Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Moonlight_Tsukiko    05/03/2019    1 recensioni
Eren Jaeger sogna di vivere in un mondo dove sua sorella è ancora viva e di non dover usare le sue preziose strategie di adattamento per provare qualcosa che non sia dolore. Ma la vita ha il suo modo per distruggere tutto ciò che vi è sul suo cammino, ed Eren si ritrova in una spirale dalla quale non sembra uscirà molto presto.
Come capitano della squadra di football della scuola superiore Shiganshina, Levi Ackerman sembra essere la colonna portante per i suoi compagni di squadra. Ma quando non è in campo e non ha indosso la sua maglia sportiva, diventa semplicemente Levi. Levi Ackerman forse sarà anche in grado di aiutare le altre persone, ma Levi certamente non può difendersi dallo zio alcoldipendente.
Nessun altro ha provato il loro dolore, nessun altro ha vissuto ciò che hanno vissuto loro, e nessun altro potrà mai capirli. Ma tutto cambia una volta che si stabilisce una relazione non convenzionale che li forza a mettere a nudo tutte le loro cicatrici.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Berthold Huber, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Marco Bodt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Go Ahead and Cry, Little Boy

Capitolo 4






 
Levi

Parcheggio la macchina nell’apposito posto e tolgo le chiave dal cruscotto. L’auto è troppo calda e il mio intero corpo sembra andare in fiamme. Appoggio la testa al sedile e chiudo gli occhi, prendendo alcuni respiri profondi. Le mani stanno sudando, quindi le strofino con poca grazia contro i jeans.

“Cazzo.” Tirò giù la visiera con lo specchio sopra il volante e osservo il mio riflesso. Sembro più pallido del solito e ci sono delle borse sotto gli occhi reduci da un’altra notte in bianco.

Chiudo la visiera e urlo quanto più forte posso. La gola brucia e sbatto le mani contro il voltante. La mia voce comincia a calare e lascio che la testa cada in basso, restando contro le dita chiuse a pugno. Le nocche sprofondano nella mia fronte, e mi giro per guardare fuori dal finestrino.

Fuori sta diluviando. Infinite distese di pioggia colpiscono il suolo e riesco a sentire distintamente le gocce colpire il tetto dell’auto. Ho tre minuti prima di essere in ritardo per la prima lezione, ma non riesco nemmeno a muovermi.

Vedo qualcuno camminare verso l’entrata principale e sono fuori dall’auto prima di processare cosa sto facendo.

“Eren!” Sento la gola infiammata e mi pento quasi subito di avergli urlato dietro.

Si ferma e si gira verso di me. Ha addosso solo una leggera maglietta che diventa sempre più bagnata ogni secondo che passa. I miei capelli sono umidi, ma non mi preoccupo di tirare su il cappuccio della felpa mentre scendo dall’auto per dirigermi verso di lui.

“Cosa vuoi?” Il tono riflette ogni suo sospetto nei miei confronti, ma suppongo di non poterlo biasimare.

“Cosa?” Chiedo. Ora Eren sembra irritato.

“Mi hai chiamato. Cosa vuoi?”

Mi passo le dita tra i capelli e lo guardo. Le sopracciglia sono aggrottate e continua a spostare il peso da un piede all’altro. Lo osservo ancora qualche secondo prima di schiarirmi leggermente la gola.

“Io… ti ammalerai così,” dico.

“Sì, sai com’è. Mi stai trattenendo.” Incrocia le braccia al petto e mi guarda con sguardo assassino. “Se hai finito di farmi perdere tempo, dovrei andare-"

Gli afferro il braccio.

“Non ancora,” demando con voce roca.

“Che cosa vuoi da me?”

Vorrei saperlo anch’io. Non so perché gli afferro il braccio in questo modo come se potesse scomparire da un momento all’altro, come se mi restassero solo pochi secondi prima che scompaia del tutto. Non dovrei nemmeno parlargli, ma non riesco a staccarmi da lui.

“Non lo so,” rispondo onestamente.

