti accasciasti seduto contro il muro e restasti lì nel tentativo di recuperare un po’le forze. 
Improvvisamente sentisti dei passi avvicinarsi  e apristi gli occhi e, volgesti (non senza soffrire) il capo in quella direzione. Con tua grande sorpresa vedesti arrivare una serie di ragazzini. 
Avevi le allucinazioni? Quei bambini sporchi che neanche le giovani reclute al Santuario vivevano qui oppure giocavano in un postaccio simile? No, doveva essere un’allucinazione.
O così fu, finché non cominciarono a pungolarti con un bastoncino. «No, via, andate via, per favore, andate via». Ti lamentasti e loro ridacchiarono e continuarono a pungolarti. A quel punto fosti tu ad alzarti e a levare le tende, abbandonando il loro territorio. Ma evidentemente non li scoraggiò, anzi, ti seguirono tempestandoti di domande che tu non recepisti a causa della stanchezza.
Sentisti un’altra raffica di spari e sobbalzasti. Invece i bambini lanciarono delle grida stridule tipo gabbiani e, in men che non si dica sparirono. 
Vagasti a caso ancora per un po’, sempre seguito da quelle piccole pesti quando sentisti il rumore del rubinetto di una fontanella che veniva chiusa. Poi altri passi ti si avvicinarono e, ti ritrovasti a osservare un ombrello bianco. Abbassasti lo sguardo e trovasti davanti a te la ragazzina della fermata dell’autobus osservarti preoccupata. «Ma tu non sei…»
«Sì, ci ho messo un po’ a ritrovarla». Ti avevano insegnato a disperdere le tue tracce. Ma non ti saresti mai aspettato che ti avesse seguito. Che avesse avuto i sensi di colpa? Vedesti che ti stava tendendo una bottiglietta d’acqua aperta e tu l’accettasti, bevendo a grandi sorsate e bagnandoti il viso sporco. 
«Perché mi hai indicato quelle macerie? Volevi farmi morire?» Domandasti quando la finisti.
«No, è che speravo di trovare anch’io qualcuno, solo che finora non avevo mai avuto il coraggio di avventurarmi più in là della fermata dell’autobus». Spiegò.
«Allora eri tu la persona che sentivo alle mie spalle».
«Sì».  Proprio allora sentiste il rumore di un clacson e lei scattò come se fosse stato un colpo di fucile. In coda al clacson sentiste anche delle urla, delle sguaiate risate divertite, e lei ti afferrò per il braccio meno malconcio. «Cosa c’è?»
«Dobbiamo scappare».
«Scappare? Perché?»
«Non c’è tempo, corri!» Esclamò e si dette alla fuga senza neanche chiudere l’ombrello. Tu non potesti fare altro che seguirla. E proprio allora, cominciasti a sentire anche il rumore di spari e la vaga eco di risa divertite.  Arrivaste a una casa e lei si fermò lì, cercò rapidamente le chiavi con sicurezza nella sua borsetta, nonostante la situazione, come se l’avesse fatto altre volte e le inserì nella toppa. Aprì e vi precipitaste dentro. Riprese le chiavi e chiuse la porta con cinque mandate mentre gli spari e le risate si facevano sempre più vicine, in tandem con il rombo di motori.
Poi passarono oltre.
Solo allora vi rialzaste dal pavimento. Anche se tu lo facesti un po’ più a fatica di lei. «Sta bene?» Ti domandò allora. Tu avevi la testa che ti scoppiava e lei ti aiutò a rialzarti in piedi e ti portò in una cucina. Ti fece accomodare su una sedia e cominciò a trafficare per farti delle medicazioni d’emergenza. Ti fece prendere un antidolorifico e ti ripulì le ferite dalla sporcizia, almeno le più lievi, aiutandosi con acqua ossigenata e del cotone, oltre che a dell’alcol denaturato. Per l’osso, le dicesti di non guardare mentre te lo rimettevi a posto da solo. Poi usò un paio di stecchini di gelati per staccarti il dito fratturato e te lo fasciò con il tuo aiuto. Quando riavesti un minimo di padronanza di te stesso le domandasti: «Che cosa sta succedendo? Perché sembra di essere precipitati in un western? Chi era quella gente?» Le chiedesti e lei si portò una mano al cuore e ti fece cenno con l’altra di tacere. Guardò la porta alle sue spalle un momento e poi tirò un sospiro di sollievo. Poi riprese a pulire le ferite e incerottarti: «Scusi, ormai questa storia va avanti così da un anno». Un anno. Ossia da quando era cominciata l’apparizione delle Creature.  
La parte più imbarazzante furono i vestiti. Lo vedeva anche lei che non potevi continuare a tenere questi abiti.
«Aspetti qui, vado a vedere se ho dei vestiti della sua taglia». Ti disse precipitandosi su per le scale.
Quando tornò ti esortò a spogliarti (rossa come un peperone). Poi ti dette la schiena e tu, con una mano sola, riuscisti a liberarti dei vestiti rovinati per indossare quelli puliti. Lo stesso non potesti fare per i jeans. Non perché fossero stretti o cosa, ma perché avevi uno squarcio aperto in bella vista. «Ehi». Lei si girò, trovandoti con una gamba coperta e una no: «Questa va cucita». E lei, rossa come un peperone per l’imbarazzo, asserì con il capo.
L’unico motivo per cui non perdevi sangue era che stavi usando il tuo Cosmo per tenere allineati gli atomi della tua carne. Almeno questo lo potevi ancora fare senza correre rischi.  
La dovesti svegliare dal suo stato catatonico e dirle cosa fare. Seguendo le tue istruzioni, andò a cercare quello che serviva e, dopo aver sterilizzato l’ago, non senza risparmiarti smorfie, ti aiutò a ricucirti, poi, ti fasciò la ferita secondo le tue indicazioni (anche se dovette svolgerle e rifare almeno tre volte le medicazioni) e, ti aiutò a indossare completamente i pantaloni. Alla chiusura della zip però pensasti da solo.  Dopodiché, lei (parzialmente sveglia) ti offrì qualcosa da bere e da mangiare. Non era molto ma almeno era già qualcosa. «Mi dispiace per quello che le è successo». Disse la tua ospite «Una volta questo posto non era così. Non si vedevano molto spesso dei turisti, ma nell’ultimo paio di anni non si sono proprio più visti».
«Ho visto che siamo vicini a Calidone». Dunque ti trovavi in Etolia-Acarnania. Almeno adesso avevi una collocazione spaziale, mentre quella temporale ancora ti mancava. Ma non potevi darlo a vedere così.
«Sì, è così, ma ormai quasi nessuno passa più da queste parti da quando è cominciata tutta questa storia e gli adulti sono morti, dopo aver messo in quarantena la zona. Poi non si sono più visti neanche loro. Già prima questi erano brutti posti ma adesso sono stati completamente abbandonati a loro stessi e, da quando gli adulti sono scappati… I ragazzini, membri di gang, spacciatori, ladruncoli, persone poco raccomandabili, sono venuti qui. E gli animali e le piante si sono ripresi rapidamente ciò che gli esseri umani gli hanno strappato. Questa ormai è terra di nessuno; speravo che fosse rimasto qualcun altro oltre a noi e invece non c’è più nessuno».
Sembrava sincera e, allora, le dicesti addolcendo il tono: «Mi dispiace».  
«Sì». Balbettò quest’ultima tergendosi il volto dalle lacrime, ma era ancora spaventata. Ora che la vedevi bene non poteva davvero avere più di tredici anni. Tredici anni, come quelli della Dea quando ordinasti ad Aphrodite di portarla al Santuario sicché tu potessi… Stringesti il pugno. Non riuscisti neanche a completare il pensiero. Tredici anni, come quelli passati a usurpare il suo trono. Tredici anni quando ti purificò dal male. «Ma lei cosa ci fa qui, signore? Cosa le è successo per…?» Domandò accennando alle varie ferite che ti aveva medicato, tra cui anche un taglio sul mento, adesso coperto da un cerotto. Mentre ti medicava e ti ripuliva ti aveva tolto anche buona parte del sangue rappreso. Alleggerendoti un po’. Ti sentivi un po’meno sporco, adesso, ma così conciato pensare di lavarti meglio era impossibile. 
«La tenia sulla sua testa è sporca di sangue, cosa ha fatto?». Disse vedendo la benda insanguinata che ti cingeva la fronte. «Questa? No, no, non è una ferita è solo sporca, io sto bene, mi sono solo perso, non so dove mi trovo, mi ricordo che stavo passeggiando su un sentiero quando improvvisamente mi sono ritrovato qui». Relativamente parlando, ma durante il tuo addestramento avevi subito ferite peggiori di quelle che adesso costellavano il tuo corpo. «Tu come ti chiami?» Le chiedesti, tanto per cercare di destarla definitivamente.
«Atalanta e tu?» Spalancasti gli occhi per la sorpresa: come la principessa cacciatrice del mito. La stessa che partecipò alla caccia del Cinghiale Calidonio. Che fosse costei la guida che il Cavaliere di Bronzo ti aveva promesso? O che ti avesse preso in giro fin dall’inizio? In ogni caso era scortese non presentarsi a sua volta, dopo che si chiede al prossimo il proprio nome. «Io mi chiamo Saga».
«É un nome giapponese, ma scusi se glielo faccio notare, lei non sembra uno straniero». Commentò la tua interlocutrice, perplessa con un velo rosato sulle guance. Ammettevi di essere molto più bello della media ma ringraziasti che lei non l’avesse detto. Eri ancora confuso e, sentirtelo dire da una ragazzina che sarebbe potuta essere tua figlia, non ti sembrava il caso.
Arrossisti perché il tuo nome a una lettura alternativa, poteva indicare il sesso inteso come divisione tra maschi e femmine, quanto il nome di una Dea Norrena che, nella mitologia norrena era la Dea della Storia e della Poesia, quindi fiaba, ma era anche una parola desueta che significa strega e deriva dal latino saga. Mentre quello di tuo fratello significava semplicemente canone o criterio. Il Venerabile Shion doveva aver avuto grandi aspettative su di voi quando vi aveva imposto questi nomi, o forse aveva voluto ricordare Sage, il suo predecessore, nella speranza che potesse vegliare su di te. Al pensiero dell’ex Pontefice ti rabbuiasti. «Sì, mio… padre era fissato con il Giappone». Spiegasti imbarazzato. Era una spiegazione un po’raffazzonata, ma non eravamo tanto lontani dalla verità, mio caro Saga. Dopotutto il vecchio Shion era originario dello Jamir, che pure era in Oriente. Era ovvio che vi avesse dato dei nomi orientali a lui abbastanza famigliari, no? E, un po’, da piccolo, avevi considerato il Venerabile alla stregua di un genitore.
Ma alla tua interlocutrice, sembrò bastare questa spiegazione, perché sul suo volto affiorò un sorrisone: «Piacere di conoscerti, Saga» e ti tese la mano, un po’impacciata. Mano che tu stringesti.  Quando la stretta si sciolse aggiunse le dicesti: «Vorrei tornare indietro sul sentiero, ma non conosco la strada, potresti aiutarmi?» Lei ti scoccò una lunga occhiata diffidente. «Per andare dove? Ormai è quasi buio e non è saggio uscire a quest’ora, è adesso che i ragazzi si scatenano».
«Ti riferisci a quelli che hanno sparato prima?»
«Sì».
Stavi per dire: “Ma io devo almeno sapere dove mi trovo, voglio sapere dove sono finito, perché…” quando cambiasti idea: «Dimmi un po’ di questi ragazzini, perché ti spaventano tanto?» Lei ti accontentò. Concluse il racconto dicendo che, probabilmente i bambini più piccoli erano andati ad avvisarli apposta e adesso ti stavano sicuramente dando la caccia. Eri esterrefatto: «Perché dovrebbero farlo? Non dovrebbero essere felici di vedere una persona adulta?»
«Qui gli adulti non mettono più piede da tempo. Non capisci che ti vedono come una minaccia alla loro autorità?» Ma se eri ferito e se eri finito qui pure per sbaglio! «E tu, perché non li hai avvisati allora?» Solo dopo ti accorgesti che era passata a darti del tu, ma non la correggesti. La paura che le leggevi nello sguardo sembrava reale. «Io non sono come loro e non lascerò che tu vaghi per queste lande da solo».
