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Autore: vali_    13/03/2019    3 recensioni
[Seguito di "Wash Away"]
Sam, dopo aver perso Jessica, è tornato a cacciare con suo fratello, nonostante continui a credere che la sua vita potrebbe essere molto di più che inseguire mostri e un incubo infinito. Dean si sente meglio ora che ha nuovamente suo fratello al suo fianco, ma Ellie gli manca più di quanto voglia ammettere e, quando una persona a lui cara lo cerca per chiedergli di occuparsi di un problema che la riguarda, non esita un istante a prendere l’Impala e correre da lei.
… “«Scusa Sam, ma non andiamo in Pennsylvania».
La smorfia che compare sulla faccia di suo fratello è un misto tra il disperato e lo spazientito, ma a Dean poco importa di come prenderà questo cambio di programma. «Come? Ma se avevamo detto—»
«Non importa quello che avevamo detto» prende fiato e lo guarda intensamente; non ha voglia di discutere, ma almeno deve dargli qualche informazione su questo cambiamento improvviso. Tanto poi sa che, durante il viaggio, Sam lo riempirà di domande comunque
”…
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima stagione, Seconda stagione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note: Dopo essere stata quasi puntuale per due settimane di fila, dovevo tornare alle vecchie abitudini… o no? Ma ancora non è mezzanotte, quindi mi ritengo in tempo XD
Buonasera! O meglio, buonanotte, visto che l’orario è quello in cui la palpebra cala pesantemente XD
Scusate per il ritardo e, soprattutto, scusate se non ho risposto alle ultime recensioni. Non ho avuto un minuto negli ultimi giorni, ma lo farò appena possibile.
Non ho avuto nemmeno tempo di revisionare il capitolo, quindi se ci sono castronerie siete pregati di segnalarle, le correggerò quanto prima :)
Detto questo, non mi dilungo oltre e vi lascio con il capitolo. Buona lettura e buon proseguimento di settimana, a mercoledì! :***

Capitolo 27: Not your fault, but mine
 
Rate yourself and rake yourself
Take all the courage you have left
and waste it on fixing all the problems
That you made in your own head

 
But it was not your fault but mine
And it was your heart on the line
I really fucked it up this time
Didn’t I, my dear?

 
(Little Lion Man – Mumford & Sons)
 
 
Fissa il foglio di giornale che tiene dritto davanti a sé reggendolo con la mano destra, soffermandosi a osservare con un’attenzione eccessiva la consistenza della pagina e il suo colore smorto, totalmente diverso dal bianco brillante della carta comune, insieme a ciò che c’è scritto sopra.
Il suo compito, in questo momento, dovrebbe essere quello di prendere un bel libro, uno di quelli pesanti che Sam si porta dietro con tanto orgoglio, sfogliarlo dalla prima all’ultima pagina e tentare di trovarci dentro qualcosa di interessante, che possa aiutarlo a scovare il colpevole dell’assassinio di una povera ragazza innocente. Invece, preferisce stare fisso su questo foglio di giornale e rileggere l’articolo che parla della sua scomparsa. Che è un po’ come ricominciare tutto da capo, in fondo.
 
È sdraiato sul letto della stanza di motel che divide con Ellie e Sam. Entrambi sono seduti di fronte a lui accanto al tavolo, gli occhi di lei dietro le lenti degli occhiali a leggere qualcosa sul suo pc e quelli di suo fratello, nascosti dalla frangia che da un po’ sta cominciando a scostare per vederci meglio, immersi in uno dei suoi volumi da collezione.
Loro stanno facendo ricerche, cosa che dovrebbe fare anche lui che, invece, preferisce ripartire da dove è cominciato tutto, per tentare di cogliere le sfumature che gli sono sfuggite.
 
Sul caso non hanno fatto particolari progressi. Né lui, che ha deciso di riprendere tutto dall’inizio e fare mente locale, né Ellie e Sam, che lavorano in coppia da ieri e procedono praticamente per conto loro, parlando a voce alta in modo che lui possa sentirli, anche se, in realtà, non è che gli presti così tanta attenzione. È abbastanza sicuro che, molto probabilmente, ne siano anche consapevoli, ma non sembrano intenzionati a cedere.
Non sono andati a stanare Champ, come lui avrebbe voluto, e non sono nemmeno più usciti dalla stanza del motel se non per andarsi a prendere la cena ieri sera e la colazione un’ora fa.
 
Da quando hanno discusso, Dean non ha parlato più con nessuno. Né con Ellie, né tantomeno con suo fratello. Non è sicuro al cento per cento di avere ragione, ma la sua è una questione di principio. E di orgoglio. Lo stesso che, solitamente, lo frega.
Che poi, quello con Ellie non è stato neanche un litigio, in fondo. Hanno solo due opinioni diverse dello stesso problema, ma Dean si aspettava un po’ più di sostegno, forse. O che, almeno per una volta, Ellie si schierasse dalla sua parte. Che poi non è un gioco di “alleanze” e quella che stanno affrontando non è una guerra, ma Dean è stanco di questo atteggiamento: protettivo nei confronti di Sam e accusatorio nei suoi, quando Sam non è un cucciolo da difendere e lui non è la bestia feroce. Vede solo le cose in modo diverso e, visto che ogni tanto ci prende, potrebbero anche dargliene atto, una volta tanto. Almeno lei. Perché è chiaro e piuttosto evidente che Sam sia diverso, ultimamente. E sì, probabilmente lo è anche lui che, però, almeno sta tentando di affrontare la cosa. O perlomeno così gli sembra.
Sta di fatto che Sam dovrebbe smetterla di stare ore e ore a pensare a quello che papà avrebbe voluto che lui facesse e comportarsi come sempre, perché questo atteggiamento di certo non glielo riporterà indietro. E non lo farà sentire meglio.
 
Almeno su una cosa Ellie ha ragione: Dean sa cosa sta passando e proprio per questo pensa di poter essere libero di potergli dire come la pensa. Fino a prova contraria, essere sinceri non è un reato e Sam, per di più, non è più un bambino a cui indorare una pillola amara. È adulto e intelligente e deve affrontare le cose per come sono.
 
Si volta verso la sua sinistra, dove ha appoggiato un altro paio di giornali. Stamattina, quando è andato a prendere la colazione, ha fatto la scorta e ha comprato tutti i quotidiani che parlavano di questa storia. Magari gli è sfuggito qualcosa, o non ha colto una sfumatura importante. Succede anche ai migliori, soprattutto considerando che, di solito, di questa parte noiosa se ne occupano Sam o Ellie.
 
Sa benissimo che sta agendo per orgoglio, ma anche per “amore della verità”, in un certo senso. Non riesce ad accettare l’idea di essersi fatto imbambolare da un ragazzino anche se, in realtà, in parte deve ammettere che, se fosse, un po’ è anche colpa sua. Si è distratto, mentre lo ascoltava parlare, perché ha detto una cosa che gli è rimasta particolarmente impressa: quando ami qualcuno devi volere il suo bene e, se le cose non coincidono più, devi lasciarlo andare. Quelle parole gli si sono incastrate dentro con più forza di quanto avrebbero dovuto, con talmente tanta insistenza da essere rimasto a rimuginarci parecchio anche stanotte, quando hanno deciso di concedersi qualche ora di sonno per essere un po’ più riposati stamattina e lavorare meglio. Dean, anziché dormire, ha speso quel tempo per pensare: alla sua vita, a Ellie – che gli dormiva accanto e gli dava le spalle mentre lui era steso a pancia in su, gli occhi rivolti al soffitto – e alle parole di suo padre, che scavano ancora dentro di lui come se gliele avesse dette ieri e non più di un mese fa.
È più forte di lui: non riesce a smettere di pensarci e, quando mette tutte le cose insieme, ciò che ne esce non è un quadro edificante.
 
Per quanto sia preso da Ellie e sia felice della loro storia – che, nonostante gli alti e bassi, peraltro tipici di qualsiasi rapporto, procede meglio di quanto si sarebbe mai immaginato –, non riesce a non pensare che, se volesse, Ellie potrebbe avere molto di più. È un dato di fatto: Dean è un cacciatore, butta tutto se stesso nella caccia perché è la cosa che conta di più, dopo la sua famiglia, per lui e lei non dovrebbe sorbirsi tutto ciò, tutta la sua rabbia per quelle bestie che gli hanno rovinato l’infanzia e che per lei, avendo ottenuto la sua vendetta, dovrebbero non essere più un problema.
 