Scioglie le braccia, ma non mollo la presa, anzi, senza volerlo la intensifico. Raggiunge le mie dita e se le toglie di dosso. Le sue mani sono calde al tatto, un contrasto tagliente con l’aria fredda che ci circonda.

Comincia a camminare verso la mia auto. Lo seguo silenziosamente. Ci sediamo; il riscaldamento ha continuato ad andare, e ora la macchina è piacevolmente tiepida. Lui rabbrividisce e io prendo la giacca dai sedili posteriori, gettandogliela addosso. Non si muove per indossarla.

“È strano,” dice.

“Non hai mai saltato la scuola?” Chiedo, allibito.

“Sì. Solo che non sono mai stato fermo nel parcheggio.”

Il silenzio scende su di noi un’altra volta. Sposto la testa e percepisco alcune gocce di pioggia scendere verso il collo. Afferro il voltante con le mani.

“Non guido da quattro mesi,” dico. Non so neanche perché glielo sto dicendo. “Non ci riuscivo.”

“Io non guido proprio,” sussurra Eren. Lo guardo.

“Mai?”

“Mai,” risponde. Non mi guarda mentre calcia i piedi sul cruscotto e incrocia le mani sullo stomaco.

Se fosse chiunque altro a farlo, gli avrei spaccato le gambe e lo avrei insultato. Invece, resto seduto tranquillamente e mi mordo l’interno della guancia.

“Bella merda. Perché?”

Eren appoggia la testa contro il finestrino. Rimane zitto per alcuni secondi, poi si schiarisce la gola.

“Macchine.” Sbuffa, come se fosse qualcosa per cui dover ridere, ma immagino di non aver capito lo scherzo.

“Uh…” non sono sicuro di come rispondere. Eren emette un mormorio.

“È una lunga storia. Te la racconterei, ma dovresti piacermi per farlo.”

“Non sono sicuro se dovrei sentirmi offeso o no,” mormoro. “Che cos’hai?”

“Cosa, per il mio comportamento?” Eren sbuffa ancora. “Scusa. Strategia di adattamento. Non è esattamente salutare, ma vabbè.”

Deglutisco a fatica.

“Quindi… Hai paura delle macchine?”

“Porca puttana.” Si gira verso di me, i suoi occhi sono incollati ai miei. Se gli sguardi potessero uccidere, allora ora sarei due metri sotto terra. “Perché stiamo ancora parlando di questo?”

“Beh, perché non rispondi alla domanda?” Chiedo. Eren porta gli occhi al cielo.

“Sei così fottutamente irritante-”

“Ascolta stronzo-”

“Non ho paura,” Eren mi interrompe rapidamente e incrocia le braccia al petto. Non so nemmeno perché stiamo parlando di una cosa del genere. Premo le labbra in una linea sottile e cerco di calmarmi.

“Scusa,” dico.

Eren tamburella le dita contro il braccio. “Già, d’accordo.”

Passo le dita tra i capelli e cerco di trovare un modo per salvarci da qualsiasi cosa sia questa situazione. Ma non mi viene in mente nulla e ascolto Eren mentre si agita sul sedile.

“Ascolta, Eren,” inizio e immagino che se cominciassi a vomitare parole, le cose forse potrebbero migliorare.

“Che c’è?”

“So di aver fatto un casino. Dammi una possibilità per farmi perdonare.”

Eren mi guarda per alcuni secondi prima di esalare leggermente.

“Farti perdonare...” ripete. “Ti ha detto Marco di fare così?”

“No,” dico impazientemente. Eren mi deride.

“L’ha fatto prima, non è vero?” Accusa.

“Beh sì.” Ruoto gli occhi. “Ma questa proposta è mia.”

“Uh-huh, okay.”

“Sono serio!”

“D’accordo, cavolo. Calmati."

Il silenzio cade di nuovo su di noi. Accendo il motore dell’auto ed esco dal parcheggio.

“Whoa, cazzo!” Eren afferra improvvisamente il lato del sedile. “Cosa stai facendo?”

“Usciamo.”

“Dove?”

“Mi sto facendo perdonare,” mormoro.

“Ti prego no.”

