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Autore: Kim WinterNight    09/03/2019    5 recensioni
Painkiller: antidolorifico.
Di questo avrebbe bisogno Cosimo, un ragazzo di appena trent'anni costretto a sopportare un'esistenza dolorosa e difficile.
Va avanti senza alcuna pretesa, se non quella di riuscire a ignorare la sofferenza che la sua situazione famigliare gli provoca.
Non nutre alcuna speranza per il suo futuro, è convinto che la sua situazione non potrà mai cambiare e che il suo destino sia stato già scritto e deciso.
Riuscirà l'incontro con Enea a fargli cambiare idea?
Tre capitoli per raccontare una storia in apparenza semplice, che trova le sue radici e la sua ispirazione nella crudele realtà di tutti i giorni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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II






Avevo bisogno di vederlo per risollevare un po' il morale, così quel sabato mi recai al mercatino e cominciai a cercare convulsamente la sua bancarella. Il solo fatto di poter posare gli occhi su di lui era diventato un anestetizzante per le mie pene, come una sorta di droga che non faceva male.
Durante il primo giro di perlustrazione non lo trovai, e il cuore mi sprofondò nel petto. Stavo per lasciarmi affliggere dalla disperazione e da un profondo moto di delusione, quando lo avvistai in un angolo un po' nascosto rispetto al solito.
Tirai un sospiro di sollievo e mi strinsi nel giubbotto, avviandomi a passo un po' troppo svelto nella sua direzione.
«Cosimo!» esclamò lui, mentre sul suo viso rotondetto si allargava un caloroso sorriso.
Si ricordava il mio nome, si ricordava davvero di me! Ero così felice ed emozionato che non fui neanche in grado di ricambiare il saluto. Le mie guance erano in fiamme e il mio corpo pian piano si liquefaceva sotto il suo sguardo penetrante e rassicurante.
«Come va? Ragazzo, oggi ti vedo più triste del solito!» proseguì.
Come riusciva sempre a essere così allegro e spensierato? Come riusciva a trasmettermi così tanta serenità? Come riusciva a farsi adorare da me?
«Io... sto bene...» balbettai, torcendomi le dita delle mani.
«Non mentire, si vede che c'è qualcosa che non va. Sai cosa facciamo? Finisco di lavorare e ti porto a pranzo, così mi racconti» propose con estrema semplicità. «Ormai sei mio amico, vieni sempre a trovarmi!» aggiunse, forse notando l'espressione sbalordita che mi si era dipinta in viso.
«A pranzo... non posso» mi ritrovai a declinare, pensando che sarei dovuto presto tornare a casa per sfamare quella bestia e preparargli un pasto che avrebbe probabilmente rifiutato e criticato.
«Andiamo! Allora hai da fare con la fidanzata?»
Avvampai ancora di più e scossi il capo. «No, no...»
«Quindi possiamo pranzare insieme? Offro io!» insistette.
Era un sogno, non poteva essere vero. E io non potevo accettare, avevo troppa paura di cosa sarebbe successo una volta rientrato. Mio padre avrebbe dato di matto, mi avrebbe punito e mi avrebbe reso la vita un inferno. Se solo avessi trovato il coraggio per raccontarlo a Enea...
Scossi il capo. «Mi dispiace...»
Lui si fece mortalmente serio e i suoi lineamenti marcati si contrassero. «Hai paura di me?» se ne uscì, senza più la minima ombra di leggerezza nella voce.
Ammutolii ed ebbi l'impulso di scappare.
«Se ti spavento, allora ti lascio in pace» concluse l'uomo, per poi abbassare il capo. Prese a sistemare meglio la sua merce, ignorando completamente la mia presenza.
Forse l'avevo offeso, ero una frana. Ma come potevo spiegargli la verità? Chiunque altro mi avrebbe preso per pazzo, visto che avevo rifiutato di andare a pranzo con l'uomo che mi piaceva, ma nessuno poteva immaginare che cosa si celava nella mia miserabile vita.
