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Autore: SusyCherry    15/03/2019    6 recensioni
«Devi assolutamente imparare a nuotare, è assurdo che un ragazzo della tua età non sia in grado di farlo.»
Così era iniziato tutto, con sua madre che lo ossessionava per convincerlo a iscriversi in piscina e Sherlock che l’aveva ignorata fino a che non era sopraggiunto Mycroft.
[...]
Ed ecco perché si trovava lì, in accappatoio e ciabatte, sul bordo di una piscina invasa da bambini urlanti, con cuffia e occhialini in una mano e nessunissima intenzione di entrare in acqua.
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Storia già terminata.
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[Storia scritta per l’evento "Merry Christmas!" del gruppo facebook "Johnlock is the way... and Freebatch of course!"]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve, eccoci qui col secondo capitolo. Ringrazio chi ha recensito il precedente e grazie anche a chi ha inserito la storia tra i preferiti, ricordati e seguiti. Si tratta di un capitolo più sostanzioso rispetto al primo, per lo meno come lunghezza. Se trovate errori vi prego di farmeli notare, sono fissata con i refusi e cerco di rileggere molto, ma a volte sfuggono lo stesso. Spero la lettura sia di vostro gradimento, a presto! 



Gli istruttori avevano sicuramente pensato che sua madre fosse pazza. Insomma lasciare un ragazzo che non sapeva nuotare solo in piscina, senza nessuno che lo seguisse per insegnargli e controllarlo, doveva di certo suonare come un qualcosa di folle e insensato. Era vero che era sempre presente un bagnino a monitorare la situazione e vigilare su eventuali malori, ma non era comunque qualcosa di prudente da fare. In ogni caso la donna aveva liquidato il tutto con un “è una ragazzo intelligente, non annegherà”. Quindi Sherlock si era infilato la cuffia alla bell’e meglio, lasciando fuoriuscire numerosi riccioli ribelli, e una volta che tutti i bambini del turno precedente erano usciti si era immediatamente fiondato in acqua, prima che il ragazzo biondo arrivasse. Ovviamente aveva utilizzato la scaletta, di tuffarsi non se ne parlava proprio, ed era sceso dalla parte bassa della piscina, dove poteva agevolmente toccare il fondo. In più si teneva stretto a bordo vasca, per precauzione. Provò a sollevare i piedi reggendosi fermamente e a muoverli come aveva visto fare l’altra volta, ma questo provocò solo delle movenze scoordinate e lo schizzare di una grande quantità d’acqua. Il tutto, unito alla forza con la quale stava stringendo il suo appiglio per paura che gli sfuggisse e si ritrovasse improvvisamente sott’acqua, gli provocò il fiatone (più riconducibile alla paura che ad un vero sforzo fisico) e fu in quelle condizioni pietose che il ragazzo biondo lo vide non appena mise piede oltre la porta d’ingresso. Sherlock si vergognò immensamente, non poteva scegliere momento peggiore per arrivare, e lo guardò negli occhi cercando tracce di derisione o pietà, ma non ci trovò nulla del genere. Il ragazzo lo guardò serio, salutandolo con un gesto appena accennato della mano, per poi dirigersi verso la sua corsia (la corsia rapida) e incominciare i suoi esercizi. Tutto ciò lo deluse un po’, era sollevato di non aver trovato uno sguardo di scherno e dal fatto che non si era fatto beffe di lui, ma aveva sperato in un saluto un po’ più caloroso o magari di scambiare qualche parola. Tuttavia questo non era successo e doveva rassegnarsi a questa cosa, probabilmente l’altra volta gli aveva rivolto quelle parole per pura formalità e non perché sperasse di rivederlo, probabilmente non si sarebbero nemmeno mai parlati. E a dirla tutta a lui non dovevano nemmeno interessare queste cose, lui era lì per imparare a nuotare e l’avrebbe fatto, così da fargliela vedere a quel pomposo di suo fratello. A lui non era mai interessato il giudizio della gente e se quel ragazzo trovava ridicolo o fastidioso il suo modo di imparare a nuotare, beh peggio per lui! Riappoggiò le mani a bordo vasca e riprese a muovere le gambe in un tentativo di restare a galla, sarebbe riuscito a farlo prima o poi.
 

