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Autore: Il cactus infelice    02/03/2019    2 recensioni
La guerra è finita, Harry Potter ha sconfitto il Signore Oscuro e ora tutti si apprestano a tornare alla normalità. Kingsley Shacklebolt è diventato il nuovo Ministro della magia, Hogwarts ha riaperto i battenti apprestandosi ad accogliere nuovamente gli studenti, linfa vitale del futuro della società magica. I morti per la giusta causa vengono ricordati con onore, i Mangiamorte che sono fuggiti vengono arrestati e chi ce l'ha fatta cerca di riprendersi la vita leccandosi le ferite e ricordando i cari persi.
Ci vuole tempo per guarire, per superare i traumi, c'è chi ci mette di più e chi un po' meno. Ma, in mezzo al dolore, tutto il Mondo Magico è felice per la sconfitta di Lord Voldemort. Tutti, eccetto Harry.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, I Malandrini, Il trio protagonista, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny, James/Lily, Remus/Ninfadora, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo decisamente delicato. Spero di non offendere la sensibilità di nessuno. 

 

CURA
(parte uno)

 

I Potter si presentarono alla dottoressa Lana McNamara l’indomani mattina con espressioni piuttosto tese. La donna li fece accomodare subito dopo aver congedato un altro paziente e sorrise in direzione di Harry sapendo benissimo chi era e con chi aveva a che fare. Dal viso pareva piuttosto giovane ma il suo sguardo faceva intendere che sapeva il fatto suo.
Il ragazzo la fronteggiava dalla parte opposta della scrivania, le gambe incrociate sulla sedia e le mani che tormentavano il bordo della felpa. Non era del tutto a suo agio. 
“Sai che tutto quello che dirai qui rimarrà confidenziale”. 
“Quindi non lo andrà a spiattellare ai giornali?” chiese Harry in tono leggermente irritato e pungente.
“Assolutamente no”, rispose l’altra senza scomporsi. “Ci tengo alla mia licenza”. La dottoressa gli sorrise cercando di essere il più rassicurante possibile e il ragazzo si sistemò più comodo sulla sedia, lasciando andare il respiro che non si era nemmeno reso conto di trattenere. 
“Perché sei qui?” gli chiese McNamara. 
Già, perché era lì? Sentiva di dovere un favore ai suoi genitori che l’altra notte lo avevano trovato in condizioni a dir poco pietose, ma lo doveva anche a sé stesso perché era arrivato a un punto di non ritorno, in una situazione da cui non sapeva più uscire. 
Ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di pensare che stare seduto in quell’ufficio così ampio e pieno di libri, e finestre grandi fosse una perdita di tempo. Perché una psicologa avrebbe dovuto sapere come aiutarlo? 
“Preferisci che restiamo da soli?” gli chiese allora la dottoressa notando la sua esitazione e spostando lo sguardo sui suoi genitori seduti accanto a lui. 
Lily ebbe uno scatto quasi impercettibile; avrebbe preferito rimanere.
“No, va bene. Possono restare”, rispose il ragazzo e la madre si tranquillizzò subito. In fondo, non gli dava fastidio che sentissero. Non sapeva esattamente dove quell’incontro lo avrebbe portato, ma in fondo aveva mostrato ai suoi genitori il suo lato peggiore quindi perché non farli assistere?
“Allora ti farò una serie di domande e voglio che tu mi risponda il più sinceramente possibile”. 
Harry annuì lentamente e cercò di prepararsi mentalmente. 
“Quei tagli te li sei fatti da solo?” 
Harry abbassò lo sguardo sul proprio braccio sinistro notando le cicatrici scoperte. Non aveva nemmeno fatto caso che aveva lasciato la manica della felpa tirata. 
“Sì”, rispose senza esitare. 
“Perché?” 
Sospirò: “Perché… Perché il dolore fisico mi fa stare meglio. Mi fa dimenticare per un po’ quello che… che sento dentro”. 
“E cosa senti dentro?” 
Esitò. Poteva dire davvero quello che sentiva davanti ai suoi genitori? Poteva dirlo di fronte a quella dottoressa che lo avrebbe bollato come malato probabilmente e fattogli chissà cosa? Non voleva finire in un ospedale. Ma non voleva nemmeno stare male. 
“Qualcosa… Qualcosa che mi fa stare male. Tanto male. Mi impedisce di concentrarmi su altro, di stare con i miei amici, di… essere felice”. 