«Ma devo andare, devo tornare sul sentiero».
«Quale sentiero?» Ti domandò con una punta di esasperazione nella voce, poi aggiunse che «Qui ci sono delle montagne, è una zona montuosa ma se non mi dici quale io non posso neanche provare ad aiutarti».
Cercasti di darle le coordinate della tua posizione geografica e lei ci capì pochissimo. Perciò dovesti darle qualche rudimento di geografia per intendere le tue parole. «Per favore, è importante».
«Sì, certo, ma è più sicuro se ci muoviamo di notte».
«Di notte? Perché? Non sarebbe meglio andare adesso?»
«No, adesso i cacciatori di faine ti stanno ancora cercando, non è sicuro». Cacciatori di Faine, era così che si erano proclamati i giovincelli che fungevano da “polizia locale”. Cercasti di muovere delle obiezioni ma lei te le troncò di netto. «Senti, dammi retta, se tieni almeno un po’alla tua vita ascoltami. Ti porterò dove vuoi però, per favore, non adesso, aspetta almeno un po’, ti devi riposare». Ti supplicò la tua soccorritrice di fortuna. E alla fine, cedesti. Sicché passasti qualche ora della notte a riposare. La fissasti esterrefatto: questo non era il comportamento di una tredicenne normale.
La tua ospite ti condusse a una camera al piano superiore e ti disse di fare come a casa tua. Tu la ringraziasti e lei ti augurò buon riposo. Una volta nella tua stanza pensasti che probabilmente la bambina avrebbe dormito con la porta chiusa a chiave onde evitare sgradite sorprese nottetempo. Sì, certo, ma tu, nottetempo, non avresti mai sfondato la sua porta o i muri che vi separavano, non eri un pedofilo. Tu, nottetempo, contavi di filartela.
Per tutta la notte non facesti che dormire male. Un sonno agitato, leggero e senza sogni e, non solo per il timore che ti avesse ingannato o che i pistoleri là fuori ti trovassero. Non che qui fossi più al sicuro. Anche se eri un uomo grande e grosso che cosa ti garantiva di essere effettivamente al sicuro? Se questa ragazzina avesse deciso di tenderti una trappola? Adesso ti restava il dubbio, eri finito alla corte di Circe oppure a quella di Nausicaa?  
Sentisti la porta della tua stanza aprirsi ed entrò uno spiraglio di luce. «Psst». Ti fece la voce della ragazzina e tu ti mettesti seduto. «Sei sveglio?» Domandò, sempre in un bisbiglio.
«Sì».
«Adesso se vuoi possiamo andare».
«Dove?» Domandasti assonnato grattandoti la cute.
«A cercare il tuo sentiero, la via è libera se facciamo attenzione nessuno farà caso a noi».
«Ma sei sicura? Voglio dire, ti fidi a uscire da sola di notte con un uomo?» Lei non rispose subito. Quando lo fece disse: «Che c’è? Hai cambiato idea?»
«No, no».
«Allora andiamo adesso, a quest’ora dormono tutti, nessuno farà caso a noi». Gettasti un’occhiata alla radiosveglia nella tua stanza, segnava le quattro del mattino. Ma se lei diceva così e tu non percepivi presenze ostili, allora d’accordo. «Va bene, mi alzo». Lei ti disse che ti avrebbe atteso in soggiorno e richiuse la porta.
Sulle prime avevi pensato che stesse prendendoti in giro. La piccola Atalanta si rivelò essere una guida capace, troppo, per la sua età e anche furtiva. Se l’abitino da gothic lolita che non si era tolta, ti era sembrato stonato in un posto simile, adesso, nell’ora più buia della notte, non ti sembrò più così astruso. Anzi, era perfettamente mimetizzata, cosa che non si poteva dire di te. Anche se non aveva avuto il coraggio di uscire entro i confini del paese dove viveva, sembrava perfettamente a suo agio tra queste tenebre, un po’ come una ninfa di Artemide. Come se fosse uscita già altre volte a questo modo. Sembrava che le bastasse la sola compagnia della pila elettrica a rassicurarla sul suo cammino.
Che ti stesse portando dai suoi amici? No, non era così. Lo vedevi da come si fermava a ogni isolato, per controllare con l’udito che non ci fosse nessuno e che, la torcia non colpisse superfici riflettenti delle case o le persiane delle abitazioni semi diroccate. Quelle poche almeno ne avevano ancora, ma neanche quelle che non le avevano più. Più volte ti disse che eri troppo rumoroso e di fermarvi. Più volte ti spiegò di fare molta attenzione a dove mettevi i piedi. E, altrettante, doveste cambiare strada per via di lupi che rovistavano nei cassonetti, ribaltandoli e di ragazzini che uscivano ad affrontarli armati di fucile o pistole. Salvo una volta, che doveste passare proprio da lì e restaste nascosti a tapparvi le orecchie. La pila spenta per sicurezza. 
Ma, non le passò neanche per l’anticamera del cervello di denunciarti a loro. Quando i lupi si dettero alla fuga i ragazzini rientrarono nelle loro abitazioni. «Ma, non fanno la guardia? Non controllano che tornino?» Chiedesti perplesso da questo comportamento.
«No, a loro non interessa aspettare per respingere una seconda ondata, sono pur sempre dei bambini».
«Sì, giusto». Forse li avevi sopravvalutati. Adesso cominciavi a capire come mai aveva insistito tanto per uscire di notte. Non era come al Santuario, qui non esisteva un vero turno di guardia e una vera organizzazione.
Ti rilassasti un po’. 
Prendeste delle scorciatoie e, arrivaste alla banchina. Eri sorpreso, non pensavi che ti avrebbe veramente portato fuori da quella trappola mortale. «Bene, adesso dimmi dove dobbiamo andare».
Glielo indicasti e lei ti guardò sbalordita: «In mezzo a un campo? Sei sicuro?» Tu confermasti con convinzione. «Da qui posso proseguire anche da solo, grazie di tutto». 
Ma la curiosità è donna e, anche se tredicenne, anche Atalanta non faceva eccezione. Infatti, tempo cinque passi che te la ritrovasti sgambettante al tuo fianco, tra i ciuffi di segale e il frinire delle prime cicale estive. Avevate percorso la distanza necessaria, solo che, una volta tornato era diversa. Non era possibile, il luogo era questo, ma… Ma la montagna che cercavi tu era completamente diversa da questa. Persino l’atmosfera che si respirava era differente: «Non è possibile, è cambiata».
«Cambiata? Che stai dicendo?» Chiese osservandoti, tendendosi a una distanza di sicurezza di una dozzina di metri da te. Il fascio di luce puntato ora su quella roccia ora su quest’altra.
Ti girasti a guardarla preoccupato e, incontrasti la sua espressione angosciata rivelata dalla luce della pila. «Cosa stai cercando di dire? Perché sei fissato con questa montagna? Perché dici che è diversa? Come dovrebbe essere, scusa?»
«Più alta, più ripida, meno erbosa di questa, questa è appena una collina, se non una montagna bassa». Cominciasti a scalarla nel tentativo di riaprire il portale per la tua dimensione, ma, la vista ti si offuscò appena tirasti su il braccio semi sano e rinunciasti. Tornasti indietro tenendoti il volto tra le mani e ti sedesti ai piedi dell’altura. Sentisti il fascio di luce della torcia sulla tua pelle ma non togliesti le mani. Non era possibile, eri intrappolato qui. Proprio allora lei parlò, con voce incerta: «Mia nonna diceva sempre che questo posto pullula di fantasmi». Abbassasti le mani dal volto e, sollevasti la testa per  guardarla. La ragazzina ti illuminò con il fascio di luce, costringendoti a schermarti con la mano. «É una leggenda locale, si narra che, fin dall’epoca del mito, ogni tanto compaiano delle persone, oppure che si possa sentire muoversi al di là del Velo che separa i mondi». Trasalisti, erano parole molto simili a quelle che avrebbe usato Astrid. Ma quello di cui stava parlando lei non erano spettri, bensì Saint. Probabilmente altri che in passato tentarono l’impresa e fallirono, come te. «Senti… chi sei tu? Ti ho visto compiere un balzo di trenta metri e scomparire per poi ricomparire ai piedi di quest’altura davanti a me. Anche se sei ferito, dovresti essere ricoverato e, invece sei agile e scattante come se per te fosse normale. Nessuno riesce a saltare una trentina di metri e correre veloce quanto te. Chi sei davvero?» 
La guardasti e convenisti con lei: aveva tutto il diritto di sapere. Sospirasti e ti sfregasti il volto nella mano sana e le dicesti la verità: «Hai ragione, non sono stato sincero con te; vedi, è complicato. Io, io non sono un turista, io sono uno dei dodici Gold Saint della Dea Atena, il mio vero nome è Saga, Saga di Gemini. Sono finito qui per sbaglio e non so come posso tornare indietro».
«Un Gold Saint…» Ti fece eco lei, sbalordita.
«Sì». Confermasti a testa china.
«Allora… allora è vero, è tutto vero». Disse poi, incredula, in un soffio.
«Sì, è tutto vero». 
 
Questa è la tua nuova vita, farai meglio a farci l’abitudine, sembrava suggerirti il Tutto. Ma quello che riuscivi a pensare era che era un incubo, solo un dannatissimo incubo. Un incubo a occhi aperti, forse peggiore di tutti gli altri fatti finora.
Tornaste a casa di Atalanta senza parlare. La tua ospite sembrava scioccata mentre realizzava che quello che era accaduto tre anni addietro era tutto vero. Tu invece, pensavi soltanto alla tua disperazione. Neanche potevi ritrasformarti in civetta perché non sapevi come avrebbero reagito le tue ferite. Sicuramente in una condizione come questa non potevi neanche volare. E, non pensavi fosse il caso di rifare i punti di sutura.  
Solo una volta in casa, lei si prese un bicchiere d’acqua e si sedette al tavolo della cucina, mentre tu te ne restasti sul divano, tanto sala da pranzo e cucina erano un tutt’uno. Ti stendesti sul divano e chiudesti gli occhi.
Eri stato tagliato fuori dalla tua vita. Non saresti più potuto essere un Gold Saint e inginocchiarti ai piedi dello scranno di colei cui avevi giurato fedeltà. Questa era la tua nuova realtà e ringraziasti l’oscurità, che ti permise di piangere queste silenziose lacrime, senza che nessuno le notasse.           Quella mattina ti appisolasti sul divano e sognasti. Sognasti la nobile Olivia davanti alla porta della camera della neonata Atena e poi il suo cadavere insanguinato riverso a terra. E, con lei, anche il restante corpo di guardia di sacre guerriere della Dea. Dopo di lui fu la volta di Aiolos che ti sorrise prima di svanire nel mondo di luce. Poi il diacono Klaus e quel povero servitore che ti aveva scoperto mentre avveniva uno dei vostri conflitti per la supremazia del corpo. E poi Arles prendeva il sopravvento e, improvvisamente, davanti a te vedesti Astrid urlare spaventata: «No!»  
«Astrid!» Esclamasti alzandoti a sedere di scatto e, ti ritrovasti a mettere a fuoco un volto incorniciato da capelli scuri e occhi parimenti scuri. Atalanta.
«Chi è Astrid?» Chiese la tua ospite con una nota di gelosia nella voce ancora monocorde. L’espressione comunque preoccupata.  
Ti sistemasti meglio e ti sfregasti gli occhi cisposi con una mano. «Nessuno, niente d’importante, era solo un sogno». Rispondesti.
Atalanta annuì con cenno secco del capo, posò il vassoio con la bibita che ti aveva portato e se ne andò in giardino. Sapevi che normalmente gli adolescenti avevano bisogno di rintanarsi in camera propria. Si vede che lei preferiva restarsene in giardino.