Non è mai stato un segreto: Ellie ha cominciato a cacciare per affiancare Jim, per stargli vicino e per costruire un rapporto con lui, la cosa più simile a quello che aveva con sua madre, per quanto impossibile considerando com’era Jim – anche se lei, soprattutto inizialmente, non poteva saperlo. Ora che lui non c’è più e che Ellie ha avuto ciò che voleva – una vendetta, anche se comunque non è stata appagante come aveva desiderato –, sarebbe dovuta uscire da questo giro, cambiare aria e tornare a condurre una vita normale, quella che aveva. Glielo ha detto anche lei – per quanto abbia cercato di porre l’accento su altro, la notte in cui glielo ha chiesto – che cacciare da sola non sarebbe stato semplice e che probabilmente avrebbe cercato un’alternativa, se non avesse avuto Dean al suo fianco. E lui si sente di tenerla in gabbia, in qualche modo, di tenerla legata a sé e di non darle la vita che probabilmente vorrebbe se avesse a fianco un ragazzo normale, che fa un lavoro normale e che non vaga di notte per andare a stanare i mostri che si nascondono nell’ombra. Non è giusto trascinarla in una cosa del genere, non più. Anzi, forse non lo era neanche prima, a dire la verità, e adesso se ne sta convincendo giorno dopo giorno.
 
Si era arrabbiato tanto quando suo padre gli aveva detto in quel modo, dopo che Ellie era stata rapita da quei vampiri. La verità, però, è che l’aveva colto nel vivo.
 
Prima di conoscerla, il futuro per lui non era un problema: ogni mattina si alzava con la consapevolezza che una pallottola, prima o poi, gli si sarebbe conficcata nel cranio e che non sarebbe arrivato a invecchiare. Non era una grande aspettativa di vita, per carità, ma aveva imparato a conviverci. E gli piaceva pure, in un certo senso: nessuna preoccupazione per il futuro, nessuna aspettativa. Ora che c’è Ellie, invece, non può fare a meno di preoccuparsi per lei, di pensare al domani come un qualcosa da affrontare. Anche per Sam era così – Dean è il più grande e ha sempre dovuto badare a lui, è sempre stato una sua responsabilità, perciò non poteva permettersi di venire a mancare –, ma adesso è ancora differente, soprattutto perché Sam è adulto e sa badare a se stesso mentre Ellie è rimasta sola al mondo, non ha che lui – e Bobby, ma non è la stessa cosa – e in Dean si è stabilito un meccanismo che lo induce a volerla proteggere sempre, in ogni situazione.
 
Per questo le parole di Andrew Malloy gli sono entrate tanto dentro. Perché ci si è rivisto, in qualche modo, ci si è specchiato e ha trovato qualcosa che potesse assomigliare a una soluzione al suo problema.
Non che l’idea lo entusiasmi. Anzi, tutto il contrario, e dovrà rifletterci ancora a lungo, perché vorrebbe trovare altre strade, qualcos’altro a cui aggrapparsi perché lasciarla andare stavolta vorrebbe dire perderla per sempre e non crede di essere pronto a qualcosa di tanto drastico. Intanto, però, può ragionarci su.
 
Non sono le parole di suo padre ad averlo fatto arrivare a questa conclusione; non è diventato come Sam, che prima disprezzava lui e i suoi ordini e ora rincorre il suo ricordo tentando così di poter fare ammenda. La verità è che lui aveva capito che il problema si sarebbe presentato, prima o poi. E, considerando come vanno le cose nella sua testa, adesso, può dire che non aveva tanto torto.
 
Non è il solo pensiero a tormentarlo, in realtà. Non ha detto niente a nessuno, men che meno a Sam, ma papà gli ha detto una cosa, prima di morire. Una cosa che gli fa venire una serie di brividi lungo la schiena al solo ripensarci. Una cosa che Dean, in un modo o nell’altro, dovrà portarsi nella tomba, perché mai e poi mai potrà anche solo pensare di compiere ciò che suo padre gli ha detto di fare con le lacrime agli occhi e la voce che era quasi un sussurro. Non potrebbe farlo mai. E non vorrebbe mai dirlo a Sam. Non solo perché ha promesso di tacere, ma anche perché il solo pensiero di lasciargli intuire che suo padre abbia detto una cosa simile lo farebbe sentire uno schifo. La stessa cosa che prova anche Dean al quale, in un certo senso, sentirgli pronunciare quelle parole gli ha fatto male quasi quanto vederlo morire.   
 
Anche se è tremendamente lontano dall’ammetterlo a voce alta, è stata una brutta botta per Dean. Se lo poteva aspettare quando papà ha affrontato Meg a muso duro, quando lui e Sam l’hanno trovato su quel letto con braccia e gambe spalancate, che Dean sentiva il cuore scoppiargli dal petto quando non riusciva a sentire il suo battito [1], ma non se lo aspettava adesso. Non ora che suo padre aveva ripreso le forze e il massimo che aveva era un braccio rotto, un niente per uno come lui. E indagare il come sia potuto succedere gli fa ancora più male, considerando che la risposta che si dà è più dolorosa di una coltellata al centro del petto.
 
Si distrae da quel pensiero fastidioso – qualcosa che cerca di fare spesso, ultimamente – prendendo un altro giornale, muovendo le pagine velocemente – il fruscio della carta che riempie il momentaneo silenzio della stanza – fino ad arrivare a quella che gli interessa. Scorre l’articolo con gli occhi, trovandolo per molte parti uguale agli altri, ma si sofferma su un punto più avanti, quasi in fondo alla pagina: il ritrovamento della ragazza morta. Il giornalista incaricato – un tale John Scott – ha riportato un dettaglio in più rispetto ai precedenti: Casey Williams è stata rinvenuta sì sulla riva del lago ma, da ciò che è emerso dagli ultimi controlli della polizia, sembra che sia stata spostata fino a lì, come se qualcuno ce l’avesse portata. Il tutto sarebbe emerso perché sono state rinvenute delle tracce di scarponi non molto lontano da dove è stata ritrovata la ragazza. Evidentemente il suo assassino – perché, ormai, chiaramente di questo si tratta –, per la fretta e la paura di essere scoperto, ha dimenticato di cancellare tutte le sue orme.
 
Se il cadavere è stato trasportato sulla riva del lago, questo esclude automaticamente Champ dalla rosa degli indiziati. E la restringe a… un solo sospettato.
Dean sospira forte, passandosi le dita sugli occhi. Stenta a credere di essersi fatto infinocchiare così.
 
Ha bisogno di un’altra conferma, però, di una prova concreta, qualcosa che gli dia la certezza assoluta che Andrew Malloy ha davvero ucciso Casey Williams. Non fatica molto a realizzare dove trovarla, così appoggia il giornale che aveva in grembo accanto agli altri, lasciandoli lì alla rinfusa, e si alza per poi dirigersi verso l’appendiabiti e prendere la giacca di pelle.
 
«Dove vai?» la voce di Ellie lo scuote appena, facendolo voltare nella sua direzione. La trova a guardarlo con gli occhi confusi e Dean storce la bocca in una smorfia mesta «A fare un giro». Si volta di nuovo e, senza aspettare una risposta, esce dalla stanza e si sbatte la porta alle spalle. Non ha tempo né voglia di condividere le sue intuizioni. Non adesso.
 
Si avvia all’Impala, monta e mette in moto, dirigendosi fuori dal parcheggio antistante al motel con una velocità piuttosto sostenuta, tant’è che le ruote dell’auto fanno un fischio quando si immette sulla carreggiata. Dovrebbe andare più piano, ma ha una discreta fretta di sapere qualcosa di più, di capire.
 
Arriva velocemente a destinazione e parcheggia di fronte alla struttura dell’obitorio. Scende e attraversa la strada per poi entrare e chiedere della dottoressa Angela Murphy, il medico legale che gli ha mostrato il corpo di Casey Williams l’altro giorno. Quando la segretaria – bruttina, con i capelli raccolti in una coda storta e un cardigan prugna che non avrebbe indossato nemmeno sua nonna – gliela chiama, pensa che, per una volta, Dio ha buttato un occhio verso il basso e, vedendolo così trafelato, ha deciso di dargli una mano. Se così fosse sarebbe davvero una bella novità, sicuramente la migliore della mattinata.
 
La vede comparirgli di fronte poco dopo con un sorriso smagliante sul viso. «Agente Banks, che piacere rivederla… mi dica».
 