Circa mezz’ora dopo doveva ammettere che no, forse non ci sarebbe mai riuscito. Tutti i suoi tentativi erano stati inutili e infruttuosi, continuava solo a fare un gran casino con l’acqua, nemmeno ci avessero calato dentro una balenottera che sbatteva la coda. Era talmente demoralizzato che in un ennesimo tentativo persa la presa e finì con la testa sotto il pelo dell’acqua, cosa che lo portò a berne un po’. Riappoggiò immediatamente i piedi a terra e riemerse tossendo, si vergognava tantissimo della sua incapacità e si era molto spaventato. Continuò a tossire decidendo mentalmente che poteva finirla là, con la piscina aveva chiuso e non gli importava più nulla della competizione con suo fratello, quando una voce lo richiamò dai suoi pensieri.

«Sbagli posizione.»

Si voltò lentamente, in effetti dopo il suo piccolo incidente non aveva più sentito rumori provenire dalla corsia impegnata dal ragazzo, e lo trovò fermo a metà vasca con le braccia appoggiate a una delle boe che facevano da separatorio. Aveva la faccia leggermente preoccupata, evidentemente si era fermato per assicurarsi che stesse bene.

«Come?»

«La posizione del tuo corpo. Non è corretta. In più sei troppo rigido.»

Sherlock guardò in basso verso il suo corpo, qual era allora la posizione corretta? Non era in grado di capire da solo dove sbagliasse. Quasi leggendogli nella mente il ragazzo si allontanò dalla boa pronto a immergersi per superare le varie corsie e avvicinarsi alla sua, ma si bloccò all’ultimo momento indeciso sul da farsi.

«Posso?» chiese semplicemente.

Posso cosa? Posso avvicinarmi? Posso aiutarti? Posso rivolgermi a te? A Sherlock non importava, tanto la risposta sarebbe stata sempre la stessa.

«Sì.»

Il ragazzo si immerse e nuotò rapidamente a fondo vasca emergendo direttamente vicino a lui. Lo scrutò per un secondo iniziando poi a dargli indicazioni.

 «Appoggia nuovamente le mani al bordo. Ecco, ora mantieniti dritto, contrai i muscoli ma cerca di non irrigidirti troppo. Tieni le gambe stese una vicina all’altra. Così. Attento a non staccare pezzi di piscina, ti stai mantenendo con una forza disumana!»

Il ragazzo ridacchiò, ma Sherlock non avvertì derisione nelle sue parole, stava solo cercando di stemperare la tensione e di metterlo più a suo agio, doveva aver notato quanto nervoso fosse.

«Perfetto, ora cerca di allungare i piedi, un po’ come le ballerine di danza classica.»

Sherlock lo guardò interrogativo, che diavolo ne sapeva lui di come tenevano i piedi le ballerine di danza classica?

«Ok, ok hai ragione. Devi fare così» gli spiegò, poggiandogli entrambe le mani sul piede sinistro e invitandolo dolcemente ad assumere la giusta posizione. Sherlock sentì il cuore battere forte a quel contatto senza sapere perché, ma cercò di mantenersi comunque concentrato, quel ragazzo stava perdendo del tempo per lui e il minimo che poteva fare era starlo ad ascoltare.

«Bene, la posizione è giusta, ora muovi leggermente le gambe cercando di non perderla.»

Le mani del biondino passarono sulle sue caviglie e lo guidarono nel movimento che finalmente non produsse un maremoto nell’acqua circostante.

«Sei stato bravo, ora devi solo esercitarti. Quando il movimento delle gambe ti verrà naturale potrai passare ad imparare quello delle braccia.»

«Io…ti ringrazio. Ammetto che stavo per rinunciarci.»

«No e perché? Sarebbe un vero peccato rinunciare a nuotare solo per qualche piccola difficoltà iniziale.»

