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Autore: Amy W Gildeary    13/03/2019    2 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 14 - L’Eremita  

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta dell’Eremita emana il soffio del sapere, ma anche della tradizione e dell’esperienza. La solitudine e il raccoglimento si mescolano alla saggezza di questa figura, che diviene medico dell’anima, oltre che del corpo. Significa anche riflessione su sé stessi, e sulle situazioni indicate dalle carte vicine. È desiderio di scoprire la verità, ricerca della verità.
Al negativo, però, l’essere taciturno diviene scostante, diffidente, pesante. La misantropia porta alla tristezza, si unisce alla povertà, spesso solo spirituale.

 

 

 

Uno dei suoi ultimi ricordi era il luccichio della moneta d’oro del Turco. Al-Rahim l’aveva fatta roteare su sé stessa su un piatto d’argento e la luce riflessa sulle sue facce aveva abbagliato l’artista.

Leonardo non era riuscito a distogliere lo sguardo e aveva continuato ad osservare quel movimento fluido ed elegante, come stregato. Poi i suoni si erano fatti più distanti e ovattati, gli oggetti intorno al piatto avevano cominciato a dissolversi e la stanza sembrava essersi trasformata in sabbia.

Subito dopo, era in sella al suo cavallo in mezzo al deserto, accompagnato dal misterioso Abissino e dalle sue parole criptiche riguardanti il Libro delle Lamine e il destino del mondo.

I Figli di Mitra non erano proprio capaci di parlare senza usare enigmi.

Poi l’Abissino gli aveva sussurrato una semplice parola: «Svegliatevi».

Il tempo di un battito di ciglia, e da Vinci era nel bel mezzo di un bosco, a cavallo e accompagnato dai suoi fidati amici Nico e Zoroastro. Per qualche secondo rimase tranquillo e imperturbato, come se si fosse effettivamente appena risvegliato dopo una lunga notte di sonno. Però in poco tempo si rese conto che non era nel suo letto, nella sua bottega, nella sua Firenze, ma chissà dove e chissà da quanto tempo.

            «Dove mi state portando?», chiese preoccupato ai suoi compagni.

Nico si scambiò uno sguardo colmo di confusione con Zoroastro, prima di ribattere.

            «Portando voi? Siete voi a condurre noi», replicò il giovane biondino.

            «Cosa?», domandò nuovamente Leonardo, mentre cercava di riconoscere il luogo in cui si trovava, ma senza successo.

            «Ci hai svegliati in piena notte con una delle tue geniali liste della spesa», borbottò Zoroastro, e la sua voce tradì tutto il suo fastidio per l’interruzione del suo prezioso sonno.  «Comprate più magnesio, prendete oscure bevande alcoliche d’Oriente, procuratevi tre cavalli…», iniziò ad elencare, scimmiottandolo.

            «Avete un piano! Non lo rammentate?», tentò di nuovo Nico.

            «Certo! Certo… che lo rammento», mormorò Leonardo, più per convincere sé stesso che non gli altri. «Da quanto tempo siamo…?», ma non ebbe il tempo di concludere la domanda, perché Zo aveva già capito e lo interruppe.

            «Giorni», rispose bruscamente: la sua irritazione era sempre più esternata.  «E sei stato torbo per tutto il viaggio», aggiunse, scoccandogli un’occhiataccia poco amichevole. «Per uno straniero imbecille che si è fatto rapire».

            «L’Abissino», lo corresse Nico, cercando allo stesso tempo di calmarlo.

            «È come… come se mi stessi svegliando», mormorò l’artista, stropicciandosi gli occhi con una mano. Le risposte dei suoi amici erano state tutte troppo vaghe per aiutarlo a ricostruire i suoi ricordi, e l’idea di avere interi giorni completamente cancellati dalla sua mente lo frustrava parecchio. «Ho perso una parte di me nel viaggio», aggiunse, con un filo di voce.

Doveva assolutamente recuperare la memoria, e al più presto possibile.

Ricordava vagamente la visita del Turco nella sua bottega. Ricordava l’assoluzione, la revoca delle sentenze in tribunale. Ricordava gli abbracci di Zoroastro, Nico e Vanessa, per festeggiare la sua libertà. Ricordava il suo piano di evasione e le sue minacce al giudice.

Ma erano tutti frammenti confusi e sconnessi, che non seguivano un filo logico, erano solo piccoli brandelli che piano piano gli comparivano davanti agli occhi.

Eppure, in quel caos, sentiva che c’era qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a vedere ma che sentiva mancare. Un momento importante in quella vorticosa giornata.

            «Un’occasione di fuggire dalle bugie, dagli inganni, dalle manipolazioni».