Non avresti dovuto sentirti in colpa per questa risposta brusca. Ma era così che ti sentivi. Non amavi parlare con chicchessia, anche se avevi sentito dire che faceva bene aprirsi con degli sconosciuti. Ma tu non potevi permetterti questo lusso, tu eri uno dei Gold Saint più potenti, era pericoloso avere a che fare con te. Per non parlare del rovescio della medaglia; se lei si fosse rivelata un nemico?
Perché avevi questa sensazione di dejà-vu? Era come se tu avessi già vissuto una situazione simile ma non riuscissi a ricordare. Mah, magari non era niente di così importante.
Però non sopportavi più che qualcun altro ce l’avesse con te, anche per tempeste ormonali sue. Eri stanco della maledizione di Crono. Perciò mandasti al diavolo il tuo orgoglio e la raggiungesti.
La trovasti seduta sull’erba, proprio sotto al salice. Si era accorta di te, ma evitava di guardarti, mantenendo una maschera di tranquillità, anche se la sua rabbia e la sua gelosia erano palpabili. Ti passasti una mano tra i capelli, imbarazzato. Ci mancava solo questa, si era già affezionata a te, mannaggia.
Però, ti abbassasti lo stesso alla sua altezza e ti sedesti. Lei ti guardò di sottecchi. «Astrid era… una mia amica». Dicesti, dispiaciuto. A questo punto ti guardò senza proferire verbo. L’espressione incuriosita e vagamente contrita, avendo intuito il senso di quell’verbo all’imperfetto. Le parole sembravano impigliate nella tua gola mentre i ricordi che avevano di lei li vedevi danzare davanti ai tuoi occhi. «É morta poco tempo fa». Riuscisti infine a dire, con un certo sforzo, avevi appena scoperto che non amavi parlare di lei. Non solo perché Atalanta era una bambina. Lottasti anche un po’ per cercare i termini adatti da sostituire alle parti rivelatorie. «Lei ha cercato di aiutarmi con un… problema che mi porto dietro da parecchio tempo e che adesso, mi ha costretto a… viaggiare, in tempi come questi». Adesso la ragazzina ti guardava dispiaciuta, sembrava che volesse consolarti. «Non amo parlarne».
«Però ora ne stai parlando». Ti fece notare con un filo di voce.
«Perché non voglio che tu pensi che hai fatto qualcosa di male e non mi sembra giusto, non equivocare le mie parole, sei minorenne, se qualcuno mi vedesse così con te mi denuncerebbe». Puntualizzasti a scanso di equivoci. «Sì, tranquillo». Ti rassicurò lei, anche se ti parve una rassicurazione un po’ a vuoto; per te questa ragazzina neanche immaginava quanto la sua ingenuità potesse metterti nei guai e, sinceramente, non avevi voglia. Ma ora avevi bisogno del suo aiuto.
«Le volevi bene?»
«É difficile da dire».
«Che c’è di così difficile? O è sì o è no».
«Non ci conoscevamo molto bene, avevamo appena cominciato a parlare», spiegasti, «ma la cosa che mi ha sorpreso è che, nonostante tutto quello che ho fatto, lei mi abbia aiutato, così, senza chiedere niente in cambio, quando tutti mi hanno tenuto a distanza».
«A distanza tu? Che cosa hai fatto?»
«Meglio se non te lo dico, sappi solo che non è bello, per niente». La ragazzina strinse le labbra un momento. Aveva paura, lo percepivi, ma era giusto che sapesse, anche se non capiva fino in fondo la gravità di quello che ti tenevi dentro. Eppure, anche così, non se ne andò. «Va bene».
«I miei sogni di solito, sono funestati da distruzione, follia e gente morta». “Che ho ucciso io” quando eri in forma umana. Perché accettavi e ci stavi a questo gioco perverso? Te l’aveva detto anche il tuo terapeuta che non era salutare. Oltre alle medicine ti aveva anche suggerito un percorso riabilitativo che, fin qui avevi seguito e, sì, ti eri sentito molto meglio. «Ogni volta che chiudo gli occhi, loro tornano da me, sempre e non c’è verso di mandarli via».
«É terribile».
«Sì».
«É per questo che ti sei messo in viaggio? Per ritrovare lei?» Non era così stupida questa domanda, voi Saint potevate quasi ogni cosa. Doveva aver pensato che avresti fatto come Orpheo di Lyra.
«No, per ritrovare me stesso, credo. Questa tenia è il simbolo dei miei peccati».
«Sei stato bandito?»
«No, mi sto sottoponendo a un rito di purificazione. Questa benda mi protegge da chi si è messo sulle mie tracce perché sono lontano più di ventiquattro ore dal Santuario».
«Quanto tempo hai?»
«Tre giorni».
Lei spalancò gli occhi. «Tre…»
«Sì, ma non so neanche quanti ne siano passati, in realtà da quando sono finito qui in questa dimensione. So solo che devo sbrigarmi a tornare, altrimenti non potrò tornare dalla Dea che servo e non potrò proteggerla». Ti interrompesti di colpo nel vedere le sue manine stringere le tue. La guardasti negli occhi e incontrasti le sue iridi accese di una nuova determinazione: «Va bene». Dichiarò infine. 
«Va bene cosa?» Chiedesti, spiazzato, battendo le palpebre. E lei rispose: «Ti aiuterò a fare quello che devi fare».
Adesso fu il tuo turno per mostrarti stupito: «Cosa?»
«Sì, sono seria, voglio aiutarti».
«Ma se non ti ho neanche detto in che consiste il rito».  
«Ma è per lavare via il marchio di Caino?» Ti domandò e tu la guardasti sbigottito. La bambina alzò le spalle sottili e disse, a mo’ di spiegazione: «Godchild di Kaori Yuki. Io non appartengo alla genia del Caino che fu maledetto, ma a quella del Caino che fu benedetto.» citò con un sorriso smagliante da brava scolaretta e tu, una volta che ti fosti ripreso dicesti: «Ah… sì». Sconvolgente la fantasia degli autori di cui leggeva; non c’era andata tanto lontana. In realtà non avevi neanche la più pallida idea di che cosa parlasse. «Quindi che rito devi fare?» Chiese interessata e, a questo punto, tu pensasti, spaventato: “Eh, no, adesso è troppo!” Pertanto replicasti, cercando di provare a farla ragionare: «Scusa se te lo chiedo, ma non dovresti avere paura, a questo punto?»
Lei batté le palpebre confusa: «No, perché, dovrei?»
Gli occhi minacciarono di uscirti fuori dalle orbite quando replicasti, sarcastico: «Secondo te? Sono praticamente uno sconosciuto che è piombato nella tua vita da un giorno all’altro e tu gli dai tutta questa fiducia da ospitarlo nella tua casa? Che ne sai che non sono uno stupratore o un malintenzionato? Cosa ne sai che non ti stia prendendo in giro dall’inizio alla fine? Che non aspetterò il momento buono per ucciderti io stesso? Credi forse che sia un gioco?» A queste parole la vedesti guardarti orripilata e tu sospirasti: «Atalanta, ti ringrazio per tutto quello che hai fatto finora per me, ma guarda in faccia la realtà, in questi tempi non puoi fidarti di nessuno, tantomeno di me. Non hai nemmeno idea di quanti pericoli io possa attirare con la mia sola presenza qui».
«Ma…»
La prendesti per le spalle e rinnovasti il tuo rifiuto: «No. Toglitelo dalla testa, non ti ho confidato queste cose perché voglio il tuo aiuto; sei solo una bambina e io sono un adulto, devo pensarci da solo, non posso mettere a repentaglio la tua vita più di quanto già non sia probabilmente a causa mia, lo capisci? Hai già rischiato grosso due volte a causa mia, non voglio che tu finisca ammazzata. Non provare neanche a fare paragoni tra me e te, io sono un Gold Saint, sono addestrato a situazioni peggiori e hai visto anche tu di cosa sono capace. Io sono pericoloso». Sibilasti tuffando i tuoi occhi nei suoi, adesso atterriti e non ti sfuggì il suo tentativo di ritrarsi alla tua presa. Chinasti la testa e sospirasti, lasciandola andare, ma lei non si mosse: «Mi dispiace, davvero, ma cerca di capirmi, non puoi chiedermi questo, non so se riuscirei a portare a termine il rito e proteggere anche te».  
La bambina non disse niente, si limitò a fissarti. Poi, si alzò e se ne tornò in casa, lasciandoti lì. Ti schiacciasti una mano sulla faccia e ti desti dello stupido. L’avevi spaventata più del dovuto. Volevi solo metterla in guardia e, si era appena data alla fuga.
Perfetto.
La tenesti d’occhio per sicurezza tramite il Cosmo, mentre ti spostavi sotto il salice e appoggiavi la testa al tronco d’albero, dandogli dei lievi colpetti, maledicendo la tua stupidità. Anche se erano bambini erano comunque armati e ti eri appena compromesso. Bene.
Attendesti con pazienza che i tuoi cacciatori venissero a prenderti. Ma non successe niente. Per tutto il tempo, non facesti altro che ascoltare il suo Cosmo allontanarsi e fermarsi in un punto, dove lei sfogò il suo dolore e il suo terrore. Poi, sentisti la sua rabbia e le ondate sferzanti che il suo Cosmo emanava. Come se stesse prendendo a pugni qualcosa e come se gridasse. E tu quelle grida le sentisti tutte, con le orecchie dello spirito. Poi piano piano, si spense e nel suo animo tornò la calma più assoluta. E, tornò indietro a casa. Però, durante il tragitto, intercettasti quattro Cosmi ostili. Ragazzi, che attaccarono briga con lei. Ti alzasti di scatto e corresti a vedere che cosa stesse succedendo, orientandoti con il Cosmo. Sentire, in fondo non attirava le Creature, anche se la loro presenza era sempre incombente.    
Arrivasti all’angolo di una casa a tre isolati di distanza da qui e ti sporgesti quel tanto che bastò per non farti scoprire. Erano quattro ragazzi più possenti di lei che la stavano prendendo in giro. Uno di quelli le strappò di mano qualcosa. «No, fermati, quello è mio, ridammelo!» Ma l’altro le sghignazzò in faccia e lo gettò in terra e lo sfidarono a raccoglierlo. Tu fiutasti la trappola immediatamente, ma lei no e, così, una volta chinatasi, cominciarono a prenderla a calci e a calpestare l’oggetto della discordia. Altri invece le urlarono insulti irripetibili sulla sua famiglia.
Stringesti lo spigolo del muro con una mano come a fermarti e finisti per affondare le dita nel cemento armato, che si sbriciolò sotto al tuo tocco. Come osavano maltrattare una ragazzina invece che starle accanto ed esserle amici? E, tu, perché non ti muovevi? Perché se tu l’avessi fatto avresti peggiorato la situazione in futuro. Questa decisione però ti pesava e, dentro di te, ti ribellavi e sbraitavi. A malapena riuscisti a tenere a bada il tuo Cosmo, che cominciò a ribollire. 
Quello che aveva calpestato l’oggetto cominciò a ridere e a strusciare il piede indietro: «Guarda che fine fanno i tuoi preziosi manga!» La sbeffeggiò.
«Sì.» sghignazzò un altro e il leader infierì di nuovo: «Così non potrai più lanciare incantesimi, strega».
«No!» Urlò e, con uno sforzo di cui non la credevi capace, si liberò dei tre e si scagliò sulla gamba del ragazzo che, con un balzo indietro la evitò. Solo allora capisti che il suo bersaglio non era mai stato aggredire lui, ma salvare il manga. Infatti lei lo raccolse e se lo strinse al petto. Il bulletto, ripresosi dallo spavento, rise.
«Ehi!» Intervenisti e i ragazzini si fermarono. Atalanta sussultò e girò il capo verso di te: «Saga!» Esclamò sorpresa. «No, Saga, torna indietro!» Ma tu non l’ascoltasti, il danno era fatto, saresti andato fino in fondo.
