Il
Gioiello del Vaticano
Capitolo
14 - L’Eremita
Nei
Tarocchi, la carta dell’Eremita emana il soffio del sapere, ma anche
della
tradizione e dell’esperienza. La solitudine e il raccoglimento si
mescolano
alla saggezza di questa figura, che diviene medico dell’anima, oltre
che del
corpo. Significa anche riflessione su sé stessi, e sulle situazioni
indicate
dalle carte vicine. È desiderio di scoprire la verità, ricerca della
verità.
Al negativo, però, l’essere taciturno diviene scostante, diffidente,
pesante.
La misantropia porta alla tristezza, si unisce alla povertà, spesso
solo
spirituale.
Uno
dei suoi ultimi ricordi era
il luccichio della moneta d’oro del Turco. Al-Rahim l’aveva fatta
roteare su sé
stessa su un piatto d’argento e la luce riflessa sulle sue facce aveva
abbagliato l’artista.
Leonardo
non era riuscito a
distogliere lo sguardo e aveva continuato ad osservare quel movimento
fluido ed
elegante, come stregato. Poi i suoni si erano fatti più distanti e
ovattati,
gli oggetti intorno al piatto avevano cominciato a dissolversi e la
stanza sembrava
essersi trasformata in sabbia.
Subito
dopo, era in sella al
suo cavallo in mezzo al deserto, accompagnato dal misterioso Abissino e
dalle
sue parole criptiche riguardanti il Libro delle Lamine e il destino del
mondo.
I
Figli di Mitra non erano
proprio capaci di parlare senza usare enigmi.
Poi
l’Abissino gli aveva
sussurrato una semplice parola: «Svegliatevi».
Il
tempo di un battito di
ciglia, e da Vinci era nel bel mezzo di un bosco, a cavallo e
accompagnato dai
suoi fidati amici Nico e Zoroastro. Per qualche secondo rimase
tranquillo e
imperturbato, come se si fosse effettivamente appena risvegliato dopo
una lunga
notte di sonno. Però in poco tempo si rese conto che non era nel suo
letto,
nella sua bottega, nella sua Firenze, ma chissà dove e chissà da quanto
tempo.
«Dove
mi state portando?», chiese preoccupato ai suoi compagni.
Nico
si scambiò uno sguardo
colmo di confusione con Zoroastro, prima di ribattere.
«Portando
voi? Siete voi a condurre noi», replicò il giovane biondino.
«Cosa?»,
domandò nuovamente Leonardo, mentre cercava di riconoscere il luogo in
cui si
trovava, ma senza successo.
«Ci
hai svegliati in piena notte con una delle tue geniali liste della
spesa»,
borbottò Zoroastro, e la sua voce tradì tutto il suo fastidio per
l’interruzione del suo prezioso sonno. «Comprate
più magnesio, prendete oscure bevande
alcoliche d’Oriente, procuratevi tre cavalli…», iniziò ad elencare,
scimmiottandolo.
«Avete
un piano! Non lo rammentate?», tentò di nuovo Nico.
«Certo!
Certo… che lo rammento», mormorò Leonardo, più per convincere sé stesso
che non
gli altri. «Da quanto tempo siamo…?», ma non ebbe il tempo di
concludere la
domanda, perché Zo aveva già capito e lo interruppe.
«Giorni»,
rispose bruscamente: la sua irritazione era sempre più esternata. «E sei stato torbo per tutto il viaggio»,
aggiunse, scoccandogli un’occhiataccia poco amichevole. «Per uno
straniero
imbecille che si è fatto rapire».
«L’Abissino»,
lo corresse Nico, cercando allo stesso tempo di calmarlo.
«È
come… come se mi stessi svegliando», mormorò l’artista, stropicciandosi
gli
occhi con una mano. Le risposte dei suoi amici erano state tutte troppo
vaghe
per aiutarlo a ricostruire i suoi ricordi, e l’idea di avere interi
giorni
completamente cancellati dalla sua mente lo frustrava parecchio. «Ho
perso una
parte di me nel viaggio», aggiunse, con un filo di voce.
