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Autore: Pachiderma Anarchico    08/03/2019    1 recensioni
Yuriy si guardò allo specchio, e ciò che vide non gli piacque affatto.
La bianca pelle del volto era porcellana purissima, intatta e liscia come la prima neve.
Non un graffio, non un livido a testimoniare l'aggressione subita la notte precedente.
Un normale ventiduenne sarebbe caduto sotto a quei colpi, un normale ventiduenne sarebbe morto.
Ma non lui.
Non lui con quegli occhi azzurri e l'anima in tempesta.
Per sei anni non aveva alzato un dito, per sei anni non aveva più parlato quella lingua, familiare e inconfondibile, ed era bastata una miserabile, stramaledettissima notte perché il suo corpo si ricordasse com'è che si uccide un uomo.
. . .
-E poi c'è Mosca.- esordì la voce limpida e gelida di Serjei, che si sedette sul divano e prese la Vodka che Yuriy gli aveva stancamente allungato.
-Già..- Yuriy si massaggiò le tempie, abbandonandosi contro lo schienale. -Cosa volete scatenare, una ribellione?- proruppe, sarcastico.
I due ricambiarono il suo sguardo, immobili e seri come il russo non li aveva mai visti.
-…Non starete dicendo sul serio.-
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boris, Julia Fernandez, Kei Hiwatari, Un po' tutti, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Ho dovuto separare il sesto capitolo in due capitoli distinti perchè altrimenti sarebbe stato troppo lungo, e già vi torturo abbastanza così. 
Grazie a tutti i lettori.

(Un ringraziamento particolare gentilissima Aky ivanov che trova sempre il tempo e la voglia di farmi sapere cosa ne pensa.)


 


This is my kingdome come.



 

6. 

Scommessa.







-Ancora.- 
Julia non era ancora certa di come si fosse ritrovata in questa situazione, con le ciocche di capelli ramati incollate alla fronte imperlata di sudore e ogni singolo centimetro dei muscoli dolorante.
Era una circense e una blader allenata, riusciva facilmente a sopportare ore di stretching straordinario, piegando la schiena come se non avesse colonna vertebrale e saltando sui trapezi come se volesse, sostenendosi con le braccia resistenti a mezz'aria, acclamata dal frenetico applauso del pubblico che la mandava in delirio; ma fare lotta corpo a corpo, farlo con uno che l’aveva imparata per pura sopravvivenza e che pretendeva dai loro corpi la completa inibizione di tutti i limiti, era tutta un'altra storia.
-Anc-ancora?-
Il russo per tutta risposta si rimise in posizione.
Che diamine aveva al posto delle gambe, due protesi di acciaio?
-Fernandez, io non perdo tempo con i deboli. Hai detto di riuscire a varcare le mie difese o sbaglio?-
Già, come dimenticarlo? 
Julia si sarebbe presa a schiaffi da sola. 
L'impulsivitá e l’orgoglio l'avevano colta totalmente alla sprovvista in quel locale, un mese prima, quando aveva avuto la brillante idea di stuzzicare il cane che dorme. O per meglio dire, il lupo.

L'aroma fruttato dei cocktail, i liquidi ambrati, azzurri e rosa in bicchieri volteggianti nella penombra psichedelica, divanetti come troni per re e regine improvvisati di una sera di divertimento e oblio e Mao, con la sua fragola ricoperta di cioccolato fondente fra le labbra a forma di cuore, il vestitino blu elettrico dalla corta gonna di velo e una miriade di brillantini cosparsi sul corpetto, che tentava di non versarsi il drink addosso.
-Non è che ti ubriachi?- fu a quel punto la domanda di una preoccupata Hilary, infilata in una gonna di paiettes dorate e un'aderente maglietta nera dal collo a impero che le lasciava scoperte le spalle magre. 
-Hihihihi... macché.-
Julia, in mezzo alle due, guardò prima Mao e poi Hilary lanciando a quest'ultima un'occhiata eloquente: "tra poco la portiamo via."
Fu in quel momento che la musica si alzò di volume, cambiando genere.
Una canzone dai tratti spagnoleggianti irruppe del grande spazio, trascinando con sé i corpi dei presenti sulla pista da ballo.  