Non avesti bisogno che di qualche passo e domandare che cosa stesse succedendo per farli scappare a gambe levate. Raggiungesti così la tua conoscente e le domandasti, accovacciandoti accanto a lei, che non si era ancora rialzata: «Chi erano, quelli?» Però lei non rispose subito. Allora ti chinasti a raccogliere il fumetto che avevano gettato a terra e ne osservasti la copertina. Era un manga, una storia di cappa e spada molto simile alla tua, a giudicare dal ragazzo con l’Armatura del Sagittario e una freccia tra i denti in copertina. Quasi ti scappò una risatina, non immaginavi che foste diventati popolari a tal punto da diventare oggetto di un manga. Lo ripulisti alla bell’e meglio dal fango e glielo restituisti. «Tieni».
«Grazie». Dopodiché si rialzò da sola tenendo lo sguardo basso. «Atalanta». La richiamasti, rialzandoti a tua volta. Lei ti guardò. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere. «Volevo chiederti scusa, per prima, sono stato troppo duro con te». La ragazzina strinse il volume tra le mani e si morse il labbro come a trattenere un gemito di pianto, prima di tuffarsi tra le tue braccia e stringerti a te, lavandoti la maglietta con le sue lacrime. Restasti stupefatto da questo slancio. «Che cosa hai fatto? Saga, che cosa hai fatto? Che cosa hai fatto?» Ripeteva come un’ossessa. «Non potevo lasciare che ti trattassero così, perché non ti sei difesa?» 
«No… dovevi, invece, dovevi. Non…».
Ricambiasti la sua stretta posandole una mano sulle scapole e l’altra sulle spalle: «Non dovresti mortificarti così, su, smettila di piangere, su, va tutto bene, è tutto a posto, non è successo niente». Cantilenasti strofinando la tua mano sulla sua schiena e poi spostasti l’altra sulla sua testa.
«Ma adesso, adesso tu sei compromesso e…»
«Me la so cavare, non importa, l’importante è che adesso tu stia bene». La discostasti da te per guardarla negli occhi. Lei tirò su col naso e poi estrasse un fazzoletto dalla manica della camicia e si soffiò il naso e si tamponò le lacrime con un angolo del medesimo. «Su, non piangere, adesso è passato. Va tutto bene? Niente di rotto?» Anche se sicuramente sulla sua pelle sarebbero comparsi dei lividi. Lei scosse il capo e tu domandasti: «Il tuo manga è a posto?»     
«Sì, è solo un po’sporco». Disse con voce ancora tremula.
«Bene».
«Mi dispiace, Saga, non sarei dovuta scappare così».
«Ma che dici? Hai fatto bene, invece, chiunque si sarebbe spaventato sentendosi dire quelle cose, è una reazione più che naturale...» Ma lei t’interruppe: «Ma ora loro sanno che sei qui, non ci metteranno molto per arrivare!»
«Allora non facciamoci trovare, no? Piuttosto, perché prima ti hanno chiamato strega? Su, avanti, a me puoi dirmelo, non sono così impressionabile».
«Perché ogni volta che leggo qualcosa, qualcuno muore». Rispose lei con una vocina piccola piccola. E tu strabuzzasti gli occhi. «Scusa?» Avevi capito che era per il suo aspetto, non per questo.
«É così. All’inizio sembravano solo coincidenze, poi, è stato… come entrare in un film, come in Ink, cuore d’inchiostro, ma poi la città si è svuotata e hanno dato la colpa a me. Prima mi sono accorta di essermi portata dietro questo». Te lo mostrò, era uno dei numeri di Death Note. «Lo stavo per riportare indietro».
«Allora riportiamolo indietro, così almeno non te lo stracceranno». Suggeristi.
«Sì, hai ragione».
E, così, l’accompagnasti, vigilando anche per lei, fino a un vecchio magazzino in disuso. Lei prese una chiave dalla borsetta che portava a tracolla e aprì. Poi ti fece cenno di entrare e ti ritrovasti in una sorta di paradiso dell’otaku, così avevi sentito dire che si chiamavano gli appassionati. C’erano poster alle pareti, disegni, murales e ai tuoi piedi manga su manga impilati uno sopra l’altro, disposti in scaffali.  
«Ma, sono tantissimi».
«Sì».
«Come hai fatto a trovarli?»
«Alcuni sono miei, altri erano dei miei amici. Una volta questa era la fumetteria del paese. Era molto fornito per essere un negozio di paese. Quando sono arrivate le Creature il proprietario è stato ucciso. È stato il primo a morire, le chiavi me le ha date sua figlia, prima che anche lei facesse la sua stessa fine, da allora io proteggo questo posto. Una volta anche qualcun altro mi aiutava ma poi sono morti, anche loro uccisi e io sono rimasta sola. Poi, la zona è stata messa in quarantena. Finché mio fratello maggiore era ancora qui, abbiamo raccolto tutti i manga che potevamo, per evitare che finissero distrutti dai vandali». Sfiorò una colonna impilata accanto a sé e continuò: «Io e mio fratello maggiore collezionavamo manga. Io stessa mi vesto come Misa Amane di Death Note.» Spiegò portandosi entrambe le mani dietro la schiena. «Mio fratello aveva solo cinque anni più di me. Un giorno ha preso l’autobus e non è più tornato. Non so cosa possa essergli successo, non risponde al telefono, è irrintracciabile, per questo ogni giorno andavo alla fermata dell’autobus ad aspettarlo, ho spesso pensato di raggiungerlo, però non ho mai avuto il coraggio di salire. Non so neanche dove era diretto».
La sua storia ti ricordò tristemente quella di Aiolos e Aiolia. Te lo ricordavi, no? Quanto avesse lottato quel bambino per non separarsi dal suo adorato fratello maggiore. All’inizio Aiolia aveva odiato le Sacre Vestigia e quello che rappresentavano, pensava che un giorno gli avrebbero portato via l’unico membro della sua famiglia rimastogli. Così, quando aveva capito che invece, potevano essere l’unica cosa a ricondurlo da lui, si era impegnato e, a sei anni, aveva risvegliato il Settimo Senso ed era diventato il Gold Saint del Leone. E, alla fine, si era ritrovato di nuovo separato da lui. Ma vedevi qualcosa di simile anche tra te e Kanon. Separati da un’Armatura d’Oro, un’altra volta, soprattutto da quella, non solo una maledizione che aveva costretto il Venerabile a prendere provvedimenti. Aveva creduto di aver individuato il “demone” in Kanon, ma si era sbagliato. E tu, non avevi avuto il coraggio di proteggerlo. La stessa, che aveva portato Paradox e Integra ad allontanarsi l’una dall’altra. Forse c’era davvero una maledizione su di voi fratelli.   
Come Shoko e Kyoko avevano lottato per infrangere il loro destino avverso, combattendo anche per te e Kanon e per Aiolos e Aiolia, questa giovane combatteva anche per loro. L’avevano presa per una sorta di capro espiatorio senza accorgersi che lei era ciò che compensava la loro piattezza e la loro omologazione.
Qui non c’erano Armature, ma solo una passione in comune, un ponte, che collegava ancora due fratelli. Era come se foste tutti maledetti.
«Perché continui a collezionarli?» Chiedesti, cercando di spostare l’argomento su qualcosa di più leggero.
«Colleziono manga perché mi piacciono quelle storie, perché leggendole mi sento bene. I miei preferiti sono quelli della saga di Devilman di Go Nagai, anche se sono un po’spinti. Ma i migliori sono quelli rari, che non si trovano spesso a giro, come La fenice di Osamu Tezuka. A volte, mi piace pensare che alcune delle cose che scrivono siano vere. Sai lì ho trovato la consolazione e la forza che mi servivano quando ero triste. Ma adesso è strano, guarda queste pagine».
Sfogliasti le pagine del volume che ti porse e vedesti che non solo era la vostra storia, ma che erano tutte sbiadite. Avresti detto che era per effetto dell’usura del tempo, ma le pagine non erano ingiallite. «É come essere dentro La Storia Infinita e io ho paura, ho tanta paura. Ogni volta che apro questi volumi io… Qualcuno, qualcosa scompare ancora». Disse spaventata e tu la rassicurasti dicendo: «Non è colpa tua, tu non c’entri niente, è solo una coincidenza». 
«Sei sicuro?»
«Più che sicuro, se tu avessi una dote del genere allora sarebbe già finito tutto da un pezzo, guarda quanto sono consumati questi manga, si vede che li leggi e li rileggi continuamente».
«Allora, io non sono maledetta?» Chiese speranzosa.
«No, tu non hai niente, te lo posso garantire».
Si portò una mano al cuore e sospirò, rinfrancata: «Grazie, Signore, grazie». Poi ti guardò e domandò, dubbiosa: «Ma allora tutte le cose che stanno succedendo? Tutte quelle morti? Quella specie di Dissennatori?»
«Quelle Creature sono la causa di questo disastro, tu non c’entri niente, non hai evocato niente di niente, è solo una coincidenza. A quanto pare sembra che tu legga in concomitanza con alcuni avvenimenti. É sempre successo, solo che prima non ci facevi caso». Poi, aggiungesti. «Atalanta, dovresti metterti in testa che non ti sentirai mai dire quello che vuoi, ma che è più facile sentirsi dire quello che è giusto».
«Stai dicendo anche tu che sono una stramboide persa nel suo mondo? Sei d’accordo con loro?» Oddea, un’altra tempesta ormonale no, per carità. Ti affrettasti a rimediare: «No, io sono un uomo adulto, non sono d’accordo con loro. Ma credo che dovresti pensare anche al mondo reale». Già il fatto che ti ospitasse così a occhi chiusi non ti piaceva molto. Già lo sconsigliavi alle donne in generale, a meno che non fossero receptionist di un albergo o locandiere o comunque in possesso di conoscenze d’autodifesa.
«Disse quello uscito da una leggenda». Ribatté lei con una sicurezza disarmante.
«Sì, ok, non giudicarmi dal mio aspetto esteriore, per favore». Ci mancava solo un’altra tempesta ormonale ed eri sicuro che non avresti retto ancora a lungo. «Dico solo che di questi tempi sarebbe meglio non aprire a nessuno, capisci quello che intendo?»
«Sì, lo capisco». Però ti abbracciò lo stesso e tu, le posasti una mano sulla testolina, a disagio. «Grazie lo stesso, per tutto». Ma se non avevi ancora fatto niente, a parte piombare nella sua vita tra capo e collo. Si scostò da te e ti prese per un polso, mostrandoti quello che stava realizzando. E restasti stupito dalla bellezza dei murales. Erano un trionfo di prospettiva. Aveva dipinto delle illusioni. Fino a questo momento non sapevi che fosse possibile dipingerle, tu, che ne eri il signore assoluto. «Li hai fatti tu?» Chiedesti indicando la parete dove spiccava quel paesaggio fantastico, che sembrava uscito da un libro di favole. Non pensavi che potesse fare cose come queste. «Sì, ci sto lavorando da un pezzo». Rispose orgogliosa. Poi ti mostrò altre tele dipinte da lei stessa. In una riconoscesti la storia di Re Artù alla testa dei Cavalieri della Tavola Rotonda e Sarmati, con i Pitti dalle membra dipinte di blu, che uscivano da volute di fumo. Riconoscesti il film del Duemilaquattro che Shura ogni tanto si riguardava. Poi passasti a un’altra tela.
In uno Jack Sparrow appeso alle sartie della nave, che puntava la pistola verso l’osservatore, con un sorriso beffardo dipinto in volto. Uno di quelli da mattacchione innocuo, che da assassino provetto come Death Mask. Non ne capivi un accidente di arte, questo era risaputo. Ma questo, tutto questo, era bello, genuino. Non pensavi che le persone potessero realizzare opere d’arte come queste.
Solo che adesso stavi cominciando a domandarti se fosse la cosa giusta interrompere il rito. Era evidente che questa ragazzina aveva bisogno di aiuto. 
Non capivi soltanto una cosa: perché ti mostrava tutto questo? Un momento, te l’aveva detto prima. «Dimmi un po’, tu non hai molti amici, vero?» Le domandasti un po’a disagio dalla sua manifestazione d’affetto. Capivi anche tu di essere un bell’uomo, ma eri decisamente più vecchio di lei, non avevi tempo e non eri interessato alle ragazzine. Era il duemiladiciannove, dopotutto. Se non te la togliesti di dosso fu solo perché non eri sicuro di riuscire a controllare la tua forza. Dopotutto tu eri pur sempre un Saint e lei una civile.