«Piccola difficoltà? Forse non mi hai osservato, ero pessimo.»

E solo Sherlock sapeva quanto gli costasse ammettere di non saper fare qualcosa.

«Beh, ti ho tenuto d’occhio, non eri così male. Sei all’inizio, è normale non sentirsi a proprio agio in acqua, ma poi passa. E non potrai più farne a meno.»

Il ragazzo gli stava rivolgendo un sorriso bellissimo. Era chiaro che amasse nuotare con tutto se stesso. Per di più gli aveva confessato (arrossendo leggermente Sherlock aveva notato) che lo stava guardando. Questo rese inspiegabilmente Sherlock felice, essere invisibile agli occhi di quel ragazzo gli dava uno strano dispiacere, quando di solito lui pregava di passare inosservato agli occhi dei più.

«Io credo di essere negato. Probabilmente se non mi avessi aiutato tu non avrei mai capito la posizione corretta da solo.»

«Ma non è un demerito tuo. Quasi nessuno impara da solo, quindi non hai nulla da rimproverarti. Anzi, complimenti per il coraggio, non è da tutti. Non hai voluto seguire il corso?»

«Ecco, io ci ho provato, però…» tergiversò abbassando lo sguardo.

«Va bene, non importa, non devi giustificarti. Avrai i tuoi motivi.»

Si guardarono leggermente imbarazzati, nessuno dei due sapeva bene come fosse giusto comportarsi. Sherlock avrebbe voluto che l’altro continuasse ad aiutarlo o per lo meno ad interagire con lui, ma capiva che il ragazzo non poteva di certo perdere tutto il suo tempo con lui. Non sapendo bene cosa dire, né come dirlo, si limitò ad un silenzio teso, che fu evidentemente mal interpretato dall’altro che iniziò a muoversi a disagio allontanandosi da lui.

«Allora io torno alla mia corsia. Spero di esserti stato utile.»

Sherlock si agitò, voleva fermarlo, chiedergli di restare un altro po’ con lui, ma come poteva farlo senza sembrare invadente o inopportuno?

«Lo sei stato. Molto. Grazie davvero.»

Il biondino iniziò a voltarsi per immergersi nuovamente, quando parve ripensarci e si voltò con aria ancora più imbarazzata.

«Ovviamente se hai ancora bisogno di aiuto…cioè non intendo che tu non possa essere in grado di farcela da solo! Sono sicuro che sarai bravissimo anche senza di me. Però se volessi un consiglio o ti servisse qualcosa, ecco...non che io mi consideri un esperto, non fraintendere. Dico solo che se hai bisogno chiedi pure.»

Sherlock nascose un sorriso piccino, almeno non era l’unico impacciato tra i due.

«Non vorrei disturbarti, non puoi mica perdere tutto il tuo tempo con me» confessò in un sussurro.

«Ma non disturbi mica.»

Sherlock lo guardò intensamente. Sembrava sincero.

«In realtà ho già finito il mio programma per oggi, quindi non è un problema per me aiutarti.»

«Dici sul serio? Sicuro non ti pesi la cosa?»

Il biondino negò con un cenno del capo, avvicinandosi nuovamente a lui.

«Dai, vediamo di staccarci dal bordo vasca. Innanzitutto sistemiamo questa cuffia, mi chiedo come fai a vedere con tutti i capelli davanti agli occhi» ridacchiò avvicinandosi a lui e sfilandogli la cuffia adagiata sommariamente sul capo.

«Non ho ancora capito come infilarla da solo. È praticamente impossibile riuscire a farci stare tutti i capelli dentro!»

«Per me è più facile, ho i capelli più corti dei tuoi. La prossima volta ti aiuterò a metterla prima di entrare in acqua, così non te li bagnerai tutti. Ora tira tutti i capelli indietro e abbassa la testa, mantieni la parte anteriore della cuffia…ecco così!» lo istruì compiendo poi un movimento fluido con il quale la cuffia si trovò magicamente al suo posto.