“Viviamo un’avventura.” Mi fermo al semaforo rosso e lo guardo. “Hai per caso paura?”

“No.” Eren esala e si allaccia la cintura. “Allaccia quella cazzo di cintura.”

“Calmati.” Ruoto gli occhi e faccio come ha detto.

“Non voglio vivere un’avventura con te... Sono piuttosto sicuro che questo conti come sequestro di persona.”

“E io non voglio che tocchi il mio cruscotto con i tuoi sudici piedi di merda, ma non credo di starmi lamentando. E chi diavolo vorrebbe mai rapire te?”

Eren si guarda i piedi e poi me.

“Sei volgare.” Si ferma. “Maniaco del pulito?”

“No,” mormoro, improvvisamente a disagio; Eren ride. Gli lancio un’occhiata veloce.

Non l’ho mai sentito ridere. Non è nulla di speciale. Non sono quel tipo di ragazzo che trova uniche le piccole gesta delle altre persone. Ma per qualche motivo, la risata di Eren sembra qualcosa che non dimenticherò mai. È una strana sensazione, ma faccio morire il pensiero prima che possa trasformarsi in qualcosa di ancora più confuso. Accendo la radio per distrarmi e mi concentro sulla strada.

Eren mi fissa per qualche secondo, inclinando leggermente la testa di lato. Deglutisco a fatica e intensifico ancora la presa sul volante. Lo sentivo quasi come fosse un qualcosa di straniero sotto le mie mani, come se in realtà non dovrebbe essere lì, ma non ho intenzione di lasciarlo.

Eren si sta ancora aggrappando con forza al lato del sedile.

“Rilassati,” suggerisco. “Andrà tutto bene.”

“Mhm,” risponde con voce sottile e sono quasi grato che parte della sua irriverenza si sia placata. “Se facciamo un incidente, ti denuncio.”

“Okay, certo.” Sbuffo e alzo il volume della musica. “Ti terrò io.”

Siamo finiti a mangiare in un piccolo ristorante cinese. È piuttosto economico e il cibo è migliore del McDonald’s, quindi è la mia prima scelta per quando ho bisogno di un pasto veloce. La signora dietro il bancone sorride quando mi vede entrare. Vengo qui abbastanza spesso da dover almeno sapere il suo nome, ma non mi è mai passato per la mente di chiederglielo.

Ordiniamo il nostro cibo e ci sediamo in un tavolo isolato. Eren non tocca subito il suo piatto. Io lo addento subito, alzando lo sguardo solo quando noto che Eren è praticamente congelato sul posto.

“Cosa c’è che non va?” Chiedo con un boccone di riso in bocca.

“Disgustoso,” mormora e comincia lentamente a mangiare.

Ruoto gli occhi e prendo un altro morso. Bevo alcuni sorsi della mia bibita e sospiro sommessamente.

“Va bene, seriamente. Cos’hai infilato su per il culo per comportarti così?”

Eren alza gli occhi al cielo e all’inizio non dice nulla. Lo fisso fino a quando non tira su con il naso e guarda in basso.

"Mi uccideranno quando tornerò a casa,” dice.

“Per aver saltato la scuola?”

“Già, ho più o meno promesso che avrei smesso di fare cazzate avventate.” Tamburella le dita contro il tavolo. “In qualche modo i miei genitori finiscono sempre per scoprirlo.”

“Dev’essere bello,” dico prima di potermi fermare.

“Huh?” Chiede Eren. Scrollo le spalle.

“Avere delle persone che si preoccupano di dove sei e cosa fai.” Mangio un altro boccone. “Dev’essere bello.”

Eren sbuffa.

“Sono sicuro che le persone si preoccupano per te,” dice. “La nostra scuola cadrebbe a pezzi senza la nostra piccola star del football.”

“Dici sempre cazzate quando parli?”

“Te l’ho detto, è una strategia di adattamento.”

“Giusto,” rispondo lentamente.

Eren posa il mento sulle mani e si allunga col busto, fissandomi. Lo guardo anch’io prima di spostare lo sguardo altrove, sentendomi leggermente a disagio. È come se stesse esaminando ogni centimetro del mio corpo e della mia anima.  

