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Autore: Shizue Asahi    08/03/2019    0 recensioni
Raccolta disomogenea sulla coppia Bolin/Jinora
Bolin è timido e impacciato, anche se è più grande di lei e ha già avuto altre – disastrose – esperienze prima; Jinora è quasi la sorellina di Korra – o sua nipote, non ha mai capito come funzionasse la faccenda della reincarnazione dell’Avatar – e l’ha vista crescere sotto i suoi occhi, hanno combattuto insieme e si sono salvati reciprocamente la vita tante volte, ma sul prato, là, da soli, le cose si fanno solamente più confuse e non è tanto sicuro di dove finisca la zona sicura dell’amicizia fraterna e inizi quella più scabrosa dell’attrazione
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bolin, Jinora
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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  • Scritta per la quarta settimana del COW-T9 | prompt: addormentarsi e sognare;
  • 800 parole
 
 
 
 



Il corpo di Bolin è solido e massiccio, temprato dall’allenamento e modellato dal suo Dominio.
- Sono una roccia – le dice quando vuole fare un po’ il cretino e farla ridere – o impressionarla? – piegando il braccio e mettendo in bella mostra il bicipite.
A Jinora piace stringersi contro di lui e usare il suo petto come cuscino o infilare un piede sotto i suoi polpacci e annusare l’odore di terra e di quel dopobarba piuttosto discutibile – e che Bolin si rifiuta di cambiare – che emana.
Bolin si addormenta in fretta, dopo averla baciata e averle parlato della propria giornata. Jinora riconosce le avvisaglie del sonno nel viso del suo fidanzato e non insiste per tenerlo sveglio. Quando Bolin si addormenta, a Jinora sembra che il tempo si dilati a dismisura e prendere sonno è sempre una faccenda ardua e difficile. Pabu la fissa con i suoi occhietti neri e tondi da una delle sponde del letto, indignato per non poter più dormire acciambellato sulla testa di Bolin.
Vivono insieme da pochi mesi, in città, e a lei manca la tranquillità e il silenzio del tempio, sentire il russare lieve di Meelo o le frasi prive di senso che dice Ikki nel sonno.
- Passerà, è successo anche a me quando mi sono sposata con tuo padre – le ha detto sua madre il giorno in cui le ha confessato di sentirsi strana e fuori posto in quell’appartamento di città troppo rumoroso e poco familiare. Jinora ha annuito, perplessa. Peema le è sempre sembrata appartenere al tempio e alla vita dei monaci e le risulta difficile, se non assurdo, pensare che in realtà sua madre sia nata a Città della Repubblica e sia cresciuta in un modo molto più simile a quello di Bolin e Korra piuttosto che al suo.
 
Il sonno è un nemico furbo e insidioso e Jinora non riesce a vincerlo né con la meditazione né sforzandosi oltre il limite durante i suoi allenamenti giornalieri. Rimane lì, ferma, nel letto, in attesa che la prenda, con il nervosismo che le gratta appena sotto la pelle e qualche idiota che in strada ha iniziato a cantare una di quelle canzoni oscene che tanto piacciono agli ubriachi.
A Bolin non ha detto niente, è un peso inutile di cui caricarlo, un’inezia che passerà, come le ha detto sua madre. Hanno deciso insieme di andare a vivere in città; più perché Bolin sarebbe stato un po’ fuori posto al tempio e Tenzin non gli avrebbe dato tregua, che per il reale desiderio di Jinora di allontanarsi dalla propria famiglia. È un sacrificio necessario, si è detta con la cocciutaggine che ha ereditato da nonna Katara.
Le piace vivere con Bolin, condividere con lui i piccoli momenti della giornata, attimi intimi che da bambina vedeva avere ai suoi genitori e che sa lui aver sempre desiderato. La casa è minuscola, cucina, camera da letto e un piccolo soggiorno e si sono divertiti ad arredarla insieme, con l’aiuto dei loro amici e dei suoi fratelli. Jinora, come tutti i monaci dell’Aria, non ha interesse per i beni materiali e non le importa se il divano è di seconda mano o se una delle ante del vecchio armadio, che ha trovato con Korra in un negozio dell’usato, scricchiola; Bolin è pragmatico e ordinato, abituato ad avere sempre meno di quello di cui ha bisogno. Ha insistito solo per avere una cappelliera, anche se nessuno dei due possiede cappelli.
Jinora ha scoperto che Bolin è più ordinato e organizzato nelle faccende di casa di quanto pensasse, anche se rimane un cuoco disastroso. Sa stirare e tenere sistemata casa di gran lunga meglio di lei, ma insiste per fare tutto insieme. Talvolta, quando lavano i piatti e si disperano perché non riescono a scrostare una delle pentole dal loro ultimo disastro culinario, si dicono che dovrebbero proprio accettare uno degli inviti a cena di Asami.
 
Bolin profuma di terra, è tiepido e quando prende sonno ha il respiro pesante e russa appena; Jinora, quando lui non è cosciente, stesa nel loro letto, detesta quella casa troppo piccola e rumorosa e quando finalmente riesce a prendere sonno, i sogni sono agitati e caotici, con l’ubriaco che fino a poco prima era in strada a cantare qualche cosa di osceno e ora lo ripeterlo nella sua testa o con Pabu che è dieci volte più grande e finge di essere il suo cappello preferito.
Jinora si agita e annaspa, ma poi Bolin allunga un braccio e la afferra e la stringe a sé, ancora mezzo addormentato.
- Va tutto bene – le dice, con la voce impastata dal sonno e poi sprofonda il viso nei suoi capelli castani.
Lo fa tutte le notti e a Jinora quella casa in città sembra improvvisamente Casa.






 
   
 
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