Julia sentì l'impulso di unirsi a loro, richiamata dalla musica delle sue terre, così vivaci e impetuose. 
-Andiamo a ballare?- 
-Scusami Julia ma non ce la faccio, questi tacchi mi stanno uccidendo.- 
Julia si volse verso Mao, ma la ragazza aveva abbandonato la testa sullo schienale in pelle e contava le stelle in un locale notturno al chiuso nel centro di Tokyo. 
Decise di lasciar perdere.
-Tu vai se ti va, i ragazzi di prima sarebbero molto contenti se li onorassi della tua attenzione. Se vedo che fanno qualcosa di male vengo e ti trascino via.-
-Va bien. Sei sicura di no..- spostò lo sguardo su una figura in movimento e si accomodò meglio sul divanetto, lisciandosi le pieghe del suo vestito a balze morbide dai colori più sgargianti e alzò una mano, schioccando le dita. -Sai Hil, ho cambiato idea. DISCULPE!- urlò per sovrastare il rumore della musica. 
L'amica la guardò sconcertata. 
-Ma cosa...- 
Quando vide un ragazzo avvicinarsi a loro credette di essere troppo brilla per vederci bene, ma il colore del fuoco di quei capelli e la corporatura slanciata difficilmente potevano essere confuse.
-Tu lo sapevi?- bisbigliò Hilary.
-Ti do un consiglio: si vuoi saber qualcosa fai ubriacare Rei cuando está stressato.-
Hilary sbatté le palpebre un paio di volte prima che il russo le raggiunse. 
-Yuriy, che sorpresa.-
-Sì Yuriy che... che ci fai qui?-
-Ci lavoro.-
Hilary si irrigidì sul posto, temendo che il moscovita non avrebbe voluto far sapere qualcosa che non aveva rivelato a nessuna delle tre. 
In realtà Yuriy non parlava delle sue cose e basta, non gliene interessava un accidente di mandare avanti la conversazione senza avere nulla di utile da dire, rimpiazzando i vuoti con informazioni sulla sua vita privata.
-Ah. Beeeh...- (si sentì maledettamente simile a Takao) -sembri bravo. Nel senso... sembra tu l'abbia fatto altre volte.-
-Facevo questo a Toronto quando i due scagnozzi di Vorkov mi hanno trovato.- 
Perché la ragazza giapponese gli parlava come se fossero grandi amici? 
Ah sì, era l'effetto Takao che come una pestilenza si diffondeva in chiunque gli stesse attorno. Il russo sospettava che anche Kai ne fosse affetto, in fondo.
Molto infondo. 
Continuò a fissare Hilary per due minuti buoni, impassibile come una statua di marmo, senza aiutarla minimamente. 
Alla fine chiese, con il gelo sulla lingua: -Cosa ti porto.-
Non pareva una domanda, ma la ragazza balbettò il nome di qualche cocktail giapponese. 
-Come hai fatto a trovare lavoro qui così velocemente? Non che ci sia qualcosa di male... nel senso, sono contenta. Mi fa piacere. Non nel senso che... cioè, non c'è niente di ma..- 
-Me la so cavare.-
La voce di Hilary si spense come un cerino al vento, vagliando l'ipotesi di seppellirsi nel bicchiere del drink non appena lo avesse avuto in mano. 
Non capiva come alla stessa specie umana potessero appartenere due esseri così diversi come Takao e Yuriy.
Non solo non avevano neanche una caratteristica fisica in comune, ma anche le loro personalità erano distanti anni luce, come se provenissero da due pianeti di due sistemi solari differenti. 
L'uno con la sua forma slanciata e la lunghezza delle gambe, la pelle nivea e i capelli rosso cremisi, gli occhi come lastre ghiacciate, un modo di muoversi che ricordava un animale pericoloso nella giungla selvaggia, con la diffidenza di chi sa che sono tutti nemici fino a prova contraria e l'altro con due iridi blu come il mare al tramonto e brillanti altrettanto, la voce dell'ottimismo e l'incarnazione del lavoro di squadra, logorroico e impulsivo, con i lisci capelli scuri e la pelle color sabbia che era capace di mettere chiunque a proprio agio. 
Con Takao non doveva preoccuparsi di apparire, lui mirava direttamente all'essere. 