“Grazie,” dice all’improvviso. Lo fisso.

“Uh… per cosa?” Scuoto la testa. “Ti ho praticamente obbligato.”

“Sì, vero, e più tardi me la pagherai per questo.” Ghigna malignamente prima di schiarirsi la gola. “Ecco, è stato… carino. Non facevo una cosa del genere da tanto tempo. Di solito affogo nei liquori dei miei genitori e spreco le mie notti in giro.”

“Non ti avrei mai definito un alcolizzato,” mormoro lentamente. Sollevo le spalle. “Nessun problema. Immagino sia stato piuttosto carino anche per me.”

È spaventoso quanto io sia onesto, ma ormai non posso rimangiarmi le parole. Le sopracciglia di Eren si sollevano per una frazione di secondo prima che la sua espressione tornasse rilassata.

“Nessuna aspettativa, giusto?” Mormora.

“Nessuna aspettativa,” Ripeto.

 
***
 
Sono gli ultimi cinque minuti di inglese. I miei raccoglitori sono allineati perfettamente sopra il banco e sto aspettando impazientemente il suono della campanella. Reiner è seduto accanto a me, parlando di qualcosa da fare con questa ragazza della sua classe di matematica. Sono troppo disinteressato per preoccuparmi di dargli una risposta verbale, quindi mi limito ad accenni e sorrisetti forzati per illuderlo che me ne freghi qualcosa.

Quando al campanella suona, Reiner è già fuori dalla classe. Penso stia andando a trovare quella ragazza, ma anche se mi fosse effettivamente interessato di ascoltarlo, non penso che avrei detto qualcosa. Raccolgo con calma le mie cose e guardo Eren ancora stravaccato sul banco, beatamente ignaro del fatto che è ora di cambiare classe.

Chiudo la mano a pugno e lo colpisco dietro la testa. Si solleva immediatamente strofinandosi gli occhi.

“La lezione è finita,” comunico e lui solleva un sopracciglio.

“Mi hai svegliato?”

“Qualcuno probabilmente si siederà su questa sedia per la prossima ora,” dico. “Sto cercando di salvarti dal farti cacciare fuori a calci.”

Eren sbuffa e si alza in piedi, stirandosi le braccia così ampiamente da quasi colpirmi. Mi sposto di scatto e alzo gli occhi al cielo.

“Pensavo di aver chiarito di saper badare a me stesso.” Mi sorride mostrando i denti. “A proposito, come sta il braccio di Reiner?”

“Bene, credo.” Sollevo le spalle. “Sta usando la carta della compassione per fare colpo.”

Eren sbuffa di nuovo e si tira via i capelli dalla fronte. “Wow. Ma che carino.”

Sollevo ancora le spalle. Una piccola, distante parte della mia mente mi sta gridando di allontanarmi da lui immediatamente. Non siamo amici sotto nessun punto di vista, ma in qualche modo è bello parlare con qualcuno che non si aspetta di parlare di cose stupide e irrilevanti.

Diavolo, ho finalmente trovato qualcuno che non si aspetta una conversazione.

Camminiamo in un confortevole silenzio fino a quando Eren non si ferma di fronte a una classe. Realizzo che è la sua. Sono pronto a continuare a camminare come nulla fosse, ma poi lui mi dedica quello sguardo illeggibile e non riesco ad andarmene. La sua bocca è leggermente aperta, come se stesse per dire qualcosa, ma non lo fa.

Non so cosa vuole che io dica. Sto cominciando a sentirmi un po’ a disagio. Nel mio petto si insidia quella sensazione di tensione e i miei polmoni sembrano non riuscire a immagazzinare abbastanza aria. I suoni del corridoio cominciano ad attutirsi e tutto ciò che posso sentire è questa pressione del silenzio attorno a me.

“Cerca di non picchiare nessuno,” dico ed Eren solleva un sopracciglio.

“Sì, okay. Cerca di non fare lo stronzo.” Improvvisamente sorride, ma quello strano sguardo si è insediato di nuovo nei suoi occhi. Lo fa spesso. Sorridere, intendo. Sorride anche quando è ovvio sia l’ultima cosa che vuole fare. Non posso dire di conoscerlo bene, eppure l’ho notato.