«Oh beh, certo che così è molto più facile. E non mi si è impigliato nemmeno un capello in mezzo, prima ho temuto di diventare calvo per quanti se ne sono strappati.»

La cosa fece stranamente scoppiare a ridere l’altro, Sherlock non era molto ferrato nell’umorismo, ma era felice di essere riuscito a suscitare una simile reazione. Il ragazzo gli sistemò dolcemente qualche sparuto ricciolo che indomito era sfuggito anche questa volta e quel gesto fece inaspettatamente battere forte il cuore di Sherlock, oltre che imporporargli leggermente le guance di rosa. Per fortuna l’altro non notò niente.

«A proposito, io sono John.»

«Oh, sì giusto. Piacere John, io sono Sherlock.»

«Sherlock? Non ho mai conosciuto uno Sherlock. È un nome particolare. È bello.»

«Davvero? Non è quello che dicono di solito.»

«Perché che dicono?»

«Che è strano, strano come me.»[1]

John rispose facendo spallucce.

«A me piace molto. Secondo me i tuoi amici sono un po’ idioti.»

«Io non ho amici.»

E per quanto Sherlock si fosse esercitato non sapeva ancora dirlo con l’indifferenza con la quale avrebbe voluto. Dannate emozioni, non era ancora in grado di controllarle a dovere.

«Se è per questo nemmeno io. Avere degli amici è sopravvalutato» gli confidò con un sorriso incoraggiante.

Sherlock si sentì rincuorato all’udire quelle parole. L’idea di non essere l’unico al mondo a non riuscire a stringere legami di amicizia paradossalmente lo fece sentire meno solo. Magari aveva finalmente trovato qualcuno un po’ simile a lui.

«Potremmo iniziare imparando a fare il morto. Almeno riusciresti a galleggiare.»

«Il morto? Sarebbe a dire?»

«Questo» gli spiegò disponendosi pancia all’aria e allargando un po’ braccia e gambe.

Sherlock osservò incuriosito, non sembrava qualcosa di eccessivamente difficile, inoltre sarebbe stato davvero utile per imparare a galleggiare, ma c’era un grande, enorme problema. Tutto il suo corpo sarebbe stato visibile e lui se ne vergognava tantissimo. No, doveva trovare il modo di evitare la cosa.

«Non potremmo provare qualcos’altro, John?»

Il ragazzo lo fissò attentamente, riportandosi in posizione eretta. Carpì il suo nervosismo e il suo disagio, senza però intenderne la natura, ma per fortuna di Sherlock non insistette oltre. Era un ragazzo molto sensibile dietro la sua facciata di distacco e indifferenza e non voleva mettere Sherlock in difficoltà.

«Nessun problema. Potremmo rifare ciò che abbiamo provato prima, però senza il sostegno del bordo vasca.»

«Ma così annegherò» affermò con voce leggermente lagnosa.

«No, perché ci sarò io a sostenerti. Ma in questo modo potresti avanzare.»

Ricreare la posizione e il successivo movimento di gambe non fu semplice, soprattutto perché spesso Sherlock si faceva prendere dalla paura e arrivava a stringere convulsamente le braccia di John che gli si era sistemato davanti. Ciò nonostante il ragazzo dimostrava grande pazienza e comprensione, non lamentandosi nemmeno quando il bruno gli faceva chiaramente male, piuttosto incoraggiandolo a provarci ancora. Fortunatamente i loro sforzi furono premiati perché, dopo qualche tentativo infruttuoso, finalmente Sherlock riuscì a riprodurre il giusto movimento riuscendosi anche a spostare di qualche metro (aiutato anche dall’avanzare a ritroso di John). Il passo successivo fu passare dal completo sostegno di John ad avere le sue sole mani come unico appiglio. Quando anche questa tappa fu gloriosamente conquistata John dichiarò che Sherlock era pronto a provare a rifarlo senza nessun tipo di sostegno.

«Credo che tu sia troppo ottimista» negò Sherlock con il capo «non sono ancora in grado di mantenermi a galla, come potrei farlo da solo?»