La dottoressa Murphy sotto il camice indossa una maglietta celestina con uno scollo a V, un paio di jeans attillati e gli sorride come se lo conoscesse da tempo. Dean si limita a ricambiare, seppur con meno slancio, pensando che se non fosse così arrabbiato probabilmente avrebbe fatto del suo meglio per essere gentile con lei. Molto gentile, al punto di farle girare la testa fino a farle perdere il contatto con la terra ferma. Ma non è questo che vuole e non perché ora sta con Ellie. O meglio, non solo. La verità è che è incazzato perché suo padre è morto e anche se cerca di distrarsi, di lavorare e di tenere la testa occupata per non pensarci, non riesce a farlo, non riesce a tenersi alla larga dal come sia morto, qualcosa che lo fa sentire così in colpa perché ha capito che non c’è solo il demone dietro alla sua scomparsa, c’è qualcos’altro, una volontà forte e uno spirito di sacrificio che non si merita e tutto ciò lo fa stare da cani. È questo il vero motivo per cui non ci proverebbe con questa bella ragazza che continua a sorridergli in modo gentile e questo solo pensiero gli fa provare una sensazione così sgradevole tra il petto e lo stomaco, qualcosa di tremendamente fastidioso a cui, però, non vuole dare troppo peso. O almeno non adesso.
 
Scuote appena la testa, cercando di togliersi quei fastidiosi pensieri di dosso. Sorride alla dottoressa Murphy cercando di celare ogni amarezza che porta nel cuore. «Volevo… volevo sapere se c’erano notizie dell’autopsia di Casey Williams».
La dottoressa arriccia il naso, stringendo le cartelle colorate al petto «Sì, ci sono… mi segua».
 
Dean annuisce e le va dietro, osservandola camminare fino al suo ufficio. Lei fa il giro della scrivania e poggia le cartelle per poi prenderne un altro paio e aprirle, forse per individuare quella giusta.
Ne approfitta per guardarsi intorno: l’ufficio è piccolo, ma non per questo poco accogliente. Alla sinistra della porta c’è la scrivania su cui sono disposti in modo ordinato il computer e una pila di cartelle colorate. Probabilmente di vecchi casi. A destra, accanto al muro è posto un armadio con una vetrina su cui giacciono dei raccoglitori ad anelli grigi sul cui dorso sono poste delle etichette. In fondo alla stanza, di fronte alla porta, una finestra aperta e a terra una pianta di quelle con le foglie lunghe e appuntite. Tipo delle palme in miniatura; Dean non sa di certo come si chiamano e non gli interessa nemmeno saperlo, al momento.
 
«Oh, ecco qui» la voce della dottoressa lo riporta alla realtà e Dean la guarda, donandole la sua completa attenzione. Lei legge dalla cartella «Ecco qua» fa una pausa e lo guarda negli occhi «La ragazza è stata chiaramente aggredita e abbiamo accertato che è morta per soffocamento». A Dean si gela il sangue «A colpo d’occhio, i morsi che ha riportato su entrambi gli interno coscia ci hanno depistato, ma sì, è chiaro che sia quella la ragione per cui—»
«E da chi sono stati causati?» La dottoressa lo guarda confusa «I morsi, intendo».
«Questo non è ancora chiaro. L’unica certezza che abbiamo è che sia stata uccisa con qualcosa di sottile, come un cordino o un filo di ferro teso».
Dean deglutisce, stringendo i pugni. Maledetto bugiardo figlio di puttana. Abbozza un sorriso nella direzione della dottoressa «Bene, la ringrazio».
Fa per uscire quando la sua voce lo richiama «Non sapevo che gli agenti dell'FBI girassero in borghese quando sono in servizio».
Dean si volta appena nella sua direzione. Non si è cambiato perché aveva fretta e perché poi Ellie e Sam l’avrebbero seguito, cosa che non voleva accadesse. «Ero già in giro e non sono tornato indietro a cambiarmi. È un problema?»
La dottoressa gli sorride «No, affatto. Mi chiedevo solo se fosse una cosa di prassi».
«No. È solo l’eccezione che conferma la regola».
La osserva ridacchiare, mettendo una mano davanti alla bocca. «Credo che mi piacerebbe conoscerla, questa regola. Magari davanti a una tazza di caffè» stringe una delle sue cartelle tra le dita, sembra leggermente nervosa «Sa, qui di agenti ne passano tanti e mi piacerebbe… saperne di più, diciamo così».
Dean sorride a sua volta, lusingato e al contempo un po’ in imbarazzo. «E alla mia ragazza glielo dice lei?»
 
Il sorriso convinto di Angela Murphy sparisce immediatamente dal suo bel viso, sostituito da un’espressione più mesta. Dean stringe le labbra in una linea sottile e le fa un cenno con la testa prima di voltarsi ancora e sparire oltre la porta.
 
Per quanto gli sarebbe piaciuto approfondire la conoscenza della bella dottoressa – o medico legale che dir si voglia –, non potrebbe mai fare una cosa simile a Ellie. Mettendocisi insieme ha deciso di esserle fedele e di non voler tradire né lei né tantomeno la sua fiducia, perciò va bene così. In fin dei conti, quando è capitata una cosa simile a parti inverse – con quel tizio che lavorava al museo di cui non ricorda mai il nome – Ellie gli ha dimostrato che di lei si può fidare, perciò non ha motivo di non dover fare lo stesso.
 
Esce dall’obitorio più incazzato che mai, deciso a farla pagare a quel figlio di puttana. Dopo la spiegazione della dottoressa, la faccenda gli è molto più chiara: probabilmente Casey e Andrew si sono visti per parlare, lui non ha gradito ciò che lei gli ha detto e l’ha fatta fuori. Poi l’ha portata in riva al lago, per farlo passare per un incidente, come se qualche malavitoso potesse aggredire una ragazza così giovane e lasciarla lì come un vecchio sacco dell’immondizia. E questo Dean non lo perdonerebbe a nessuno, ma soprattutto a uno che lo aveva preso in giro con un’espressione serafica e pacifica, che si era preso gioco di lui. E sì, forse la sta prendendo un po’ troppo sul personale, ma non può farci niente. Sa anche che, a questo punto, il caso non dovrebbe più competergli, ma ormai è in ballo e non vuole di certo lasciare le cose per aria. Ha preso a cuore la faccenda e non intende lasciarla in sospeso.

Monta nuovamente sull’Impala e mette in moto, diretto all’appartamento di Andrew Malloy. Fortunatamente si ricorda piuttosto bene la strada, perciò non ha bisogno di prendere né la cartina né altro per orientarsi e trova la palazzina abbastanza velocemente.
Smonta dall’auto e si avvia al portone d’ingresso che trova aperto. Altra botta di fortuna della mattinata. Segno che, probabilmente, la fregatura è dietro l’angolo. Gli viene spontaneo pensarlo, soprattutto considerando che lui, di fortuna, non ne ha mai avuta tanta nella vita. Men che meno ultimamente.
Sale le scale e, una volta arrivato di fronte alla porta dell’appartamento di Andrew, bussa un paio di volte in modo deciso, due colpi sicuri sul legno chiaro. L’attesa non è molto lunga e qualche secondo dopo Dean si ritrova davanti il viso scavato e segnato – forse dal dolore, più probabilmente dal rimorso – di Andrew Malloy che lo osserva con un’espressione interrogativa in volto.
«Agente Banks? Che… che ci fa qui?»
Dean tira le labbra in un sorriso di circostanza «Volevo assicurarmi che stessi bene. Ieri mi sei sembrato piuttosto provato» si passa una mano sotto il mento «E porti un altro paio di domande. Posso entrare? »
Andrew stringe appena le spalle, un movimento quasi impercettibile, e si sposta per farlo passare. «Prego».
 
Dean s’incammina all’interno dell’appartamento, guardandosi intorno. A parte il caos che c’era anche l’altro giorno, c’è una cosa diversa che non può fare a meno di notare: la valigia aperta poggiata accanto al divano. Non c’era, l’ultima volta che è stato qui. Ne è praticamente certo.

Guarda Andrew negli occhi «Sei in partenza?»
Lui annuisce «Sì. Questa città mi ricorda troppe cose».
«Immagino» si muove circospetto, fissando la stanza per cercare qualche altro dettaglio significativo. La voglia di fuga è un altro punto a suo sfavore. «Non credo di avertelo chiesto ieri, ma… dove ti trovavi la notte in cui è morta Casey?»
Andrew, in piedi accanto al tavolo, lo fissa in modo strano. «Qui, a casa».
«Da solo?»
Dean lo guarda stringere le spalle «Sì. Ho visto un film e poi sono andato a dormire».
Lo osserva circospetto. Mai rimanere a casa da soli nella notte di un delitto, è l’alibi più fasullo del mondo. «Ti ricordi quale fosse?»
Andrew storce la bocca in una smorfia indecisa. Ci stai pensando troppo «“Forrest Gump”» e hai appena detto la prima cazzata che ti è venuta in mente. Sorride appena, in modo spaesato e innocente. «Perché tutte queste domande?»
Dean fa spallucce. Gli si avvicina, l’angolo sinistro delle labbra in su a formare un ghigno. «Perché è il mio lavoro. E mi piace farlo bene».
 