Annuisco brevemente e mi giro, dirigendomi verso la mia classe. Quando sono a metà strada, la realizzazione mi colpisce come acqua gelida. Anche io sorrido quando non voglio realmente farlo e mi sono sempre chiesto se le persone lo abbiano mai notato.

La campanella mi strappa dai miei pensieri, facendomi camminare per raggiungere la classe. È la lezione di scienze e la professoressa Zoe mi fa un’annotazione che è parte uno scherzo, parte delusione. Me la prendo con tutta calma, offrendole la mia personale risposta alla battuta e quando scivolo tra Marco e Franz mi sento come se potessi respirare di nuovo.

 
***
 
Sabato ricevo una chiamata da Reiner per informarmi che la prossima settimana la famiglia di Bertholdt sarà fuori città.

Bertholdt è questo smilzo, anormalmente alto e strano ragazzo della squadra. È uno scalda panchine e ha sostituito Marco una volta nei quattro anni che gioca a football. È abbastanza difficile avere una conversazione con lui, perché sembra sempre che stia escogitando un metodo per scappare non appena gli rivolgi la parola. I ragazzi e io lo prendiamo in giro per questo; si scherza, ovviamente, ma cerco di non farlo troppo spesso. Sono più o meno così anche io, dopotutto.

Il valore del fatto che la famiglia di Bertholdt sia fuori per il fine settimana è che è ricca come lo schifo. Potrebbe facilmente essere quel tipo di ragazzo viziato che va ad allenamenti di lacrosse e beve litri di birra da bicchieri fatti d’oro (il che potrebbe essere pacchiano, ma io non sono ricco sfondato quindi non saprei definire i gusti dei ricchi). Bertholdt è umile per un ragazzo che ha il suo autista personale, lo chef, una piscina interna e una esterna e chi sa cos’altro; forse i ragazzi della squadra approfittano della sua natura passiva.

Quindi, ovviamente, la prossima settimana ci sarà un enorme festa. Non capisco come le persone siano così affasciate dall’idea di andare a feste. Per me, non sono altro che una gigantesca perdita di tempo, specialmente quelli che la gente organizza solo per il gusto di farlo. Ma anche il compleanno di Bertholdt è la prossima settimana e sono piuttosto sicuro che Reiner lo stia usando come una scusa per farsi vedere ubriaco davanti a mezzo corpo studentesco. Probabilmente Bertholdt lo sta lasciando fare perché lui e Reiner sono attaccati l’uno al fianco dell’altro da quando erano dei lattanti. Non riesco a immaginare Bertholdt, che suda abbondantemente all’idea di qualcuno che si avvicina a lui, voler organizzare una festa esagerata.

Ma quello che io o Bertholdt pensiamo, non ha importanza. La festa si farà indipendentemente e, visto che l’intera squadra sarà presente, tutti si aspettano che ci sia anche io. Reiner si sta dilungando in alcuni vaghi dettagli di cui non mi importa. La sola cosa che sarà differente questa volta è l’addizione della torta di compleanno alla nostra solita combo di alcool, cibo spazzatura e musica assordante.

Reiner aggiunge velocemente che posso invitare chiunque voglia, basta che non frequenti la scuola superiore Trost, essendo una delle nostre più agguerrite rivali.

Non sono altro che una manciata di ragazzi spavaldi che pensano di essere la cosa migliore del mondo subito dopo il pancarré.

Gli dico che non lo farò e aggancio. Una volta avrei chiesto a Isabel e Farlan di venire. Ma considerando come sia andata la mia ultima conversazione con Isabel, e Farlan supporta le sue decisioni al centocinquanta percento, invitarli è come chiedere di farsi picchiare in faccia.

Penso a Eren e scarto subito l’idea prima che possa germogliare in qualcosa di totalmente insensato che non sarei in grado di fermare. Noi non siamo amici. Il mio curriculum non è dei migliori quando si tratta di lui. L’ho ignorato dal primo anno (nonostante avessimo molte classi in comune), gli ho spaccato la faccia contro l’armadietto e costretto a saltare la scuola in qualche contorto tentativo di farmi perdonare da lui per essere stato un totale stronzo.

