I
nostri corpi strusciavano sinuosi sotto le leggiadre coperte. In perfetta
sintonia, i nostri affanni ci rendevano sempre più partecipi alle nostre
travolgenti danze.
Primo: ©La casa delle bambole.
La
carrozza correva sul sentiero, sussultando ogni qualvolta le ruote incontravano
un dosso o qualcosa di simile. Fuori dal finestrino il paesaggio si mescolava
in un pasticcio di colori verde accesso e terra, illuminato dai caldi raggi
solari. La campagna francese…l’ho sempre trovata meravigliosa. Immense distese
in fiore si estendevano ai bordi del sentiero illuminandosi al passaggio del
vento che accarezzava i petali dei fiori di campo. Papaveri, margherite…tutto
così caldo e vario!
Era una
calda e ventilata giornata d’estate quando io e mia madre arrivammo a
Versailles.
La prima
volta che vidi quella reggia, di cui avevo solamente sentito vociferare, mai mi
sarei immaginata fosse ancor più bella che nelle mie più recondite fantasie.
La
carrozza attraversò il cancello sotto gli occhi vigili delle guardie di
palazzo. Sembravano tanti damerini armati. Di quelli fieri e con la puzza sotto
il naso.
Intorno
non vedevo altro che giardini e fontane e tanti nobili intenti a spettegolare
tra loro. Tutto era così surreale e meraviglioso, tanto da tener testa al
paradiso. Mai, mi sarei aspettata una maschera così fastosa, per camuffare
l’Inferno. Non so se definirlo Inferno sia giusto, so solo che la
deprolevolezza di quell’ambiente era cosa nota a chiunque l’abitasse.
Purtroppo,
contagiò anche me.
Forse ero
solo io, che, non abituata a tanta magnificenza, vedevo tutto con gli occhi di
un’ ingenua bambina.
Ogni
tanto, qualche viso incipriato si voltava ad osservarci meravigliata, oppure ci
lanciavano sguardi di sufficienza.
Mia madre
chiuse il ventaglio con uno schiocco.
Per me lei
era ancor più meravigliosa della regina Maria Antonietta, che, il caso ha
voluto, entrasse in stretta intimità con mia madre.
E la cosa
mi sorprendeva davvero, essendo mia madre una donna acida come un limone.
- Bene Hinata,
adesso che siamo a Versailles pretendo che tu ti comporti come una bambola. Non
parlare, non ti atteggiare, non respirare. Sai in che problemi ci ha lasciate tuo
padre, perciò, ora che abbiamo vitto e alloggio vedi di comportarti come è tuo
dovere.- mi ordinò mia madre senza neanche voltarsi a guardarmi.
L’ex
Contessa Hiuga, quando dava un ordine, non accettava scuse.
Ciò mi
fece ripensare a mio padre. Era scappato meno di un mese fa con una contadina,
sottraendoci tutto il patrimonio. Mia madre era rimasta talmente amareggiata da
quel comportamento, così poco attinente ad un conte, da non riuscire neppure a
criticarlo. Che lo odiasse, però, era certo. A causa sua, eravamo rimaste piene
di debiti, che, come se non bastasse, il signor conte ci aveva tenuto
all’oscuro della loro esistenza. Io la pensavo come mia madre. Forse perché
odiavo mio padre già da prima. Mi aveva sempre e solo criticata, rinfacciandomi
di essere una delusione, nulla a che vedere con mia sorella minore. Forse, è
anche per questo, che quella piccola strega fa tanto la superiore nei mie
riguardi, anche ora che il suo adorato paparino è scappato. Le sta bene. Mi ha
fatto piacere quanto pianse per lui. Sciocca lei, che ci perse pure tempo!
Sospirai
abbattuta. Quella vita di sfarzi e lussi, da una parte mi attraeva, ma
dall’altra mi spaventava. Piena di intrighi e congiure…tutti apparivano amici,
ma nessuno lo era davvero.
Mia madre compresa.
Fortunatamente
mia sorella non era venuta con noi. Mia madre insistette che dovesse continuare
gli studi in collegio. Io, fortunatamente li avevo conclusi. Ripensando a ciò,
mi venne in mente il viso rosso di mia sorella quando nostra madre le rifilò la
notizia. Era così furiosa, che sarebbe potuta esplodere. Non mi rivolse più la
parola. Vorrei dire che non mi importasse, ma invece, mi manca.
La
carrozza si fermò davanti ad un enorme cancello finemente lavorato.
Sulla
scalinata sottostante vi era una bellissima donna bionda. I capelli raccolti in
tanti leggiadri boccoli che le ricadevano sulle spalle. Il viso bianco ed
incipriato marcavano l’alto stato sociale a cui apparteneva insieme ad un
costosissimo vestito rosato stretto in
vita e con una larga gonna con merletti alla fine e sui polsi.