«Ma non sarai solo, io sarò qui con te. E nel caso in cui dovessi aver bisogno di aiuto ti sosterrò io.»

Tuttavia la cosa non convinceva del tutto Sherlock, gli sembrava davvero troppo prematuro ciò che John gli stava proponendo.

«Forza fidati di me, mettiti parallelo alla superfice dell’acqua e cerca di muovere le braccia a formare dei cerchi in acqua, dall’interno verso l’esterno, in questo modo» gli spiegò mimando il gesto.

Ovviamente la cosa si rivelò più facile a dirsi che a farsi, Sherlock continuava ragionevolmente a farsi prendere dal panico e a poggiare i piedi a terra, motivo per cui John gli propose di spostarsi dove l’acqua era leggermente più alta.

«John no, non ne sono in grado.»

«Non è vero che non lo sei, devi solo avere più fiducia in te.»

Beh questo era di certo un nervo scoperto per il bruno.

«E se dovessi affogare?»

«Non lo farai perché io ti prenderò.»

«E se dovessimo affogare entrambi?»

«Non succederà nemmeno questo perché io tocco con i piedi sul fondale, sono più alto di te.»

«Aspetta che completi lo sviluppo e poi ti farò vedere io…» sussurrò tra i denti.

«Come hai detto?»

«Niente. Andiamo dai.»

«Ti sei convinto?»

«Sì, ma sbrigati, prima che io cambi di nuovo idea.»

Sherlock si lasciò trascinare lungo la corsia, aggrappandosi totalmente all’altro quando i suoi piedi non furono più in grado di sostenerlo. Quello che stava per fare richiedeva un grande atto di fiducia nei confronti di quello che in fin dei conti era a tutti gli effetti uno sconosciuto, oltre che nelle proprie capacità. Eppure Sherlock decise di fidarsi di questo strano ragazzo che aveva calamitato la sua attenzione fin dal primo momento.

All’inizio non fu semplice, la paura prendeva il sopravvento e iniziava a muoversi in maniera scoordinata, ma la voce di John aveva stranamente il potere di tranquillizzarlo.

«Sherlock per favore calmati. Ci sono io, ti tengo io. Tieni la testa fuori dall’acqua e cerca di stare rilassato, ti tengo, non ti lascio.»

Queste parole furono accompagnate dal movimento delle mani di John che si andarono a posizionare una sulla pancia e l’altra sul petto di Sherlock, sorreggendolo pur mantenendolo in orizzontale. Sherlock si irrigidì immediatamente, in questo modo il ragazzo avrebbe tastato la sua eccessiva magrezza, le coste sporgenti e il fisico ossuto, cosa che lo metteva molto a disagio. Cosa avrebbe pensato John? Lo avrebbe preso in giro come i suoi compagni di scuola? Gli sbeffeggiamenti ricevuti mentre si cambiava negli spogliatoi l’avevano ferito più di quanto fosse disposto ad ammettere e da allora aveva fatto di tutto per evitare che situazioni del genere si ripetessero. Ma questa volta era successo tutto in maniera inaspettata e non aveva potuto far niente per sottrarsi alla cosa. Osservò con sguardo disperato John che però sembrava non essersi accorto di nulla, del tutto concentrato sulla posizione del suo corpo.

«Sherlock ti prego cerca di non irrigidirti così. Fidati di me.»

Non lo stava deridendo, né compatendo. Forse davvero non si era reso conto che qualcosa in lui non andava e se John poteva farlo perché non avrebbe dovuto ignorare anche lui la cosa? Chiamò a raccolta tutta la sua determinazione e si fidò del suo nuovo amico, concentrandosi per ripetere ancora una volta il movimento che gli aveva insegnato. Quando fu in grado di riprodurlo alla perfezione entrambi gioirono di quel piccolo, ma allo stesso tempo enorme risultato, Sherlock sentì addirittura che ad un certo punto John aveva staccato le mani dal suo corpo, pur continuando a seguirlo a distanza ravvicinata, ma ormai aveva preso un suo ritmo e continuò muovendosi da solo. Di certo non si poteva dire stesse nuotando, ma aveva fatto più progressi con John in un giorno di quanti ne avrebbe fatto con quegli stupidi istruttori in un mese, di questo ne era certo. Da loro non si sarebbe mai fatto toccare.