Penso a quando Eren ha ruotato il braccio di Reiner dietro la schiena, facendolo gemere dal dolore. Non avrei voluto essere al suo posto. Mi mordo l’interno della guancia e mi accascio sul letto. Il mio computer trasmette della musica rock e i miei compiti incompleti sono sparsi su tutto il materasso. Dovrei finirli, ma non riesco nemmeno a pensare di muovermi.

Cerco di autoconvincermi di non dover nulla a Eren Jaeger, ma poi mi ricordo di come mi fissava quando era disteso sul pavimento, ascoltando i miei amici vomitare parole offensive sul suo conto solo per farlo sentire come se noi fossimo superiori a lui.

“Fanculo,” sussurro e premo le mani sul viso.

Non dovrei passare così tanto tempo a pensare a un ragazzo che a malapena conosco. Le cose erano più semplici quando non gli parlavo, quando eravamo solo due ragazzi che vivevano nello stesso periodo. Ora abbiamo… beh, abbiamo qualcosa. Non c’è esattamente un nome con cui identificarci. La sola cosa di cui sono sicuro è che del cibo cinese non può sistemare cazzate come questa.

Sono in piedi prima di rendermene conto. Kenny non è a casa e probabilmente sarà in giro con i suoi colleghi di lavoro. Mi aveva avvertito che sarebbe tornato più tardi del solito, ma non è che mi interessi qualcosa. Kenny fa quello che vuole e io faccio quello che voglio. Devo solo essere presente quando lui decide che starei meglio con un altro livido grande come il suo pugno.

Chiudo il computer portatile e la musica smette di suonare dopo alcuni minuti. Afferro la giacca e la indosso. Resto in piedi davanti al comodino, cercando di decidere se prendere le chiavi dell’auto oppure no. Stamattina è andata bene, ma ero comunque troppo distratto a pensare a quanto odio la vita per concentrarmi davvero sul fatto che stavo guidando.

Prendo le chiavi senza la minima intenzione di guidare e scendo le scale. Mi fa sentire come se stessi facendo dei progressi, però, quindi le metto al sicuro all’interno della tasca della giacca. Mi viene in mente di non avere la minima idea di dove abita Eren Jaeger, ma so dove vive Historia. Lei ed Eren erano amici e, anche se non li vedo più uscire insieme, sono sicuro che lei si ricorda il suo indirizzo.

Historia vive a tre isolati da me. Anche Reiner vive nei dintorni, il che è la sola ragione per la quale so dove sia casa sua. Il primo anno Reiner ha avuto una cotta gigantesca per lei, ma poi ha scoperto che stava già frequentando una ragazza di nome Ymir di Trost. E siccome Reiner odia la scuola superiore Trost, l’ha velocemente dimenticata.

Quasi sorrido al ricordo. Era esilarante guardare Reiner ridicolizzarsi mentre provava ad attirare l’attenzione della biondina. Era dolorosamente ovvio per tutti noi che lei non era interessata, ma Reiner era un bastardo molto insistente.

Quando raggiungo la casa di Historia, ho il viso rosso e non riesco a sentire le dita. Fa un po’ troppo freddo per indossare solo la giacca scolastica, ma non avevo proprio pensato alla temperatura esterna prima di uscire di casa.

Busso alla porta e aspetto che mi aprano. Mi aspetto sia uno dei suoi genitori ad aprire, quindi mi preparo per non fare la figura dell’idiota. Fortunatamente per me, Historia in persona appare davanti a me. Sembra sorpresa e non posso dire di biasimarla. Non le ho mai rivolto più di due parole.

“Levi?” Chiede, guarda la strada oltre le mie spalle e poi il suo sguardo torna su di me. “Uhm… cosa ci fai qui?”

