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Autore: marziaaadm    21/07/2009    2 recensioni
Versailles, quanti segreti!
La giovane Hinata si trasferisce nella sfarzosa reggia insieme alla madre. Da quel giorno la sua vita subirà una svolta importantissima per lei ed i partecepanti al famoso quanto misterioso gruppo denominato: La casa delle Bambole.
Qual'è il loro compito?
Ma sopratutto, chi o cosa, trama alle loro spalle?
Tra amori, balli di gala e misteri apparentemente irrisolvibili, la tenera Hinata percorrerà la sua strada di ricordi fino al fatidico finale.
Siete pronti ad entrare a corte?
Genere: Romantico, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Yuri | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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la casa delle bambole

I nostri corpi strusciavano sinuosi sotto le leggiadre coperte. In perfetta sintonia, i nostri affanni ci rendevano sempre più partecipi alle nostre travolgenti danze.

Avevo bisogno di quel contatto. Ogni istante spostava il suo tocco su un punto qualsiasi del mio corpo che improvvisamente iniziava a scottare, come marchiato a vita.
Sentivo la sua passione avvolgermi e lentamente bruciavo nella lussuria.
Poi, rapido ed imperterrito, un dolore lancinante mi attraversò il petto. Abbassai lo sguardo, allibita.
Piccole gocce scarlatte, scendevano lente dal mio corpo, macchiando le lenzuola immacolate.

 

Primo: ©La casa delle bambole.

 

La carrozza correva sul sentiero, sussultando ogni qualvolta le ruote incontravano un dosso o qualcosa di simile. Fuori dal finestrino il paesaggio si mescolava in un pasticcio di colori verde accesso e terra, illuminato dai caldi raggi solari. La campagna francese…l’ho sempre trovata meravigliosa. Immense distese in fiore si estendevano ai bordi del sentiero illuminandosi al passaggio del vento che accarezzava i petali dei fiori di campo. Papaveri, margherite…tutto così caldo e vario!

Era una calda e ventilata giornata d’estate quando io e mia madre arrivammo a Versailles.

La prima volta che vidi quella reggia, di cui avevo solamente sentito vociferare, mai mi sarei immaginata fosse ancor più bella che nelle mie più recondite fantasie.

La carrozza attraversò il cancello sotto gli occhi vigili delle guardie di palazzo. Sembravano tanti damerini armati. Di quelli fieri e con la puzza sotto il naso.

Intorno non vedevo altro che giardini e fontane e tanti nobili intenti a spettegolare tra loro. Tutto era così surreale e meraviglioso, tanto da tener testa al paradiso. Mai, mi sarei aspettata una maschera così fastosa, per camuffare l’Inferno. Non so se definirlo Inferno sia giusto, so solo che la deprolevolezza di quell’ambiente era cosa nota a chiunque l’abitasse.

Purtroppo, contagiò anche me.

Forse ero solo io, che, non abituata a tanta magnificenza, vedevo tutto con gli occhi di un’ ingenua bambina. Ogni cosa per me era nuova. Persino l’aria, che respiravo pesantemente ogni giorno, mi sembrava strana e migliore. Come se avessi fatto un salto di qualità.

Ogni tanto, qualche viso incipriato si voltava ad osservarci meravigliata, oppure ci lanciavano sguardi di sufficienza.

Mia madre chiuse il ventaglio con uno schiocco.

Per me lei era ancor più meravigliosa della regina Maria Antonietta, che, il caso ha voluto, entrasse in stretta intimità con mia madre.

E la cosa mi sorprendeva davvero, essendo mia madre una donna acida come un limone.

- Bene Hinata, adesso che siamo a Versailles pretendo che tu ti comporti come una bambola. Non parlare, non ti atteggiare, non respirare. Sai in che problemi ci ha lasciate tuo padre, perciò, ora che abbiamo vitto e alloggio vedi di comportarti come è tuo dovere.- mi ordinò mia madre senza neanche voltarsi a guardarmi.

L’ex Contessa Hiuga, quando dava un ordine, non accettava scuse.