Non la faceva sentire a disagio, non la guardava male se diceva qualcosa di sciocco ma, anzi, rideva con lei. 
Era distratto certo, e testardo, e immaturo se voleva avere ragione, e se si metteva una cosa in testa non c'era anima viva capace di fargli cambiare idea, zuccone com'era, ma era una di quelle anime pulite, oneste, messe in bella vista.  
Con Yurij invece era come giocare alle scatole cinesi. 
Come una Matrioska dagli zigomi affilati e lo sguardo inquietante. 
Ma Julia non sembrava pensarla allo stesso modo, o almeno non sembrava crearle gli stessi problemi. 
-Io non so cosa voglio. Sorprendimi.-
Un gruppo di ragazze attendevano al bancone di essere servite. 
Julia notò con cipiglio divertito che avevano aspettato l'esatto instante in cui l'altra ragazza che serviva gli alcolici si era allontanata. 
Il russo restò impassibile, poi guardò Mao che era passata a contare le costellazioni con due occhi assottigliati come mezze lune. 
Fece un gesto seccato come a dire "a lei lasciamola perdere" e andò al bancone. 
-Verremo a prenderli noi, non ti scomodare a mandare nessuno, graciaaas- esclamò Julia, osservando nuovamente le ragazze in minigonne e top corti. 
-Anche io assumerei un barman come Yuriy se fossi il proprietario di questo posto- mormorò Hilary con gli occhi sullo stuolo di clienti che si rigiravano ciocche di capelli biondi tra le dita e sbattevano lunghe ciglia imbevute di mascara nero e viola. 
-Vorrei una Vodka per favore... anzi no, un cocktail con Vodka dentro- disse una ragazza dal forte accento slavo, alta come una Valchiria e con un fondoschiena invidiabile. Il tubino nero le fasciava le curve come la coda di una sirena.
-Cosa mi consigli?- Il tono civettuolo, in ogni caso, nessun accento avrebbe potuto celarlo. 
Yuriy le diede le spalle per prendere una bottiglia e le rispose in russo. 
Fu allora che Julia si alzò, fece schioccare le dita e si diresse verso il bancone del bar, assalito dalle rapaci biondo platino. L’ampia gonna colorata del vestito le ondeggiava attorno alle cosce bronzee, in netto contrasto con la pelle pallida delle nordiche.
-Querido, hai ripensato a ciò che ti ho detto l’altro giorno?-
-Non penso mai due volte alla stessa cosa- rispose automaticamente il ragazzo con indifferenza, tra una frase in russo e l’altra. La Valchiria che non gli toglieva gli occhi di dosso era di Kiev.
-Peccato sai…- riprese la spagnola, poggiando svogliatamente i gomiti sul bancone lucido, -porque avevo una propuesta da farti.-
-Addirittura- disse il russo, questa volta senza preoccuparsi di nascondere il sarcasmo.
Julia fece una smorfia.
Aveva avuto a che fare per tutta la vita con uomini che la sottovalutavano, prima nella vita, poi nel tendone del circo e infine nel Beyblade.
Non perché fosse una donna. Non perché fosse giovane.
Perché aveva quel visetto d’angelo, dai grandi occhi verdi e le labbra piene come quelle dei quadri. Perché odorava di pesca e sole e la voce squillante, limpida non scendeva mai troppo in basso.
Ma da Yuriy non se l’aspettava, in fin dei conti lui ne aveva viste troppe per lasciarsi ingannare dall’apparenza.
O forse, proprio per questo -perché si era imbattutto in ogni genere di essere umano sulla ruvida strada del suo inferno personale- non riteneva una comune ragazza spagnola con le rose sul vestito degna di nota.
Ma c’era una cosa che Julia non avrebbe mai permesso.
Era il suo vizio, la sua più grande fissazione: doveva sempre provare qualcosa a qualcuno.
E no, non gliene importava niente degli impavidi discorsi di Hilary sull’infischiarsene dei giudizi altrui, sull’essere consapevoli della propria luce nonostante il buio del mondo: lei voleva vincere.
Era in competizione perenne.
Con chi, ancora non l’aveva capito.