 “Una volta eri amica di Eren, giusto?” Mi guarda basita e mi passo le dita tra i capelli. “Eren Jaeger? Sai, capelli castani, occhi verdi-”

“So chi è,” Historia mi interrompe con un sorriso forzato. “Perché mi stai chiedendo di lui?”

“Ho bisogno di sapere dove abita,” dico e quando Historia mi rivolge uno strano sguardo realizzo quanto inquietante suoni la frase detta in questo modo. “Devo chiedergli una cosa.”

Historia arriccia le labbra.

“Ho sentito parlare dell’incidente nello spogliatoio,” dice, fissandomi sospettosamente. “Non hai intenzione di fargli del male, vero?”

A essere onesti, mi sento leggermente offeso dal fatto che lei possa pensare che voglia fargli del male. Resisto all’urgenza di alzare gli occhi al cielo e mi mordo l’interno della guancia per trattenere qualsiasi risposta avrebbe potuto farmi sbattere la porta in faccia.

“Devo solo parlargli,” dico, cercando di sembrare il più gentile possibile. “Giuro che non ho intenzione di picchiarlo o cose del genere.”

Annuisce.

“Vive a circa cinque isolati da qui. Quando arrivi alla fine della strada, gira a sinistra e continua dritto. È una grande casa con una recinzione e un’altalena. Non puoi sbagliare.”

“Grazie,” rispondo, rivolgendole un sorriso. “Buona serat-”

“Levi…” mi interrompe di nuovo, però questa volta il viso rappresenta la tristezza più pura e la sua voce è così bassa che devo sforzarmi per sentirla.

“Sì?”

“Digli che mi dispiace,” dice. “Probabilmente non gli importerà, ma io…”

Si interrompe. Aspetto che finisca la frase, ma non lo fa.

“D’accordo,” rispondo. “Glielo dirò.”

Mi sorride riconoscente e mi augura la buonanotte. Sento la porta chiudersi a chiave e rimango fermo immobile davanti al portico per alcuni secondi prima di scuotere la testa e mettere le mani in tasca.

Cammino fino alla fine della strada e svolto a sinistra. Mi concentro sul suono della macchine che passano e tengo la testa bassa fino a quando non mi ricordo che dovrei cercare la casa di Eren. Mi obbligo a camminare con la testa sollevata.

Dopo circa dieci minuti, vedo finalmente la casa. È bianca, in netto contrasto con la casa verde e rossa in cui è incastrata. C’è un’altalena appesa a un ramo di un enorme albero e una macchina nera parcheggiata nel vialetto. Vedo che le luci sono accese, quindi spero sia in casa.

Salgo gli scalini lentamente, sentendo ogni passo come se avessi dei blocchi di cemento legati ai piedi. Le mie mani mezze congelate sembrano senza ossa mentre busso con le nocche sulla porta di legno. Sento debolmente i mormorii della televisione in sottofondo e poi la porta viene aperta e un uomo mi fissa.

Non penso sia il padre di Eren solo perché sembra troppo giovane per avere un figlio di diciassette anni, anche se alla fin fine non ho mai incontrato suo padre. Mi schiarisco la gola e guardo in faccia l’uomo davanti a me.

“Ciao,” dice, sorridendo debolmente. “Sei un amico di Eren?”

La mia mente si blocca. Cerco di pensare a una risposta, ma proprio mentre sto per dire qualcosa la porta si spalanca ancora di più.

Eren è in piedi accanto all’uomo, vestito con pantaloni della tuta e quella che sembra essere una maglia leggera. Le sue sopracciglia sono leggermente alzate.

“Vi lascio soli,” dice tranquillamente l’uomo, spostando gli occhi tra me ed Eren. Stringe brevemente la spalla di Eren prima di sparire dalla nostra vista.

Eren si gira per guardarlo prima di fare un passo avanti, uscendo di casa e chiudendo la porta dietro di lui. Sbuffo sommessamente, ghignando.

“Non mi inviti ad entrare?”

“Non con quel ficcanaso in giro, no,” dice.

“Spero che tuo padre non ti abbia sentito,” rispondo. Eren se la ride sotto i baffi.

“Oh per favore. Non è mio padre.” Ruota gli occhi. “È mio cognato.”