Ciò mi fece ripensare a mio padre. Era scappato meno di un mese fa con una contadina, sottraendoci tutto il patrimonio. Mia madre era rimasta talmente amareggiata da quel comportamento, così poco attinente ad un conte, da non riuscire neppure a criticarlo. Che lo odiasse, però, era certo. A causa sua, eravamo rimaste piene di debiti, che, come se non bastasse, il signor conte ci aveva tenuto all’oscuro della loro esistenza. Io la pensavo come mia madre. Forse perché odiavo mio padre già da prima. Mi aveva sempre e solo criticata, rinfacciandomi di essere una delusione, nulla a che vedere con mia sorella minore. Forse, è anche per questo, che quella piccola strega fa tanto la superiore nei mie riguardi, anche ora che il suo adorato paparino è scappato. Le sta bene. Mi ha fatto piacere quanto pianse per lui. Sciocca lei, che ci perse pure tempo!

Sospirai abbattuta. Quella vita di sfarzi e lussi, da una parte mi attraeva, ma dall’altra mi spaventava. Piena di intrighi e congiure…tutti apparivano amici, ma nessuno lo era davvero.

Mia madre compresa.

Fortunatamente mia sorella non era venuta con noi. Mia madre insistette che dovesse continuare gli studi in collegio. Io, fortunatamente li avevo conclusi. Ripensando a ciò, mi venne in mente il viso rosso di mia sorella quando nostra madre le rifilò la notizia. Era così furiosa, che sarebbe potuta esplodere. Non mi rivolse più la parola. Vorrei dire che non mi importasse, ma invece, mi manca.

La carrozza si fermò davanti ad un enorme cancello finemente lavorato.

Sulla scalinata sottostante vi era una bellissima donna bionda. I capelli raccolti in tanti leggiadri boccoli che le ricadevano sulle spalle. Il viso bianco ed incipriato marcavano l’alto stato sociale a cui apparteneva insieme ad un costosissimo vestito rosato stretto in vita e con una larga gonna con merletti alla fine e sui polsi. Gli occhi risplendevano di un vivo azzurro marino.

Intorno a lei, cinque dame ci guardavano indagatorie, sussurrando qualcosa all’ orecchio della  bellissima signora, che, però, le ignorava.

Appena mia madre scese dalla carrozza mostrò un ampio e splendente sorriso. Lì per lì credetti fosse un angelo. Dimostrava all’incirca la mia età, ma intorno a sé, risplendeva di un’aura di estrema nobiltà e femminilità.

- Benvenuta a Versailles, Cassandra.- squillò gioiosa.

- Grazie mia Regina.- risposa serena e cordiale mia madre, con un tono talmente dolce da stupirmi. Che magnifica attrice.

- Suvvia, dammi del tu. Siamo amiche- ridacchiò.

Dietro di lei le dame iniziarono a vociferare  sorprese, anche se mi sembrarono per lo più scandalizzate.

Il portantino scese dalla carrozza prendendo i nostri bagagli e portandoli all’interno.

- Ho fatto preparare le vostre stanze, nel caso foste stanche.- disse pacata, salendo le scale al fianco di mia madre. Sembrava un cagnolino ubbidiente.

- La tua, Cassandra, è di fianco alla mia.- squillò – Così potremo dirci tutto quello che la momentanea lontananza ci ha impedito di confidarci.-sorrise raggiante. Mia madre contraccambiò, anche se il suo sorriso pareva più una smorfia di nausea.

- Mentre quella della tua adorabile figliola – si affrettò ad aggiungere.

- Hinata.- specificai io sottovoce, tono che la contessa Hiuga colse lo stesso, fulminandomi con uno sguardo.

- …l’ho fatta sistemare accanto a quella della mia figliola. Oh Cassy,- seguitò la regina – vedessi la mia Ino com’è entusiasta all’idea di conoscere la tua fanciulla! – batté le palpebre sognante.

Cercai di distrarmi, guardandomi intorno. I pavimenti in marmo lucido, erano così puliti da potermici specchiare. Sgranai gli occhi. Le meraviglie di quel nuovo paese non erano finite. Tutto, i muri, il soffitto, persino le finestre, erano finemente decorati con l’oro. Vi erano porte solo per alcune stanze, il resto erano tutti archi e, a seconda di dove conducevano. Su ogni soffitto era pitturato un differente affresco. Talvolta vi erano rappresentazioni miti greci e latini, altre volte le stagioni oppure semplici rappresentazioni di fauna e flora francese. Per non parlare dei mobili; splenditi, eleganti ed in legno pregiatissimo.