«In effetti no, in città tutti mi considerano una stramboide». Ammise imbarazzata. Evitasti di dirle che a quell’età persino un paese di ottant’anime può sembrare un mondo intero. Dopotutto sulla Terra eravate otto miliardi di persone, quasi nove. Adesso in forte diminuzione. Stando alle stime dovevate già essere almeno quattro miliardi solo in quest’ultimo anno. Non era mai successa prima una strage di queste proporzioni.    
«Dove sono i tuoi genitori?» Le domandasti girandoti a guardarla e lei si rabbuiò. «La mia famiglia è stata sterminata da quegli spettri neri». Rispose in tono mesto. La guardasti comprensivo, mettendo in ordine i tasselli. E da allora cercava consolazione e risposta nei manga. Era intelligente. Pur non essendo direttamente coinvolta aveva capito che se c’era qualcosa, la poteva trovare in queste storie, perché a volte è proprio la fantasia ad arrivare dove la ragione si ferma. Avresti tanto voluto rispondere alle sue domande, darle delle risposte, ma non avevi voluto. Non volevi che finisse coinvolta nel tuo mondo, non più di quanto già non fosse.
Ma come?
Mentre cercavi di farti venire un’idea, passasti a un’altra tela e vedesti una ragazza bionda con le mani tese verso di te, che ti porgeva una luce, mentre emergeva dalle tenebre. Quella ragazza ti ricordò Astrid. Aveva la stessa espressione determinata e coraggiosa. Era come se stesse lottando per scacciare le tenebre che l’avvolgevano. Per un secondo ti parve che gli occhi della figura stessero guardando proprio te. Come stesse veramente passandoti il piccolo globo di luce tra le sue mani. Avesti anche la tentazione di tendere la mano e riceverlo, ma la figura non si animò mai e, tu finisti per toccare solo la tela. «Ti piace». Costatò la sua creatrice in piedi accanto a te.
«É molto espressivo». Dicesti, senza staccare gli occhi di dosso al dipinto.
«Se lo vuoi posso regalartelo».
«No, meglio che resti qui, anche perché non saprei dove metterlo». Spiegasti rimettendolo giù. Lei non parve essersela presa troppo.
In quel momento udiste un rombo di motori all’esterno ed entrambi vi precipitaste fuori. Ti spostasti la ragazzina dietro la schiena. I cacciatori di faine vi avevano trovati.
Ma Atalanta si scostò da te e corse loro incontro urlandogli di fermarsi. Ottenendo come risultato che presero a girare attorno a lei. A un tratto uno di loro si staccò dal gruppo e si lanciò verso di te. E ti venne istintivo scostarti, ma quello non demorse e, capisti che stava per condurti in mezzo al cerchio dove i suoi compagni avevano intrappolato la tua ospite.   Se non fossero stati tutti ragazzini urlanti ed eccitati (neanche fossero sotto l’effetto di chissà quale droga) a cavallo delle loro moto da cross e motorini e che sparavano per aria costringendovi a tapparvi le orecchie, li avresti rimessi in riga seduta stante.
Ma non potevi alzare le mani contro dei civili e, quelli, per te, lo erano, anche se erano messi peggio dei Bimbi sperduti di Peter Pan (anche al Santuario vi raccontavano le favole). Il tuo primo istinto fu quello di proteggere Atalanta e, pertanto ti chinasti su di lei per farle scudo con il tuo corpo. Le provocazioni che vi urlarono tra uno sparo e l’altro, invece, te li fecero guardare male. «E questo vecchio chi è?», «É il tuo ragazzo?», «Ma guardateli, alla strega piacciono quelli più vecchi», battuta cui seguirono delle risate. E la tua ovvia occhiataccia. D’accordo, anagraficamente parlando avevano ragione, ma tu di tutti quegli anni avevi vissuto solo la metà e forse neanche quella.
Intanto a causa dello smog cominciavate a tossire entrambi. La tua ospite si aggrappò a te, ma a quella provocazione cominciò a inveire anche lei, per la gioia delle tue orecchie. «Castore, Polluce, Iolao, Nestore, Peleo, Mopso, smettetela!»
«Basta!» Urlasti a tua volta, ma nessuno ti dette retta. Proprio allora arrivò una macchina da cui scesero altri ragazzini tra cui, un tizio che non avrà avuto più di diciassette anni che si atteggiava a padrone del mondo. Si piazzò davanti a te a gambe larghe e braccia incrociate, una cicca che gli pendeva dall’angolo della bocca. Aveva i capelli ricci e rossi e arroganti occhi verdi. Ti squadrò con disprezzo ricordandoti molto Death Mask e, come molte volte con il tuo compagno, ti venne voglia di correggerlo a suon di sberle. Ma ti limitasti a sostenere il suo sguardo come a dire: “Dovrei aver paura di te?” Ma era anche vero che questi erano armati e che tu non avevi con te la tua armatura. Meno male che la belva sembrava molto lontana, altrimenti non eri sicuro di poter rispondere delle tue azioni. 
«Allora è questo l’uomo di cui parlavano i bambini?» Domandò retorico scrutandoti.
«Lelex, lascialo stare, è finito qui per sbaglio, se ne andrà subito».
«Atalanta, dovevo immaginarlo che c’eri tu dietro, non hai mai osservato la Legge e sai che cosa succede a chi trasgredisce».
«Saga è solo di passaggio, era ferito, non potevo lasciarlo in mezzo alla strada».
«Hai fatto entrare un adulto! Un estraneo!» Sbraitò il moccioso avanzando di un passo e tu stringesti a te la ragazzina facendole da scudo con il tuo corpo. «Non nasconderti, vigliacca, vieni fuori! Hai infranto la Legge un’altra volta, come la mettiamo adesso? Vuoi davvero essere cacciata? Non pensi che adesso chiamerà le autorità?»
La piccola si appigliò a te in cerca di conforto e tu, a quel punto reagisti: «Smettila di urlare, la spaventi».
«É bene che si spaventi, questa mocciosa insolente, non fa altro che metterci nei guai. E tu chi sei? Come sei arrivato qui? Che cosa vuoi da noi?». Ringhiò.
Trattenesti l’impulso di prenderlo per il colletto della maglia e alzarlo da terra. Ricordasti a te stesso che erano solo dei ragazzini indifesi rispetto a te. Non si sarebbero accontentati di un ordine o qualcosa di simile, necessitavano anche delle spiegazioni che ritenevano accettabili. «Io da voi non voglio niente, neanche sapevo che esistevate fino a ieri, è come dice Atalanta, sono finito qui per sbaglio».
Il tuo interlocutore si accigliò: «Il tuo accento è diverso, non sei di qui, di dove sei?»
«Italia». Mentisti e la ragazzina tra le tue braccia ti guardò sbalordita. Tu la ignorasti e non distogliesti lo sguardo dal capo del gruppetto. Per tua fortuna, Lelex non era così intelligente, era solo un bulletto senza cervello. Altrimenti avrebbe capito che il tuo greco perfetto era quello di Atene. 
«Che cosa sei venuto a fare qui?» Ti chiese.
«Sono un marciatore, faccio trekking, ma ieri sono caduto in un crepaccio e se non fosse stato per Atalanta non sarei qui. Lei non c’entra niente, la colpa è della mia disattenzione, la vostra compagna mi ha solo curato e ospitato, voglio solo ripartire e tornarmene a casa mia. Non sono interessato a rivelare l’esistenza di questo posto a nessuno, non voglio avere grane». Lui provò ad avanzare minaccioso verso di te, ma si arrestò immediatamente, quando si accorse che tu lo superavi di una trentina di centimetri buoni e che, eri anche più grosso di lui. Inoltre, tu avevi il carisma e la sicurezza che lui non possedeva. Infatti si arrestò immediatamente. Cercò in te un punto debole, ma il tuo sguardo gli impedì di staccare i suoi occhi dai tuoi. Gli incutesti tutto il timore di cui eri capace ed esigesti silenziosamente, tutto il rispetto che ti doveva.
Erano regrediti allo stadio di selvaggi e, in questo, non erano troppo diversi dal tuo compagno di Cancer. Grazie a lui sapevi come trattare con questi individui, anche se erano solo ragazzini. Anche se ti sembrava che il libro di William Golding avesse effettivamente preso vita. Era quanto di più terribile che potesse accadere.
Soprattutto per Atalanta. La tua permanenza qui era stata etichettata come una minaccia e aveva reso la tua ospite un bersaglio, ancor di più di quanto non fosse già prima.
Anche se ti avevano minacciato di ucciderti con le armi che probabilmente erano appartenute ai loro genitori o ai loro nonni, niente potevano contro di te. Se la cosa da un lato ti suscitava un leggero timore, dall’altro neanche ti tangeva; in fondo potevi muoverti a velocità che neanche si sognavano, per te era uno scherzo evitare quei proiettili. L’unica cosa che ti preoccupava era di dover alzare le mani a torto su di loro. Erano solo dei civili, mentre tu eri un militare. Alla fine, lui si piegò e dichiarò, con una smorfia di disgusto: «E sia, potrà restare, ma solo per oggi, e poi dovrà sloggiare».
«D’accordo».
«Raccogli le tue cose e non farti più vedere». Berciò Lelex all’indirizzo della ragazzina, calciando uno dei frutti. Poi rimontò in macchina assieme ai suoi scagnozzi e le guardie sgommarono via. L’ultimo ad andarsene fu proprio Lelex.
«Tu hai veramente intenzione di andartene?» Ti chiese la piccola Atalanta.
«Mi prendi in giro? L’ho detto soltanto per rabbonirlo. Purtroppo, non posso andarmene così facilmente anche se lo volessi».
«Perché no?» Chiese lei mentre raccoglieva la frutta e la rimetteva nel sacchetto, guardandoti. «Perché ho scandagliato tutta l’area con il mio Cosmo stamattina e non ho percepito alcuna traccia del portale che mi ha portato qui».
«Puoi davvero farlo?» Non rispondesti e lei lo prese per un assenso.
«Su, adesso andiamo a casa, devo cambiarmi le fasciature». La tua protetta (ormai potevi considerarla così) ti parve un po’ delusa dal tuo rifiuto di aprirti, però non si oppose. Chiuse la porta del magazzino a chiave e andaste.
Per tutto il tragitto aveva cercato di farti delle domande, ma le erano morte ancor prima di abbandonare la sua bocca. Altre invece erano rimaste intrappolate nella sua gola e, altre, nella sua testa. Non ti serviva il Cosmo per questo, bastava solo un po’d’attenzione. Era ovvio che adesso lei ti vedesse come il suo eroe ed era ovvio che volesse saperne di più, ma tu non eri in vena di risponderle. Perché farlo significava avvicinarla ancor più al tuo mondo e, lei, meno era vicina, meglio stava. Non avresti sopportato di vedere anche lei tra le fila dei soldati della Dea o ammazzata come Astrid. Anche perché non percepivi nessun Cosmo rilevante, in lei. Se tu l’avessi portata con te, avresti solo finito per ingrossare le fila dell’esercito normale. Per non parlare del dolore che le avresti arrecato anche in futuro. Non potevi sopportarlo.
Arrivati a casa, lei esplose in un: «É stata una figata! Sei stato fortissimo, prima!» Che ti fece trasalire. Ti girasti verso di lei e la guardasti contrariato: voleva farti prendere un colpo? Ma lei ignorò la tua espressione torva e continuò a guardarti con occhi luccicanti di ammirazione. «Non ho fatto niente di speciale, ogni persona l’avrebbe fatto».
«Non qui».
«Se qui non fossimo in una dimensione distopica, ti assicuro che sarebbe stato lo stesso».  Adesso pensavi seriamente che Shura fosse molto più aperto di te e disposto a trattare con i ragazzini. A te stava per venire un’emicrania. Non eri portato per stare a contatto con le giovani generazioni, non lo eri. Non con quelle così burrascose come quella di Atalanta. La quale ti guardò confusa: «Dimensione distopica? Ma di che parli?»