Doveva
assolutamente recuperare
la memoria, e al più presto possibile.
Ricordava
vagamente la visita
del Turco nella sua bottega. Ricordava l’assoluzione, la revoca delle
sentenze
in tribunale. Ricordava gli abbracci di Zoroastro, Nico e Vanessa, per
festeggiare la sua libertà. Ricordava il suo piano di evasione e le sue
minacce
al giudice.
Ma
erano tutti frammenti
confusi e sconnessi, che non seguivano un filo logico, erano solo
piccoli
brandelli che piano piano gli comparivano davanti agli occhi.
Eppure,
in quel caos, sentiva
che c’era qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a vedere ma che
sentiva
mancare. Un momento importante in quella vorticosa giornata.
«Un’occasione di fuggire dalle bugie,
dagli inganni, dalle manipolazioni».
E
per un attimo gli parve di
vederla di nuovo, di fronte a lui, ad un soffio dal suo viso, con il
capo
leggermente sollevato verso l’alto per poterlo guardare negli occhi.
Gemma
non gli aveva concesso
alcun Sì verbale, ma nel suo cuore da
Vinci sapeva di aver sentito una parte di lei avvicinarsi a lui, sapeva
di aver
percepito una vicinanza che era molto più che fisica, e sapeva che
quella sera
entrambi avevano mosso un piccolo passo l’uno verso l’altra.
Tuttavia,
la contessa era
scappata. Per un breve momento si erano avvicinati, ma subito dopo lei
si era
allontanata ed era fuggita via. E la missione di Leonardo in Valacchia
era
un’altra fuga.
Ciò
da cui l’artista non riuscì
a fuggire, purtroppo, fu il grosso ramo che lo colpì in piena fronte,
ed egli,
talmente perso nei suoi pensieri, non ebbe modo neanche di provare a
reagire e
restare aggrappato al suo cavallo. In un secondo passò dall’essere
seduto sulla
sella all’essere disteso a terra, in mezzo a foglie secche e sassolini
sporchi
di fango.
Eppure
era un ramo bello
grosso, tanto quanto l’albero al quale apparteneva: sarebbe bastata
davvero
poca attenzione, il minimo, per vederlo ed evitarlo. Per un attimo
furono i
pensieri di Leonardo, mentre sbirciava dalle fessure dei suoi occhi
strizzati
per il dolore. Provò a portare una mano sulla sua testa, nel punto in
cui si era
scontrato con il ramo, ma il dolore parve togliergli qualsiasi
sensibilità, e
gli sembrò di toccare il nulla.
Nico
e Zoroastro, dal canto
loro, lo osservarono con un misto di pietà e di imbarazzo, chiedendosi
con uno
sguardo se fosse il caso di intervenire o di lasciarlo lì a recuperare
la sua
dignità.
«Leonardo,
hai tempo cinque secondi per alzarti, o ti lasceremo lì dove sei», lo
minacciò
Zoroastro, guardandolo letteralmente dall’alto verso il basso.
Purtroppo
per i due, nessuna
risposta di senso compiuto lasciò le labbra dell’artista. Al contrario,
solo
lamenti per il dolore intervallati occasionalmente da qualche Gemma o contessa mormorati qua e là. Il
che fu peggio del non ricevere
alcuna risposta.
«Nico,
parti. Lo lasciamo dov’è», sentenziò il moro, afferrando le briglie del
suo cavallo
e strattonandole con forza.
All’ultimo,
però, cambiò idea e
scese a terra per raggiungere Leonardo, ancora steso nel manto di
foglie e
ancora perso nel suo momento.
«Anzi,
aspetta. Prima ho una domanda», esclamò, puntando il dito contro il suo
amico.
«Quale parte di È tua nemica e le
basterebbe un tuo sì per trasformarti
nel suo schiavetto personale non ti è chiara?»
Da
Vinci esitò qualche secondo,
prima di rispondere.
«Quella…
quella in cui non me lo ha ancora chiesto», mormorò, e forse a causa
del dolore
la sua mente vagò in libertà, immaginando per un istante uno scenario
in cui
Gemma gli poneva proprio quella domanda.