E per un attimo gli parve di vederla di nuovo, di fronte a lui, ad un soffio dal suo viso, con il capo leggermente sollevato verso l’alto per poterlo guardare negli occhi.

Gemma non gli aveva concesso alcun verbale, ma nel suo cuore da Vinci sapeva di aver sentito una parte di lei avvicinarsi a lui, sapeva di aver percepito una vicinanza che era molto più che fisica, e sapeva che quella sera entrambi avevano mosso un piccolo passo l’uno verso l’altra.

Tuttavia, la contessa era scappata. Per un breve momento si erano avvicinati, ma subito dopo lei si era allontanata ed era fuggita via. E la missione di Leonardo in Valacchia era un’altra fuga.

Ciò da cui l’artista non riuscì a fuggire, purtroppo, fu il grosso ramo che lo colpì in piena fronte, ed egli, talmente perso nei suoi pensieri, non ebbe modo neanche di provare a reagire e restare aggrappato al suo cavallo. In un secondo passò dall’essere seduto sulla sella all’essere disteso a terra, in mezzo a foglie secche e sassolini sporchi di fango.

Eppure era un ramo bello grosso, tanto quanto l’albero al quale apparteneva: sarebbe bastata davvero poca attenzione, il minimo, per vederlo ed evitarlo. Per un attimo furono i pensieri di Leonardo, mentre sbirciava dalle fessure dei suoi occhi strizzati per il dolore. Provò a portare una mano sulla sua testa, nel punto in cui si era scontrato con il ramo, ma il dolore parve togliergli qualsiasi sensibilità, e gli sembrò di toccare il nulla.

Nico e Zoroastro, dal canto loro, lo osservarono con un misto di pietà e di imbarazzo, chiedendosi con uno sguardo se fosse il caso di intervenire o di lasciarlo lì a recuperare la sua dignità.

            «Leonardo, hai tempo cinque secondi per alzarti, o ti lasceremo lì dove sei», lo minacciò Zoroastro, guardandolo letteralmente dall’alto verso il basso.

Purtroppo per i due, nessuna risposta di senso compiuto lasciò le labbra dell’artista. Al contrario, solo lamenti per il dolore intervallati occasionalmente da qualche Gemma o contessa mormorati qua e là. Il che fu peggio del non ricevere alcuna risposta.

            «Nico, parti. Lo lasciamo dov’è», sentenziò il moro, afferrando le briglie del suo cavallo e strattonandole con forza.

All’ultimo, però, cambiò idea e scese a terra per raggiungere Leonardo, ancora steso nel manto di foglie e ancora perso nel suo momento.

            «Anzi, aspetta. Prima ho una domanda», esclamò, puntando il dito contro il suo amico. «Quale parte di È tua nemica e le basterebbe un tuo per trasformarti nel suo schiavetto personale non ti è chiara?»

Da Vinci esitò qualche secondo, prima di rispondere.

            «Quella… quella in cui non me lo ha ancora chiesto», mormorò, e forse a causa del dolore la sua mente vagò in libertà, immaginando per un istante uno scenario in cui Gemma gli poneva proprio quella domanda.

            «E in quel caso diresti immediatamente di No, vero?», tentò di nuovo il moro, con un che di disperazione nella sua voce. «Ti prego, dimmi che risponderesti di no», aggiunse sottovoce, serrando gli occhi come se stesse pregando.

Di nuovo, da Vinci si riservò qualche secondo di silenzio per poter pensare, e i movimenti con cui si stava massaggiando la fronte dolente rallentarono, fino a fermarsi completamente.

            «Non ne sarei… così certo», ammise l’artista, con rassegnazione.

            «Santa madre di Dio», commentò invece Zoroastro, e prima di potersi chiedere se fosse giusto o sbagliato, si chinò a terra per lasciare una sonora pacca in testa a Leonardo.

            «Ahia!», si lamentò l’ingegnere, fulminandolo con lo sguardo.

            «Hai perso la testa, amico», ribatté il moretto, sbrigativo. «Non può farti male».

            «La mia testa è al suo posto», si difese invece da Vinci, con un’occhiataccia truce. «E sì, fa male», puntualizzò poi, passando a massaggiare il punto appena colpito. Come se il ramo non fosse stato già abbastanza.

            «Allora è vuota, altro che mente più geniale d’Europa», concluse Zoroastro. Tuttavia, vedendo l’amico ancora steso a terra tra le foglie secche, scelse di provare comunque un minimo di compassione e gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi. «Il fatto che tu sia così ben disposto ad accettare una proposta simile mi fa realmente dubitare della tua genialità».