«Come altro dovrei definire questo posto, scusa?» Domandasti mentre ti sedevi al tavolo e cominciavi a svolgerti la benda sul polso. Le ossa si stavano risaldando, ma tu eri costretto a sopportare il dolore, perché, purtroppo, avevi bisogno di entrambe le braccia. E, lo stesso valeva per il dolore alla gamba lesionata.
Lei si avvicinò al tavolo: «Scusami, ma dove credi di essere?»
«Non tanto il dove, ma anche il quando».
Lei prese a tastarti la testa. «Che cosa fai?» La sua risposta fu: «Cerco il bernoccolo che ti sei procurato durante la caduta. Non vedo altra spiegazione del perché tu debba pensare di essere in una dimensione a parte e in un altro tempo». Scostasti la sua mano dalla tua testa, senza cattiveria, ma con fermezza e lei strinse la bocca, timorosa di averti fatto del male. Ma tu non ci desti peso: «Cosa?»
«Sì, qui siamo sulla Terra, in Grecia, in una frazione di Calidone ed è il sei maggio del Duemiladiciannove». Ti rispose lei. Il sei maggio? Tu eri partito la notte del quattro. «Tre anni fa i Saint hanno protetto la Terra da uno sciame di meteoriti e solo pochi mesi fa i Dissennatori hanno provocato danni strutturali all’Acropoli, però nelle immagini si vede, per un momento, una montagna che non dovrebbe esistere, ma l’abbiamo vista tutti. E, da quando ti ho incontrato sto cominciando a pensare che mia nonna non parlasse di fantasmi in senso stretto, ma di voi Saint. Perché pensi di essere in una dimensione parallela?» Aggiunse guardandoti preoccupata.
A questo punto non sapesti più che pensare. Ma le prove erano evidenti, ti aveva elencato dei fatti realmente accaduti, fatti che potevano essere successi solo qui. Avevi creduto che fosse una distopia, ma non avevi mai pensato a cosa potesse essere accaduto ad alcune zone esterne al Santuario, a paesini dimenticati dagli Dèi come questo. Tuttavia ancora non ti tornava, perché eri intrappolato qui? Perché non eri riuscito a tornare indietro quando eri tornato alla montagna? Era per via delle ferite? Perché non avevi bruciato il Cosmo con tutte le tue forze? No che non potevi, eri costretto a usarlo a intermittenza e pochissimo per evitare che le Creature ne fossero richiamate come squali dal sangue di una carcassa.
Ma se non fossi mai stato buttato fuori? Se finire qui facesse parte del rito? Allora perché nessuno dei Saint che partivano per compierlo ne parlava mai?  
Atalanta ti richiamò al presente domandandoti se andasse tutto bene, però tu non la calcolasti neanche e uscisti in giardino.          
Ti sedesti sotto il salice che teneva nel suo giardino, poco curato rispetto a come doveva essere prima, ma molto più di tutto quello che si vedeva in giro fuori della sua staccionata. Chiudesti gli occhi, appoggiando la tua schiena al tronco dell’albero. Quello che volevi fare non avrebbe chiamato le Creature, ma avrebbe permesso a te di farti un’idea più precisa del posto in cui ti trovavi.
Era appena arrivata l’alba del terzo giorno e tu, stavolta, non avevi dormito. Avevi passato tutta la notte a riflettere. Alla fine la ragazzina era riuscita a trascinarti in casa e a mangiare qualcosa. Avevi passato l’intera cena e l’intera sera assorto nelle tue riflessioni con un ardore che solo Shaka poteva eguagliare.
Però più ci pensavi più ci trovavi un senso. Tutto. Non era un caso che tu fossi giunto fin qui. Non eri stato buttato fuori dalla corsa come avevi creduto. Eri solo stato spedito nel luogo dove avresti potuto trovare un cinghiale. E, che cinghiale!
Ti schiacciasti i palmi sugli occhi e scoppiasti a ridere di te stesso. Come avevi fatto a non capirlo subito? Venivi ospitato nella casa di una ragazzina che si chiamava Atalanta, in un comune che era praticamente una frazione di Calidone e Lelex era il nome di uno dei cacciatori che parteciparono alla caccia del cinghiale Calidonio! Dunque quei vandali e questa ragazzina erano coloro che avrebbero dovuto aiutarti? Aveva un senso. Il senso, finalmente lo vedevi, solo che non ti eri accostato al rito con lo spirito giusto. Non era con gli occhi della disperazione che avresti dovuto andare, bensì con quelli del fedele. Qui non si trattava di razionalità, qui si trattava di credere.
Più coincidenza di così si muore. «Sei un deficiente». Mormorasti a te stesso, ancora disteso sul letto, togliendoti le mani dagli occhi.
Ed era anche ora di guarirti le ferite. Non eri proprio un genio, ma sapevi dove si trovavano le tue seimei ten, perciò, facesti pressione su quelle e attendesti che facessero il loro lavoro. Ovvio che anche tu le conoscevi, solo che non v’eri mai ricorso perché, finora, non c’era mai stata una vera e propria necessità. Saresti dovuto essere al meglio delle tue possibilità, se volevi portare a termine questo rito.
Mentre il tuo corpo si rigenerava chiudesti gli occhi e, ti prendesti finalmente, il tuo meritato riposo, ritornando alla tua forma animale. Così, in caso i cacciatori di faine fossero tornati, avrebbero trovato una civetta al posto tuo.
Finora non avevi mai benedetto la tua rinascita in queste sembianze animali, ma ora sì, la benedivi eccome. Non avevi ancora trovato l’occasione giusta per sfruttarla appieno.   
Quando ti svegliasti era ormai tardo pomeriggio, l’ora in cui le civette si destano e, vedesti la porta aperta. Tu ricordavi di averla chiusa. Probabilmente era stata Atalanta, era venuta a controllare che tu te ne fossi andato. Ma non doveva aver guardato bene, perché tu c’eri, sul cuscino, ma c’eri. 
Arruffasti le penne e sbattesti le ali. Non provasti alcun dolore. Anche la ferita alla zampa era guarita perfettamente.
Ti alzasti in volo e raggiungesti la tua ospite che stava trafficando in cucina.  
La ragazzina lanciò un urlo e si girò di scatto, facendo cadere il piatto che stava lavando nell’acquaio. Si schiacciò contro il medesimo e ti fissò con due occhi grandi così.
«Non gridare o attirerai tutto il circondario». L’ammonisti, posandoti sul tavolo. «Scusa se ti ho fatto credere di essermene andato, ma pensavo che così avrei dato meno nell’occhio e, i tuoi amici, dovrebbero esserci cascati, no?»
«Saga?» Domandò lei incerta, ancora schiacciata contro il piano della cucina.
«Sì». Se tu avessi potuto sorridere, l’avresti fatto. Ti fece, invece, una strana impressione non sentire più i tre topolini sulla tua testa parlare. Adesso se ne stavano zitti.
«Come... che ti è successo?»
«Lunga storia, lascia perdere».  Tagliasti corto e lei rispettò il tuo comando con un: «D’accordo, se lo dici tu».
«Non ti eri accorta che la mia roba è ancora in camera?» Le domandasti, colto da un dubbio, mentre si sedeva lentamente davanti a te, ancora con gli occhi che minacciavano di uscirle dalle orbite.
«No». Ammise, fissandoti incredula. Decidesti di non fare troppo caso al suo sguardo. La strada della riuscita, a quanto pare, la indicava lei. Bè, dopotutto avevi chiesto tu un segno e chi meglio di una ragazzina che portava il nome della principessa cacciatrice avrebbe potuto supportarti in quest’impresa? Perciò andasti subito al nocciolo della questione.
«Atalanta, vorrei che tu facessi una cosa per me». Lei, ti guardò incuriosita e anche un filo intimorita. «Mi sapresti indicare una biblioteca? Devo controllare i giornali».
«Devi proprio andare in biblioteca?» Chiese lei, rilassando le spalle. Come se per un momento avesse dubitato delle tue intenzioni. «Sì, voglio trovare degli articoli di giornali di aggressioni di cinghiali, mi serve per… una cosa importante».
«Per caso ha a che fare con la tua tenia?» Chiese indicandola con il cucchiaio che sollevò dal tavolo per indicarti. E, quella era rimasta, anche se si era adattata a te e, adesso, ti cingeva il collo con il tuo cravattino. La benda che portavi sulla fronte in perfetto stile Aiolos era chiamata così, in Grecia.  
La guardasti stupefatto da questa domanda posta in maniera apparentemente innocente. Ma poi ti ricordasti che era solo una bambina, una civile. Probabilmente doveva averla assimilata a qualcosa di cui aveva letto. «Sì».
«Non ti serve la biblioteca, ti presto il mio telefono». Ciò detto corse a prenderlo e, quando tornò, scusandosi, pose le braccia ai tuoi lati, di modo che tu potessi vedere bene e ti chiese che cosa cercare. Per una volta ringraziasti il progresso tecnologico: era uno di quelli che avevi visto spesso usare ad Astrid e agli altri al Santuario, ma essendo che tu eri costretto la maggior parte del tempo in questa forma, non ti eri mai premurato di imparare a usarlo, né di procurartene uno. Né i tuoi compagni avevano cercato di aiutarti a famigliarizzare con quest’oggetto. Ti sentisti leggermente fuori posto, un po’ come un fossile vivente. O meglio, Redivivo. Ai tuoi tempi i telefoni erano ancora e solo fissi. «Cercami tutti gli articoli di giornale di qui relativi ad attacchi di cinghiali».
«Cinghiali? Perché ti serve una ricerca come questa?»
«Perché devo riportare un auge un mito che ti riguarda».
«Mi riguarda? Io? Perché? Ma io non ho niente di speciale, sono solo una stramboide che colleziona manga e si veste…» Rilevò, indicandosi, stupita.
«Perché tu sei Atalanta». Ti girasti verso di lei e, guardandola negli occhi, la mettesti a parte della tua scoperta: «Non è un caso che io sia finito qui, non è un caso che tu ti chiami così e non è un caso che questo posto pulluli di cacciatori e che sia lasciato allo sbando così. Tu, anche se somigli a Nausicaa, sei la principessa cacciatrice del mito, lo capisci?»
«Ma io non ho mai preso in mano un’arma…» Cercò di farti notare e tu la interrompesti: «Non è questo il punto, neanch’io ho mai maneggiato un’arma» e, accoltellare una culla non valeva di sicuro, «avevo chiesto un segno e non mi ero mai accorto di avercelo sempre avuto davanti per tutto il tempo».
«Quindi significa che dovrò aiutarti a cacciare?»
«No! Certo che no! Questo non cambia la mia opinione di prima, ma devi solo aiutarmi a mettermi sulle tracce di un cinghiale senza essere scoperto».
«Ma le tue ferite?»
«Guarite, però potresti togliermi il filo dalla zampa? Io con il becco non ci riesco».
«Sì, aspetta». Si alzò di nuovo e andò in bagno per tornare con delle forbicine per unghie. Tu sollevasti l’ala e lasciasti che lei, mezzo stesa sul tavolo, prendesse il filo e lo tagliasse. Poi, si raddrizzò e lo sfilò. Poi, tornò al compito iniziale che le avevi dato.      
Così, con un po’di fatica, riusciste a fare la ricerca ti serviva. In effetti si erano verificati anche nel corso degli anni passati. Questa zona era degradata già da ben prima dell’intervento delle Creature. La cosa che ti sorprendeva era che fosse decaduta così tanto. Sembrava quasi di essere finiti tra le rovine di Io sono leggenda, la differenza era che non c’erano vampiri e che a comandare erano i ragazzini.
Un paio di domande pungolarono il tuo cervello: perché il governo non faceva niente? Perché non mandava via i ragazzini? Ti tornò in mente un altro paragone letterario che, durante la tua reggenza (usurpazione) avevi letto tanto, Il signore delle mosche di William Golding. Ma qui eravamo ben lontani dalla lotta per la gerarchia che aveva caratterizzato una delle parti del libro che ti erano piaciute di più. Qui i ragazzini erano passati direttamente alle maniere forti e Atalanta, che ancora continuava a proteggere posti come la fumetteria-magazzino era mal vista. Le scoccasti un’occhiata preoccupata mentre lei ti spiegava tutto quello di cui avevi bisogno di sapere. Ma tu conoscevi il finale della storia e, sinceramente, non gliela auguravi.