Tutto quello sfarzo, così insolito ai miei occhi, mi fece inavvertitamente perdere di vista l’euforica regina e tutto il suo corteo. Lì per lì, accecata dall’ambiente e dalla sua bellezza regale, mi sembrava poco importante, ma, ridestatami subito dopo, mi guardai intorno, perplessa, iniziando a vagare per le innumerevoli stanze della reggia, rendendomi conto, che l’immaturità e la stupidità, che mio padre tesseva parlando di me, mi avevano fatto perdere nella mia nuova abitazione.

Vagai cercando di mantenere un contegno, sotto gli occhi indignati e curiosi di chi incontravo strada facendo. 

Chissà perché, quando cerchi delle informazioni, nessuno te le sa dare, servitù compresa. Avrò chiesto a chiunque, ma nessuno mi rispose.  Prima mi studiavano e dopo una leggera riflessione, mi ignoravano come se niente fosse.

Stavo lentamente cadendo nel panico più totale. Mi immaginavo già i titoli dei giornali: "contessina Hiuga dispersa appena giunta a Versailles" e mio padre, chissà dove, leggendone il titolo avrebbe mostrato il suo solito sorrisino beffardo, annuendo tra sé e sé.

Il panico e la rabbia del momento, non mi fecero badare dove andassi o contro cosa andassi. Aprii una porta, sovrappensiero, condannando così la mia vita alla più tragica dei piaceri.

Il salotto dove mi ritrovai era tra i più suntuosi, constatai in seguito, di tutta la residenza. Il pavimento era di un marmo lucido e lisco, di un caldo color terra di Siena bruciata. Tutt’intorno le pareti erano di un brillante intonaco bianco contornata da mezze colonne corinzie, che sostenevano piante smeraldine, le cui foglie larghe ricadevano a cascata sul pavimento, riflettendole nel corposo marrone. Davanti a me, una grande finestra illuminava la stanza, accecandomi. Le tende, di un tessuto brillante e semitrasparente, porpora, semi-oscuravano la forte luce. Qualche curioso raggio, veniva deviato dal largo specchio su un lato della sala quando vi si tuffava.

Tutto l’ambiente trasmetteva serenità e libertà. Mi sentii tremendamente in pace, rassicurata e coccolata.  Al centro del salone un sofisticato tavolino in legno sfoggiava un’innata eleganza, contornato da sette sedie imbottite da soffici cuscini porpora.

Sembrava un luogo surreale ed immaginario, tipico solo delle fiabe. Non riuscivo a credere ai mie occhi. Volevo, desideravo ardentemente, non dover mai uscire di lì.

All’improvviso, l’aria si riempì del dolce profumo di pane caldo. Chiusi gli occhi, lasciando libero il volto dal comando della mente, permettendogli di seguire l’invitante scia. Mi salì l’acquolina in bocca.

Quando mi voltai, sul ciglio della porta, vi erano sette ragazzi meravigliati ad osservarmi stupefatti e confusi, con in mano deliziosi croissant.

Lì per lì, si guardarono l’un l’altra, sconcertati, bisbigliando tra loro.

Solo una ragazza, distinta tra tutti per i raffinatissimi abiti e una bellezza quasi inumana non si scompose nel vedermi. L’abito di raso lilla risaltava vivamente sulla pelle bianca come gesso, coperta da lunghe e soffici ciocche di capelli color del grano. Mi fissava, seria, con due fiammeggianti occhi indaco, come oltraggiata dalla mia presenza. Di fianco a lei, una ragazza più alta, mi fissava sospettosa sventolando un ventaglio nero in pizzo san gallo. Si abbassò di qualche centimetro per sussurrare qualcosa all’orecchio della ragazza di fianco a lei, la quale rise delle parole dell’amica. Mentre parlava, mi lanciava sguardi ripugnati dai suoi occhi tra il verde ed il nocciola, fieri, sottolineando con l’espressione, la mia inadeguatezza alla situazione.

