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Autore: WhiteLight Girl    10/03/2019    1 recensioni
Sembra che tutto sia normale nella vita di Marinette, tra la scuola e la vita da supereroe, finché all'improvviso succede qualcosa e Ladybug si ritrova incapace di lasciarsi scivolare addosso le avance di Chat Noir. La sensazione di aver dimenticato qualcosa si fa largo nella testa della ragazza e si rifiuta di passare, mentre il suo istinto inizia a gridare di non fidarsi di Gabriel Agreste. Marinette si convince che ci sia sotto qualcosa, ma sarà davvero così o si sta solo allarmando per nulla?
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 4
Presenze


L’Akuma aveva attaccato dopo la scuola, mentre Marinette era china sulla scrivania e sgranocchiava biscotti al cioccolato assieme a Tikki. I due bicchieri di latte caldo che aveva preparato erano rimasti a metà, abbandonati sulla mensola dove non c’era il rischio che si rovesciassero sull’album da disegno, le matite erano state rimesse di fretta nella tazza, mezze spuntate ed in disordine. Pochi istanti dopo che Marinette era uscita attraverso la botola che dava sul balconcino, Ladybug stava correndo di tetto in tetto per raggiungere il Louvre.
Arrivare nel luogo di uno scontro già iniziato era sempre un’avventura, la preoccupazione su chi fosse il nemico, su ciò che avrebbe fatto ai cittadini di Parigi, sui suoi poteri e su quello che avrebbe potuto accadere a Chat Noir prima che arrivasse a prendere in mano la situazione erano diventate ormai sensazioni familiari. Ogni volta, Ladybug doveva ripetersi che dietro la spavalderia, l’irriverenza e l’impulsività di Chat Noir c’era un cervello, che poteva benissimo cavarsela e tenere impegnato l’Akuma finché non fosse riuscita a raggiungerlo, ma questo non cambiava molto.
L’ansia, quella volta, fu più forte del solito; la nausea la costrinse a fermarsi per non rimettere verso la strada. Le era capitato di sentirsi così male poche volte, solo quando era stata molto stanca o reduce da un’influenza o un raffreddore; pensò che probabilmente il virus che aveva preso la settimana precedente non fosse ancora stato debellato totalmente e si poggiò contro il camino, inspirando nell’attesa che lo stomaco in subbuglio si calmasse.
Quando la sensazione si allentò, Ladybug prese fiato e si mise ritta per riprendere il suo viaggio, ma non fece neanche un passo, non notò le grida sempre più vicine, ma tenne gli occhi spalancati e puntati dritti davanti a sé. Non fu subito certa di ciò che stava guardando, non riuscì a capire neanche il perché non riuscisse a distogliere lo sguardo da quel punto sospeso a mezzaria in cui non c’era assolutamente niente. Strinse gli occhi, scrutò tra la polvere che fluttuava nell’aria ed allungò il collo per avvicinarsi, quasi certa che lì ci fosse qualcosa.
«Marinette!» sentì urlare dietro di sé.
Si voltò, l’Akuma era una sagoma sfocata di verde e giallo fluorescente che puntava dritto verso di lei, Chat Noir gli correva dietro con il braccio teso, il bastone stretto nel pugno.
Ladybug lanciò lo yo-yo e si aggrappò ad un balcone, evitò l’Akuma e rimase appesa al cornicione che aveva davanti, si arrampicò incespicando sulle tegole e si nascose dietro il camino.
«Milady?» domandò Chat Noir «Tutto bene?»
Ladybug sospirò, le dita erano ancora premute contro il muro di mattoni.
«Assolutamente.» rispose, ma la nausea non era ancora passata, le ginocchia le tremavano anche se non temeva l’altezza. Uscì allo scoperto e scivolò al fianco di Chat Noir, che le sorrise, ma stare ferma in cima a quel tetto con lui non le diede lo stesso brivido che aveva di solito.
Era come avere decine di occhi addosso, non riusciva a capire da dove provenisse quella sensazione, ma la costrinse a guardarsi attorno alla ricerca della fonte, di qualunque cosa si trattasse. Senti Chat Noir muoversi accanto a lei, le sue scarpe scricchiolare sulle tegole, il bastone fischiare oscillando attraverso l’aria. Dischiuse le labbra e inarcò le sopracciglia perché era l’unica cosa che sembrava d'aiuto nel cercare attorno a sé.
Nell’aria c’erano solo pulviscolo, raggi di luce riflessi nei vetri delle finestre e granuli di terra.
A dispetto della sensazione di essere osservata, Ladybug constatò che l’Akuma ma non aveva occhi, anche se al posto della sua testa aveva un enorme busto di squalo dai denti affilati. Il muso era rivolto verso l’alto, non aveva alcun senso logico.
Ladybug strinse il filo dello yo-yo tra le dita, lo avvolse attorno all’indice e lo strattonò forte perché si riavvolgesse e lo yo-yo tornasse contro il suo palmo.