Lana lo scrutò per qualche secondo in silenzio con espressione comprensiva. Non era dura e nemmeno giudiziosa. Aveva capito che cosa attanagliava l’anima di quel ragazzo che le stava di fronte, di quel ragazzo che aveva salvato il Mondo Magico più e più volte nel momento esatto in cui era entrato. Le domande che gli faceva servivano solo per averne conferma. 
Ora toccava a lei salvarlo. 
Anche James e Lily lo guardavano, in silenzio, cercando di non intervenire in alcun modo, ma tutto quello che avrebbero voluto fare era consolare il figlio che stava combattendo contro una lotta interna piuttosto pesante. 
“Hai sofferto di attacchi di panico?” 
“Sì, diverse volte”. 
“Dipendenze? Ne hai? Prendi delle droghe?” 
Harry parve riflettere per un po’ a quella domanda. “No, quelle no. Ma ho iniziato a fumare e bevo. Spesso. A volte per riuscire ad addormentarmi”. 
“Hai mai… pensato al suicidio?” 
Il ragazzo si morse il labbro. Non aveva il coraggio di guardare in faccia i suoi genitori per rispondere a quella domanda, e nemmeno la dottoressa. “Sì”. 
“E hai cercato di farlo? Intendo, toglierti la vita?”
“Sì, ho provato ma… Be’, sono ancora qua quindi…”. Harry preferì non entrare nel dettaglio di quella notte in cui aveva bevuto un po’ troppo e Kiki lo aveva salvato sulla Torre di Astronomia. 
Lily aprì bocca per dire qualcosa, gli occhi luccicanti di lacrime, ma James la fermò afferrandole un braccio. Quello era il momento di Harry. 
“E cos’è che provi? Sai dirmi come si chiama ciò che ti fa stare male?” 
Sentiva di potersi fidare di quella donna, la sua espressione e il suo sorriso rassicurante gli ispiravano fiducia; erano così tutti gli psicologi? Forse era arrivato il momento di dirlo ad alta voce, quello che aveva capito da un po’ di tempo e che non aveva mai trovato il coraggio di pronunciare chiaramente nemmeno nella sua testa. 
“Senso di colpa. Mi sento in colpa… per tutto quello che è successo da… insomma, da quando sono nato. Per le persone che sono morte nella guerra. Insomma, so che è stupido, che certe cose non sono dipese da me, ma… Non riesco a fare a meno di sentirmi così perché sì, certe persone sono morte per colpa mia perché avrei potuto fare qualcosa diversamente. Mi sento in colpa perché avrei potuto sconfiggere prima Voldemort e magari tutto il casino non sarebbe successo. Mi sento in colpa perché i miei genitori sono qui, mentre quelli degli altri no. C’è chi ha perso dei figli, dei fratelli, degli amanti e io invece sono ancora qui e mi sento come se… Come se fossi dovuto morire io, capisce? Perché io non avevo nulla da perdere. Non riesco più a evocare un Patronus perché tutti i miei ricordi felici sono legati a qualcuno che ora è morto, questo senso di colpa mi impedisce di essere felice. E non riesco a dormire la notte perché questo pensiero mi divora, ho degli incubi che mi perseguitano e… Sento che impazzirò”. 
Lana McNamara scrisse qualcosa sul suo taccuino e lo cerchiò calcando la penna: sembrava che le parole del ragazzo non l’avessero minimamente toccata, mentre James e Lily si sentivano divorare dentro. 
“Harry”, mormorò Lily quasi impercettibilmente, meravigliandosi da sola per la voce tremula e spaventata che le era uscita. 
Harry lasciò andare il respiro che aveva quasi trattenuto durante quel monologo, sentendosi finalmente liberato. Lo aveva detto e non era morto. Ignorò la madre e non si voltò nemmeno a guardarla. Sapeva di averli sconvolti entrambi ma era giusto che anche loro sapessero perché tutto ciò li riguardava. 
“Harry, tu soffri di PTSD”, disse alla fine la dottoressa con fare solenne come se in quella parola si concludesse tutto. “Sindrome post-traumatica da stress”, aggiunse notando il sopracciglio alzato del ragazzo. “Tutti i tuoi sintomi ricadono in questa diagnosi. Hai vissuto un’esperienza fortemente traumatica che ora ti provoca incubi, forte ansia, il tuo cervello continua a ripensarci, a rivedere le immagini di quella esperienza e ciò ti impedisce di funzionare come si deve durante la normale vita quotidiana. Giusto?” 
Harry annuì. 
“Chi soffre di questa sindrome tende a provocarsi del male da solo e mi sembra che tu lo stia facendo con l’abuso di alcol e quei tagli. Alle volte può succedere che si abbiano degli improvvisi scatti d’ira o rabbia. E anche pensieri suicidi”. 
“Ma… Ma è curabile?” chiese James decidendosi finalmente a prendere la parola.