- Sicuramente…- cominciò la ragazza dalla carnagione marmorea – sei nuova di qui, dico bene?- mi si avvicinò lentamente, come ad osservare le mie reazioni.

- S-si! – balbettai vergognosa.

Ero protagonista di una macabra figura. Forse, mio padre aveva realmente ragione su di me. Forse ero davvero un’inetta.

- Esattamente! – rispose quella – Perciò la servitù non  ti avrà ancora informata del divieto d’entrare in questa stanza.- pronunciò l’intera frase lentamente, assicurandosi che io avessi inteso ogni sillaba. Mi era ad una spanna dal volto. Mi sorprese vedere come fosse più alta di me. Il suo sguardo era così intenso, che dovetti abbassare il mio per sopportare i suoi occhi chiari sulla pelle. Mi sentivo a disagio. Mi fissava con un’intensità tale da farmi sentire come marchiata.

- Ora che lo sai, sbrigati ad andartene, sguattera!-

Alzai gli occhi tremanti, incerta. L’altra ragazza bionda, trottava verso di me nella larghezza dell’abito di raso nero, scintillante, scuotendo ad ogni passo, i buffi codini che le raccoglievano i capelli.

Mi prese per un polso, strattonandomi con foga. Gli occhi le scintillavano maligni. Mi tirò dietro di sé, intenta a sbattermi fuori sotto gli occhi sconcertati dei presenti.

Qualcosa, però, mi trattenne, tirandomi. La ragazza dal vestito lilla mi aveva afferrato l'altra estremità della mano libera.

- Temari! – esclamò secca girandosi verso di lei e fulminandola con i penetranti occhi – E’ vestita troppo raffinatamente per essere una serva.-

Quelle parole mi sorpresero. La ragazza in nero mi lasciò, umiliata, rigirandosi sui tacchi delle scarpe laccate ed uscendo dalla stanza, sotto gli occhi increduli dei restanti presenti.

La mia salvatrice mi affiancò schioccando le dita.

Al suo comando una ragazza dai capelli corti, di un rosa pallido, svolazzando nel suo abito rosso, si affrettò a chiudere la porta, mentre uno dei tre ragazzi rimasti, le spostava la sedia per sedersi, accompagnandola e gli altri due posavano  i dolci sul tavolo.

Dopo di lei, tutti presero posto, osservandomi come una giuria davanti al condannato. Li fissai tutti, terrorizzata, ma affascinata dalla loro aura di intensa superiorità e raffinatezza, nonchè, di insana bellezza, trapelante da ogno poro della loro perfetta carnagione. A sinistra della ragazza, che sedeva al centro, erano seduti due ragazzi meravigliosi. Il più vicino alla bionda aveva la pelle candita e le gote rosee. I capelli corvini e lisci, molto lucidi. Gli occhi neri ed inespressivi avevano una singolare scintilla di una profonda intelligenza. Indossava una camicia bianca, come tutti gli altri ragazzi, e pantaloni neri. Attaccato al suo braccio sinistro, poggiando il mento sull’incavo della sua spalla, vi era u ragazzo biondo platino, dai capelli corti e scompigliati. L’aria felice e solare, si strusciava come un gatto al compagno, che non gli risparmiava teneri baci sulla chioma singolare. Sembravano vivere in un mondo tutto loro, circondati d’amore e gioia.
Nella parte destra, cominciando dalla più vicina alla ragazza in lilla, vi era una sedia libera, appartenuta alla fuggiasca Temari. Procedendo, un ragazzo dai capelli castani e gli occhi nocciola, posava il mento sul palmo della mano, sorridendomi amichevolmente con le labbra violacee e soffermando il suo sguardo su ogni centimetro della mia persona. Un brivido mi percosse la schiena. Di fianco a lui, era seduta la ragazza dai capelli rosa. Notai i suoi occhi verde chiaro e mi sembrò dolce ed indifesa, ma poi mi accorsi che stava stritolando la mano libera del castano con una forza ed una furia inconcepibili. Entrai così nel panico. Cominciai a sudare freddo ed a sbattere insistentemente e ripetutamente le palpebre, continuando a scrutare la tavolata.
Seduto in disparte, l’ultimo componente mi guardava vuoto e freddo con i suoi occhi di ghiaccio contornati da un profondo nero. I capelli rossi fiammeggianti, le gambe divaricate e le braccia incrociate. Sembrava scocciato e chiuso in sé e di prim’acchitto, mi fece una terribile pena.