Il pugno che colpisce Andrew in pieno viso lo coglie impreparato, tanto che cade immediatamente a terra come una pera cotta. Cerca di reagire, poco dopo, provando a tirare su le braccia per alzarsi in piedi, ma la botta che gli dà Dean in testa serve a dargli il colpo di grazia. Lo osserva dall’alto, lo sguardo greve e cupo. Adesso mi servi incosciente.

Mezz’ora dopo, Andrew Malloy è seduto su una sedia, le mani legate dietro la schiena e le gambe ben ancorate alle zampe della stessa con uno spesso nastro isolante grigio. La testa gli ciondola verso il basso e sulla guancia sinistra spunta un bel livido violaceo.

Dean lo osserva, i pugni chiusi e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Ha picchiato e ucciso tanti di quei mostri nella sua vita che non ne conta più il numero da un pezzo, ma un essere umano… non c’è mai stata una prima volta. E non vuole che accada oggi, con questo ragazzo poco più che ventenne che ha sbagliato e deve pagare in altri modi le conseguenze di ciò che ha fatto. Certo è che avrebbe una discreta voglia di fargli del male, di sfogare su di lui quella rabbia che porta dentro. Sarebbe perfetto come sacco da boxe.

Il senso del dovere gli impone di fare diversamente, purtroppo, ma quando gli molla una sberla in pieno viso per destarlo, sicuramente uno sfizio se lo toglie. Lo guarda riacquistare i sensi e boccheggiare, gli occhi spalancati e spaesati.
«Non voglio farti del male» si limita a precisare, scrutandolo dall’alto «Voglio solo sapere perché hai ammazzato quella ragazza».
Andrew, visibilmente sconvolto dalla sua dichiarazione – o da quello che ha appena supposto, Dean non può dirlo –, lo guarda stralunato «Ma che si è fumato? Io—»
«Non fare il finto tonto con me. Mi hai fregato una volta, non pensare che sia semplice farlo di nuovo» lo scruta a fondo: nei suoi occhi c’è perplessità e smarrimento, ma nemmeno l’ombra di pentimento. Si lecca le labbra con meditata lentezza, mentre infila la mano sinistra dentro la rispettiva tasca della giacca, cercando con il pollice il bottone giusto del piccolo aggeggio grigio che ha comprato qualche tempo fa, pensando che prima o poi sarebbe potuto essergli utile.
Si tratta di un piccolo registratore, di quelli portatili con le cassette. Non l’aveva mai usato fino ad ora, ma stavolta pensa sia la volta buona. Tocca il bottone per cominciare a registrare e guarda Andrew negli occhi «So che sei stato tu. Vi siete visti, avete litigato… non sei riuscito ad accettare l’idea che ti stesse lasciando e l’hai fatta fuori. Poi l’hai portata in riva al lago, sperando che avrebbero accusato qualcun altro. O che Champ se la sarebbe mangiata».
A quelle parole, lo sguardo di Andrew Malloy diventa affilato come una lama. Guarda Dean con gli occhi piccoli, le palpebre ridotte a due fessure. «Non è andata così».
«E allora dimmelo tu, com’è andata. Ma non puoi negare di esserci dentro fino al collo».
Dean guarda Andrew cercare di allentare il nastro adesivo che gli tiene imprigionati i polsi. «Erano due settimane che non mi parlava. Mi evitava, non rispondeva alle mie chiamate e si faceva negare quando andavo a cercarla a casa. Stavo impazzendo. Pensavo vedesse qualcun altro» scuote la testa, un ghigno dipinto sul volto «Poi finalmente è venuta da me e mi ha parlato. Mi ha detto che non voleva più stare con me e che aveva smesso di amarmi. Io non c’ho visto più e—»
«E l’hai picchiata».
Andrew lo guarda stralunato «Mi stava dicendo delle cose assurde».
Dean sbuffa «L’hai fatto per questo?»
«No. Non volevo farle male. È stato… è st-stato un incidente».
Dean sorride sghembo «Certo, come no. E immagino che lo sia stato anche ammazzarla».
Andrew Malloy scuote la testa, dispiaciuto «No, io—» ma non fa in tempo ad aggiungere nulla che un paio di colpi alla porta distraggono sia lui che Dean che si volta di scatto. Rimane per qualche istante in attesa, in silenzio. L’idea che sia un parente o magari un complice di Andrew Malloy, intento a farlo scappare, un po’ lo spaventa. Non che non sia in grado di affrontarlo, se così fosse, ma è una complicazione che sarebbe meglio evitare. Poi i colpi riprendono, ma stavolta sono accompagnati da una voce che conosce.
«Dean!» è Sam a chiamarlo per nome, bussando ancora una volta forte contro il legno della porta. È certamente sollevato, da una parte – meglio loro che qualcuno che l’avrebbe potuto mettere nei guai, come un parente del ragazzo o la polizia –, mentre dall’altra significa che anche loro sono arrivati alla sua conclusione. La stessa che, però, lui ha raggiunto senza dirgli nulla. «Dean!» la voce risuona ancora al di fuori della porta, insieme a un altro paio di colpi un po’ più decisi e Dean si decide ad avvicinarsi e ad aprire la porta.
 
Appena lo fa, ciò che si trova di fronte è la faccia scura di Sam – che sembra incazzato nero – e quella preoccupata di Ellie, che lo guarda con gli occhi mesti. Chissà che sta pensando di lui a vederlo così.
Sorride sghembo, fingendo che sia tutto a posto. «Ecco i miei rinforzi» ma né Ellie né Sam sembrano voler stare al suo gioco. Sam, dal canto suo, entra nella stanza scostandolo con una sonora spallata che Dean incassa stringendo i denti. Da quando suo fratello è diventato così forzuto?
 
«Che è successo qui?» Ellie lo chiede quasi sottovoce, guardandolo negli occhi mentre supera la porta. Dean se la chiude alle spalle e posa lo sguardo altrove, verso la figura di Sam che sta esaminando con accuratezza – fin troppa – il modo in cui è ridotto il viso di Andrew.
Si lecca le labbra, provando a mettere in piedi un discorso sensato. «Sono stato dal medico legale. Mi ha detto—»
«Che Casey è morta per strangolamento» è Sam a finire la frase per lui. «Ci siamo stati anche noi» lo guarda dritto negli occhi, incazzato come un puma.
Dean sbuffa, irritato dall’atteggiamento del fratello. Soprattutto quando lo vede continuare ad analizzare con un po’ troppa cura il volto di Andrew Malloy. «Piantala di fare la crocerossina. Non gli ho fatto niente di che. Anzi, se non si muove a confessare allora sì che potrei diventare cattivo». Guarda il ragazzo smuoversi sulla sedia. «Andiamo. Lo sappiamo tutti e quattro che sei stato tu ad ammazzare Casey. Nessun altro avrebbe avuto lo stesso motivo per farlo e l’hai detto tu stesso che le cose non andavano bene tra di voi».
«Sì, è vero. Ma non l’avrei mai sfiorata se mi avesse dato un’altra chance».
«Probabilmente, invece, te ne ha data una di troppo» Dean lo guarda in cagnesco «Non è così?»
Osserva Andrew rilassare le spalle e sospirare afflitto. Ormai è nelle sue mani «Ci eravamo lasciati in malo modo, l’ultima volta che ci eravamo visti. Volevo che mi desse un’altra possibilità, avevo estremo bisogno di parlarle. Le ho chiesto un incontro e ho dovuto insistere un po’ perché accettasse. Alla fine, l’ha fatto. Mi aspettavo un po’ di apertura da parte sua, visto che aveva accettato di vedermi, invece mi si è scagliata contro, dicendomi che non voleva saperne di tornare insieme, che dopo quello che le avevo fatto non sarebbe tornata indietro. E lì proprio non c’ho visto più» sospira ancora, la testa ciondolante da un lato. «Avevo un pezzetto di filo di ferro in tasca e gliel’ho messo al collo e non mi sono fermato finché—»
«Finché non ha smesso di respirare» Sam conclude per lui, sbuffando aria dal naso in modo afflitto. «E l’hai portata al lago per non destare sospetti».
«Sì. Era un luogo in cui andava spesso quando aveva bisogno di pensare, chiunque la conosceva ne era al corrente. E io stesso più volte le avevo chiesto di non andare la sera tardi, per via dei barboni e di Champ» sorride appena, come divertito da chissà cosa. «Anche se è solo una leggenda, qui in molti ci credono. Pensavo potesse essere una storia buona per i giornali: “Giovane studentessa aggredita dal mostro del lago”. Sarebbe stato plausibile».
Dean spegne il registratore. Ormai ha tutte le informazioni che gli servono. «Per chi non caccia i mostri di mestiere forse sì» Andrew lo guarda perplesso, ovviamente senza comprendere la sua battuta. «Ma ti è andata male» estrae il registratore dalla tasca della giacca e ne rimuove la cassetta, per poi appoggiarla sul tavolo, in un posto abbastanza lontano perché Andrew non possa raggiungerla e rovinarla in nessun modo nel remoto caso in cui riuscisse a liberarsi. «Chiama la polizia, Ellie».
Sam lo osserva con una faccia scura «Come scusa?» e Dean lo fissa, impassibile, indicando il nastro sul tavolo. «Qui c’è la sua confessione. Non voglio fare il lavoro degli altri: ora ci penserà chi di dovere».
 