Dovevo andarmene, la testa e la ragione mi dicevano che quella sarebbe stata la scelta migliore. Eppure rimasi lì, cercando in tutti i modi il coraggio per parlare ancora con Enea. Forse ora toccava a me fare il primo passo.
Mi schiarii la gola e feci un passo avanti. «Mi scusi, io... a casa mi aspettano, non posso lasciarli senza... senza pranzo» riuscii ad articolare, sentendo l'imbarazzo farsi ancora più palese.
Lui sbirciò nella mia direzione, senza smettere di riordinare la merce. «Ah, sì?»
«Mio... mio padre, lui... è complicato» farfugliai.
Enea alzò il capo e cercò il mio sguardo. «È malato?» chiese.
«No, cioè... sì, è un folle...»
«Un folle?» ripeté l'uomo, sembrava sconcertato dalle mie parole.
Le parole cominciarono a fluire fuori dalle mie labbra come se qualcuno avesse schiacciato un pulsante per aprire il mio cuore e svuotarlo completamente. Presi a raccontargli la mia situazione, infarcendola di aneddoti raccapriccianti e riportando tutte le orribili parole che mi sentivo dire ogni singolo giorno della mia vita da quando ero nato. Mi sentivo sempre meglio, mi stavo liberando di un peso enorme, ed era confortante farlo con lui.
Enea smise di prestare attenzione ai clienti, lasciando che loro se ne andassero dopo essere stati ignorati. A un certo punto piazzò sul banco un cartello con la scritta CHIUSO e mi fece sedere con lui sul retro del furgone, dove potei continuare a dar sfogo al mio malessere.
Gli spiegai tutto, perdendo la cognizione del tempo e dello spazio, non tralasciai alcun dettaglio e non seppi spiegarmi come ciò fosse possibile; mi stavo confidando con uno sconosciuto, gettandomi alle spalle l'imbarazzo e la timidezza che fino a poco prima mi avevano quasi serrato la gola.
Enea mi ascoltò, lasciandosi sfuggire ogni tanto imprecazioni ed esclamazioni infelici, finché non allungò una mano verso di me e la posò sulla mia spalla con l'intento di confortarmi.
Quel tocco fu come una scottatura, rimbalzò per tutto il mio corpo, dandomi l'impressione che le ossa presto si sarebbero frantumate. Era qualcosa di difficile da definire, non sapevo se facesse male o se fosse atrocemente piacevole.
«Cosimo, ascoltami.» Enea era seduto accanto a me e teneva ancora le sue dita sulla mia spalla. «Tu non puoi andare avanti così, okay? Non puoi. Io non lo permetterò.»
Sussultai nell'udire quelle parole così decise e ferme. «Cosa... cosa...» provai a ribattere.
«Ti capisco molto bene, sai? Ho vissuto anche io qualcosa di simile. Mio padre se la prendeva con mio fratello perché lui era un po' più fragile, un po' più debole... lo maltrattava e non permetteva a nessuno di andargli contro. Alla fine, quando sono cresciuto, l'ho difeso. Mi sono messo in mezzo e ho fatto a botte con mio padre. Ma ormai era troppo tardi: Ruggero, nel frattempo, è corso su per le scale, ha raggiunto il terzo piano della nostra casa e si è gettato di sotto. Ancora non riesco a perdonarmi per averlo lasciato morire a causa di quel mostro. Da quel giorno sono scappato, ho preso in mano la mia vita e ho chiuso i ponti con la mia famiglia. Sono sopravvissuto, come vedi, anche se ho perso il mio povero fratello e mi porto appresso un grosso rimpianto. Perciò, Cosimo, puoi farcela anche tu.»
Ero rimasto molto colpito dalla sua storia, tanto che avevo cominciato a tremare e a sentirmi totalmente inadeguato e stupido al suo cospetto. Non era cattivo? Non era un mostro? Era soltanto un uomo ferito che sapeva di cosa stavo parlando?