- Chi saresti, di grazia?- mi domandò la bella signorina masticando un croissant e coprendosi la bocca con la mano.

- Mi chiamo Hinata…- feci una breve pausa, riprendendo fiato e cercando di calmarmi mentre il cuore mi martellava in petto – Hinata Hiuga.-

- La figlia della contessa.-  proseguì lei.

- Che cosa vogliamo farne?- domandò il ragazzo moro, accarezzando amorevolmente una guancia del biondo morbosamente attaccatogli.

- E’ così tenera Sa-kun! – urlò eccitato il gattino biondo tra una fusa e l’altra. Si alzò saltellando verso di me e portandosi a pochi centimetri dal mio viso. Arrossii emozionata. Era spaventosamente ed irristilmente bello, nei suoi tratti infantili, da somigliare ad un peluche. Mi sorrise spensierato, emanando allegria con i suoi occhi blu elettrici, girandomi intorno per poi correre a saltare al collo del moro.

- Ti preeeego Sa-kun… – iniziò ad implorarlo smielato - …possiamo tenerla, è? Possiamo? Vero che possiamo?-

- Naruto! – lo rimproverò gentilmente l’altro, stringendosi nel suo abbraccio – Non è mica un cagnolino!-

- Però ha ragione. – aggiunse il castano senza staccarmi gli occhi di dosso.- Non possiamo lasciarla libera ordinandole di far finta di nulla. Oltretutto,- aggiunse – ha attirato le ire di Temari. Non sopravviverebbe un secondo di più, fuori dalla nostro giro.-

Quell’ultima parola mi fece venire in mente qualcosa di tremendamente losco. 
Chi erano loro? Ma soprattutto: cosa volevano fare di me? E ancora peggio: Temari mi avrebbe distrutta!

Se non ero morta, ci mancava davvero poco.

- La metti come un’ opera di bene ora?- lo canzonò la rosa stringendo la presa e guardandolo di sottecchi.

Naruto scoppiò in un’allegra e fragorosa risata.

- E’ deciso!- decretò la ragazza in lilla – Benvenuta nella Casa delle Bambole, tenera Hinata. Io sono Ino, la figlia della regina Maria Antonietta e del Re di Francia, nonché presidentessa di questa organizzazione.- sorrise porgendomi un croissant.

Guardai la sua mano protesa imbambolata, incerta sul da farsi.

Guardai gli altri, cercando indizi, ma ricevetti solo presentazioni.

- Io sono Naruto.- canticchiò il ragazzo allegro imboccando il compagno moro – E lui è il mio ragazzo, Sasuke!-

Ragazzo?” pensai. A quella parola avrei dovuto capire molto su quei bizzarri personaggi e invece, mi ritrovai con le idee più confuse di prima.

- Io sono Kankuoro, dolcezza e questa bella fanciulla accanto a me è una delle mie concubine, Saku…- non fece in tempo a finire la presentazione che la ragazza apparentemente indifesa gli diete un pugno fortissimo buttandolo a terra.

- Io sono Sakura.- si presento lei sorridente ed indifferente.- Non badare alle insensate parole di quel decelebrato mentale.- aggiunse aggredendomi e socchiudendo gli occhi come un predatore mentre caccia la preda.

Spaventata e rassicurata allo stesso tempo, non capii subito che Sakura era soggetta a doppia personalità, che lei definiva, sbalzi d’umore.

- Lui è Gaara. Non pensare di cavargli parola di bocca. Lui non parla mai con nessuno.- proseguì Sakura, indicando il giovane in disparte.

Posai lo sguardo sul rosso il quale mi contraccambiò, liquidandomi con un gelido battito di ciglia.

Ancora non avevo inteso cosa significasse far parte della Casa delle Bambole, né che compito avessi lì. A dire il vero non lo so neppure adesso. So solo che per la prima volta, trovai qualcuno che mi fece sentire amata come in una famiglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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