Si muove verso la porta e la apre per poi uscire dalla stanza, inspirando profondamente. Finalmente può mettere una pietra sopra questo caso che, per quanto non gli abbia tolto la voglia di menare le mani, almeno si è risolto per il meglio, con il cattivo di turno al fresco – presto, almeno – e un problema in meno sulla coscienza.
Non fa in tempo a rilassarsi, però, che si sente afferrare per entrambe le spalle e si ritrova nel giro di qualche secondo con la schiena contro il muro e lo sguardo minaccioso di suo fratello a un palmo dal viso.
«Che ti è saltato in mente?» Sam è decisamente fuori dalla grazia di Dio: ha gli occhi fuori dalle orbite, lo tiene saldamente per le spalle con entrambe le mani e Dean è sicuro che, se potesse, lo sbranerebbe come farebbe un leone affamato con una povera gazzella. Dietro di lui, Ellie osserva quella scena con gli occhi pieni di preoccupazione.
Dean fa comunque finta di non sapere quale sia il suo problema. «Di che parli?»
«Lo sai, benissimo: venire qui, architettare tutta questa messa in scena… Che ti è saltato in mente?»
Stringe le labbra tra i denti «Niente di insolito. Sono solo andato a verificare di persona che—»
«Che sei un idiota. Potevi parlarne con noi e ci saremmo venuti insieme, invece sei un orgoglioso del cazzo» lo guarda con gli occhi pieni di rabbia «Ti sei offeso perché ti ho detto in quel modo e non me la volevi dare vinta».
Dean sbuffa aria dal naso «Andiamo, Sam, non ho cinque anni».
«Ma sei altrettanto testardo, maledizione» sbuffa appena, ancora irritato «Quel tizio là dentro poteva essere pericoloso, poteva farti del male».
Sorride sghembo «È un essere umano. Non è che—»
«Un essere umano che ha ammazzato una persona a mani nude! Perché con te avrebbe dovuto fare un’eccezione?» Dean boccheggia un istante senza trovare la risposta «Ecco» guarda il fratello sospirare e allentare appena la presa sulle sue spalle. Il suo sguardo si fa un po’ più comprensivo «Siamo una squadra, dannazione. Non puoi fare il cazzo che ti pare da solo. Cioè, potresti, ma sarebbe meglio affrontare queste situazioni insieme. Come abbiamo sempre fatto». Dean non risponde, in qualche modo colpito dalle parole del fratello che sbuffa appena. «Devi smetterla di fare così, soprattutto di fare cose avventate» lo guarda dritto negli occhi «Lo so che c’entra papà. E che molto dipende da quello che è successo, ma—»
A quelle parole, Dean lo fulmina con lo sguardo, senza lasciarlo finire. «Piantala con questa storia perché ti giuro che—»
«No, piantala tu. È chiaro a tutti noi che ti sta uccidendo. Non parli con me, non so se parli con lei» indica Ellie alle sue spalle «Ma ti rifiuti di dire come stanno le cose. Sebbene non ci voglia un genio a capirlo». Deglutisce, abbassando lo sguardo per un attimo per poi riportare gli occhi su di lui «Avevi ragione su di me, l’altro giorno: quello che sto facendo ora è troppo poco. E soprattutto è troppo tardi. Per quello che ne so, papà è morto pensando che lo odiassi» deglutisce nuovamente, gli occhi quasi lucidi «Ma almeno ho le palle di ammettere che non sto bene. [2] Siamo sulla stessa barca, Dean: perché vuoi affondare da solo?»
 
Ancora una volta non riesce a rispondere, profondamente colpito dalle parole di Sammy. Lo guarda allontanarsi e lasciare la presa su di lui prima di voltarsi e incamminarsi a passi svelti verso l’uscita. Punta gli occhi su Ellie che lo guarda fisso, l’espressione quasi mortificata di chi ha sentito una conversazione intima, più che spiacevole.
Dean sa bene che non le piace troppo immischiarsi nei problemi suoi e di Sam, perciò sicuramente si sente quasi in colpa per essere stata costretta ad ascoltare tutto.
 
La guarda stringere le labbra in una linea sottile e avvicinarsi, ma Dean le dà le spalle prima che possa dirgli qualcosa, incamminandosi anche lui verso la rampa di scale che lo porta fuori dal palazzo.
La sente andargli dietro e telefonare alla polizia per mandare una segnalazione anonima, proprio come lui le aveva ordinato. Il caso, dunque, almeno per loro, è ufficialmente chiuso.
 
*
 
Beve un sorso della sua birra ghiacciata e fissa l’orizzonte davanti a lui, posando gli occhi sulle insenature più o meno piccole che può vedere anche da quella distanza. È seduto su una panchina di fronte al lago Champlain, gli occhiali da sole sul naso e la bottiglia stretta tra le dita della mano destra.
Sono quasi le nove del mattino ed è presto per cominciare a bere, ma oggi gli gira così.
 
Dean posa lo sguardo sul giornale poggiato sul legno della panchina, alla sua sinistra. Il titolo in prima pagina è chiaro: “Scovato l’assassino di Casey Williams: era il fidanzato”.
L’ha letto da cima a fondo due volte di fila, nonostante ci fosse scritto quello che lui sa già molto bene, avendo assistito a tutta la scena: che Andrew Malloy ha mentito alla polizia, che è stata una ragazza con la voce un po’ contraffatta – Ellie aveva messo la mano davanti alla bocca per camuffare la sua il più possibile – a fare una soffiata anonima e che è stato trovato un nastro nella casa dell’assassino dove c’era la sua intera confessione. Ciò che non sapeva è che Andrew ha provato a denunciarli perché lo avevano aggredito e legato come un salame, ma la polizia sembra avergli dato poco ascolto. In fondo, si tratta della “confessione di uno squilibrato in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi per uscirne pulito”. O almeno è questo quello che scriveva John Scott, il giornalista ancora una volta incaricato di parlare della vicenda.
Certo è che gli aggressori sono chiaramente ricercati, poiché è chiaro a tutti che qualcuno deve aver legato Andrew Malloy e costretto a confessare, perciò stamattina è bene che se ne vadano.
Dean, però, ha già fatto i bagagli – come al solito, toglie poche cose dal borsone, perciò aveva poco da fare – e se n’è andato per lasciare a Sam e ad Ellie lo spazio per mettere a posto le loro cose. In più voleva prendere un po’ d’aria e per farlo, qui a Burlington, non c’è posto migliore della riva del lago.
 
Osserva il panorama: l’acqua placida, l’erba smossa appena dalla brezza, una piccola imbarcazione che parte dal pontile poco più distante, alla sua destra, e si muove verso l’orizzonte e non può fare a meno di pensare quando è stata l’ultima volta che si è seduto di fronte a un posto così. Se lo ricorda bene: era un paio d’anni fa e c’era lui, disperato per la mancanza di Sammy, e al suo fianco quella che considerava una ragazzina, all’epoca, col suo gelato in mano, sulla testa un berretto buffo e sulla bocca tante parole di conforto per lui.
 
Non ha dormito granché stanotte, la testa affollata da pensieri scomodi. Ellie gli dormiva accanto, come ogni sera; gli dava le spalle e Dean ha passato buona parte del tempo a osservare la sua schiena, il suo braccio sinistro incuneato sotto la testa e i capelli sparpagliati sul cuscino. Ha ascoltato a lungo il suo respiro tranquillo, un suono quasi ipnotico.
Avrebbe voluto allungare una mano e farle una carezza, toccare quella pelle chiara e morbida, ma si è trattenuto per evitare di svegliarla. Dormiva così tranquillamente che era un peccato disturbarla.
 
In quei momenti, non ha potuto fare a meno di pensare a tutto quello che è cambiato da quando lei è entrata nella sua vita, a quanto sia diventato tutto così semplice: dormire insieme, svegliarsi la mattina e trovarsela addosso, avere il suo profumo tra le narici… sono piccole cose a cui Dean non era abituato e che ora sono diventate pane quasi quotidiano, una costante nella sua vita, qualcosa che la rende migliore. Certo, non cancellano il sangue dei mostri e il dolore che si porta sulle spalle come un macigno, ma aiutano. E vorrebbe essere meno egoista, lasciarla vivere lontano dal rumore degli spari e dalla paura costante di lasciarci le penne, ma la sua compagnia è la cosa più bella che la vita gli abbia donato e non se la sente di rinunciarci. Per quanto, ultimamente, non può negare di pensarci spesso.
 