Lo stesso non si poteva dire per i ragazzini.
Alla fine mise giù il telefono e domandò, ritraendo le mani: «Dunque cosa pensi di fare?»  
«Che domande, il mio lavoro di Saint». Rispondesti sprizzando gioia da tutti i pori. E, se ci pensavi bene, tu a servirti di ragazzini c’eri abituato, gli scrupoli di coscienza li potevi anche mettere da parte per un po’. Ti sarebbe bastato non metterli troppo in pericolo, ma solo che ti aiutassero, almeno, a circondare l’animale e a impedire che ti sfuggisse.

«Io credo che sia una pessima idea». Ti sussurrò Atalanta, mentre passeggiavate per il paesino. Tu, sulla sua spalla ed entrambi sotto il suo ombrello bianco a schermarvi dai raggi del sole. Sì, ti sentivi ancora a disagio a stare appollaiato sulla spalla di una donna in generale, ma non v’era stata altra soluzione. Considerando che era già anomala di suo, un esserino come te, addosso a lei, passavi quasi inosservato. Un accessorio in più.
Ora che non eri più costretto a restare rintanato in casa sua, lei fu libera di mostrarti il comune. Era effettivamente una città popolata da bambini e ragazzini. I quali, tutti, amavano Atalanta come un tempo Rodorio aveva adorato te. Non solo perché aveva conservato il magazzino, ma perché, aveva fatto sì che i bambini continuassero a studiare, che fossero puliti e al sicuro.  Lei, assieme a un gruppetto si erano prodigati per il loro benessere.
Per la prima volta ti rendesti conto che era considerata quasi una principessa tra la sua gente. I ragazzini erano pronti a fare qualsiasi cosa, per lei. La quale non esitava a sporcarsi le mani per aiutare.  Per esempio, era stata sua l’idea di coltivare i pomodori e di istituire dei turni di guardia per evitare che gli animali razziassero più del dovuto.
Lei stessa aveva contribuito alla costruzione di alcuni recinti. Anche se servivano più che altro per tenere gli animali radunati in un posto. I vari orti che vedesti potevano essere coltivati meglio di così. Addirittura, la giovane, aveva riciclato un vecchio sistema degli scout per procurarsi dell’acqua scavando buche nel terreno, posizionandoci delle boracce e ricoprendo il tutto con un telo di plastica poi mettendoci dei sassi sopra. Un sistema rudimentale, ma efficace, anche se, ti aveva detto, che c’erano voluti diversi tentativi prima di trovare il sasso giusto.  
Ma c’erano anche i risvolti negativi, per esempio, alcuni ragazzi si facevano a causa degli spacciatori che avevano trovato terreno fertile e covo per il loro traffico. E, molti ragazzini erano morti per overdose. Uno dei lavori dei cacciatori di faine era quello di evitare che gli animali dissotterrassero i corpi e li mangiassero.
Nel complesso brulicava di vita, anche se ti si strinse il cuore nel vedere dei bambini giocare in una pozzanghera. Uno di essi ci si lavò le mani e nessuno fece niente per fermarlo. Distogliesti lo sguardo, altrimenti ti saresti fatto scoprire. 
Alla fine ti era servito, solo che lei non lo poteva sapere. «Allora, hai visto quello che ti serviva?» Ti domandò quando foste a trenta metri da casa. L’avevi accompagnata a scuola ed eri rimasto con lei. Non ti aspettavi che ci fosse ancora una scuola qui, anche se erano quelli più grandi a insegnare. Lei si era sentita a disagio tutto il tempo per via della tua presenza, anche se te ne stavi appollaiato su un albero, ben celato dalle fronde.
«No, purtroppo».
«Mi dispiace che il giro si sia rivelato infruttuoso». Si scusò lei. «Non lo è stato, tranquilla, se non altro, adesso ho una vaga idea di come è fatta questa cittadina e dei punti che posso sfruttare».
«Pensi di catturare qui il cinghiale?»
«Non so dove lo catturerò, ma devo prepararmi dei piani per ogni evenienza, perché potrebbe comparire da un momento all’altro».
«Allora secondo me faresti prima ad aspettare la notte, quando tutti sono a dormire, è il momento migliore per gli animali di entrare in città ed è anche il momento migliore per incontrare gli altri cacciatori, se vuoi coinvolgere Lelex e gli altri».
«Sì, hai ragione, oggi non vai alla fermata dell’autobus?» Le domandasti. Anche se era calato il sole e non aveva più molto senso, glielo domandasti lo stesso. Avevi capito che era uno dei suoi riti quotidiani. Lei chiuse l’ombrello ed entraste in casa. 
«Ci sono andata prima che ti svegliassi». Ti rispose imbarazzata e un leggero rossore le colorò le guance. Appese il parasole all’appendiabiti e tu volasti via dalla sua spalla. «Quanto tempo ti avevano dato per portare a termine il rito?» Ti chiese poi passandoti accanto per togliersi le scarpe e mettere le ciabatte.
«Non l’hanno detto».
«Hai ancora intenzione di restare una civetta ancora a lungo?»
«Solo il tempo necessario affinché i tuoi amici non ci spiino». Anche se non avevi rilevato le loro presenze, data la loro mania di esibizionismo e la loro goffaggine, dubitavi seriamente che fossero così previdenti. Era un miracolo che la loro società disorganizzata fosse ancora in piedi dopo un anno.
«Va bene, in caso tu voglia tornare umano e usare il bagno, usa quello di sopra».
«Ci avevo già pensato anch’io». Lei curvò la bocca in un sorriso e poi si mise a preparare qualcosa da mangiare. Pasto che, ti tenne in caldo senza problemi, sicché tu potessi farti una doccia e toglierti di dosso gli ultimi residui di sporcizia.
Mentre ti lavavi, il più velocemente possibile, elaborasti un piano. Non era bene sostare troppo a lungo in questi posti e tu, o almeno una parte di te, se ne era accorta.  
A te ricordò prepotentemente una canzone che avevi sentito canticchiare a Death Mask un pomeriggio di noia. Per svagarti un po’ascoltasti un po’di musica, gentilmente offerta dalla radiolina di Atalanta, un affarino che sembrava un cilindro di plastica fucsia cui aveva collegato il telefono, spiegandoti che casa sua aveva un generatore elettrico ausiliario ma non seppe spiegarti perché; la poveretta non era un ingegnere elettrico o un’elettricista. Poi grazie tante, anche se eri adulto neanche tu sapevi qualcosa di questo. Quindi eri utile quanto lei sotto questo punto di vista. Ecco il limite di un Saint, potrai fargli fare molte cose, ma se gli darai una lampadina in mano e gli dirai di cambiarla, probabilmente andrà nel pallone. Soprattutto tu, Kanon, Aiolia, il compianto Aiolos e anche Shaka, dal momento che voi non avevate niente a che fare con l’elettricità al di là del Cosmo.
Decidesti di concentrarti sulla canzone e ti mettesti a ondeggiare la testolina a tempo.
«E allora balliamo mentre il mondo cade a pezzi,
perché è l’unica cosa sensata in questo mondo di pazzi
».
Ecco cosa sembravano suggerire quei versi che vorticavano nella tua testa, come ammalianti silfidi danzanti.
Stavate mangiando quando sentiste il rumore degli spari. Atalanta sbarrò gli occhi e si gettò sotto al tavolo. Tu la imitasti, ma solo per poco che volasti a cambiarti di sembianze e abiti e corresti in aiuto dei ragazzini. E, trovasti Lelex e i suoi combattere contro altri giovani e spacciatori. «Chi sono?» Chiedesti ad Atalanta, che ti aveva seguito.
«Meleagro, Tosseo, Cipselo, Idas e Linceo con Anfiarao e Teseo».  I restanti cacciatori del mito del cinghiale. Perfetto. «Tu resta qui, mi occupo io di loro». Promettesti e, in tre secondi disarmasti gli avversari e tramortisti gli spacciatori. Ma uno di loro rinvenne e provò a spararti, tu raccogliesti tutti i proiettile senza riportare ferite e poi gliele lasciasti ricadere davanti, ancora fumanti. Questo convinse i delinquenti a fuggire, mentre i ragazzini ti puntarono le armi addosso. «Non fatelo». Consigliasti caldamente.
Proprio allora sentiste il rumore di un colpo di pistola e vedesti il proiettile passarti a pochissimo dal naso per dirigersi verso Lelex. Afferrasti il proiettile e salvasti così il ragazzo.  Quando questi si rese conto che eri tu ti si rivolse con occhi grandi come piattini da tè per lo stupore: «Non è possibile, sei ancora qui!»
«Oh, e sarebbe questo il modo di ringraziare chi ti ha salvato la vita?» Lo sbruffoncello arrossì e distolse lo sguardo. «Da l’ordine di cessare il fuoco e di proteggere i bambini, io mi occupo degli animali». Ordinasti accennando agli spacciatori e i delinquenti che avevano cercato di ammazzarlo.   
«Perché dovrei farlo?»
«Perché sì!» In quel momento arrivarono anche tre cacciatori di faine al suo soldo  e, assieme ai ragazzini rimasti, ti puntarono le armi addosso. Avrebbero anche sparato se non fosse stato per il tempestivo intervento di Atalanta che ti si parò davanti. «Fermi, non sparate!»
«Atalanta!» Esclamarono sbalorditi. 
«Ascoltalo, Lelex!» Fece lei. «Ti ha salvato la vita! Se non ti avesse preso e tolto da lì saresti stato travolto dalla carica!»
«Con che diritto osi rivolgerti a me così, vuoi che ti esilii?»
«Adesso basta, Lelex, stai esagerando! Qui non si tratta di autorità, non mi è mai interessato prendere una posizione diversa dalla mia all’interno della società; si tratta di aiutare una persona in difficoltà! Saga ha bisogno di aiuto e vuole aiutare noi! Non ha intenzione di fare niente di male perché lui è uno dei Saint della Dea Atena, ricordi di tre anni fa? Lui è uno di quelli che ha combattuto per proteggerci e io lo so perché ho visto di cosa è capace! Esiliami pure, se lo desideri, ma sappi che non cambierà niente, non ho più paura del fuori adesso che so che esistono davvero! Con che coraggio vuoi uccidere quello che ti ha salvato la vita? Sei in debito con lui e con me, che l’ho aiutato finora!»
«Non giocare con la mia pazienza». La avvisò minaccioso puntandogli l’arma addosso ma lei, non si scostò, pur tremando dal terrore. «Sì, certo! Bravo, uccidimi pure e poi chi sarà il prossimo, sentiamo! Ucciderai tutti quelli che hanno una visione diversa dalla tua? Avevi detto che saresti stato una guida buona e giusta, non un dittatore! Avevi detto che i dittatori erano la cosa che odiavi di più al mondo! Te ne sei dimenticato? É grazie a te che ho ancora la mia casa e posso condurre la mia vita quasi come prima, ho sopportato le tue angherie e la tua condiscendenza solo per paura,  ma questo! Se questo è il prezzo allora tienitelo pure, non ho bisogno di te! Me la caverò benissimo da sola!»
Abbassò le braccia e gli scoccò un’occhiata truce. Il ragazzo la guardò strabiliato. Poi si ricompose e mise su un’aria di scherno: «Non dirai sul serio».
«Sì che dico sul serio e, sai bene che le persone hanno sempre avuto più simpatia per me che per te. Tu avrai anche i cacciatori di faine, ma io ho il resto della cittadina dalla mia parte; a chi credi che daranno più retta se gli chiediamo di schierarci? A te o a me? Ammettilo, Lelex, tu hai bisogno di me per far funzionare quest’organizzazione e, lo sai anche tu! Ci sono sempre stata io dietro le tue idee, io ho medicato le tue ferite e quelle degli altri, io ho fatto sì che i bambini potessero vivere una vita parzialmente normale, prima che le armi ti dessero alla testa! Io! Hai sempre detto che eri in debito con me, che mi dovevi un favore per tutto quello che ho fatto! Bene, allora ti chiedo di aiutare Saga!»