Intorno a
lei, cinque dame ci guardavano indagatorie, sussurrando qualcosa all’ orecchio
della bellissima signora, che, però, le
ignorava.
Appena mia
madre scese dalla carrozza mostrò un ampio e splendente sorriso. Lì per lì
credetti fosse un angelo. Dimostrava all’incirca la mia età, ma intorno a sé,
risplendeva di un’aura di estrema nobiltà e femminilità.
- Benvenuta a Versailles, Cassandra.- squillò gioiosa.
- Grazie
mia Regina.- risposa serena e cordiale mia madre, con un tono talmente dolce da
stupirmi. Che magnifica attrice.
- Suvvia,
dammi del tu. Siamo amiche- ridacchiò.
Dietro di
lei le dame iniziarono a vociferare sorprese, anche se mi sembrarono per lo più
scandalizzate.
Il
portantino scese dalla carrozza prendendo i nostri bagagli e portandoli
all’interno.
- Ho fatto
preparare le vostre stanze, nel caso foste stanche.- disse pacata, salendo le
scale al fianco di mia madre. Sembrava un cagnolino ubbidiente.
- La tua,
Cassandra, è di fianco alla mia.- squillò – Così potremo dirci tutto quello che
la momentanea lontananza ci ha impedito di confidarci.-sorrise raggiante. Mia
madre contraccambiò, anche se il suo sorriso pareva più una smorfia di nausea.
- Mentre
quella della tua adorabile figliola – si affrettò ad aggiungere.
- Hinata.-
specificai io sottovoce, tono che la contessa Hiuga colse lo stesso,
fulminandomi con uno sguardo.
- …l’ho
fatta sistemare accanto a quella della mia figliola. Oh Cassy,- seguitò la
regina – vedessi la mia Ino com’è entusiasta all’idea di conoscere la tua
fanciulla! – batté le palpebre sognante.
Cercai di
distrarmi, guardandomi intorno. I pavimenti in marmo lucido, erano così puliti
da potermici specchiare. Sgranai gli occhi. Le meraviglie di quel nuovo paese
non erano finite. Tutto, i muri, il soffitto, persino le finestre, erano
finemente decorati con l’oro. Vi erano porte solo per alcune stanze, il resto
erano tutti archi e, a seconda di dove conducevano. Su ogni soffitto era pitturato un
differente affresco. Talvolta vi erano rappresentazioni miti greci e latini,
altre volte le stagioni oppure semplici rappresentazioni di fauna e flora
francese. Per non parlare dei mobili; splenditi, eleganti ed in legno
pregiatissimo.
Tutto
quello sfarzo, così insolito ai miei occhi, mi fece inavvertitamente perdere di
vista l’euforica regina e tutto il suo corteo. Lì per lì, accecata
dall’ambiente e dalla sua bellezza regale, mi sembrava poco importante, ma,
ridestatami subito dopo, mi guardai intorno, perplessa, iniziando a vagare per
le innumerevoli stanze della reggia, rendendomi conto, che l’immaturità e la
stupidità, che mio padre tesseva parlando di me, mi avevano fatto perdere nella
mia nuova abitazione.
Vagai cercando di mantenere un contegno, sotto gli occhi indignati e curiosi di chi incontravo strada facendo.
Chissà perché, quando cerchi delle informazioni,
nessuno te le sa dare, servitù compresa. Avrò chiesto a chiunque, ma nessuno mi
rispose. Prima mi studiavano e dopo una leggera riflessione, mi ignoravano come se
niente fosse.
Stavo
lentamente cadendo nel panico più totale. Mi immaginavo già i titoli dei
giornali: "contessina Hiuga dispersa appena giunta a Versailles" e mio padre,
chissà dove, leggendone il titolo avrebbe mostrato il suo solito sorrisino
beffardo, annuendo tra sé e sé.
Il panico
e la rabbia del momento, non mi fecero badare dove andassi o contro cosa
andassi. Aprii una porta, sovrappensiero, condannando così la mia vita alla più
tragica dei piaceri.
Il salotto
dove mi ritrovai era tra i più suntuosi, constatai in seguito, di tutta la
residenza. Il pavimento era di un marmo lucido e lisco, di un caldo color terra
di Siena bruciata. Tutt’intorno le pareti erano di un brillante intonaco bianco
contornata da mezze colonne corinzie, che sostenevano piante smeraldine, le cui
foglie larghe ricadevano a cascata sul pavimento, riflettendole nel corposo
marrone. Davanti a me, una grande finestra illuminava la stanza, accecandomi.
Le tende, di un tessuto brillante e semitrasparente, porpora, semi-oscuravano la
forte luce. Qualche curioso raggio, veniva deviato dal largo specchio su un
lato della sala quando vi si tuffava.