«E
in quel caso diresti immediatamente di No,
vero?», tentò di nuovo il moro, con un che di disperazione nella sua
voce. «Ti
prego, dimmi che risponderesti di no», aggiunse sottovoce, serrando gli
occhi
come se stesse pregando.
Di
nuovo, da Vinci si riservò
qualche secondo di silenzio per poter pensare, e i movimenti con cui si
stava
massaggiando la fronte dolente rallentarono, fino a fermarsi
completamente.
«Non
ne sarei… così certo», ammise l’artista, con rassegnazione.
«Santa
madre di Dio», commentò invece Zoroastro, e prima di potersi chiedere
se fosse
giusto o sbagliato, si chinò a terra per lasciare una sonora pacca in
testa a
Leonardo.
«Ahia!»,
si lamentò l’ingegnere, fulminandolo con lo sguardo.
«Hai
perso la testa, amico», ribatté il moretto, sbrigativo. «Non può farti
male».
«La
mia testa è al suo posto», si difese invece da Vinci, con
un’occhiataccia
truce. «E sì, fa male», puntualizzò poi, passando a massaggiare il
punto appena
colpito. Come se il ramo non fosse stato già abbastanza.
«Allora
è vuota, altro che mente più geniale d’Europa», concluse Zoroastro.
Tuttavia,
vedendo l’amico ancora steso a terra tra le foglie secche, scelse di
provare comunque
un minimo di compassione e gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi.
«Il
fatto che tu sia così ben disposto ad accettare una proposta simile mi
fa
realmente dubitare della tua genialità».
«Grazie»,
borbottò Leonardo, con la voce colma di sarcasmo.
«Meriteresti
un altro ramo in testa, in realtà», aggiunse il moretto, incrociando le
braccia
al petto e osservando l’amico con aria di rimprovero.
«Sono
solo stato sincero con te», si difese l’artista. «Credevo che tra amici
si
potesse essere sinceri», aggiunse a voce bassa, spostando lo sguardo a
terra.
A
quel punto, anche il cinico
Zoroastro non poté fare altro che ammorbidirsi.
«Non
è questo il punto», gli rispose, addolcendo il tono della voce. «Il
punto è che
non… non dovresti pensare a lei come a qualcosa di diverso da una
nemica»,
tentò, usando le parole con molta cautela.
«Io
ci provo, Zo. Ci provo davvero», mormorò Leonardo, con un filo di voce.
«Ma non
ci riesco», ammise sollevando le spalle, e sul suo volto era dipinta la
più
impotente delle espressioni.
Ci
aveva provato dall’istante
in cui aveva saputo che la dama che aveva ritratto a palazzo Medici era
l’arma
segreta del Vaticano. Ci aveva provato al convento, dopo aver visto
tutte
quelle vite innocenti sacrificate per la sua crudeltà. Ci aveva provato
nel
buio vicolo di Firenze, quando gli sarebbe bastato un attimo per
ucciderla.
Ci
aveva provato ogni volta che
si era ritrovato così vicino al suo viso da poter sentire il respiro di
lei
sulla sua pelle.
Ma
puntualmente aveva fallito.
«La
guardo negli occhi, e nel frattempo continuo a ripetermi nella testa
che io e
lei siamo nemici, eppure non riesco a considerarla tale».
E
a quelle parole, così sincere
e genuine, Zoroastro non poté non ammorbidire il suo sguardo. Lo stesso
fu per Nico
che, ancora in sella al suo cavallo, aveva sentito tutto, ed era
riuscito a
percepire il dolore celato dietro all’ammissione di Leonardo.
«Niente
era mai riuscito ad ossessionarti a tal punto», osservò il moretto, e
dopo
tanti anni di amicizia, in cui era stato testimone delle peggio
fissazioni
dell’artista, le sue parole volevano dire molto.
«Lei
è… diversa», mormorò da Vinci, con lo sguardo perso nei ricordi.
«Unica».