«Non permetterò che anche tu faccia la fine di Ruggero. Sai, un po' me lo ricordi, anche lui era timido e fragile come te...» Enea fece scorrere le dita tra i miei capelli e io mi sentii morire sotto quel tocco incredibilmente morbido e delicato.
«Io... devo andare, lui mi ammazza se non trova il pranzo pronto.»
Enea rise e si accostò a me. Mi afferrò per le spalle e mi costrinse a guardarlo negli occhi. «Tu non vai da nessuna parte, chiaro?»
Solo in quell'istante mi resi conto che stavo piangendo, e a quel punto mi sentii un vero e proprio schifo. Se l'orco mi avesse visto in quel momento, mi avrebbe certamente deriso e insultato, facendomi notare che un uomo non deve mai piangere e che io non ero altro che un frocio inutile e senza palle.
L'uomo che mi stava di fronte invece non sembrava intenzionato a giudicarmi. Senza preavviso, mi prese tra le braccia e mi strinse forte al petto, facendomi posare il capo sulla sua spalla. Sentivo il suo respiro tra i capelli e le sue mani sulla schiena, sentivo il suo corpo caldo e morbido contro il mio, sentivo il suo profumo pungente che sapeva di muschio e caffè.
E mi sentivo così fragile e piccolo, nonostante la mia corporatura imponente e il mio metro e settantacinque di altezza. In quell'abbraccio mi stavo semplicemente sgretolando, e non riuscivo più a controllare i singhiozzi né le mie mani che si artigliavano alla giacca di quell'uomo e la tenevano stretta.
Non avevo mai ricevuto un abbraccio, non avevo mai provato tante sensazioni tutte insieme. Era la prima volta che qualcuno mi stava così vicino, avevo vissuto quasi trent'anni di vita senza mai essere toccato, senza mai essere confortato o semplicemente coccolato.
«Se lui mi vedesse ora, se lui mi... lui mi direbbe che...» mi lamentai, affondando il viso nel tessuto ruvido della sua giacca a vento.
«Shh, non importa» mi rassicurò Enea, cullandomi ancora e accarezzandomi piano sul capo.
«Mi direbbe che sono un frocio schifoso che non sa neanche... neanche ingravidare una femmina fertile...» proseguii, sempre più preda della mia stessa disperazione. Tremavo come una foglia e le mie parole erano quasi incomprensibili.
Sentii Enea sospirare e intensificare maggiormente la stretta. «Lasciaglielo credere. Non importa, Cosimo, non importa» ripeteva, senza smettere di cullarmi e accarezzarmi. «Tu sei solo un ragazzo speciale, lui non ha il diritto di trattarti così.»
«Anche le mie amiche me lo dicono» mormorai, riuscendo a placare un po' i singhiozzi. «Mi dicono che merito amore, che devo pensare a me stesso. Ma io... io non...» Scoppiai nuovamente a piangere e mi aggrappai con più forza a lui.
«Le tue amiche dove sono?» volle sapere.
«Lontane. Non abitano qui» risposi, tirando su con il naso.
«Cosimo, sta' tranquillo. Io sono qui. Sono disposto ad aiutarti» mi confessò, facendomi scostare da lui e cercando i miei occhi con i suoi.
Rimasi a fissarlo in silenzio, continuando a tremare e a lasciar rotolare calde lacrime sulle mie guance.
«Troviamo una soluzione, te lo giuro. Ma adesso andiamo a pranzo insieme, abbiamo bisogno entrambi di mettere qualcosa sotto i denti per ragionare meglio, eh?» mi propose, lasciandomi un tenero buffetto sulla guancia.
Mi ritrovai ad annuire senza nemmeno rifletterci su. Ormai era tardi, mio padre si era sicuramente accorto che non ero tornato ed era già infuriato. Tanto valeva ritardare maggiormente il momento in cui sarei dovuto tornare a casa per affrontarlo.
«Così mi piaci» disse Enea in tono allegro, per poi mettersi in piedi. «Stai qui, io intanto ritiro il banco» aggiunse.
