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Autore: MissAdler    07/03/2019    15 recensioni
Dal testo: Che senso aveva la tua vita prima di lui? Eri un ragazzino con un cervello straordinario e un cuore anestetizzato, un bambino terrorizzato dai sentimenti, con un trauma alle spalle, il nulla di fronte e un deserto tutto intorno. Poi è arrivato lui. E io l'avevo capito che sarebbe finita così.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Una frescura umida e impalpabile accarezzava le guance degli invitati.

Gli sguardi assorti e increduli di fronte a quello scenario straordinario e perfetto, titubanti come chi ha appena perso una scommessa sicura, su cui aveva puntato una fortuna, e che ora è costretto a ricredersi, riconoscendo una sorta d'inedito miracolo.

- Sei stupendo, lo sai?

Sherlock lo era davvero, con il tre pezzi in fresco lana blu notte, il gilet avorio in contrasto con la giacca monopetto, la cravatta color crema fermata da una spilla di piccoli diamanti.

Erano vestiti allo stesso modo, lui e John, ma l'ex soldato era convinto che la sua immagine non potesse neanche lontanamente essere paragonata a quella del compagno.

Dopotutto, chi poteva eguagliare Sherlock Holmes per fascino ed eleganza?

Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle sue labbra.

Molti invitati, tra cui Greg e la signora Hudson, avevano il sentore allarmante che l'avrebbe baciato da un momento all'altro, un po' troppo in anticipo, attirandosi il sarcasmo pungente del futuro cognato.

E invece il capitano Watson non si era mosso. Stoico e composto, si limitava a passarsi la lingua sulle labbra di tanto in tanto, corrugando la fronte e sollevando gli angoli della bocca in un sorriso appena accennato.

Certo, al più abile deduttore del mondo non era sfuggito il suo gesto ripetitivo di passarsi la mano tra i capelli, compulsivamente, sebbene il ciuffo grigio tirato all'indietro fosse perfettamente fermo al suo posto.

Mycroft parlava. Recitava articoli, commi, clausole...parlava e la sua voce tremava appena, di tanto in tanto, arrivando ovattata alle orecchie dei due uomini, persi uno negli occhi dell'altro.

Il delicato venticello estivo smuoveva i nastri in satin sulle sedie di legno finemente shabbato, e con delicatezza sospingeva le tende di chiffon, facendole danzare sul ferro battuto dei gazebo posizionati strategicamente in alcuni angoli di prato.

- Sì.

E John aveva scorto una piccola lacrima all'angolo dell'occhio di Sherlock. Piccola e trasparente, ostinata e decisa a non sporgersi oltre la palpebra.

I ricci scuri iniziavano a spettinarsi con quella brezza dispettosa, John vi passò le dita per ravviarglieli, come aveva fatto fino a quel momento con i suoi, o forse la sua era più una carezza, un modo per fargli sentire che lui era lì e vi sarebbe rimasto sempre...per sempre.

- Sì, certo che sì, - rispose quando fu il suo turno, spostando le dita sul viso di Sherlock e prendendogli il mento delicatamente, per fargli alzare lo sguardo.

Agganciò quegli occhi acquamarina e li tenne legati ai suoi per un tempo che ad entrambi parve infinito.

E in essi rivide scorrere una vita intera, fatta per lo più di vuoti, errori, negazione e rimpianti.

Una vita a cui soltanto l'uomo che aveva dinnanzi era riuscito a dare un senso.

Così come lo aveva dato a John Hamish Watson, alla sua vera natura, alle sue contraddizioni, alla sua continua ricerca di un posto nel mondo.

- Sei tu, - gli aveva quindi sussurrato, poco prima di baciarlo,- sei sempre stato tu, Sherlock, you keep me right.

Poi lo baciò piano, sfiorandogli appena le labbra, percependo l'umidità di quella lacrima sfuggita lenta e silenziosa, sulla guancia liscia e arrossata dalla brezza insistente e stuzzicante di quella perfetta sera di giugno.