            «Grazie», borbottò Leonardo, con la voce colma di sarcasmo.

            «Meriteresti un altro ramo in testa, in realtà», aggiunse il moretto, incrociando le braccia al petto e osservando l’amico con aria di rimprovero.

            «Sono solo stato sincero con te», si difese l’artista. «Credevo che tra amici si potesse essere sinceri», aggiunse a voce bassa, spostando lo sguardo a terra.

A quel punto, anche il cinico Zoroastro non poté fare altro che ammorbidirsi.

            «Non è questo il punto», gli rispose, addolcendo il tono della voce. «Il punto è che non… non dovresti pensare a lei come a qualcosa di diverso da una nemica», tentò, usando le parole con molta cautela.

            «Io ci provo, Zo. Ci provo davvero», mormorò Leonardo, con un filo di voce. «Ma non ci riesco», ammise sollevando le spalle, e sul suo volto era dipinta la più impotente delle espressioni.

Ci aveva provato dall’istante in cui aveva saputo che la dama che aveva ritratto a palazzo Medici era l’arma segreta del Vaticano. Ci aveva provato al convento, dopo aver visto tutte quelle vite innocenti sacrificate per la sua crudeltà. Ci aveva provato nel buio vicolo di Firenze, quando gli sarebbe bastato un attimo per ucciderla.

Ci aveva provato ogni volta che si era ritrovato così vicino al suo viso da poter sentire il respiro di lei sulla sua pelle.

Ma puntualmente aveva fallito.

            «La guardo negli occhi, e nel frattempo continuo a ripetermi nella testa che io e lei siamo nemici, eppure non riesco a considerarla tale».

E a quelle parole, così sincere e genuine, Zoroastro non poté non ammorbidire il suo sguardo. Lo stesso fu per Nico che, ancora in sella al suo cavallo, aveva sentito tutto, ed era riuscito a percepire il dolore celato dietro all’ammissione di Leonardo.

            «Niente era mai riuscito ad ossessionarti a tal punto», osservò il moretto, e dopo tanti anni di amicizia, in cui era stato testimone delle peggio fissazioni dell’artista, le sue parole volevano dire molto.

            «Lei è… diversa», mormorò da Vinci, con lo sguardo perso nei ricordi. «Unica».

E tu sei innamorato, avrebbe voluto aggiungere Zoroastro, ma scelse saggiamente di mordersi la lingua.

            «Cerco solo di tenerti alla larga dai guai», provò a spiegargli. Poteva capire il dilemma che lo stava affliggendo, ma questa volta non era un’infatuazione inopportuna che avrebbe comportato al massimo qualche percossa. Cedere a quei sentimenti avrebbe portato con sé conseguenze molto più gravi. «Prima o poi… questo tira e molla finirà e uno di voi due perderà», proseguì, sinceramente dispiaciuto.

In tutta risposta, Leonardo si lasciò sfuggire un pesante sospiro.

            «Lo so, Zo. Lo so», mormorò l’artista, con la voce spezzata. «Quel giorno… quel giorno non so che cosa accadrà», ammise, e non volle nemmeno provare ad immaginarlo. «Ma non posso farne a meno, è più forte di me».

            «Vorremmo potervi dare una mano», si intromise Nico, avvicinandosi ai due amici.

            «Ma non potete», rispose il maestro, con rassegnazione, ma rivolgendo al suo giovane allievo un debole sorriso di gratitudine. «Nessuno può farlo».

            «Non ne farai una delle tue, vero?», chiese Zoroastro, vagamente preoccupato.

Leonardo però parve non sentirlo, lo sguardo ancora perso nel vuoto, e Dio solo sapeva che cosa stesse passando per la testa del geniale artista fiorentino.

Dopo diversi secondo di silenzio, finalmente aprì di nuovo bocca.

            «Magari questa lontananza farà bene», ipotizzò, con una debole alzata di spalle. «Ad entrambi», aggiunse, ma dirlo gli bloccò il respiro in gola.

            «Come no…», borbottò Zoroastro, sarcastico. «Hai la faccia di uno che vorrebbe solo tornare, trovarla, rapirla e scappare via», continuò, dando voce ad un pensiero che lo aveva assillato per tutto il viaggio.

In quella specie di stato di ipnosi in cui Leonardo era rimasto per giorni, prima di risvegliarsi, l’artista non aveva mai detto nulla riguardante la sua rivale romana, ma molto spesso il suo volto aveva tradito i sentimenti che gli stavano dilaniando l’animo. E con ogni probabilità, tornare da lei sarebbe stata la sola soluzione per placare quell’angoscia.