«La aiuto» mi proposi, facendo per alzarmi.
Lui poggiò con decisione le mani sulle mie spalle. «No, stai qui e cerca di tranquillizzarti. E, Cosimo, non darmi del lei. Siamo amici.»
Avvampai e rimasi in silenzio, riflettendo su ciò che era appena successo. Osservavo i movimenti esperti e veloci di Enea mentre raccoglieva le sue cose e mi passava accanto per rimetterle sul furgone, mentre mi rendevo lentamente conto di essere appena stato tra le sue braccia. Lo avevo desiderato fin dal primo istante in cui lo avevo visto, e mai avevo osato sperare che ciò accadesse. Mi ero limitato a vedere quell'opportunità come uno stupido miraggio, crogiolandomi nell'attesa di poterlo rivedere.
E ora ero lì, seduto sul retro del suo furgone, dopo aver ricevuto il primo, vero abbraccio della mia intera esistenza. Stentavo a crederci, ma era successo e io mi ero sentito davvero strano, mi ero sentito ancora più fragile e debole, come se lui e le sue braccia avessero annientato l'ultimo briciolo d'integrità che ancora mi restava.
Enea finì di ritirare tutto e tornò da me. «Andiamo, sali davanti» mi incoraggiò con un sorriso.
Mi alzai e feci come mi diceva, decidendo di riprendere più tardi la mia auto. In quel momento non mi importava, volevo soltanto godermi i momenti che mi restavano da condividere con lui.
Tanto già sapevo che tutto sarebbe finito, io sarei tornato all'inferno e avrei sicuramente smesso di vederlo per paura di soffrire e di commettere ancora degli errori come quello. Non mi era permesso di avere una vita, io dovevo trascorrere le mie giornate a sgobbare per mio padre e a rendermi disponibile per mia madre quando lui se ne lavava le mani.
Non potevo abbandonare la mia famiglia.


Mentre guidavo verso casa, ripensavo a Enea e al nostro pranzo insieme. Era stato capace di mettermi a mio agio, di farmi aprire ancora un po' con lui, ma soprattutto mi aveva parlato molto di sé. La sua vita non era stata facile, nonostante potesse sembrare un uomo forte e allegro; dopo aver perso suo fratello, per lui era stato difficile andare avanti, ma non per questo aveva smesso di provarci e di lottare. Si era impegnato, aveva avviato un'attività e aveva cercato di costruirsi il suo piccolo spazio nell'universo.
Lo ammiravo molto, perché lui era riuscito a uscire dalla sua prigione, si era ribellato e aveva fatto tutto ciò che io non sarei mai stato in grado di pensare. Per questo stavo tornando, da bravo schiavo, nella tana del leone. Avevo trasgredito abbastanza, erano già le tre del pomeriggio e sapevo cosa mi avrebbe aspettato al mio arrivo.
L'unico pensiero in grado di anestetizzare un poco il mio terrore era quello di Enea, del suo modo vivace di gesticolare, del suo atteggiamento rude quando si tuffava sul cibo, ma soprattutto del suo abbraccio caldo, delicato, infinito. Potevo ancora sentire le sensazioni che avevo provato tra le sue braccia, non avrei mai creduto che proprio io sarei finito a farmi consolare da un uomo sconosciuto che aveva molti anni in più di me, un uomo che mi piaceva da impazzire e a cui non sarei mai interessato da quel punto di vista.
Parcheggiai l'auto e avvertii le mani che tremavano leggermente. Non avevo neanche il coraggio di scendere, sapevo che presto avrei dovuto affrontare l'orco. Forse potevo concedermi qualche attimo per respirare e calmarmi, il danno ormai era fatto, qualche minuto in più di ritardo non avrebbe fatto alcuna differenza.
Lui mi raggiunse prima ancora che mettessi il naso fuori dalla macchina. Come c'era da aspettarsi, era furibondo: urlava come un pazzo, si agitava, imprecava, bestemmiava, mi insultava.