«Se lo aiutassimo se ne andrebbe e denuncerebbe all’autorità competenti…»
«Lo sanno già! Se lo lasciassimo andare, lui ci porterebbe i sostegni che da soli non riusciamo a procurarci e ne abbiamo più bisogno che delle munizioni e delle armi! Scaccerebbero gli spacciatori e i delinquenti, ci aiuterebbero con le malattie, forse ci poterebbero persino in un luogo più sicuro e tu potrai di nuovo suonare la chitarra, invece che imbracciare un fucile.» Sospirò e domandò: «Non sei stanco di questa vita? Io sì, sono stanca di sopravvivere, voglio tornare a vivere». Il giovane la guardò stupito, poi abbassò l’arma e, tutti, fecero altrettanto. «Hai ragione». Ammise e, tu restasti stupito dal carisma e dalla veemenza che era riuscita a tirare fuori. E dire che all’inizio neanche ti era sembrata così volitiva. «Non è lui il vero nemico, i nemici lo sai anche tu quali sono. Ricordati che cosa ci sta succedendo».
«Hai ragione, Atalanta». Concesse l’altro. «Sono stato un imbecille». La giovane sorrise. Tu comunque non ti fidasti troppo. I tipi che si arrendevano così facilmente come lui potevano essere ancora più pericolosi. «Cosa dobbiamo fare?»
Il piano fu semplice. I ragazzini sarebbero stati spostati in un’area sicura. Per la precisione nel magazzino di Atalanta mentre tu e gli altri ragazzini sareste andati a caccia quella notte stessa.        
«E per gli spacciatori e i delinquenti?» Domandò Lelex.
«Per loro chiamerò io le autorità per voi; tranquillo, manderò qualcuno del Santuario per portarvi via da lì». Aggiungesti preventivamente.
Quella notte andaste a caccia e, i ragazzini, dopo aver costretto la preda a seguire la direzione da te scelta, lo uccidesti con un colpo dato alla velocità della luce e gli prendesti il cote che ti serviva.
Era l’alba quando tornaste vittoriosi dalla caccia e riportaste tutti alle loro case. Il corpo del cinghiale l’avevate lasciato nelle rovine del paese adiacente disabitato.
Atalanta appena ti vide divenne il ritratto del sollievo e ti corse incontro per abbracciarti. Tu ricambiasti la stretta con la mano meno sporca. «Ce l’avete fatta, allora». Fece discostandosi da te, mentre gli altri cacciatori ricevevano un’accoglienza simile. Tu annuisti, sorridendole.

Appena dopo esserti lavato, chiedesti ancora una volta alla tua piccola ospite di prestarle il cellulare e così, chiamasti i tuoi colleghi Gold Saint, spiegandogli la situazione dei paesini della frazione di Calidone, convincendoli a intervenire. Non l’avresti mai detto che gli anni passati a reggere il trono di Atena ti sarebbero serviti a qualcosa di buono. Se Aiolos avesse potuto vederti sarebbe stato orgoglioso di te. Come adesso anche tu lo eri.
Restasti finché i soldati del Santuario non giunsero e ti garantirono che da adesso in poi ci avrebbero pensato loro ai bambini.
E, giunse così il momento di separarvi. Atalanta decise di accompagnarti almeno fino all’inizio del paese. E, parlaste. «C’è solo un particolare che non mi torna» disse lei, pensierosa, a un tratto e tu la guardasti.  «Come sei riuscito a convincere Lelex e gli altri in così breve tempo?»
«Ma non li ho convinti io, sei stata tu, se non avessi avuto il tuo appoggio non ci sarei mai riuscito».
«Il mio appoggio? Sul serio?»
«Certo».
«Ma quindi… e quei cinghiali…»
«Li avevo attirati io qui, precedentemente, quando mi hai accompagnato la prima volta al portale, che davvero si era richiuso e, poi, con una mia tecnica li ho ipnotizzati di modo che rispondessero ai miei ordini mentali». Le spiegasti con un sorriso inquietante. «Non c’è mai stato davvero pericolo per voi, scusami se vi ho coinvolti in tutto questo.» Lei ti guardò sbalordita e, invece di spaventarsi ti mollò un buffetto sul braccio: «Brutto… mi hai fatto spaventare da morire! Era tutto un trucco?»
«Non tutto, ad esempio, quelli sono veramente soldati del Santuario con il preciso ordine di scortarvi tutti al sicuro, così avrete tutte le cure mediche necessarie e alcuni di voi potranno anche disintossicarsi, mentre i nostri scacceranno gli spacciatori e i delinquenti». Le posasti una mano sulla testa e le scompigliasti i capelli: «Quello che hai fatto per farti valere è stata tutta opera tua, quello era reale e lo è ancora, adesso hai il rispetto dei tuoi compagni». Le sorridesti orgoglioso. «Sei più forte e coraggiosa di quanto pensi, avevi solo bisogno di una piccola spinta per tirare fuori quello che era già dentro di te e a vederlo. Non tutte le persone, alla tua età fanno cose straordinarie come quelle che hai fatto finora».
«Credi?»
«Sono sicuro». Lei ti guardò ancora, intimidita. Sembrava che morisse dalla voglia di farti un’ultima richiesta. Infatti, aprì bocca: «Posso chiederti una cosa? Possiamo farci un selfie? Così, per ricordo». Un selfie? Ah, un autoscatto. Avevi visto tanti giovani in Giappone scattarsi delle foto e anche Aphrodite. «Ma certo». 
Appena mise giù il telefono la salutasti e lei ti richiamò. «Ah, Saga?» Ti girasti e vedesti estrarre dalla tasca un braccialetto di perline di varie gradazioni del verde, legate da una cordicella nera, che ti porse. «É un portafortuna, spero che ti possa aiutare». Spiegò e tu la ringraziasti. Lasciasti che ti allacciasse attorno al polso il monile e poi ti abbracciò. «Ti rivedrò?» Ti chiese con occhi pieni di lacrime. «Non lo so». Rispondesti sincero.  
Lei annuì. «Grazie ancora per tutto, Saga di Gemini».
«No, Atalanta, grazie a te». Per te era giunto il tempo di tornare nelle leggende.
Mentre camminavi nella direzione da cui eri venuto, riflettesti. Forse avevi fatto anche di più di quanto era richiesto dal rito. Non avevi mentito ad Atalanta quando le avevi detto di averli attirati. Eri abituato a fare più cose insieme, altrimenti non saresti sopravvissuto a tante battaglie, anche se eri ferito ancora più gravemente di così. Avevi lanciato il Fantasma Diabolico sperando che le Creature non accorressero, anche se credevi ancora di trovarti in un’altra dimensione. Per fortuna c’eri riuscito.
E avevi capito cos’altro avresti dovuto fare, seguendo la tua donna Matelda. Donna che aveva le sembianze di Astrid con indosso gli abiti di quella sera che andò alla festa.  Ma non era donna Matelda, non era neanche Beatrice, costei era superiore ai personaggi della Divina Commedia e agli Dèi. Solo adesso che stavi immerso in quella pozza, con lei che sollevava l’acqua con le mani e la lasciava ricadere su di te, liquida, fredda, salata e concreta come non mai, capisti.
Ci sono cose che non si possono capire, ma soltanto intuire. Questa figura, questo spirito benevolo, Astrid, era lì per te. Per ridarti l’innocenza che un tempo ti fu strappata e aiutarti a lavare via quella macchia nera nel tuo animo e la tua mente. Se non altro, ti sentivi come se il sangue che ti aveva macchiato fino a qui, stesse andando via nella pozza che scavasti con la zanna, consumandola tutta mentre si riempiva di acqua salata della fonte Posidonia.

Aphrodite
Saga sembrava una persona diversa da quando era tornato dalle montagne. Nei suoi occhi si intravedeva una nuova luce. Era come se fosse di nuovo in pace con se stesso.
Almeno uno.
Sotto la supervisione di voi dodici terminò il rito, nella vasca sacra alla Tredicesima.
Come da rito, passò la borraccia al venerabile Shion che rovesciò l’acqua della sorgente salata nella vasca. Dopodiché, Saga ci si immerse lentamente.  
Quando riemerse avvertiste di nuovo il sacro su di lui. La stessa aura di sacro che avvolgeva anche voi.
Una volta officiato il rito, il fratello maggiore di Kanon s’inginocchiò dinanzi alla Dea presente, la quale, toccandolo sulla spalla con la punta dello scettro che gli tolse la vita, gli restituì le sue Sacre Vestigia.  
Saga era tornato sé stesso.
Addirittura, dopo il rito, conferì privatamente con Kanon e la dea per raccontargli la situazione di quella cittadina. Forse Kanon non sapeva che Saga era un essere umano purissimo. Un sorrisetto incurvò le tue bellissime labbra. Ovviamente, prima che Arles facesse il suo lavoro. Un po’ lo capivi quel demone, Saga era talmente buono che, persino a te, veniva voglia di sporcarlo. Se non lo facevi era perché era un tuo confratello e che, ormai, avevi superato già da un pezzo l’età dell’infanzia. Inoltre, avevi altro da fare, tipo andare al cimitero.  
Ti schiodasti dal tuo nascondiglio e te ne andasti, come al solito, non visto da nessuno grazie alla tua maestria.
Ma, prima, passasti dalla tua Casa. Anche tu, come Astrid sfruttavi spesso i giardini delle Case. Quante volte avevi lasciato passare Astrid, sebbene le tue rose ti avessero preventivamente avvisato? Avvertisti il dolore al petto e le lacrime ti inumidirono gli occhi. No, non dovevi piangere ora; ti si sarebbe rovinato il trucco. Avevi ancora le foto di Astrid, se volevi rimirare la sua bellezza ti sarebbe bastato andare sul suo profilo sui social. Però non era la stessa cosa che saperla qui. Ti eri affezionato a quella trasandata, ammettilo.  Raccogliesti per lei le più belle rose bianche e le legasti insieme in un mazzolino. C’erano tanti posti che lei preferiva del Santuario, ma quello che forse era meglio di tutti, era quello dove era morta.
Quando eravate accorsi sul posto, avevate visto soltanto i segni del massacro, ma non avevate trovato traccia dei corpi, finché un Saint minore non era inciampato nel corpo di Neera. Non avevate mai visto una cosa simile. Finora tutte le vittime delle Creature erano cadaveri anneriti, questo era un cadavere essiccato e completamente biancastro. Se non fosse stato per la maschera coi segni blu sul volto, neanche l’avreste riconosciuto. Tu stesso ti portasti una mano alla bocca per trattenere un conato di vomito. Mano che abbassasti e distogliesti lo sguardo. Poi ti ricomponesti rapidamente e, richiamasti l’attenzione su di te, ordinando di portare via il cadavere dal Cavaliere della Vergine, lui, sicuramente, avrebbe saputo dare una risposta esaustiva a tutta questa storia.
Ma di Astrid non c’era alcuna traccia.  
Riemergesti dal ricordo e imbracciasti il mazzo di rose, poi, scendesti le scale, diretto al cimitero. Appena prima della Quinta ti ritrovasti faccia a faccia con uno scazzato Death Mask che sbraitava a proposito dell’apatia del posto e dell’assenza di Neera e del suo coinquilino molesto. Oltre che dell’aura mortifera che regnava qui. Poi ti aveva visto e ti aveva chiesto che fosse successo.
«Come, non lo sai?»
«Cosa non so?» Ti chiese il siciliano cadendo dal pero.
«Si tratta di Astrid».
Il tuo amico strabuzzò gli occhi e, vi leggesti un lampo di paura: «Astrid? Che è successo ad Astrid?»

Shaka

Improvvisamente percepisti i Cosmi addolorati dei tuoi compagni al Santuario e volgesti la testa a Sud Ovest. «Che succede?» Ti chiese la Dea, accorgendosi del tuo scatto.
«Sembra che sia morto qualcuno, qualcuno d’importante».
«Qualcuno chi?»
«La… Luce Ombrosa». Dicesti sconvolto e la guardasti. La Dea ti guardò incredula.  

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Diana LaFenice