“Certo. È una condizione mentale, ma si può aggiustare se ci si lavora. La sindrome post-traumatica da stress è stata scoperta quando i soldati babbani sono tornati dalla prima guerra mondiale. Lo stress di quell’esperienza traumatica li faceva rivivere i momenti della guerra a ripetizione, di giorno e di notte. Tu, Harry, hai vissuto una situazione particolare, che non molte persone hanno vissuto. E quelli più forti sono più facili a soffrirne, quindi non vederlo come la fine del mondo, okay?” 
Harry annuì sentendosi un po’ più rincuorato. Quella dottoressa, con le sue parole, la sua voce rassicurante e gentile era riuscita a tranquillizzarlo in poco tempo. Quindi quello che sentiva, quel malessere, aveva un nome ed era una cosa che aveva perfettamente senso, non era lui che stava svalvolando. 
Lana si chinò per prendere qualcosa dal cassetto, un piccolo contenitore di vetro con delle piccole cose rotonde che sembravano caramelle che gli mise davanti, sul tavolo. C’era un’etichetta ma da quella distanza il ragazzo non riusciva a leggere.
“Inizia prendendo queste, una al giorno, mi raccomando”. 
“Cosa sono?” 
“Antidepressivi. Non ti preoccupare”, aggiunse vedendogli apparire un’espressione angosciata. “Ti aiuteranno perlopiù a dormire e a gestire meglio l’ansia. Sono più forti di una pozione Sonno.Senza-Sogni, non dovrai prenderle per sempre. Poi vorrei che ci incontrassimo un paio di volte a settimana, per parlare e capire come gestire la cosa, va bene? Parlerò io con la professoressa McGranitt per farti uscire da Hogwarts e venire da me”. 
“Grazie”, riuscì soltanto a dire il ragazzo prendendo in mano le medicine, sentendosi leggermente confuso. Quella dottoressa sembrava saperne parecchio di lui e a Harry venne il dubbio che potesse essere una legilimante, cosa che non era da escludere trattandosi di una psicologa. 
La McNamara li accompagnò alla porta continuando a sorridere incoraggiante e dolce. Era decisamente giovane, ma sapeva svolgere quel lavoro. 
“Harry, ci aspetti un attimo? Vorrei parlare con la dottoressa”, disse Lily a un certo punto guardando intensamente il figlio che si allontanò senza dire una parola, tirando fuori dalla tasca le sue sigarette. 
James invece osservava la moglie confuso. 
“Quanto è grave?” chiese la donna rivolgendosi alla dottoressa, andando subito al punto, con tono deciso e preoccupato. 
Lana sorrise per l’ennesima volta quella mattina. “Dipende da come la volete vedere voi. Io ho a che fare con i disturbi della mente e della psiche umana, non posso darvi delle risposte certe. Se Harry risponde bene alle sedute con me e alle medicine che gli ho dato, non c’è nulla di cui preoccuparsi. Ho trattato altri pazienti con PTSD, la guerra contro Voi-Sapete-Chi ha sconvolto molte persone e ho avuto in cura i più svariati tipi di disturbo. Posso mostrarvi le mie referenze se questo vi farà sentire più sicuri”. 
“Non è questo, è solo che…”. 
“Siete preoccupati perché non conoscete bene vostro figlio e non volete fare qualche sbaglio, immagino…”. 
James inarcò un sopracciglio sbigottito perché aveva indovinato i suoi pensieri; quella donna era davvero una legilimante. 
“Si possono organizzare delle sedute tutti insieme se avrete delle difficoltà nel costruire un rapporto. Ma intanto vorrei concentrarmi su Harry. Se lo riterrò necessario, allora organizzeremo”. 
“E se… se Harry non dovesse migliorare?” si intromise allora James. 
Lana sospirò. Le sembrava di trovarsi di fronte due persone troppo giovani, spaventate e inesperte su come gestire tutte le difficoltà dell’avere un figlio - il che effettivamente era così a giudicare da quello che aveva captato nelle loro menti - perciò doveva usare tutta la pazienza di cui era capace. “Se il suo stato psicologico si farà più grave… ci sono dei centri specializzati”. 
“Tipo il reparto psichiatrico del San Mungo?!” esclamò James. 
“Non necessariamente. Ma lì saprebbero trattarlo meglio, con medicinali e pozioni più forti. Ma sono certa che non sarà questo il caso”. 
Solo la presa salda di James impedì a Lily di sfracellarsi contro il pavimento. Chiuse per qualche secondo gli occhi e cercò di tornare alla realtà. 
I Potter capirono di aver già chiesto abbastanza e che era il momento di congedarsi. Col peso sul cuore uscirono dallo studio e trovarono Harry che li aspettava appoggiato al muro, fumando una sigaretta. La spense non appena vide i genitori arrivare. 
“Andiamo a casa”. 