Lo strinse forte, seppellendo il viso nel suo collo, piangendo anch'egli, segretamente, protetto da quei boccoli soffici che profumavano di vaniglia.

Non voleva staccarsi da lui, nonostante gli applausi, gli schiamazzi, Rosie che lo tirava per un lembo della giacca. Perché davvero quello era il suo posto, il suo baricentro, la sua ancora, il suo porto sicuro.

E mai, mai nella vita l'avrebbe lasciato, ne era certo, perché in passato aveva già sbagliato fin troppo e perché in nessun caso sarebbe sopravvissuto lontano da lui.

Si staccò solo per baciarlo di nuovo. Non più delicatamente, ma con tutta la foga che sentiva montare dentro di lui, prendendogli il viso tra le mani e accarezzandogli gli zigomi con i pollici, ripetutamente.

Sherlock lo lasciò fare, rapito da quell'impeto improvviso, così tipico del suo John da non stupirlo minimamente.

E all'improvviso non ci furono più applausi, né fischi, né risate.

Non c'era nessuno a tirare la giacca di John, non c'era Mycroft col suo tinticarello indiscreto, né la musica degli archi.

Scomparve ogni cosa e rimasero solo loro, a baciarsi come se fosse la prima volta, o forse l'ultima, a stringersi come se quel debole venticello estivo potesse in qualche modo allontanarli anche solo di un centimetro.

Erano solamente loro due, lo erano sempre stati.

Loro due al centro di quella ridicola, assurda fama, plasmata sulle avventure del geniale Sherlock Holmes e del suo fidato Dottor Watson, una vera e propria leggenda, alla base della quale altro non c'era che una semplice, straordinaria storia d'amicizia, d'amore, di appartenenza reciproca.

Loro due contro il resto del mondo.

 

 

***

 

Perciò volami addosso se questo è un valzer

  

Volami addosso qualunque cosa sia


Abbraccia la mia giacca sotto il glicine e fammi correre

 

 

 

La cena venne servita all'interno del cottage, in una sorta di ampio salone dai soffitti affrescati in stile rinascimentale, allestito come una vera e propria sala da ballo, con tanto di tavoli apparecchiati in modo impeccabile secondo le rigide disposizioni di Mycroft Holmes.

Sulle tovaglie immacolate, finemente rifinite a mano, erano disposti piatti in ceramica di Capodimonte e posate d'argento, calici in cristallo di Boemia e candelabri in vetro di Murano come centrotavola.

Petali di rose Baccara, sparsi casualmente ovunque, a richiamare i colori dei dipinti, completavano l'insieme, conferendo eleganza e romanticismo all'ambiente.

- Vuoi ballare, John?

- Cioè, stai...sul serio?

- Perché no?

- Adesso?

- Adesso.

Sherlock gli porse la mano destra e suo marito la prese dubbioso, conducendolo al centro della sala con passo incerto.

- Sher, io...lo sai che non sono il massimo in questo genere di cose.

- Non puoi essere più inquietante di mio fratello, ubriaco e in canottiera, che balla YMCA al nostro addio al celibato.

- Effettivamente...sto ancora cercando di dimenticarlo.

Sherlock fece segno ai musicisti di iniziare a suonare.

Il brusio cessò e tutti gli occhi furono puntati su di loro, mentre le note di Moon River riempivano la sala dai soffitti altissimi.

- Aspetta! ...due, tre...via!

E in un istante John se lo sentì addosso, petto contro petto, a posargli una mano sulla spalla, l'altra sul palmo sinistro con un tocco leggero e delicato.

Circondò la vita di Sherlock, sentendo il fresco lana della giacca sotto le dita, immaginando la pelle calda, liscia e bianchissima sotto gli strati di tessuto.

Si mossero e fu davvero come volare.

Volarsi addosso, letteralmente. Amarsi con gli occhi, facendo l'amore vestiti, in un salone pieno di gente, solo sfiorandosi le mani, odorandosi i respiri, perdendosi in quella musica senza più pensare ai passi e staccandosi da terra.