Ha pensato molto anche a Sam, questa notte, e a quello che gli ha detto. Non è una novità che sta male per papà: anche se non lo dice, pensa sia piuttosto evidente. Ammira suo fratello, però, che è in grado di parlarne liberamente. Lui no. Lui preferisce seppellire tutto il dolore sotto una grossa coltre di arroganza, sotto la sua faccia di bronzo e il sorriso beffardo che tira fuori quando proprio non gli va di parlare. Lui è diverso, lo è sempre stato, e Dean ammira il suo coraggio, se così può chiamarlo.
È conscio del fatto che dovrà parlargli e risolvere la faccenda, ma deve ancora pensarci. Anche perché, semmai dovesse farlo, non crede che riuscirà a nascondergli ciò che pensa sulla morte di papà.
Non vorrebbe dargli questo dolore, la quasi certezza che per lui si è trattato di tutto fuorché di un incidente, ma probabilmente è meglio che questa cosa la affrontino insieme. Anche perché, tenersi tutto dentro finora non l’ha aiutato granché a risolvere il problema. A patto che ci sia un modo per farlo.
 
Finisce l’ultimo sorso di quella birra che ormai non è più tanto ghiacciata – a forza di rimuginare è passata quasi un’ora – e si alza per poi dirigersi verso la sua amata Impala, che lo attende docile dietro di lui.
Dà un ultimo sguardo al lago e ai suoi contorni: l’acqua è quieta, quasi ferma, e non sa se le piccole onde che vede incresparsi sulla superficie sono un effetto ottico, la brezza leggera che gli accarezza il viso stanco o il mostro che vi vive sotto che si muove verso l’alto.
Questa volta ha avuto torto e non ha potuto farlo allo spiedo come avrebbe voluto. E forse non lo farà mai. Ma in cuor suo sa bene che, se dovesse tornare da queste parti per risolvere un caso, saprebbe già a chi dare la colpa.
 
Monta sull’Impala e si dirige verso la sua stanza di motel, cercando di scacciare i pensieri fastidiosi.
Quando rientra, trova Sam sdraiato sul letto, la schiena appoggiata alla testiera ed entrambe le mani impegnate a sorreggere il diario di papà.
Lo guarda un istante per poi tornare a fissare quel vecchio taccuino, sviando lo sguardo. Sicuramente si sta trattenendo dal chiedergli dov’è stato e forse è meglio così, perché Dean non vorrebbe di certo rispondergli. L’unica cosa di cui ha bisogno è un po’ di tregua. Fortunatamente suo fratello sembra leggergli nella mente, perché lo accontenta, rimanendo in silenzio.
 
Si toglie la giacca per poi appenderla all’attaccapanni posto dietro la porta d’ingresso e si guarda intorno, notando velocemente che manca qualcuno. Lo scroscio dell’acqua che dal bagno gli arriva alle orecchie gli suggerisce che Ellie è lì dentro.
«Ellie è sotto la doccia?»
Sam annuisce senza rispondere a parole. Chissà che passa per quella testa piena di capelli.
 
Dean si avvicina al tavolo per poggiarvi sopra le chiavi e la sua attenzione viene catturata da un quaderno aperto lì sopra. Lo riconosce subito: è il taccuino dei ricordi di Ellie. Si avvicina velocemente, chiedendosi perché mai è lì e non nel suo borsone, dove lei lo custodisce gelosamente, e ancora una volta non riesce a resistere alla tentazione di dargli un’occhiata. Stavolta, poi, si sente quasi autorizzato: Ellie l’ha lasciato lì, in balia di chiunque avesse voglia di sfogliarlo, quindi non si sente in colpa. Perlomeno non come la prima volta che l’ha fatto senza chiederglielo.
 
È aperto su una pagina dove sono raffigurati dei disegni di sua madre. Dean la riconosce immediatamente: i tratti gentili del viso, i capelli biondi e mossi, il sorriso luminoso. È ritratta mentre sorride, la bocca aperta che mostra la dentatura bianca. Il disegno è solo a matita, così come quello successivo, che invece raffigura una bambina che impara a camminare appoggiando i piedi sopra quelli che Dean riconosce essere maschili. Quell’immagine lo intristisce, perché rappresenta tutto ciò che Ellie non ha mai avuto: un padre presente che le insegnasse a muovere i primi passi nel mondo.
Volta pagina, cercando di non soffermarsi troppo sui dettagli di quei piedini piccoli che cercano sostegno, e l’immagine che viene dopo lo spiazza un po’. Si tratta del primo piano di un ragazzo apparentemente sdraiato, con il viso rivolto verso destra. Ha le labbra schiuse, le palpebre abbassate e sembra stia dormendo a pancia in giù, le spalle rilassate e l’espressione tranquilla di chi sta bene davvero. Dean si riconosce subito in quello schizzo a matita e allarga gli occhi, piacevolmente sorpreso. Nella pagina a fianco, ci sono un paio di foto, tra cui quella che ha anche lui e che conserva gelosamente nella tasca a lato del suo borsone: la stessa che hanno scattato nella giornata che hanno passato insieme al mare. Sotto, c’è una scritta in corsivo: “Il miglior compleanno di sempre” e il cuore gli si blocca in gola al solo leggere quelle parole scritte dalla calligrafia di Ellie, così minuta e precisa.
 
Rimane immobile mentre un sorriso gli increspa le labbra, facendolo rimanere imbambolato per qualche istante. Ellie custodisce gelosamente tutte le cose più preziose in questo quaderno, dai ricordi di sua madre a quelli che ha con Janis e sapere di esserci finito dentro gli procura una sensazione di calore allo stomaco, di gioia. E di certo, per qualche strano motivo, non se lo aspettava.
 
Si morde il labbro inferiore e chiude il taccuino, accarezzando la pelle del dorso superiore. Non può aspettare che Ellie esca dalla doccia per parlarle, deve farlo adesso. Anche perché non può farlo davanti a suo fratello.
Si volta e lo guarda di nuovo, trovandolo ancora assorto nella lettura del diario «Ellie è dentro da molto?»
Sam alza la testa e fa una smorfia indecisa con la bocca «No».
 
Questo gli suggerisce che ne avrà ancora per un po’, così si dirige quasi a passo di marcia verso la porta del bagno e mette la mano destra sulla maniglia, tirandola verso il basso. Non si cura minimamente di bussare – si tratta di Ellie, non di una sconosciuta: è certo di non essere di disturbo – e apre finalmente la porta per poi richiudersela alle spalle, appoggiando entrambi i palmi sul legno chiaro. Ellie è sotto il getto dell’acqua, la schiena rivolta verso di lui e i capelli lunghi che le cadono bagnati sulla schiena. A sentire il rumore della porta aprirsi e chiudersi la vede voltare appena la testa verso sinistra e coprirsi i seni di riflesso con entrambe le mani, per poi lasciar andare le braccia quando lo vede. Tira le labbra in un sorriso minuscolo «Ah, sei tu» si sposta appena dal getto dell’acqua, che ora le bagna solo le spalle.
 
Dean si morde le labbra; improvvisamente non sa più cosa dire. «Sì, dovevo… dovevo dirti una cosa».
Ellie sorride appena «E non potevi aspettare che uscissi dalla doccia, immagino». Lui scuote la testa «Ok, tanto… tanto ho quasi fatto».
«Ti aspetto qui, allora». Si appoggia alla porta, non trovando chissà quanto altro spazio per farlo.
Il bagno di questa maledetta stanza la rispecchia in pieno per quanto è piccolo: il lavandino di fronte alla porta, la doccia con le porte di vetro alla sua sinistra e il cesso subito di fronte. Tutto questo stipato in uno spazio di pochissimi metri quadrati. E, a guardare i sanitari e le mattonelle color melanzana, non c’è nemmeno niente di nuovo, tant’è che lo specchio posto sopra al lavandino – anch’esso stretto e lungo quanto un foglio A4 – è sbeccato sull’angolo in basso a destra. Ciò che lo consola è che, almeno dopo stamattina, non sarà più un loro problema.
 