Tutto l’ambiente trasmetteva serenità e libertà. Mi sentii
tremendamente in pace, rassicurata e coccolata.
Al centro del salone un sofisticato tavolino in legno sfoggiava
un’innata eleganza, contornato da sette sedie imbottite da soffici cuscini
porpora.
Sembrava un luogo surreale ed immaginario, tipico solo
delle fiabe. Non riuscivo a credere ai mie occhi. Volevo, desideravo
ardentemente, non dover mai uscire di lì.
All’improvviso, l’aria si riempì del dolce profumo di pane
caldo. Chiusi gli occhi, lasciando libero il volto dal comando della mente,
permettendogli di seguire l’invitante scia. Mi salì l’acquolina in bocca.
Quando mi voltai, sul ciglio della porta, vi erano sette
ragazzi meravigliati ad osservarmi stupefatti e confusi, con in mano deliziosi
croissant.
Lì per lì, si guardarono l’un l’altra, sconcertati,
bisbigliando tra loro.
Solo una ragazza, distinta tra tutti per i raffinatissimi
abiti e una bellezza quasi inumana non si scompose nel vedermi. L’abito di raso
lilla risaltava vivamente sulla pelle bianca come gesso, coperta da lunghe e
soffici ciocche di capelli color del grano. Mi fissava, seria, con due
fiammeggianti occhi indaco, come oltraggiata dalla mia presenza. Di fianco a lei,
una ragazza più alta, mi fissava sospettosa sventolando un ventaglio nero in
pizzo san gallo. Si abbassò di qualche centimetro per sussurrare qualcosa
all’orecchio della ragazza di fianco a lei, la quale rise delle parole
dell’amica. Mentre parlava, mi lanciava sguardi ripugnati dai suoi occhi tra il
verde ed il nocciola, fieri, sottolineando con l’espressione, la mia
inadeguatezza alla situazione.
- Sicuramente…- cominciò la ragazza dalla carnagione
marmorea – sei nuova di qui, dico bene?- mi si avvicinò lentamente, come ad
osservare le mie reazioni.
- S-si! – balbettai vergognosa.
Ero protagonista di una macabra figura. Forse, mio padre
aveva realmente ragione su di me. Forse ero davvero un’inetta.
- Esattamente! – rispose quella – Perciò la servitù non ti avrà ancora informata del divieto
d’entrare in questa stanza.- pronunciò l’intera frase lentamente, assicurandosi
che io avessi inteso ogni sillaba. Mi era ad una spanna dal volto. Mi sorprese
vedere come fosse più alta di me. Il suo sguardo era così intenso, che dovetti
abbassare il mio per sopportare i suoi occhi chiari sulla pelle. Mi sentivo a
disagio. Mi fissava con un’intensità tale da farmi sentire come marchiata.
- Ora che lo sai, sbrigati ad andartene, sguattera!-
Alzai gli occhi tremanti, incerta. L’altra ragazza bionda,
trottava verso di me nella larghezza dell’abito di raso nero, scintillante,
scuotendo ad ogni passo, i buffi codini che le raccoglievano i capelli.
Mi prese per un polso, strattonandomi con foga. Gli occhi
le scintillavano maligni. Mi tirò dietro di sé, intenta a sbattermi fuori sotto
gli occhi sconcertati dei presenti.
Qualcosa, però, mi trattenne, tirandomi. La ragazza dal
vestito lilla mi aveva afferrato l'altra estremità della mano libera.
- Temari! – esclamò secca girandosi verso di lei e
fulminandola con i penetranti occhi – E’ vestita troppo raffinatamente per
essere una serva.-
Quelle parole mi sorpresero. La ragazza in nero mi lasciò,
umiliata, rigirandosi sui tacchi delle scarpe laccate ed uscendo dalla stanza,
sotto gli occhi increduli dei restanti presenti.
La mia salvatrice mi affiancò schioccando le dita.
Al suo comando una ragazza dai capelli corti, di un rosa
pallido, svolazzando nel suo abito rosso, si affrettò a chiudere la porta,
mentre uno dei tre ragazzi rimasti, le spostava la sedia per sedersi,
accompagnandola e gli altri due posavano
i dolci sul tavolo.
Dopo
di
lei, tutti presero posto, osservandomi come una giuria davanti al
condannato.
Li fissai tutti, terrorizzata, ma affascinata dalla loro aura di
intensa superiorità e raffinatezza, nonchè, di insana
bellezza, trapelante da ogno poro della loro perfetta carnagione. A
sinistra della ragazza, che sedeva al
centro, erano seduti due ragazzi meravigliosi. Il più vicino
alla bionda aveva
la pelle candita e le gote rosee. I capelli corvini e lisci, molto
lucidi. Gli
occhi neri ed inespressivi avevano una singolare scintilla di una
profonda
intelligenza. Indossava una camicia bianca, come tutti gli altri
ragazzi, e
pantaloni neri. Attaccato al suo braccio sinistro, poggiando il mento
sull’incavo della sua spalla, vi era u ragazzo biondo platino,
dai capelli corti e
scompigliati. L’aria felice e solare, si strusciava come un gatto
al compagno,
che non gli risparmiava teneri baci sulla chioma singolare. Sembravano
vivere
in un mondo tutto loro, circondati d’amore e gioia.