            «Quello sarebbe davvero fantastico», si lasciò scappare da Vinci, ricevendo in risposta due sguardi piuttosto stupiti. La mente più geniale d’Europa stava dando ragione al suo fedele compagno di avventure con tanta facilità, senza neanche una punta di orgoglio?

            «Sai, ti preferisco di gran lunga quando mi dici di chiudere la bocca e di pensarci bene prima di riaprirla e dire altre idiozie», si ritrovò suo malgrado ad ammettere Zoroastro.

Quanto meno, riuscì a strappare a Leonardo un debole sorriso divertito, il che sicuramente non guastò vista la piega che quella conversazione aveva preso.

            «Per una volta ci siamo scambiati i ruoli», ribatté l’artista, portando avanti il gioco.

            «Così pare», gli concesse lui, ma ben presto tornò serio. «Ma come…?», iniziò, ma dovette fermarsi, improvvisamente incerto sul da farsi. Forse non era il momento giusto per porgli quella domanda, forse sì, ma non riusciva a decidere quale scelta fosse la migliore.

            «Ma come cosa?», chiese Leonardo, dopo alcuni secondi di silenzio.

Zoroastro però, ancora incerto sulle parole da usare, si limitò a sospirare e a prolungare il suo silenzio. Così facendo, non fece altro che innervosire ulteriormente l’artista di fronte a lui.

            «Zo, sono certo che tu possa esprimere qualsiasi pensiero ti passi per la testa», lo incitò da Vinci, con una nota di seccatura nella sua voce.

Di fronte a quell’impazienza, il moro capì che forse era meglio continuare quel discorso e, con un po’ di fortuna, ne sarebbe risultato qualcosa di buono.

            «Come puoi essere sicuro che… Insomma, è una guerriera perfettamente addestrata, è un’arma del Vaticano. È fredda, cinica, disposta a tutto. Come puoi essere certo che sia capace di…», ma a quel punto dovette per forza zittirsi, perché avrebbe tanto voluto dire amare, ma non volle calcare troppo la mano. «…di provare dei sentimenti?»

Quella domanda lasciò Nico senza parole e lo portò a chiedersi come sarebbe riuscito a rispondere il suo maestro. Tuttavia, al contrario delle aspettative del suo allievo, Leonardo non si mostrò eccessivamente turbato, come se quello appena postogli fosse un interrogativo legittimo ma altrettanto semplice nella risposta.

            «Io… non lo so, non ne sono certo», ammise l’artista con sincerità. «Ma sono convinto che lei non sia persa completamente. Credo che possa essere salvata», e nel dirlo la vide di nuovo davanti a sé, al convento, quando le sue provocazioni erano riuscite a farla crollare e ad aprire un piccolo spiraglio nella sua maschera.

Non avrebbe mai reagito in quel modo se quelle accuse non l’avessero colpita nel profondo. Se davvero fosse stata priva di rimorsi e disposta ad uccidere degli innocenti senza perderci il sonno, avrebbe liquidato le sue calunnie con non curanza e sarebbe tornata a parlare di affari.

Invece il suo primo istinto era stato quello di mettere mano alla spada, per difendersi da delle parole che le stavano facendo del male. Il suo primo istinto era stato quello di proteggersi.

E se Leonardo ripensava a quello che aveva visto nel suo sguardo, aveva sempre più ragione di credere che ci fosse molto altro che non sapeva, qualcosa nella sua storia che era ben lontano dalla maschera di fredda e cinica arma senza sentimenti. E che avrebbe portato da Vinci a darsi dell’idiota altre mille volte, dopo le accuse che le aveva rivolto.

            «Io vorrei tanto aiutarla, ma lei non me lo permette», confessò, con un filo di voce. «L’ho visto nei suoi occhi, nel nostro modo di rapportarci… l’ho visto in lei», proseguì, in una sorta di monologo con sé stesso. «Alle volte incontro il suo sguardo e trovo che ci sia molto di più della fredda e spietata assassina che lei vuole far credere di essere. Credo che sotto tutti quegli strati di ghiaccio e di violenza ci sia una giovane donna che aspetta solo di potersi mostrare. Ha sofferto troppo per Dio solo sa cosa, e questi sono i risultati».

Come se si fosse nuovamente risvegliato, Leonardo sbatté velocemente le palpebre e sollevò lo sguardo verso Nico e Zoroastro, ricordandosi solo in quel momento che stava parlando con loro. E pochi secondi dopo, ricordò la domanda che aveva dato il via a tutto.

            «Sono convinto che la vera Gemma non sia quella che appare. Quella è solo una maschera. Lei è lì, da qualche parte, ma c’è».