«Pezzo di merda, dove cazzo eri finito? Dov'eri finito, eh? Sei un essere inutile, un fallito, uno schifo! Vieni qui, pezzente!»
Spalancò la portiera con tanta forza che io credetti che l'avrebbe scardinata; mi afferrò per un braccio e mi tirò giù dall'auto, poi cominciò a urlare a pochi centimetri dal mio viso. Mi stava facendo venire la nausea, non riuscivo neanche a guardarlo, tant'era il disgusto che provavo nel sentire le sue luride mani su di me. Neanche gli abiti pesanti che indossavo erano in grado di proteggermi dalle orribili sensazioni che stavo provando.
«Dovevi prepararmi il pranzo, cazzo! Non ho mangiato per colpa di una merda come te, dove cazzo eri?» proseguì a sproloquiare.
Io tacevo, se avessi aperto bocca avrei vomitato, ne ero certo. Sentivo il buon cibo che avevo assaporato in compagnia di Enea fare a pugni per risalire lungo la mia gola e riversarsi su quel mostro che mi stava di fronte. Cercai di trattenermi e lo lasciai dire, incapace di ribellarmi e di spingerlo via. Mi sentivo un vero codardo, ma allo stesso tempo volevo evitare a tutti i costi di farlo arrabbiare ancora di più. Detestavo gli scontri fisici, non volevo dargli il pretesto per alzare le mani su di me.
«Non hai niente da dire, testa di cazzo? Non hai niente da dire? Eh? Dove cazzo eri? Ah, non è che finalmente ti sei deciso a ingravidare una femmina? Ma no, figurati... uno come te, uno come te queste cose non le sa fare... non sai neanche usarlo, eh? Credi davvero che serva solo per pisciare, coglione? Questa me la paghi, me la paghi! Ti metto io a lavorare, devi recuperare quello che non hai fatto oggi!»
Mi lasciò andare di botto e cominciò a girarmi intorno come un pazzo, continuando a strillare come un ossesso. Mi teneva sotto tiro, come se io fossi una preda braccata che ormai non aveva più vie di scampo. Io continuavo a tacere e cercavo di non ascoltarlo, ma la sua voce stridula mi perforava i timpani e affondava nella mia anima come un pugnale affilato.
Trattenni le lacrime, non gli avrei mai dato la soddisfazione di vedermi piangere a causa sua. Lo lasciai fare finché non fu stanco e decise di andarsene, continuando a bestemmiare e a chiedere a gran voce perché una disgrazia simile fosse capitata proprio a un brav'uomo come lui.
Anche quella volta mi ero lasciato trattare come una bambola di pezza, non avevo reagito in alcun modo e gli avevo permesso di insultarmi senza ritegno. Chiusi con cura l'auto e feci per entrare in casa, quando lo vidi tornare indietro.
Ormai urlava frasi sconclusionate, non riuscivo neanche più a capire ciò che diceva. Come una furia, si scagliò contro la mia auto e cominciò a prenderla a calci e pugni, producendo dei versi animaleschi che mi fecero venire i brividi.
Quando ne ebbe abbastanza, mi sorrise maligno e affermò: «Così non andrai più da nessuna parte, merda schifosa!».
Mi diressi verso casa e, una volta nell'ingresso, ignorai il saluto di mia madre e mi precipitai in camera mia. Chiusi la porta e mi lasciai andare a un pianto silenzioso e disperato, rannicchiandomi di fronte all'uscio e stringendomi le braccia attorno al corpo.
Quanto avrei voluto rifugiarmi nell'abbraccio di Enea, lui avrebbe saputo come calmarmi e rassicurarmi. Oh, se mi avesse visto in quel momento, sarebbe stato mortalmente deluso di me, avrebbe capito che ero senza speranze e che non meritavo le sue attenzioni.
Quella vita mi stava uccidendo giorno dopo giorno, ma ormai ne facevo parte, ne ero inghiottito e non c'era un modo per uscirne e risollevarsi.
Era troppo tardi.
  
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