«Bravissimo Sherlock, sei un talento naturale!»

Il moro arrossì a quel complimento che non credeva di meritare, in fondo il merito per gran parte era di John. Non fosse stato per lui in quel momento sarebbe stato già a casa.

«Ora devi continuare in questo modo, l’ideale è usare una tavoletta così puoi concentrarti sulle gambe.»

Sherlock osservò il punto in cui si trovavano tutti gli attrezzi da piscina, prenderli significava uscire dall’acqua e mostrarsi apertamente a John e per questo non si sentiva ancora pronto. Perché diamine non aveva pensato ad avvicinare una tavoletta prima di entrare in acqua? Ma John, splendido e meraviglioso John, ancora una volta capì. Sherlock non sapeva assolutamente come avesse fatto, aveva passato la vita a sentirsi incompreso, ma John sembrava riuscire ad intuire i suoi pensieri come mai nessuno era riuscito fino a quel momento. Captando che qualcosa disturbava l’altro si avvicinò in silenzio al bordo della vasca per sollevarsi agilmente sulle braccia e correre a recuperare una tavoletta, che prontamente passò all’altro. Non ci fu nemmeno bisogno di dirsi nulla, bastò lo scambio di un sorriso ed entrambi si ritrovarono di nuovo in acqua. Passarono il resto del tempo a nuotare vicini, John continuava a tenere d’occhio il nuovo amico e Sherlock si impegnava al massimo per dimostrargli tutti i suoi progressi. Non mancavano inoltre di scambiare qualche parolina o una battuta ogni vasca percorsa e il tempo insieme semplicemente volò.

Quando fu il momento di uscire dall’acqua Sherlock incominciò nuovamente ad innervosirsi pensando a quale scusa avrebbe potuto addurre questa volta, ma John che ormai aveva capito la natura dei suoi turbamenti lo sorprese ancora una volta.

«Ci vediamo nello spogliatoio ok?»

Sherlock si limitò ad annuire con uno sguardo grato. Il modo in cui quello strano ragazzo gli evitava di inventare bugie pietose e fantasiose venendogli incontro lo stupiva molto. Di certo non era una persona come tutte le altre.

Lo raggiunse poco dopo nello spogliatoio e lo trovò chiuso in un box doccia, riuscendo comunque a chiacchierare con lui anche mentre si insaponavano. Gli piaceva veramente tanto la compagnia di John. Ovviamente il ragazzo terminò prima di lui e Sherlock lo raggiunse in accappatoio nella zona comune dove avevano la loro roba. Fortunatamente lo spogliatoio era deserto con eccezione di loro due, in più John ebbe la premura di voltarsi mentre Sherlock si rivestiva. Come avesse fatto a capire le sue preoccupazioni Sherlock proprio non se lo spiegava, non era una persona semplice da leggere di solito. Ma poco gli importava, questi piccoli gesti del biondo erano davvero importanti per lui, gli scaldavano il cuore come nessuno aveva mai fatto. Probabilmente John non l’avrebbe preso in giro se anche avesse visto il suo corpo, ma proprio il suo dimostrarsi così speciale spingeva Sherlock a volersi mostrare perfetto, invincibile e affascinante. Voleva con tutto se stesso che John desiderasse essergli amico.

«Hai finito? Se vuoi ti aspetto così facciamo un tratto di strada insieme, anche se non ho idea di dove tu abiti.»

«Certo, andiamo John.»

Il desiderio di continuare a passare del tempo con lui e la paura che se ne andasse l’avevano portato ad accelerare le cose, col risultato che era ancora mezzo gocciolante.

«Ma che dici, ti prenderai un accidente se esci così. Per favore Sherlock finisci di asciugarti, io ti aspetto qui, non me ne vado.»