Fu per il suo personale senso di rivalsa, per la mano della Valchiria che indugiò un tantino di troppo su quella di Yuriy quando chiese una cannuccia (che ora si rigirava in bocca come una ridicola parodia di sensualidad) o forse per il modo in cui Yuriy le mise davanti il suo cocktail e quello di Hilary, come se non la conoscesse affatto, con una freddezza che avrebbe fatto sembrare i ghiacciai del Polo Nord degli stupidi dilettanti, che si schiarì la voce, scosse i lunghi capelli e alzò il mento.
-Pensavo ti piacessero le scommesse, non credevo che ne avessi paura.-
Yuriy si irrigidì impercettibilmente.
Ma Julia ormai era sulla pista da ballo, “e allora balliamo”.
-Forse quella donna aveva ragione infondo.- Julia si sedette su uno degli sgabelli, accavallando le gambe. –Tienes paura.-
-Io non ho paura.-
-Forse tienes paura di starmi troppo vicino.-
Se Yuriy non fosse stato Yuriy avrebbe alzato gli occhi al cielo.
Invece si limitò a shackerare un drink alla Vodka e cocco alla Valchiria.
Quest’ultima non gli toglieva gli occhi di dosso.
-Forse ho paura che tu sia troppo debole per riuscirci.-
Julia incassò magnificamente il colpo.
Giocherellando con uno degli orecchini si esibì in una smorfia ironica.
-Allora non avrai problemi a scommettere con me. Io scommetto…- il verde vivo dei suoi occhi si agghindò del più sfacciato bagliore di sfida, -che riuscirò a penetrare le tue difese.-
Yuriy sbuffò sarcastico, prima che potesse impedirlo.
Finalmente”, pensò Julia, “qualcosa di umano.
-Bene.-
Il rosso annuì, più a se stesso che a qualcuno in particolare.
Julia non era davvero sicura di vincere, nonostante la posizione dritta della schiena e il mento all’insù.
Quando il russo pronunciò le parole che seguirono, ne divenne assolutamente certa.
-Non vincerai mai. Scommetti qualsiasi cosa su questo, scommettici anche la testa.-
-Ah no Ivanov! Quella mi serve, altrimenti cómo farò a vedere la tua faccia quando vincerò?-
-Se vinci tu?- chiese Yuriy, con il tono di chi sa che non accadrà mai.
Julia fece ticchettare una delle unghie laccate di rosso sul labbro inferiore, ricordandosi troppo tardi che aveva un appariscente velo di rossetto sulle labbra. Accennò un sorriso.
-Se vinco io… mmh… dovrai rivelarmi tre segreti, tre cose che non hai mai detto a nessuno.-
Yuriy passò tre bottiglie di vetro trasparente a una ragazza che indugiò un tantino di troppo con i gomiti puntellati sul bancone e la scollatura in bella vista.
-E’ Vodka purissima, vero?- chiese con una vocina da fiaba, mentre le amiche ridacchiavano eccitate più lontano.
-Da.-
Proprio quando Julia iniziava a credere che non avesse sentito, lui la guardò.
-Perfetto.-
-Se vinci tu invece? Cosa…-
-Posso offrirtene un goccio? Sai… io e le mie amiche non siamo abituate alla Vodka pura e sarebbe meglio se non bevessimo tre bottiglie intere…-
Julia notò che sbatteva le ciglia arcuate ad arte con così tanto impegno da dare le vertigini.
E notò anche come si piegò in avanti quando prese una cannuccia, rigirandosela tra le labbra carnose.
La madrilena scosse la testa, incredula.
Yuriy diede loro la schiena per afferrare un bicchiere mentre alla tigre famelica (indossava un top tigrato che certamente non sarebbe passato inosservato a uno zoo o a una sfilata di moda) gli occhi balzavano in basso, dove il jeans nero del ragazzo non riusciva a nascondere due curve allettanti.
Gli occhi risalirono velocemente quando il rosso si voltò.
-Nalivayesh.-
La ragazza lo fissò perplessa, o momentaneamente incantata.
Julia sbuffò sonoramente e Yuriy fece un cenno verso la bottiglia.
-Ah. Aaaaaah… capito capito- versò, con il movimento esperto di chi l’ha fatto altre volte, l’alcol nel bicchiere del ragazzo e nel suo, poi lo sollevò con una risata cristallina.
-Alla tua!- e ne bevve due sorsi pieni, arricciando le labbra con gusto.