Seduto in
disparte, l’ultimo componente mi guardava vuoto e freddo con i suoi occhi di
ghiaccio contornati da un profondo nero. I capelli rossi fiammeggianti, le
gambe divaricate e le braccia incrociate. Sembrava scocciato e chiuso in sé e
di prim’acchitto, mi fece una terribile pena.
- Chi
saresti, di grazia?- mi domandò la bella signorina masticando un croissant e
coprendosi la bocca con la mano.
- Mi
chiamo Hinata…- feci una breve pausa, riprendendo fiato e cercando di calmarmi
mentre il cuore mi martellava in petto – Hinata Hiuga.-
- La
figlia della contessa.- proseguì lei.
- Che cosa
vogliamo farne?- domandò il ragazzo moro, accarezzando amorevolmente una
guancia del biondo morbosamente attaccatogli.
- E’ così
tenera Sa-kun! – urlò eccitato il gattino biondo tra una fusa e l’altra. Si
alzò saltellando verso di me e portandosi a pochi centimetri dal mio viso.
Arrossii emozionata. Era spaventosamente ed irristilmente bello, nei suoi
tratti infantili, da somigliare ad un peluche. Mi sorrise spensierato, emanando
allegria con i suoi occhi blu elettrici, girandomi intorno per poi correre a saltare al
collo del moro.
- Ti
preeeego Sa-kun… – iniziò ad implorarlo smielato - …possiamo tenerla, è?
Possiamo? Vero che possiamo?-
- Naruto!
– lo rimproverò gentilmente l’altro, stringendosi nel suo abbraccio – Non è
mica un cagnolino!-
- Però ha
ragione. – aggiunse il castano senza staccarmi gli occhi di dosso.- Non
possiamo lasciarla libera ordinandole di far finta di nulla. Oltretutto,-
aggiunse – ha attirato le ire di Temari. Non sopravviverebbe un secondo di più,
fuori dalla nostro giro.-
Quell’ultima
parola mi fece venire in mente qualcosa di tremendamente losco.
Chi erano loro?
Ma soprattutto: cosa volevano fare di me? E ancora peggio: Temari mi avrebbe
distrutta!
Se non ero
morta, ci mancava davvero poco.
- La metti
come un’ opera di bene ora?- lo canzonò la rosa stringendo la presa e
guardandolo di sottecchi.
Naruto
scoppiò in un’allegra e fragorosa risata.
- E’
deciso!- decretò la ragazza in lilla – Benvenuta nella Casa delle Bambole,
tenera Hinata. Io sono Ino, la figlia della regina Maria Antonietta e del Re di
Francia, nonché presidentessa di questa organizzazione.- sorrise porgendomi un
croissant.
Guardai la
sua mano protesa imbambolata, incerta sul da farsi.
Guardai
gli altri, cercando indizi, ma ricevetti solo presentazioni.
- Io sono
Naruto.- canticchiò il ragazzo allegro imboccando il compagno moro – E lui è il mio
ragazzo, Sasuke!-
“Ragazzo?” pensai. A quella parola avrei dovuto capire molto su quei
bizzarri personaggi e invece, mi ritrovai con le idee più confuse di prima.
- Io sono
Kankuoro, dolcezza e questa bella fanciulla accanto a me è una delle mie
concubine, Saku…- non fece in tempo a finire la presentazione che la ragazza
apparentemente indifesa gli diete un pugno fortissimo buttandolo a terra.
- Io sono
Sakura.- si presento lei sorridente ed indifferente.- Non badare alle insensate
parole di quel decelebrato mentale.- aggiunse aggredendomi e socchiudendo gli
occhi come un predatore mentre caccia la preda.
Spaventata
e rassicurata allo stesso tempo, non capii subito che Sakura era soggetta a
doppia personalità, che lei definiva, sbalzi d’umore.
-
Lui è
Gaara. Non pensare di cavargli parola di bocca. Lui non parla mai con
nessuno.- proseguì Sakura, indicando il giovane in disparte.
Posai lo
sguardo sul rosso il quale mi contraccambiò, liquidandomi con un gelido battito
di ciglia.
Ancora non
avevo inteso cosa significasse far parte della Casa delle Bambole, né che
compito avessi lì. A dire il vero non lo so neppure adesso. So solo che per la
prima volta, trovai qualcuno che mi fece sentire amata come in una famiglia.