E
tu sei innamorato,
avrebbe voluto aggiungere Zoroastro, ma scelse saggiamente di mordersi
la
lingua.
«Cerco
solo di tenerti alla larga dai guai», provò a spiegargli. Poteva capire
il
dilemma che lo stava affliggendo, ma questa volta non era
un’infatuazione
inopportuna che avrebbe comportato al massimo qualche percossa. Cedere
a quei
sentimenti avrebbe portato con sé conseguenze molto più gravi. «Prima o
poi…
questo tira e molla finirà e uno di voi due perderà», proseguì,
sinceramente
dispiaciuto.
In
tutta risposta, Leonardo si
lasciò sfuggire un pesante sospiro.
«Lo
so, Zo. Lo so», mormorò l’artista, con la voce spezzata. «Quel giorno…
quel
giorno non so che cosa accadrà», ammise, e non volle nemmeno provare ad
immaginarlo. «Ma non posso farne a meno, è più forte di me».
«Vorremmo
potervi dare una mano», si intromise Nico, avvicinandosi ai due amici.
«Ma
non potete», rispose il maestro, con rassegnazione, ma rivolgendo al
suo
giovane allievo un debole sorriso di gratitudine. «Nessuno può farlo».
«Non
ne farai una delle tue, vero?», chiese Zoroastro, vagamente
preoccupato.
Leonardo
però parve non
sentirlo, lo sguardo ancora perso nel vuoto, e Dio solo sapeva che cosa
stesse
passando per la testa del geniale artista fiorentino.
Dopo
diversi secondo di
silenzio, finalmente aprì di nuovo bocca.
«Magari
questa lontananza farà bene», ipotizzò, con una debole alzata di
spalle. «Ad
entrambi», aggiunse, ma dirlo gli bloccò il respiro in gola.
«Come
no…», borbottò Zoroastro, sarcastico. «Hai la faccia di uno che
vorrebbe solo
tornare, trovarla, rapirla e scappare via», continuò, dando voce ad un
pensiero
che lo aveva assillato per tutto il viaggio.
In
quella specie di stato di ipnosi
in cui Leonardo era rimasto per giorni, prima di risvegliarsi,
l’artista non
aveva mai detto nulla riguardante la sua rivale romana, ma molto spesso
il suo
volto aveva tradito i sentimenti che gli stavano dilaniando l’animo. E
con ogni
probabilità, tornare da lei sarebbe stata la sola soluzione per placare
quell’angoscia.
«Quello
sarebbe davvero fantastico», si lasciò scappare da Vinci, ricevendo in
risposta
due sguardi piuttosto stupiti. La mente più geniale d’Europa stava
dando
ragione al suo fedele compagno di avventure con tanta facilità, senza
neanche
una punta di orgoglio?
«Sai,
ti preferisco di gran lunga quando mi dici di chiudere la bocca e di
pensarci
bene prima di riaprirla e dire altre idiozie», si ritrovò suo malgrado
ad
ammettere Zoroastro.
Quanto
meno, riuscì a strappare
a Leonardo un debole sorriso divertito, il che sicuramente non guastò
vista la
piega che quella conversazione aveva preso.
«Per
una volta ci siamo scambiati i ruoli», ribatté l’artista, portando
avanti il
gioco.
«Così
pare», gli concesse lui, ma ben presto tornò serio. «Ma come…?»,
iniziò, ma
dovette fermarsi, improvvisamente incerto sul da farsi. Forse non era
il
momento giusto per porgli quella domanda, forse sì, ma non riusciva a
decidere
quale scelta fosse la migliore.
«Ma come cosa?», chiese Leonardo, dopo
alcuni secondi di silenzio.
Zoroastro
però, ancora incerto
sulle parole da usare, si limitò a sospirare e a prolungare il suo
silenzio.
Così facendo, non fece altro che innervosire ulteriormente l’artista di
fronte
a lui.
«Zo,
sono certo che tu possa esprimere qualsiasi pensiero ti passi per la
testa», lo
incitò da Vinci, con una nota di seccatura nella sua voce.