Per un momento, seguì solo il silenzio. Da parte di tutti e tre.

            «…wow», fu tutto quello che uscì dalla bocca di Zoroastro.

Dopo tutto quello che aveva appena sentito, non se la sentì di contestarlo né di dire altro, ma sapeva che una dimostrazione di vicinanza sarebbe stata meglio di qualunque frase di circostanza o di accondiscendenza.

Si avvicinò all’artista e gli poggiò una mano sulla spalla, in un gesto di amicizia. La sua espressione, però, era molto seria.

Dopo qualche altro secondo di silenzio sospirò, con un che di rassegnazione, e gli lasciò un’altra sonora pacca sulla schiena.

            «Sì, sei proprio innamorato», sentenziò, cercando in tutti i modi di trattenere un sorriso divertito. Con la coda dell’occhio, però, vide che anche Nico si era lasciato scappare una risatina per quell’affermazione.

L’unico tutt’altro che divertito dalla situazione era Leonardo, che rimase immobile sul posto mentre i suoi amici si preparavano a ripartire.

Non vedendolo arrivare, Zoroastro si voltò verso di lui e lo osservò con un che di sorpresa.

            «Che c’è? Non dirmi che la mente più geniale d’Europa non l’aveva già capito da solo», protestò con semplicità, come se avesse appena detto che il cielo era blu.

            «Lo ha capito quasi tutta la corte», commentò Nico a bassa voce, facendo ridere il suo compagno di burle.

            «Non… non sono… innamorato», balbettò l’artista scuotendo la testa, dapprima lentamente ma poi sempre più energicamente.

            «Certo, certo», finse di assecondarlo il moro.

            «Zoroastro», lo ammonì l’ingegnere, anche se il suo sguardo truce aveva ampio margine di miglioramento. «Non scherzare».

            «E chi scherza? Mai stato più serio», ribatté lui, facendo spallucce.

            «Io. Non. Sono. Innamorato», ripeté Leonardo, scandendo lentamente le parole.

            «Mmh mmh», fu nuovamente la riposta accondiscendente del suo amico.

Da Vinci capì che continuare quella conversazione sarebbe stata una battaglia persa, e liquidò la questione con un gesto della mano, ma Zoroastro non demorse.

            «Rispondi a questo: se potessi scegliere tra avere il Libro delle Lamine e salvare Gemma dal suo ruolo, cosa faresti?», lo provocò ulteriormente.

            «Ma che diavolo stai dicendo?», sibilò da Vinci, guardandolo in maniera tutt’altro che amichevole mentre risaliva in sella al suo cavallo.

            «Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda», lo rimproverò il moro, muovendo l’indice contro di lui come se stesse sgridando un ragazzino disobbediente.

Purtroppo, ottenne solo altro silenzio.

            «Non ho sentito la risposta», lo punzecchiò di nuovo, cercando di soffocare le risate. Anche Nico, poco distante, si stava divertendo parecchio.

            «E non ne sentirai altre sull’argomento», borbottò Leonardo, dimostrando un comportamento più adatto ad un bambino di cinque anni che ad un giovane uomo.

            «In effetti, hai risposto eccome», si corresse Zoroastro, concedendosi una grassa e grossa risata. «Forza, troviamo questo Vlad e andiamocene, così il nostro artista può tornare dalla sua fidanzata», esclamò, drizzandosi in sella al cavallo come se dovesse partire per la più importante delle missioni.

Per qualche minuto, la passeggiata dei tre amici proseguì nella calma e nel silenzio, dando a da Vinci l’illusione che l’argomento fosse stato chiuso e accantonato.

            «La tua è una femmina di cavallo?», domandò Zo, rompendo il silenzio. «Potresti chiamarla Gemma», propose, con un sorrisetto sornione.

            «È un maschio, castrato», rispose Leonardo, con la voce stranamente pacata. «Proprio come te se dirai ancora una parola».

 

 

 

Angolo dell’autrice

Buonsalve a tutt*!

Come state?

Vi ho strappato una risata? Era il momento di scherzare un po’, ma anche di una chiacchierata cuore-cuore, schietta e onesta. Ma solo dopo aver preso un ramo in testa, ovviamente: chissà che non abbia smosso qualcosa nella testolina di un certo artista.

A quanto pare, però, i ruoli si sono invertiti e non è più Leonardo il genio della situazione, quello che capisce sempre tutto con un solo sguardo: Nico e Zo lo hanno decisamente superato in arguzia!

Che dire, ci rileggiamo tra due settimane! C’è una contessa di nostra conoscenza rimasta senza la sua preda.

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
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