-Vashe zrodovye.- Yurij si buttò direttamente tutto il liquido in gola.
-Mm.. ma sei davvero russo allora! Come hai detto? Mi fai sentire qualcosa in russo? Qualcosa con la ‘r’, mi piace troppo la vostra ‘r.’-
-Mmmh mmmh… mira leonessa, estábamos hablando. Hai rinfrescato l’aria con le ciglia, hai brindato, hai bevuto, ahora potresti farci finire la conversación se non ti è di troppo disturbo? Graciaaaas-
Prima che l’avvenente fanciulla potesse anche solo scollare le labbra, Julia aveva già ucciso qualsiasi tentativo di parola.
-Allora Ivanov, se vinci tu? Cosa vuoi?-
-Io niente.-
Ma poi un lembo delle labbra si tirò all’insù, come se un burattinaio crudele avesse tirato proprio quel filo bislacco.
Il suo non era un sorriso: non era neanche lombra di un sorriso.
Era un ghigno fatto e finito, rivestito di quel sarcasmo sfacciato che sa esattamente dove andrà a parare.
-Ma Boris in effetti voleva venire a letto con te, solo che tu hai fatto la difficile- incrociò le braccia al petto, poggiando il fondoschiena al bancone con strafottenza, -a quanto mi ha detto lui. Se vinco io, dovrai andare a letto con Borja. Ci stai Fernandez?-
Julia spalancò la bocca, indignata.
-Sei… siete tutti uguali! Ma cosa avete nella zucca voi uomini, un criceto rimbambito?!- Saltò giù dallo sgabello, atterrando sui tacchi vertiginosi. –Estoy dentro, Ivanov, e ti farò rimpiangere todo lo que è uscito dalla tua orribile bocca russa, a ti y a esa mierda soviética.-
Ogni singolo esemplare femminile nelle vicinanze la guardò come se avesse qualche rotella fuori posto (orribile bocca russa dove?), ma lei afferrò i due cocktail, sollevò lo sguardo smeraldino, fece ondeggiare le belle onde di miele dietro la schiena e si allontanò a testa alta.
 
Julia provò a colpirlo, ma invano.
La sua mano affondò nel vuoto mentre, con un sibilante spostamento d’aria, Yuriy l’aveva evitata scartando di lato.
La ragazza provò di nuovo e di nuovo, ma nessuno dei suoi attacchi lasciava il segno.
Era da un mese che si allenavano cinque ore al giorno e lei era riuscita a bloccare al tappeto Rei, a far cadere Johnny e persino a prendere Kai in contropiede, con una finta e una ginocchiata nella pancia, ma con Yuriy non c’era storia.
La leggerezza con cui si piegava e le girava attorno la faceva andare fuori di testa, come se lei non fosse dotata di muscoli e sangue ma fragili foglie accartocciate dal vento.
Un mese di continui allenamenti, e il freddo che albergava negli occhi del russo non si era incrinato di un millimetro.
Neanche per un secondo, neanche per sbaglio.
-Sei prevedibile, Fernandez.-
Julia poggiò le mani sulle cosce, piegandosi per riprendere fiato.
-Cosa posso… fare oltre a… cercare di colpire l’avversario?-
-Devi studiarlo.- Yuriy le si fermò davanti. –Non iniziare mai per prima, fai fare sempre all’altro la prima mossa. Tu seguine i movimenti del corpo, analizzane la corporatura, il modo di respirare.- Fece un passo in avanti, e poi un altro ancora. –Guardalo negli occhi, è tutto scritto lì.-
Julia non voleva perdere la scommessa, non voleva dover andare a letto con Boris per colpa della sua lingua lunga, ma leggere qualcosa negli occhi del rosso era umanamente impossibile.
-Guardami.-
Il respiro di Yuriy le solleticava il viso, gli occhi non si mossero dai suoi.
Si raddrizzò.
Julia avrebbe voluto guardare altro: il modo in cui i muscoli del ragazzo si contraevano quando avvertivano il colpo, una delle vene visibili sul lato destro del collo, la diffidenza con cui abitava il mondo, come se si aspettasse di venire pugnalato da un momento all’altro, le cicatrici sulle clavicole, segno che qualcuno l’aveva pugnalato per davvero.
