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Autore: lady igraine    02/03/2019    0 recensioni
Elena ha ventun anni, è bella, spaventata dal futuro e tremendamente insicura della sua vita e delle sue scelte. Al secondo anno di infermieristica, costretta all'ennesimo tirocinio sofferto per compiacere la propria famiglia, pensa di gettare tutto al vento ma ha troppa paura di prendere una decisione.
Demian è un ragazzino, ha tredici anni, è terribilmente ostile ed ha una situazione famigliare disastrata alle spalle.
In apparenza nulla li lega, eppure il destino intreccia le loro strade indissolubilmente, perché a volte le risposte più ovvie sono nelle persone più improbabili.
***
"Quante verità costellavano il suo mondo, e lei neanche poteva immaginarle. C’era troppa complessità lì, dentro quel corpo pallido e diafano, dietro a quegli occhi freddi. Lei non poteva afferrarla del tutto, non poteva capirlo e aveva deciso di non farlo.
Non aveva bisogno di capirlo per preoccuparsi per lui."
"Elena era come una poesia di Neruda, indefinita e irreale. C’era una delicatezza in lei che filtrava attraverso le parole e gli penetrava nella pelle, diventava parte di lui, di un desiderio che non trovava sfogo e si comprimeva nel petto sempre più a fondo, una spina dolorosa che non riusciva a togliere."
Spin-off della storia "A' Demian"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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QUANDO FUMARONO INSIEME LA PRIMA SIGARETTA

 

 

Faceva tremendamente caldo e i capelli le si appiccicavano al collo e alla fronte sudata. Con uno sbuffo esasperato Elena si passò la mano sul viso per scostarsi le ciocche ribelli e raccoglierle in un disordinato e arruffato chignon. Poi, facendosi aria con la mano, si diresse all’uscita.

Sperava in una brezza che stemperasse almeno un poco quell’afosa giornata di giugno. In teoria, durante l’orario di lavoro, non avrebbe potuto prendersi una pausa, ma prima di tutto necessitava disperatamente di una sigaretta che rendesse sopportabile quelle ore insostenibili. In quei momenti di sconforto si domandava sempre come facesse sua sorella, come suo padre sopportasse quella vita.

E si odiava, perché lei non ce l’aveva fatta.

Ed odiava tutto, perché lei non avrebbe voluto comunque farcela, avrebbe voluto solo poter scegliere.

Oltrepassò la porta scorrevole e si addossò al muro con la sigaretta appoggiata alle labbra, ancora spenta, e gli occhi chiusi.

Sussultò quando si ritrovò la fiammella di un accendino sospesa davanti al viso, come una richiesta di permesso inespressa. Cercò un volto dietro alla mano pallida e la sigaretta quasi le cadde di bocca nell’incontrare due occhi obliqui ornati da pesanti ciglia bianche, di un rosa ghiacciato come ricoperto di brina, che risaltavano ancora di più perché il destro era contornato da un enorme livido viola intenso. 

La bocca del ragazzo era piena e il labbro inferiore, più grande e carnoso, spaccato al centro da un taglio vermiglio, dava l’impressione di un perenne, costante broncio.

In realtà non stava contraccambiando la sua curiosità, lui, fissava lontano, oltre la siepe del cortile interno dell’ospedale. La sua era una cortesia disinteressata, anzi, l’avrebbe definita pure annoiata. Come se l’avesse preceduta perché lei non gli chiedesse l’accendino, per evitare di doverle rispondere, di doverle parlare.

 «Grazie» disse abbozzando un sorriso.

Il ragazzo scosse le spalle e, dopo averle acceso la sigaretta, se ne portò una alle labbra martoriate e ripeté il medesimo gesto. Poi, si lasciò andare contro il muro, con stanchezza.

Era un ragazzino curioso.

Non fosse stato per il suo fisico ancora infantile -non era troppo alto, le spalle non si erano ancora aperte e il volto efebico e pulito non accennava a nessuna imperfezione che delimitasse nettamente la sua mascolinità- avrebbe pensato che fosse più grande. Almeno quindici, sedici anni.

Probabilmente per la profondità dei suoi occhi.

Erano gelidi e inquietanti, distanti, eppure inghiottivano. Come le stelle che brillavano da lontano di luce debole ma rapivano comunque l’attenzione e l’anima dell’osservatore. Si era incantata a fissarlo, senza neanche troppo pudore, e aveva dimenticato la sua sigaretta, ormai un bastoncino di cenere che si sosteneva per miracolo.

Marisa come aveva detto che si chiamava?

Non riusciva a ricordarlo.

In ogni caso, sotto le sue attenzioni, il ragazzino non era tanto tranquillo quanto voleva manifestare. Ad un tratto sollevò il cappuccio della felpa smanicata che stava indossando e sprofondò le mani nelle tasche. Gridava ostilità, ma Elena riuscì solo a sentire una profonda tenerezza per lui.

Non aveva mai visto un albino da vicino, si chiese a quale ramo appartenesse la sua patologia e se fosse lecito chiederglielo, ma lui fumava indifferente nonostante il volto contuso e, quando finì, gettò a terra il mozzicone, lo pestò con il tacco dell’anfibio, le lanciò una gelida occhiata di disprezzo e rientrò, lasciandola fuori, sola e basita.

Probabilmente non aveva apprezzato le attenzioni che aveva riversato su di lui, ma era difficile non guardarlo, non solo per la sua aura astiosa che causava disagio, o per il suo aspetto delicato e frustrato.

No, c’era di più.

C’era una bellezza appassita prima ancora di venire alla luce che risvegliava in lei il desiderio di parlargli, di vedere un po’ più a fondo.

Di vedere se davvero era morto dentro come sembrava fuori.

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Ripescare questa storia, rileggerla e rileggere i miei vecchi appunti a riguardo, mi sta mettendo di buon umore. Ricordo che una cosa che mi era piaciuta particolarmente, era vedere come fossero i miei cuccioli nel loro passato, perché saperlo non è lo stesso che scriverne e vedere nero su bianco come si sono evoluti nel tempo.

Anche se il mio stile è cambiato, niente, non ci riesco, per me Demian resterà sempre un adorabile senza speranza…! Ma sono la mamma, sono di parteXD

Le mie vecchie note tra l’altro mi informano che la colonna sonora di questa storia nella sua stesura è stata “Phone Call” di Jon Brion, e quindi nulla, mentre rileggo e correggo qualche errore sfuggito, la ascolto, per cercare di ritrovare lo stesso mood.

Sono l’unica psicopatica che fa cose di questo tipo?

Sono giustificata, sono già trascorsi quattro anni!

 

Giuro che non romperò più, a presto!

  
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