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Autore: Duvrangrgata    08/03/2019    6 recensioni
Enea lavora come tatuatore a Milano, ma il suo cuore apparterrà sempre a Firenze, la città dove è nato e cresciuto e da cui è scappato a soli diciotto anni, lasciandosi alle spalle l’unica famiglia che conoscesse.
Una telefonata inaspettata lo metterà davanti a una scelta: restare a Milano a vivere la nuova vita che si è faticosamente costruito oppure tornare a casa, dove i fantasmi del suo passato non hanno mai smesso di aspettare il suo ritorno.
VERSIONE REVISIONATA E ALLUNGATA DI "CERTI TATUAGGI FANNO MALE ANNI DOPO CHE LI HAI FATTI, MA PER QUELLO CHE RICORDANO", pubblicata su EFP nel 2013.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago
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anch

 

 

 

I
 
 
My past has tasted bitter
For years now
So I wield an iron fist
Grace is just weakness
Or so I've been told
I've been cold, I've been merciless
But the blood on my hands scares me to death
Maybe I'm waking up today
 
I’ll be good – Jaymes Young
 
 
 
«Allora, com’è andato quest’ultimo mese?»
Enea scrollò le spalle, senza incontrare lo sguardo dell’uomo seduto davanti a lui. Intorno a loro, il vociare degli altri avventori del bar armonizzava con i rumori delle auto che passavano, senza tuttavia riuscire a distrarlo completamente dai suoi pensieri.
«Enea…»,
«Mio fratello ha chiamato.»
Lo disse in tono secco e freddo, quasi non gli importasse, ma entrambi sapevano che non era così.
«Hai risposto?»
«Sì.»
Arturo rimase in silenzio, aspettando pazientemente che continuasse a parlare, come faceva sempre.
«Lei… sta morendo. Ha detto che le restano pochi giorni e ha lasciato intendere che vorrebbe che andassi a Firenze.»
L’uomo intrecciò le dita davanti al viso, guardandolo fisso negli occhi con espressione imperscrutabile.
«Non lo so», mormorò, stringendo le mani intorno alla tazza di caffè che aveva davanti. Andare a Firenze era fuori discussione e davvero non riusciva a capire come Elia potesse chiedergli una cosa del genere. Non voleva rivedere sua madre più di quanto lei volesse rivedere lui. Certo, non era felice per la sua malattia, più che altro perché sapeva quanto il suo gemello le fosse legato, ma non faceva davvero alcuna differenza per lui –o forse sì?
Arturo sembrò intuire la direzione dei suoi pensieri, perché sospiro. «Se decidessi di andare – e bada bene, non sto dicendo che dovresti – non lo faresti per lei, ma per te stesso. Per chiudere definitivamente con il passato.»
«Vuoi che la perdoni?!», sbottò, le mani che si serravano a pugno per contenere la rabbia che gli si contorceva dentro.
«Nessuno ha mai parlato di perdonare, e anche se fosse, non è detto che sia lei la persona che devi perdonare. Elia…»
«Elia ha fatto la sua scelta molti anni fa», sibilò, il dolore nel sentire e dire il nome del gemello tanto acuto da togliergli il fiato.
«Forse sì, forse no», rispose l’altro, enigmatico come sempre, «ma forse dovresti comunque parlare con lui. Dopotutto, un tempo eravate in grado di mantenere un rapporto a distanza, magari riprendere i contatti potrebbe…»
«Sì, e sappiamo entrambi come è andata a finire, no? E comunque, non ho bisogno di lui», sbottò, digrignando i denti.
«Davvero? E cosa mi dici dei tuoi problemi a gestire la rabbia?»
«Non ho più…»,
«Ne sei sicuro? Imparare come gestirla è stato l’obbiettivo delle nostre sedute fin da quando sei uscito di prigione, è devo dire che sono soddisfatto dei tuoi progressi», Arturo fece una pausa, spingendolo ad incontrare i suoi occhi, «ma ora è tempo di capire da dove viene questa rabbia, e tuo fratello è indispensabile per farlo.»
Enea chiuse gli occhi, respirando profondamente. Una parte di lui – seppur piccola e insignificante – sapeva che l’uomo aveva ragione, eppure la sola idea di tornare a Firenze gli dava la nausea.
Lasciò vagare lo sguardo per il bar, osservando le persone ma senza vederle davvero, la sua mente che tornava alle prime sedute che aveva fatto con Arturo. Si erano incontrati nel suo studio, almeno per le prime quattro o cinque volte, durante le quali Enea non aveva detto una parola, limitandosi a fissare la parete dietro la testa dell’uomo. Arturo, del canto suo, non aveva cercato di avviare una conversazione, ma dopo qualche tempo aveva iniziato spostare le loro sedute in palestra. Enea si allenava e sfogava la sua rabbia, smettendo di sentirsi come un fenomeno da baraccone sempre sotto esame, e Arturo otteneva l’apertura necessaria per instaurare un dialogo. Era stato diffidente, all’inizio, ma l’uomo aveva fatto pugilato per molti anni, prima di diventare psicologo, e lo aveva messo al tappeto diverse volte – e non solo fisicamente –, guadagnandosi la sua fiducia.
Enea avrebbe dato qualsiasi cosa per poter affrontare quel discorso con i guantoni, ma quando aveva chiamato Arturo, l’uomo aveva insistito per vedersi altrove, probabilmente intuendo la necessità di un approccio diverso.
«Non voglio vederla. Non posso sentirle dire di nuovo…», la voce gli si strozzò in gola, spingendolo a chinare la testa.
«Lo so», l’uomo si allungò e gli strinse una mano sul braccio, cercando di rassicurarlo, «lo so.»
Si congedarono poco dopo, dirigendosi ognuno per la sua strada. Mentre camminava verso casa, Enea rifletté sulle parole dell’uomo, interrogandosi. Per anni aveva ignorato la malattia della madre, fingendo che non stesse accadendo nulla e lasciando che se ne occupasse suo fratello, seppellendo qualsiasi sentimento riguardo entrambi che non fosse rabbia, rancore e dolore. Aveva sempre pensato che andarsene da Firenze fosse stata la cosa migliore che avrebbe potuto mai fare, e probabilmente era stato così anni prima, ma ora la situazione era diversa. Oppure no? Non ne aveva idea e non voleva pensarci.
Arrivato nella sua stanza, afferrò un blocco da disegno e si sedette per terra, la schiena contro il lato del letto e una matita stretta tra le dita.  Iniziò a disegnare, fregandosene di non avere un soggetto ben chiaro in mente – raramente lo aveva. Voleva solamente buttare fuori tutto, fino a svuotarsi, fino a sentire solo il dolore alle dita e poi neanche più quello. Voleva disegnare fino a non avere più nulla da dire o perdere, fino a dimenticare chi fosse e chi era stato; poi voleva scendere giù nel negozio, tatuarsi addosso quella nuova pelle e fingere, almeno fino alla prossima telefonata, di avere ancora tutto il tempo del mondo per prendere una decisione.
 