Si distrae quando si accorge che Ellie chiude il rubinetto e sposta i capelli da un lato, strizzandoli con entrambe le mani «Mi passi un asciugamano?» Dean annuisce e si allunga a prendergliene uno per poi porgerglielo quando Ellie apre la porta in vetro e allunga una mano per afferrarlo. «Grazie» gli sorride appena, si volta dandogli nuovamente le spalle e si avvolge l’asciugamano addosso, prima di uscire dalla doccia e infilare i piedi nelle sue ciabatte rosa con un gatto marrone disegnato sopra – qualcosa per cui Dean l’ha sempre presa in giro. Per quanto sia concentrato su ciò che deve dirle, non riesce a fare a meno di osservare la linea diritta che le divide la schiena e le goccioline che muoiono contro l’asciugamano. Poi gli occhi di Ellie sono di nuovo su di lui e lo distraggono da quei pensieri. La guarda spostarsi nuovamente i capelli bagnati e sorridergli appena «Allora? Che volevi dirmi?»
Dean le si avvicina di un paio di passi e deglutisce, trovando difficile anche mettere due parole in croce. «Beh, io… volevo… volevo chiederti scusa. Per come mi sono comportato negli ultimi giorni» deglutisce ancora, sentendo la bocca asciutta. «È che… sono un po’ nervoso e do più retta all’istinto che al mio cervello».
Ellie lo guarda fisso per qualche istante, poi sorride sorniona «Non è a me che dovresti chiedere scusa» si avvicina, afferra i lembi della sua camicia e si alza sulle punte per dargli un bacio sotto al mento. «Ma apprezzo lo sforzo». Dean abbassa la testa, sviando lo sguardo e mordendosi il labbro inferiore. Sa benissimo che Ellie sta alludendo a Sam. Stringe le spalle e lei gli alza il mento con le dita; sorride appena quando Dean incrocia i suoi occhi «Non mi sono offesa, l’altro giorno. Davvero. Capisco che è un momento difficile per te, ma ti ho detto come la pensavo e non me ne pento. È quello che sto facendo anche adesso».
Dean stringe le labbra in una linea sottile «Sono solo stato sincero. Lui pensa che… che ho fatto quello che ho fatto solo perché ce l’ho col mondo. Io, invece, volevo solo fare il mio lavoro» si lecca le labbra, stringendo appena l’inferiore tra i denti. «È ciò che so fare meglio».
Ellie si avvicina ancora, allungando una mano per accarezzargli il viso. Le sue dita ancora bagnate dalla doccia lo fanno quasi rabbrividire. «Sai fare tante altre cose, Dean» gli sorride appena mentre lui la guarda un po’ incredulo, non comprendendo completamente cosa sta cercando di dirgli. «Ci sta che vedi tutto nero, ma non… tu sei molto migliore di come credi di essere. E sono convinta che Sam non volesse mettere in dubbio le tue capacità sul tuo lavoro».
 
Il suo sorriso mesto e corto non lascia dubbi a Dean, che capisce immediatamente dove Ellie vuole andare a parare: gli sta dicendo che Sam era preoccupato per lui, non per il modo in cui si stava comportando. O forse sì, in parte, ma non era di certo il punto fondamentale della sua “sfuriata”, se così può chiamarla. La cosa, in un certo senso, lo rincuora, ma soprattutto gli dà uno spunto di riflessione. Anzi, più di uno.
 
Fa una piccola pausa, ma riprende quasi subito «Anche perché, su una cosa di sicuro aveva ragione: andare da solo da quel pazzo non è stata una grande idea. Spero che non te ne venga più una simile. Mi hai fatto preoccupare parecchio».
 
Dean, a quella osservazione, non risponde. Sa benissimo che potrebbe trovare un argomento valido per farlo, ma in fondo capisce la sua apprensione: se ci fosse stata lei al suo posto, Dean avrebbe dato di matto. Perciò, per certi versi, non può darle affatto torto. 
 
La guarda stringere la bocca in una linea sottile per poi arricciare le labbra in un sorriso un po’ più convinto e scostarsi appena, voltarsi e allungarsi a prendere un altro asciugamano per poi passarselo sui capelli bagnati, strofinandolo bene sulle punte. Piega la testa da un lato e lo osserva come se aspettasse che lui uscisse da un momento all’altro, ma Dean si rende conto di doverle dire ancora qualcosa.
 
«In realtà, c’è anche un’altra cosa per cui dovrei scusarmi» Ellie raddrizza il capo, gli occhi aguzzi e attenti e, a guardarla così, si chiede che cazzo gli sia preso quella sera. Perché non sa come, ma è di questo che vuole parlare, del sesso da bottega che ha condiviso con lei quella notte da Bobby.
 
Ci stava pensando da un po’ perché si sente meschino, così… stronzo con lei che merita solo gentilezza e, davvero, non si capacita di come abbia fatto a lasciarsi andare in quel modo, senza sapersi porre alcun freno. Ricorda solo le sue mani su di lei, la destra che le stringeva forte il seno e la sinistra sulla sua femminilità mentre spingeva in lei con rabbia e forza. Troppa rabbia e soprattutto troppa forza, che Dean ancora si chiede come lei non si sia messa a urlare o, peggio, non sia fuggita via a gambe levate.
 
Si umetta le labbra, cercando di togliersi quelle immagini dalla testa e di trovare le parole giuste. «Per… per quella sera, da Bobby».
La guarda sbattere le palpebre un paio di volte, poi le sue pupille si dilatano, a un certo punto, piene di comprensione. «Oh».
A giudicare da come lo guarda, non si aspettava una cosa così. Dean ne è praticamente certo. «Ecco. Io… non so, sono stato troppo… brusco. E ho avuto la sensazione che tu abbia passato notti migliori con me». Il modo in cui Ellie si lecca le labbra – nervoso e scattoso, come se stesse lottando con tutta se stessa per non dirgli nulla che potesse in qualche modo offenderlo – è una risposta più che sufficiente alla sua ultima affermazione. «Potremmo rifarlo, se vuoi. Quando… quando ti andrà. Cercherò di essere più… attento».
Ellie stringe le spalle «O-ok».
Di fronte alla sua faccia stupita, Dean abbozza un sorrisetto divertito. «Che c’è, ti ho lasciata senza parole?»
La guarda fare nuovamente spallucce «Beh, un po’ sì. Diciamo che… che pensavo volessi far finta di niente».      
Dean storce le labbra in una smorfia «Non sono stupido. E non sono un animale. Forse mi sono comportato come tale, quella sera, ma visto che penso di averti abituato a un trattamento diverso, volevo… volevo dirti che non succederà più».
 
La osserva abbozzare un sorriso, le labbra distese in una smorfia più serena. Gli si avvicina di nuovo per poi allungargli le braccia intorno al collo quando è a un solo passo da lui. Le narici di Dean sono invase dal profumo del suo bagnoschiuma – quello che ormai è anche di Ellie, visto che glielo ruba quasi sempre – misto a quello di frutti tropicali dello shampoo con cui ha lavato i capelli. La guarda sorridergli ancora per poi allungarsi sulle punte per baciarlo a stampo sulla bocca.
Dean le avvolge le braccia intorno alla schiena, leccandosi le labbra «Mi hai rubato il bagnoschiuma. Di nuovo» Ellie annuisce, un ghigno divertito a disegnarle le labbra morbide «E hai lasciato il tuo taccuino sul tavolo».
La guarda mordersi il labbro inferiore, intenta a nascondere un sorriso soddisfatto «E scommetto che ne hai approfittato per dare una sbirciatina. Di nuovo».
 
Dean si accorge che gli ha appena fatto il verso, ma la scruta un po’ perplesso, perché è qualcos’altro che ha catturato la sua attenzione: Ellie non è arrabbiata, né tantomeno sorpresa, e ciò lo induce a pensare che quel quaderno lo ha lasciato lì apposta, perché lui lo vedesse. Sapeva che non avrebbe resistito alla tentazione, proprio come è successo la prima volta, e magari era l’unico modo per mostrargli quel disegno a matita, il ritratto che gli ha fatto. Per fargli capire quanto contava per lei. Questa consapevolezza gli fa stringere lo stomaco in una morsa. Sta diventando tutto troppo: troppo intimo, troppo coinvolgente, troppo profondo e intenso. In un modo che spaventa Dean. E non tanto perché lui ha sempre avuto paura dei sentimenti – cioè sì, ma con quello da quando sta con lei ha imparato a conviverci –, ma perché sono successe troppe cose nell’ultimo periodo e il modo in cui è morto suo padre ha cambiato di parecchio la sua prospettiva sulle cose.
 
Decide di togliersi questi pensieri dalla testa, però. Ellie è ciò che di più buono e positivo la vita ha deciso di regalargli e ha intenzione di goderselo. Almeno per un altro po’.
 