Non sapeva ancora quali fossero i poteri dell’Akuma, non gliene veniva in mente neanche uno che potesse conciliarsi con quell’aspetto buffo terrificante al tempo stesso. Il muso dello squalo restava sempre dischiuso, metteva in mostra diverse file di denti affilati bianchi che, Grazie al cielo, lui non poteva puntare verso di loro. Non c'era nulla di logico in quella attacco, nulla nella creatura senza dita che potesse lasciarle intuire come avesse sradicato la panchina che c’era a pochi metri da lei, ammesso che fosse stata lei.
Un palo della luce era piegato su sé stesso, un semaforo spezzato in due, con i cavi esposti e sfrigolanti di elettricità. Un’esplosione alle spalle di Ladybug le spinse i capelli in faccia e li soffiò via, Ladybug si voltò a controllare di cosa si trattasse, ma non trovò nulla.
Chat Noir era concentrato sullo squalo, il bastone stretto in mano brandito come una spada e le gambe divaricate in posizione di attacco. Il ragazzo squalo corse verso di loro, l'andamento traballante, incerto, quasi come quello che avrebbe avuto una persona mascherata nel correre verso un amico per fargli uno scherzo.
Forse si trattava davvero di quello, di uno scherzo idiota finito male, con la gente che l’aveva scambiato per un’Akuma, mentre invece era solo un ragazzo normale ed il vero Akuma faceva i propri comodi in giro per la città. Ladybug lo guadò dall’alto mentre, giù in strada, lui si sporgeva verso di loro e si tendeva come per provare a raggiungerli. Non sembrava che ci fosse un punto di inizio del costume, né che sotto il muso di squalo ci fosse una forma umana. All’interno delle fauci spalancate Ladybug vide la sua gola e non ebbe più dubbi.
Un boato rimbalzo tra i palazzi, la terra tremo, il cielo vibrò sopra di loro. Ladybug si senti mancare, perse la presa della terra sotto i piedi, i palmi si strinsero nel nulla e, per un istante, non vide nulla. Tese le braccia davanti a sé, cerco Chat Noir con le dita, ma di lui non vi fu nessuna traccia e i suoi polpastrelli sfiorano solo l’aria.
All’improvviso non c’era nulla a sorreggerla, ma anche nulla da sorreggere. All’inizio non sentì il proprio corpo, avvertì chiaramente solo la propria mente e fu costretta a concentrarsi su quello per assicurarsi di essere ancora in sé.
C’era solo la voglia di toccare, di sentire, di esistere per il timore che non fosse più così. Pensò a Chat Noir, al tocco delicato delle sue dita, alla morbidezza dei suoi capelli, alla sensazione delle sue orecchie sotto le proprie dita. Ripensò alle sue fusa, a quanto fossero confortanti, a quanto ne avesse bisogno in quel momento.
Ma Chat Noir non c’era e assieme a lui era sparita qualunque altra cosa. Il mondo non esisteva più, e forse nemmeno lei stessa. Sì sforzò di aprire gli occhi, ma ebbe la sensazione che quelli fossero già aperti, così provò a voltarsi per guardarsi attorno, ma scoprì che non aveva parti del corpo con cui farlo. E non c'erano neppure le ginocchia da poter piegare per correre, muoversi o saltare.
Quando la risentì, la schiena era fredda; era come se fosse distesa su qualcosa, ne avvertiva la pressione contro i glutei e le gambe indolenzite.
Poi Chat Noir la chiamò e la sua voce apparve lontana, flebile, quasi impalpabile. Lo sentiva ripetere il suo nome, ma non era certa che stesse accadendo davvero.
Era bloccata tra la voce di lui e la sensazione di essere immobile, questo la faceva sentire trascinata verso due direzioni opposte con una forza tale che si sentiva quasi in procinto di rompersi.
La sensazione del freddo contro la schiena e dei fianchi formicolanti scemava va ogni volta che Chat Noir pronunciava il suo nome, ogni volta che sentiva la voce di lui tornava a sentirsi leggera, si immaginava scivolargli incontro e perdeva la connessione con ogni altra cosa. Riaprì gli occhi e, con sollievo, lo trovò a fissarla. Inspirò, grada che fosse lì.
«Milady...» lo sentì dire.
Aveva le gambe piegate e premute contro le tegole, le braccia di Chat Noir la avvolgevano e la sorreggevano. Strinse i pugni, lieta di avvertire il dolore delle unghie premute contro il palmo.
«Che cosa è successo?» domandò.
Si sollevò e premette una mano contro la fronte, non riusciva a inquadrare ciò che aveva attorno, ma ebbe l’impressione che lei e Chat Noir fossero soli.
«L’Akuma?» domandò.
«Me ne sono occupato io.» disse il ragazzo.
Le mostrò il pugno semi chiuso, tra le dita la farfalla nera si agitava convulsamente tentando di sfuggire. Ladybug la purificò, grata che il suo compagno fosse riuscito ad occuparsene da solo.
Più tardi, mentre cercava di prendere sonno rigirandosi nel suo letto, realizzò che la sensazione che qualcuno la stesse osservando non era ancora passata.
   
 
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