 
***
 
I tried to walk together
But the night was growing dark
Thought you were beside me
But I reached, and you were gone
Sometimes I hear you calling
From some lost and distant shore
I hear you crying softly for the way it was before
 
Hymn for the missing – Red
 
 
Si svegliò di colpo, il respiro affannato e il sudore freddo che gli ricopriva il corpo. Con il cuore in gola senza alcun apparente motivo, afferrò il telefono qualche istante prima che incominciasse a suonare, stringendolo con tanta forza da farlo scricchiolare.
«Elia», sussurrò rauco, lottando contro la marea di sentimenti che lo stava travolgendo.
«Se ne è andata», la voce del suo gemello era un misto di dolore, sollievo e lutto. Era come una forza fisica che lo avvolgeva, minacciando di soffocarlo.
«Elia…»
Prima che potesse trovare le parole l’altro riattaccò, lasciandolo a boccheggiare come un pesce per lunghi minuti, lottando per riprendere il controllo.
Erano sempre stati in grado di percepire i sentimenti l’uno dell’altro, quasi come un sesto senso o un istinto particolare, e la distanza non aveva attenuato quella connessione: Enea si era ritrovato spesso invaso da forti sensazioni improvvise, fuori posto rispetto al suo stato d’animo del momento. Aveva sempre saputo che erano collegate ad Elia, anche se aveva cercato di ignorarle dopo la sua partenza, senza mai riuscire a farle sparire del tutto. Fu quella connessione che lo spinse ad agire, portandolo ad infilare qualche cambio di vestiti e altri oggetti utili in una valigia e ad uscire di casa, il dubbio che lo divorava vivo. Non voleva tornare a Firenze, non voleva starsene seduto in chiesa a fingere cordoglio per qualcuno per cui non provava altro che odio e risentimento, ma era come se Elia lo stesse attirando a sé, il suo dolore che scavava una voragine nella sua anima.
Gli tornarono in mente le parole di Arturo il giorno prima, a proposito di chiudere con il passato. Forse l’uomo aveva ragione, dopotutto.
Forse era tempo di tornare a casa.
 
 
 
 
 
 
Note dell'autrice

Sembra che, alla fine, Enea abbia preso la sua decisione. Solo il tempo ci dirà se sia stata quella giusta...Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e mi facciate sapere cosa ne pensate nei commenti! Alla prossima, Dru
 
 
   
 
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