Le ombre scure attorno agli occhi, come monito di una stanchezza perenne, primordiale, che non lo abbatteva mai.
Julia non leggeva niente negli occhi di Yuriy, ma dopo un mese aveva capito che c’erano altri modi per varcare le difese di qualcuno.
E la luce di un’idea le balenò negli occhi, come un raggio di sole che si riflette nel mare.
Il russo se ne accorse, annuì e socchiuse le palpebre.
-Gotovy?-
Julia annuì a sua volta. Aveva imparato cosa significava: “Pronta?
No, non era pronta, ma varcare le difese significa anche raccogliere i barlumi di vita che qualcuno non è riuscito a nascondere e farci una corda per strangolarlo.
Rabbrividì al suono di quel pensiero, che non pareva neanche suo.
Qualcosa si era scheggiato dentro di lei, rafforzandosi.
Diventando più duro nel punto di rottura.
Non avrebbe permesso più a nessuno di fare ciò che quei bastardi avevano cercato di fare con lei in quel vicolo di Mosca, nessuno avrebbe più giocato con lei come si fa con una bambolina di porcellana.
Lei voleva una pelle come quella di Yuriy, bianca come porcellana sì, ma crudele come l’inverno.
Solo che la sua era d’oro, e quando una mano le afferrò il braccio destro, immobilizzandoglielo dietro la schiena, ricordò perchè l’inverno faceva male.
Strinse i denti e gli serrò il collo con l’altro braccio.
Yuriy mollò la presa, indietreggiando.
-¿Pensasteque sarebbe stato tan fácil?-
Sorrise beffarda.
E Yuriy ricambiò il sorriso, uno specchio sinistro e distorto.
Julia non ebbe il tempo di prepararsi che le fu addosso.
Rotolarono per metri, la spagnola riuscì a sgusciare dalla sua presa, la spalla pulsava dolorante ma lei le ringhiò mentalmente di stare zitta, che non era il momento, che Yuriy aveva negli occhi due eclissi di luna.
Si trascinò via, fece per alzarsi ma lui le afferrò una gamba e la tirò indietro.
Fu allora che Julia seguì l’istinto, come i rapaci in picchiata, come le cascate in caduta libera.
Magari si sarebbe sfracellata su qualche pietra. Magari no.
Uno scatto repentino del busto, la mano di Yurij a bloccarle i polsi, l’altra sulla gola, un ginocchio tra le gambe di lui.
Dentro la polvere del suo respiro Julia avvertì un mancamento, come un battito che non arriva alle labbra.
La sorpresa.
L’inaspettato.
Solo quando gli occhi di Yuriy si allargarono impercettibilmente la ragazza si rese conto che avrebbe pagato qualsiasi cifra per vedere un’altra volta quella corazza creparsi, a far entrare la luce.
-Allora?- mormorò Julia, con gli occhi persi da qualche parte fra le sue labbra schiuse e le ciglia rosse, i polsi nella sua presa, inchiodati al suolo, il collo fra le sue dita gelide, la gamba di Julia a esercitare una lieve pressione sul suo inguine, a ricordargli che sarebbe bastato poco.
Davvero poco.
Yuriy inarcò un sopracciglio. –Altrimenti?-
Le sfiorò la gola con il pollice, come una minaccia velata.
-Usted no está en condiciones de hacer estas preguntas- rispose lei, con un sorriso divertito.
Una ciocca di capelli cremisi sfuggì all’elastico, scivolando sulla guancia del russo come una rivolo di sangue.
-Come?-
-Non sei nella posizione di fare queste domande, Ivanov.-
Julia scoppiò a ridere, non riuscendo più a sopportare la tensione della lotta, l’adrenalina dei corpi che si scaldano, delle mani del russo su di lei.
Il nervosismo a quella pressione s’insinuò nei singulti d’ilarità e la ragazza cominciò a ridere ancora più forte, gettando indietro la testa, cercando ossigeno che non avesse l’aroma della pelle di Yuriy, che la lasciasse libera e neutrale.
Il suo basso ventre era scosso da una danza selvaggia.
Il russo si immobilizzò. Gliela stava per dare vinta, nonostante tutto.
“Cazzo” maledì mentalmente, alzandosi.
-Sapevo che eri… un uomo anche tu… in fondo.-
Yuriy fece schioccare le dita delle mani.