Si preoccupava addirittura per la sua salute. Erano sicuramente tutte cose nuove per Sherlock, nella sua famiglia bisognava dimostrarsi sempre forti e in gamba, mai bisognosi di aiuto o attenzioni. Sperava però che John non lo vedesse come un bambino piccolo a cui badare, non voleva apparire così debole. Doveva smettere di essere così precipitoso e iniziare a controllarsi come faceva di solito. Logica e raziocinio. Questo era ciò che gli riusciva meglio. 

«Quindi come mai hai deciso di imparare a nuotare?» gli chiese John una volta per strada.

«Mia madre, era diventata un’ossessione. Non sia mai che uno dei suoi figli non sia capace di far qualcosa. Dobbiamo essere sempre perfetti, in tutto. E poi ci si è messo mio fratello. Continuava a prendermi in giro, non lo sopportavo più.»

«Peccato.»

La risposta di John suscitò un’alzata di sopracciglio e un’espressione perplessa del più piccolo.

«Beh sì. Nuotare è un qualcosa di bellissimo, un’emozione unica. Ti rilassa, ti isola dal mondo, dalle persone, dai problemi. Da tutto. È un peccato che tu ti ci sia avvicinato per motivazioni così antipatiche. Ma meglio di niente in fin dei conti.»

«E tu? Quando hai imparato a nuotare?»

«Quando avevo due anni.»

La risposta spiazzò Sherlock che lo osservò a bocca aperta.

«Fanno avvicinare bambini così piccoli all’acqua? Non è, non so, leggermente pericoloso?»

John ridacchiò della sua sorpresa, aveva un’espressione davvero buffa.

«Beh sì di solito non fanno entrare in piscina bambini tanto piccoli, ma Harry ci andava e io ero desideroso di imitare tutto quello che faceva. Mi hanno messo in acqua per disperazione!»

«Harry è tuo fratello?»

«Mia sorella. Harry sta per Harriet. È più grande di me e da piccolo ero la sua ombra.»

«Capisco. Nuota anche lei?»

«No, lei ha lasciato anni fa, non è molto costante in quello che fa. Io invece ho proseguito.»

«Sai ti ho visto nuotare, sia l’altra volta che oggi» ammise con un lieve imbarazzo «non che ne capisca molto, ma mi sembri molto bravo. Ti stai preparando per qualche gara?»

John cambiò espressione facendosi improvvisamente serio. Lo fissò intensamente negli occhi con un vago senso di sfida, come se volesse trasmettergli un “avanti, prova a contraddirmi su ciò che sto per dire”.

«No. Non sono interessato all’agonismo.»

Sherlock si zittì immediatamente, imbarazzato ed anche lievemente intimorito. Evidentemente aveva toccato un tasto dolente. Incassò la testa tra le spalle e seguitò a camminare guardando dritto davanti a sé. Come al solito aveva parlato troppo, non poteva semplicemente mordersi la lingua?

«Sherlock» lo richiamò con un sospiro. «Sherlock, scusami. Sono stato troppo aggressivo.»

«Tranquillo John, la colpa è mia, non sono fatti che mi riguardano.»

«Non è così Sherlock. Ti prego fermati, guardami un attimo.»

John lo afferrò per una mano, obbligandolo ad arrestarsi di fronte a lui, e si chinò leggermente per intercettare il suo sguardo basso.

 «Non è colpa tua. È che tutti continuano a stressarmi per questa storia, il mio vecchio allenatore, gli istruttori. Vorrebbero che partecipassi alle gare, che pensassi ad un futuro da atleta. Ma io non voglio.»

«Perché non vuoi? Hai paura di non esserne in grado?»