- Come lo sapevi?

- Della musica? - Sherlock sorrise trionfante, senza staccare gli occhi dai suoi, - sei un romantico John, benché tu faccia di tutto per nasconderlo. E ti ho sentito mille volte cantare Henry Mancini a Rosie per farla addormentare.

- Fantastico!

- L'hai detto ad alta voce.

John rise piano e appoggiò la fronte sulla sua spalla. Avevano smesso di seguire i passi e si limitavano a dondolarsi lentamente su posto.

Di nuovo erano soli, di nuovo non c'erano voci, sospiri, risate, non c'era più nemmeno il soffitto, né le pareti o il pavimento...sparì il cottage, sparì il prato con i fiori, le cicale, l'arco di glicine.

Erano solamente loro due che danzavano stretti, ad occhi chiusi, respirando piano.

E in un attimo erano nel laboratorio del Barts, ciondolando abbracciati tra i ripiani e gli strumenti chimici.

Ciondolavano tra i tavoli del ristorante di Angelo, circondati dalla luce di mille candele.

Ciondolavano nel Museo di Antichità e sul bordo di una piscina con le tende fucsia e blu.

Ciondolavano nel salottino di Buckingham Palace, nell'oscurità del bosco di Baskerville, sul tetto del Barts, ad un passo dal cornicione, dove John lo strinse talmente forte da fargli male.

Ciondolavano e ballavano la loro amicizia, gli anni sprecati, i momenti migliori, quelli dolorosi...l'acquario di Londra, l'obitorio, una stanza d'ospedale.

Danzavano tra le lapidi di Musgrave, accanto al pozzo dov'era sepolto il piccolo Victor Trevor.

Danzavano nel salotto di Baker Street, tra le loro due poltrone, il bip bip del microonde con due pollici umani cotti a 1200 watt, il profumo del tè al mirtillo, in infusione sul tavolo della cucina, le note del violino di Sherlock...

- Ti amo, Jawn...

No. Forse non era il suo violino...era un quartetto d'archi che suonava Moon River.

Erano i loro amici che applaudivano, Molly, la signora Hudson e il signor Holmes che piangevano, Greg che abbracciava goffamente un Mycroft silenziosamente commosso.

Era Rosie che saltellava lì accanto, chiedendo di poter ballare con loro.

Era un ballo che non sarebbe finito con le note della canzone, perché loro quella danza l'avrebbero danzata in eterno, ciondolando abbracciati e con gli occhi chiusi, in ogni istante della loro vita.

E quando poco dopo uscirono a prendere aria, lontano dalla folla, nell'aria fresca della notte profumata di gelsomino, immersi in un silenzio fatto di fruscii di foglie e canti di cicale, si presero di nuovo per mano, fermi sul ciglio del prato, con il glicine ad ondeggiare sopra le loro teste.

- Ti...ti andrebbe di ballare ancora?

Per tutta risposta John lo abbracciò baciandogli il collo, gli appoggiò la guancia sulla spalla e all'unisono cominciarono a dondolarsi, ciondolando mentre i cuori e i respiri si sincronizzavano e tutto il resto scompariva.

 

 

Eccolo il quadro dei due vecchi pazzi

 

Sul ciglio del prato di cicale


Con l'orchestra che suona fili d'erba e fisarmoniche


Ti dico, bello, che ci importa del mondo

 

 

 

Note dell'autrice ^^

 

La canzone è sempre "il bacio sulla bocca" di Fossati, se non l'avete già ascoltata, fatelo al più presto! ;)

 

La musica con cui ballano gli sposini è Moon River di Henry Mancini, ovviamente l'ho immaginata suonata da un quartetto d'archi e penso che sia perfetta per creare l'atmosfera che avevo in mente.

 

Grazie per essere arrivati fin qui, alla conclusione di questo meraviglioso matrimonio. Tuttavia non è che un inizio e spero che apprezzerete anche l'epilogo, seppur molto malinconico!

Se vi va, lasciatemi il vostro parere!

 

  

 

 

 

   
 
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