 

“Harry, se vuoi tornare a dormire vai pure… Magari puoi prendere una di quelle pastiglie”, sussurrò Lily al figlio non appena rientrarono in casa. Non voleva che suo figlio prendesse quelle medicine, non voleva che stesse così male, non voleva che se ne andasse a dormire perché voleva stare con lui, parlargli e confortarlo. Ma in quel momento non poteva pensare a sé stessa.
“Mi sa che lo farò”, rispose il ragazzo dando una carezza a Felpato. Non aspettò che i due gli rispondessero, si limitò a salire velocemente al piano superiore senza guardarsi indietro. Si sentiva improvvisamente spossato e pesante. Era stata una mattinata… assurda. 

 

***

 

Confesso che non sono una esperta di disturbi mentali, di sindromi post-traumatiche da stress, né altro di queste cose. Ahimé, è in momenti come questi che mi dispiace non aver studiato psicologia.
Ma allora perché hai deciso di affrontarlo in questa storia, mi chiederete voi. Perché sono sensibile alla tematica, un po’ per esperienza personale e un po’ per esperienza altrui. 
Inoltre, anche se Harry Potter è solo una storia di fantasia e Harry è un personaggio inventato che può fare tutto, vivere esperienze orribili senza esserne troppo segnato, ma è pur sempre un essere umano e come tale alcuni crolli li dovrà avere. Credo che anche i maghi ogni tanto possano stare male e avere bisogno di vedere uno psicologo - anche se la Row non ne ha mai parlato, ma esisterà pure la magi-psicologia. 
Per me questa non è solo una storia di fantasia, per me ha anche tanto a che fare con la realtà. E simpatizzo tanto col personaggio di Harry. 
Spero di non aver scritto delle cazzate; so che è sempre un rischio parlare di questioni di cui non se ne sa molto, specialmente se hanno a che fare con la psiche umana quindi non vorrei aver toccato la sensibilità di qualcuno. Se così è, ditemelo, ditemi se ci sono degli errori e provvederò a correggere. 

 

Ora mi dileguo, ho parlato più del mio solito.
Bacioni,
Cactus.

 

 

   
 
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