«Sì e no. Sono resistente, ma non mi sento abbastanza veloce. Ma conosco i miei tempi, potrei anche provarci volendo e col duro allenamento potrei migliorare. Ma non è questo il punto. Il nuoto è una passione per me, è evasione, è divertimento. Se passassi alle gare agonistiche tutto questo verrebbe rovinato dalla voglia di vincere, dalla delusione delle sconfitte, dall’ansia prima delle gare. L’ambizione, la competizione, le rivalità non dico che siano qualcosa di negativo, è solo che tutto questo non fa per me. Amo nuotare, ma rimane una passione, un hobby. E soprattutto è una cosa solo mia, solo per me. In ogni caso non è ciò che voglio fare da grande, i miei sogni sono altri e non mi importa quanto sono bravo e dove potrei arrivare, non voglio che mi rovinino una delle poche cose belle che ho.»

Sherlock capì che quello del “potresti fare grandi cose, raggiungere importanti traguardi” era un discorso che gli era stato fatto innumerevoli volte. Ecco perché si era immediatamente messo sulla difensiva.

«In ogni caso ti ringrazio, so che quello che hai detto voleva essere un complimento e non sono un ingrato maleducato, anche se mi sono comportato esattamente in questo modo» aggiunse con un sorriso sincero.

Sherlock lo guardò intensamente negli occhi, cercando di leggere quanto più possibile dentro di lui.

«Sono perfettamente d’accordo con te. Sulla questione di fare ciò che si vuole. Non sono gli altri a dover decidere per te cosa fare e chi diventare.»

John lo ringraziò con un sorriso di vera gratitudine, la ritrosia di poco prima completamente svanita. Ripresero a camminare uno affianco all’altro.

«Quindi se non il nuotatore cosa vuoi fare da grande?»

«Il medico!» esclamò con entusiasmo.

«Medico. Come uno dei tuoi genitori. Tuo padre? No, tua madre.» [2]

«Come fai a saperlo?» Gli domandò con occhi sgranati.

«L’ho dedotto.»

«Dedotto? Sarebbe a dire?»

Sherlock si perse in una lunga spiegazione su ciò che faceva e come lo faceva, al termine della quale lo fissò con sguardo un po’ timoroso. Aveva cercato di contenersi fino a quel momento, ma indubbiamente prima o poi quel suo aspetto sarebbe venuto fuori. Non poteva fingersi ciò che non era. Ora aspettava solo la ormai ben conosciuta reazione da parte di John.

«Questo è stato…»

“Inquietante” pensò Sherlock. “Fuori dai piedi strambo” aggiunse mentalmente.

«…straordinario.»

«Come scusa?»

«Assolutamente fantastico!»

Questo John era decisamente una persona particolare. Fuori di testa forse. Sherlock sentì l’incontenibile bisogno di abbracciarlo.

«Dici sul serio?» domandò timido

«Certo! Strabiliante, davvero.»

«Oh. Beh non è quello che dicono di solito.»

«Certo che ti dicono un sacco di cose eh. Sul nome, su quello che fai. Immagino niente di carino nemmeno questa volta, ma sentiamo, che ti dicono di solito?»

«Levati dalle palle.»

John ancora una volta lo sorprese scoppiando a ridere e Sherlock lo seguì a ruota subito dopo. Come era mai possibile che ridere e scherzare fosse così tanto semplice con questo ragazzo? Cosa aveva di diverso rispetto agli altri? Forse non aveva molta importanza. Ciò che contava era che Sherlock non voleva più lasciarlo andare.

Si salutarono poco dopo, ripromettendosi di rivedersi presto e concordando i giorni in cui andare in piscina. In fin dei conti questa storia dell’imparare a nuotare stava avendo risvolti estremamente interessanti.


 
 
[1] Ho inavvertitamente citato una storia di hikaru83, “La chimica dell'arte”. La cosa non era voluta, ma poi me ne sono resa conto e ne sono stata felice perché è una storia bellissima. Se non la conoscete correte a leggerla!

 
[2] Seconda citazione a hikaru83 questa volta però più che voluta. Volevo che uno dei due genitori di John fosse un medico, ma non sapevo se scegliere il padre o la madre. Poi, nel periodo in cui stavo scrivendo questa storia, mi è capitato di leggere la meravigliosa “Io&Sherlock” di hikaru83 e ho deciso di omaggiarla così.
   
 
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