Di
fronte a quell’impazienza,
il moro capì che forse era meglio continuare quel discorso e, con un
po’ di
fortuna, ne sarebbe risultato qualcosa di buono.
«Come
puoi essere sicuro che… Insomma, è una guerriera perfettamente
addestrata, è
un’arma del Vaticano. È fredda, cinica, disposta a tutto. Come puoi
essere
certo che sia capace di…», ma a quel punto dovette per forza zittirsi,
perché
avrebbe tanto voluto dire amare, ma
non volle calcare troppo la mano. «…di provare dei sentimenti?»
Quella
domanda lasciò Nico
senza parole e lo portò a chiedersi come sarebbe riuscito a rispondere
il suo
maestro. Tuttavia, al contrario delle aspettative del suo allievo,
Leonardo non
si mostrò eccessivamente turbato, come se quello appena postogli fosse
un
interrogativo legittimo ma altrettanto semplice nella risposta.
«Io…
non lo so, non ne sono certo», ammise l’artista con sincerità. «Ma sono
convinto che lei non sia persa completamente. Credo che possa essere
salvata»,
e nel dirlo la vide di nuovo davanti a sé, al convento, quando le sue
provocazioni erano riuscite a farla crollare e ad aprire un piccolo
spiraglio
nella sua maschera.
Non
avrebbe mai reagito in quel
modo se quelle accuse non l’avessero colpita nel profondo. Se davvero
fosse
stata priva di rimorsi e disposta ad uccidere degli innocenti senza
perderci il
sonno, avrebbe liquidato le sue calunnie con non curanza e sarebbe
tornata a
parlare di affari.
Invece
il suo primo istinto era
stato quello di mettere mano alla spada, per difendersi da delle parole
che le
stavano facendo del male. Il suo primo istinto era stato quello di
proteggersi.
E
se Leonardo ripensava a
quello che aveva visto nel suo sguardo, aveva sempre più ragione di
credere che
ci fosse molto altro che non sapeva, qualcosa nella sua storia che era
ben
lontano dalla maschera di fredda e cinica arma senza sentimenti. E che
avrebbe
portato da Vinci a darsi dell’idiota altre mille volte, dopo le accuse
che le
aveva rivolto.
«Io
vorrei tanto aiutarla, ma lei non me lo permette», confessò, con un
filo di
voce. «L’ho visto nei suoi occhi, nel nostro modo di rapportarci… l’ho
visto in
lei», proseguì, in una sorta di monologo con sé stesso. «Alle volte
incontro il
suo sguardo e trovo che ci sia molto di più della fredda e spietata
assassina che
lei vuole far credere di essere. Credo che sotto tutti quegli strati di
ghiaccio
e di violenza ci sia una giovane donna che aspetta solo di potersi
mostrare. Ha
sofferto troppo per Dio solo sa cosa, e questi sono i risultati».
Come
se si fosse nuovamente
risvegliato, Leonardo sbatté velocemente le palpebre e sollevò lo
sguardo verso
Nico e Zoroastro, ricordandosi solo in quel momento che stava parlando
con
loro. E pochi secondi dopo, ricordò la domanda che aveva dato il via a
tutto.
«Sono
convinto che la vera Gemma non sia quella che appare. Quella è solo una
maschera. Lei è lì, da qualche parte, ma c’è».
Per
un momento, seguì solo il
silenzio. Da parte di tutti e tre.
«…wow»,
fu tutto quello che uscì dalla bocca di Zoroastro.
Dopo
tutto quello che aveva
appena sentito, non se la sentì di contestarlo né di dire altro, ma
sapeva che
una dimostrazione di vicinanza sarebbe stata meglio di qualunque frase
di
circostanza o di accondiscendenza.
Si
avvicinò all’artista e gli
poggiò una mano sulla spalla, in un gesto di amicizia. La sua
espressione,
però, era molto seria.
Dopo
qualche altro secondo di
silenzio sospirò, con un che di rassegnazione, e gli lasciò un’altra
sonora
pacca sulla schiena.