“Ah.”

“Se non ti conoscessi meglio, direi che stai cominciando a diventare un po’ troppo ossessionato da me.” Eren sorride. “Mi stai cercando molto nelle ultime settimane. Mi vuoi confessare i tuoi sentimenti?”

“Vaffanculo,” dico in modo seccato. “Ho qualcosa da chiederti.”

“Okay…” Eren sembra genuinamente curioso mentre appoggia la schiena contro la porta. “Non hai intenzione di comportarti come un profondo e sentimentale filosofo, vero?”

“Cielo no,” rispondo sbuffando. “Senti, uno dei ragazzi della squadra sta organizzando una festa la prossima settimana. Ho avuto il permesso di invitare chi voglio, quindi…”

“Beh, cielo.” Le sopracciglia di Eren slittano di nuovo per la sorpresa. “Mi stai invitando a una festa?”

“Più o meno,” dico sollevando le spalle. “Non m’importa se vieni o no. Ho solo pensato di doverti un favore dopo averti tirato tutta quella merda addosso.”

“Pensavo avessimo già risolto la questione,” continua Eren. “Siamo pari.”

“Sì, lo so,” rispondo. “Ma… ecco, è come hai detto. Tu non hai aspettative su di me. Non mi vedi come un giocatore di football. Vedi solo me. È rinfrescante, onestamente.”

“Non riesci nemmeno a sopportarmi.”

“Non direi così,” rispondo. “Se ti odiassi, ti starei insultando. Posso tollerarti.”

Eren sbuffa.

“Non riesco a credere che le persone pensino tu sia attraente,” commenta. “A essere sinceri, mi sarebbe piaciuto scoparti. Poi ti ho conosciuto.”

La mia mascella si spalanca leggermente alla sua casuale confessione prima di sorridere.

“Oh, ma guarda un po’. Apparentemente, tu sei quello che ha una cotta per me.”

“Non montarti la testa, biondino. È solo perché mezza scuola idolatra il tuo mediocre fondoschiena.”

Resisto all’urgenza di sussultare perché wow, brutto colpo per il mio ego.

“Ooh, spaventato perché conosco il tuo segreto?”

“Vaffanculo, stronzo.” Eren mi spinge mentre continuo a ridere allo sguardo irritato sul suo viso.

“Allora, cosa ne dici?” Chiedo quando finalmente mi ricompongo. “Vieni?”

Eren mi osserva, la sua espressione raffigurava tutti i pensieri che stava formulando; le braccia incrociate al petto.

“Non sei preoccupato per un potenziale suicidio di massa?” Chiede. Sbuffo.

“Per niente. Mi faccio gli affari miei in ogni caso.”

Eren sorride. “Niente conformismo per te, vero?”

So che sta parlando del discorso fatto durante inglese.

“Per l’amor del cielo, smettila Jaeger.”

“D’accordo, come vuoi,” dice mentre un sorrisino si impossessa delle sue labbra; afferra la maniglia della porta e la apre lentamente. “Ci sarò.”

“Okay,” dico. “Ti vengo a prendere.”

“Bene,” risponde Eren e la sua fronte si aggrotta. “Oh, giusto per sapere, come hai saputo dove abito?”

Penso alle parole di Historia. Qualsiasi cosa sia successa tra loro deve essere stata piuttosto orribile per farli smettere di parlare. Sono sempre sembrati quasi del tutto inseparabili. Non ho idea di quello che potrebbe succedere se tirassi fuori l’argomento ora. Decido di non menzionarla e sorriso.

“Sono un ragazzo pieno di risorse,” dico ed Eren sbuffa di nuovo.

“Wow, pieno di risorse e insistente. Più passa il tempo, meno mi piaci.”

“Perfetto.” Sorrido e mi giro, scendendo gli scalini. “Fatti bello per la prossima settimana, Jaeger. Se devo essere il responsabile di un suicidio di massa, devi valerne la pena.”

“Sì, come vuoi,” dice mentre ruota gli occhi.

Non posso vedere la sua faccia, ma qualcosa mi dice che sta sorridendo.
 
   
 
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