Le sorride «Se me lo chiedi così vuol dire che sai già la risposta». Ellie annuisce con il sorriso stampato sulle labbra, stringendosi più al suo collo. Dean la scruta, gli occhi nei suoi. «A volte davvero non capisco cosa ci trovi in me». Quel pensiero gli esce dalle labbra senza pensarci troppo, in modo talmente spontaneo da mettergli i brividi. D’altronde, con Ellie è sempre stato così. Fin dal primo giorno.
Il suo sorriso si affievolisce un po’, ma non si spegne. Lo guarda dritto negli occhi. «Potrei farti la stessa domanda, sai?» Dean aggrotta la fronte, sinceramente perplesso. Stringe le labbra in una linea sottile, accarezzandolo dietro la nuca. «Non sono cieca: lo vedo come guardi le altre ragazze, ogni tanto» abbassa lo sguardo per un attimo, senza smettere di toccarlo. È abbastanza sicuro che si riferisca alla dottoressa Murphy «E so che non rispetto i tuoi… “canoni” e probabilmente non mi trovi bella come la metà delle ragazze con cui sei stato—»
Dean la guarda sorpreso «Davvero pensi queste cose?»
Lei stringe le spalle «Solitamente no. Quando ti becco a guardare il culo o la scollatura a qualcun’altra sì. Tipo quella tizia all’obitorio».
Bingo. La osserva leccarsi le labbra, un po’ in imbarazzo e Dean le sorride, stringendola in basso sulla schiena. «Non ci proverei mai con un’altra, non quando tu mi dai tutto quello di cui ho bisogno». Ellie si morde le labbra, rimanendo in attesa, mentre lui sorride sghembo «Ma mi fa piacere constatare che ogni tanto anche tu sei gelosa».
Ellie arrossisce appena e stringe le spalle, la smorfia che ha sulle labbra che si trasforma in un sorriso da presa in giro. «È solo perché devo stare attenta. Sei uno pericoloso».
Dean sorride divertito «Non più» e non resiste quando si sporge verso la sua bocca per darle un bacio. Lei risponde schiudendo le labbra, le mani dietro la nuca ad accarezzargli i capelli corti. Se la stringe più addosso, i polpastrelli che prudono sotto il cotone bianco dell’asciugamano.
 
Se di là non ci fosse suo fratello e se non sentisse questo peso sullo stomaco, avrebbe sicuramente approfittato di questo momento in solitaria, avrebbe chiuso la porta a chiave e avrebbe rimediato a modo suo a tutto ciò che di sbagliato ha fatto negli ultimi giorni, ma non sono da soli e Dean ha troppa rabbia in corpo per lasciarsi andare a troppe tenerezze.
 
Sa bene che potrebbe parlarne con lei. Ellie c’è passata prima di lui, è vero – e anche se così non fosse lo ascolterebbe comunque –, ma non ha idea del mostro che gli ruggisce nel petto, di quanto sia grande la collera che prova verso quello che è successo e verso se stesso. Forse non ha senso aspettare, ma adesso proprio non se la sente. Lo farà a tempo debito.
Si scosta e la abbraccia forte, cullandosi nella piacevole sensazione di essere ricambiato con la stessa intensità.

*

Stringe le braccia al petto facendo un grosso sospiro mentre osserva Sam e Dean seduti sui sedili anteriori dell’Impala, muti e fermi nelle loro posizioni. 
La tensione è palpabile: Sam ha gli occhi rivolti al finestrino e non guarda nemmeno la strada mentre Dean è rigido e composto, le mani saldamente ancorate al volante e la testa diritta.

Sono partiti da un quarto d’ora abbondante e ancora non si sono rivolti la parola. Se non fosse per la radio che canta una canzone degli AC/DC di cui Ellie non ricorda il nome, ci sarebbe un silenzio tombale. Sbuffa aria dal naso: pensava di aver fatto qualcosa di buono a parlare con Dean per cercare di convincerlo delle buone intenzioni di Sam, ma a quanto pare non le è venuto bene come sperava. Forse se non ha ancora chiarito col fratello è perché non è convinto di quello che gli ha detto, o chissà.
 
Non le piace quando litigano. Diventano tristi, si ammutoliscono e si respira una brutta aria, piena di tensione, inquinata e nera come lo smog delle grandi città. Non che Ellie ne abbia viste tante, ma immagina che l’aria a Los Angeles o New York abbia la stessa consistenza di quella che inspira lei quando quei due non si parlano.
In più, le dispiace per questa situazione, perché proprio ora che stanno vivendo un momento così particolare dovrebbero aiutarsi, non farsi la guerra.
Lei, che è figlia unica, ha dovuto affrontare da sola un dolore del genere per ben due volte, senza nessuno che la capisse fino in fondo come solo un fratello che divide sangue e genitori con te può fare. Per loro è diverso: stanno attraversando la stessa tragedia, nonostante la stiano vivendo in maniera diversa. Ma quello è normale, fa parte dei loro caratteri – più aperto e incline al dialogo Sam, chiuso e introverso Dean – e su quello non discute, perché ognuno reagisce in modo differente ed è libero di affrontare cose così brutte come meglio crede. Quello che non le piace è quest’atmosfera belligerante, come se fossero entrambi sul punto di prendersi a pugni. Lo trova stupido. E controproducente.
 
Sono fuggiti non appena Ellie ha finito di asciugarsi i capelli, praticamente. Hanno caricato i bagagli in fretta e in furia in macchina per poi partire come razzi. In fondo, stavano aspettando solo Dean.
 
Ellie non gli ha nemmeno chiesto dov’è stato: probabilmente non glielo avrebbe detto. Ha deciso che vuole lasciargli i suoi spazi, le sue libertà. È un momento decisamente complicato per lui – lo sarebbe per tutti al suo posto, ma a maggior ragione per lui che ha praticamente dedicato la sua vita a suo padre. È bene lasciarlo sfogare per un po’. A meno che non abbia intenzione di fare qualche scemenza: in quel caso, Ellie non ci metterebbe un istante a cercare di imporsi per farlo ragionare, ma per il resto, sta cercando di non stargli troppo addosso. Per il suo bene.
 
Il rumore del motore che decelera la desta da quei pensieri. Stanno passando per un sentiero asfaltato costeggiato da un bosco di conifere, la strada è libera e non capisce perché mai Dean stia rallentando, ma poi lo vede accostare lentamente sulla sinistra e fermarsi in un piccolo spiazzo ricoperto di ghiaia.
 
Spegne la macchina, tira il freno a mano e apre lo sportello per poi scendere, senza guardare in faccia nessuno. Ellie lo guarda chiudersi la portiera alle spalle e passarsi una mano sulla bocca, il tipico gesto dietro al quale nasconde nervosismo e inquietudine. Vorrebbe seguirlo e chiedergli cosa lo turba, ma capisce che forse questo, in un momento così, è il suo modo di fermarsi e provare a mettere i pezzi al loro posto. Per questo allunga una mano verso Sam e gli stringe una spalla, costringendolo a voltarsi. I suoi occhi sono confusi e la sua bocca è piegata in una smorfia perplessa. Ellie gli sorride appena «Vai tu. Credo che voglia parlare con te».
Sam stringe le labbra in una linea sottile e fa per dire qualcosa, ma poi cambia idea e si gira, apre a sua volta la portiera ed esce, mentre Dean si siede sul cofano dell’Impala.
 
Ellie può sentirlo distintamente chiedergli cosa succede e lo vede piegare la testa nel farlo, gli occhi fissi sul fratello, ma Dean parla piano e non riesce a sentire più nulla. Non fa niente, però: per una volta, crede sia giusto lasciargli un po’ di spazio per loro, per chiarirsi senza averla intorno. È vero che si sente ormai parte integrante della “famiglia Winchester”, nel senso più ampio che loro danno al termine, ma ci sono comunque cose di cui devono parlare da soli, in cui lei non deve entrare. Questa è una di quelle e rimane a scrutarli intanto che Sam si siede sul cofano accanto a Dean e lo guarda mentre lui, invece, per la maggior parte del tempo parla fissando un punto impreciso di fronte a lui. Alla fine, però, quando si decide a voltarsi e a guardare il fratello negli occhi, Ellie è quasi sicura di scorgere un paio di lacrime solcargli la guancia destra. [3]

 

[1] Riferimento all’episodio 1x22 “Devil’s trap”, quando Sam e Dean trovano John nel posto indicatogli da Meg.
[2] L’ultima parte del discorso di Sam è ispirata da ciò che dice a Dean negli episodi 2x02 “Everybody loves a clown”, a pochi secondi dalla fine, e 2x04 “Children shouldn’t play with dead things”, dopo che Dean ha fatto una scenata al padre di Angela, la ragazza zombie.
[3] La scena a cui faccio riferimento è l’ultima dell’episodio 2x04 “Children shouldn’t play with dead things”.
  
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