«Sì,
sei proprio innamorato», sentenziò, cercando in tutti i modi di
trattenere un
sorriso divertito. Con la coda dell’occhio, però, vide che anche Nico
si era
lasciato scappare una risatina per quell’affermazione.
L’unico
tutt’altro che
divertito dalla situazione era Leonardo, che rimase immobile sul posto
mentre i
suoi amici si preparavano a ripartire.
Non
vedendolo arrivare,
Zoroastro si voltò verso di lui e lo osservò con un che di sorpresa.
«Che
c’è? Non dirmi che la mente più geniale d’Europa non l’aveva già capito
da
solo», protestò con semplicità, come se avesse appena detto che il
cielo era
blu.
«Lo
ha capito quasi tutta la corte», commentò Nico a bassa voce, facendo
ridere il
suo compagno di burle.
«Non…
non sono… innamorato», balbettò l’artista scuotendo la testa, dapprima
lentamente ma poi sempre più energicamente.
«Certo,
certo», finse di assecondarlo il moro.
«Zoroastro»,
lo ammonì l’ingegnere, anche se il suo sguardo truce aveva ampio
margine di
miglioramento. «Non scherzare».
«E
chi scherza? Mai stato più serio», ribatté lui, facendo spallucce.
«Io.
Non. Sono. Innamorato», ripeté Leonardo, scandendo lentamente le
parole.
«Mmh
mmh», fu nuovamente la riposta accondiscendente del suo amico.
Da
Vinci capì che continuare quella
conversazione sarebbe stata una battaglia persa, e liquidò la questione
con un
gesto della mano, ma Zoroastro non demorse.
«Rispondi
a questo: se potessi scegliere tra avere il Libro delle Lamine e
salvare Gemma
dal suo ruolo, cosa faresti?», lo provocò ulteriormente.
«Ma
che diavolo stai dicendo?», sibilò da Vinci, guardandolo in maniera
tutt’altro
che amichevole mentre risaliva in sella al suo cavallo.
«Non
si risponde ad una domanda con un’altra domanda», lo rimproverò il
moro,
muovendo l’indice contro di lui come se stesse sgridando un ragazzino
disobbediente.
Purtroppo,
ottenne solo altro
silenzio.
«Non
ho sentito la risposta», lo punzecchiò di nuovo, cercando di soffocare
le
risate. Anche Nico, poco distante, si stava divertendo parecchio.
«E
non ne sentirai altre sull’argomento», borbottò Leonardo, dimostrando
un
comportamento più adatto ad un bambino di cinque anni che ad un giovane
uomo.
«In
effetti, hai risposto eccome», si corresse Zoroastro, concedendosi una
grassa e
grossa risata. «Forza, troviamo questo Vlad e andiamocene, così il
nostro
artista può tornare dalla sua fidanzata», esclamò, drizzandosi in sella
al
cavallo come se dovesse partire per la più importante delle missioni.
Per
qualche minuto, la
passeggiata dei tre amici proseguì nella calma e nel silenzio, dando a
da Vinci
l’illusione che l’argomento fosse stato chiuso e accantonato.
«La
tua è una femmina di cavallo?», domandò Zo, rompendo il silenzio.
«Potresti
chiamarla Gemma», propose, con un
sorrisetto sornione.
«È
un maschio, castrato», rispose Leonardo, con la voce stranamente
pacata.
«Proprio come te se dirai ancora una parola».
Angolo
dell’autrice
Buonsalve
a tutt*!
Come
state?
Vi
ho strappato una risata? Era
il momento di scherzare un po’, ma anche di una chiacchierata
cuore-cuore,
schietta e onesta. Ma solo dopo aver preso un ramo in testa,
ovviamente: chissà
che non abbia smosso qualcosa nella testolina di un certo artista.
A
quanto pare, però, i ruoli si
sono invertiti e non è più Leonardo il genio della situazione, quello
che
capisce sempre tutto con un solo sguardo: Nico e Zo lo hanno
decisamente
superato in arguzia!
Che
dire, ci rileggiamo tra due
settimane! C’è una contessa di nostra conoscenza rimasta senza la sua
preda.
Un
bacione
Amy
W. Gildeary