-Io invece ancora non riesco a capire se sei una donna o meno.-
Julia incassò il colpo con filosofia, risparmiandosi una risposta pungente soltanto perché aveva vinto la scommessa.
-Mmh… come primo segreto voglio sapere come ti sei fatto tutte queste cicatrici.-
-Non sono cose che ti riguardano.-
-Eh no querido, ricordi cosa abbiamo messo in palio? Mi devi tre segreti chico.-
Yuriy inarcò un sopracciglio.
-Una sola. Scegli quella che ti pare, ma una- disse con tono irremovibile, indietreggiando per andarsene.
-Non me la fai scegliere?-
Julia sorrise candidamente, una delicata corolla d’innocenza a sfarfallarle tra le folte ciglia.
Yuriy cadde completamente dal pero.
Probabilmente sarebbe stato il momento adatto per una battuta maliziosa, ma se Julia, in quel frangente, in piedi su un ring improvvisato, con le guance rosse, il collo sudato, la lunga coda in disordine ebbe un secondo fine, il rosso non lo capì.
Si sfilò la canottiera nera, senza mezzi termini, e sperò che si desse una mossa.
Ma la spagnola non aveva fretta.
Iniziò a girargli attorno con lentezza, studiando ogni curva dei muscoli sull’addome, proiettando lo sguardo su ogni anfratto e avvallamento, come si fa quando si osserva un paesaggio.
Si soffermò sulla spalla sinistra, dove un gruppo di piccoli nei si era accalcato attorno a una cicatrice. Eppure lei, caparbia, era visibile come un dispetto.
Si perse fra il bianco dell’incarnato del russo e la sensazione di allarme che il suo corpo le suscitava, perché sembrava forgiato per essere solo bello alla vista, ma in realtà era fatto per uccidere.
Allarme perché, nonostante ogni dettaglio le suggerisse di non lasciarsi blandire dalla forma elegante del collo e dalla pelle che pareva una costellazione di neve, come se ogni granello vi fosse incastonato come un piercing, una sottile, persistente urgenza le si materializzò nello stomaco.
Di toccarlo.
Di toccare quel corpo da qualche parte tra il segno di un profondo graffio sulle costole e la lunga cicatrice pallida che tagliava trasversalmente la schiena, unendo le scapole.
Yuriy se ne stette immobile, chiedendosi perché ci mettesse tanto, che cosa ci fosse di tanto speciale da studiare così attentamente.
E quando Julia alzò una mano, sfiorandogli la cicatrice in mezzo alla spalle con la punta di un’unghia, desiderò di essere stata più veloce.
Il russo si voltò con una prontezza inaudita, afferrandole bruscamente il polso.
-Mai venirmi dietro e toccarmi alla schiena, potrebbe essere l’ultima cosa che fai.-
La madrilena rimase di sasso per la sorpresa. Il formicolio nella pancia aumentò.
-Correrò il rischio.-
Il respiro di Yuriy era lento, il suo stomaco si alzava e si abbassava con placida noncuranza, ma quando lasciò la presa la sua mano fece uno scatto repentino.
-Questa.-
Il verde negli occhi di Julia venne catturato da un segno sulla clavicola destra del moscovita, un antico serpente dal corpo lungo, sbiadito ma non abbastanza. Era così lunga da arrivare a toccargli anche la gola.
Questa volta la toccò.
Era davanti a lui, avrebbe potuto farla cadere con uno spintone, non c’era motivo per cui non potesse farlo. No?
No.
Evidentemente i motivi c’erano, a giudicare da come Yuriy seguì il delle dita con gli occhi.
Quando il russo avvertì polpastrelli della spagnola sulla pelle, a seguirne la forma, il più leggera possibile, ogni fibra del corpo si era attorcigliata attorno a un brandello di tensione.
-Hai occhio.- Fece un passo indietro, più freddo che mai.
-Ma non ora. Non domani. Questo fine settimana andiamo in qualche posto, ci sediamo a un tavolo, ci beviamo una cosa e io farò finta di avere la voglia di dirtelo. Bene? Bene. Privet.-
Julia lo vide infilarsi la canottiera, prendere il pacchetto di cartine che aveva lasciato a terra e allontanarsi senza darle il tempo di replicare.
  
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