Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Stardust_Explosion01    19/03/2019    0 recensioni
Ciao a tutti! Questa è la prima storia che pubblico su questo sito.
Attack on Titan è sicuramente uno dei miei anime/manga preferiti. Quindi, non potevo non dedicarmi nel comporre una piccola one shot strappalacrime su una coppia che continuo ad amare alla follia, nonostante è già da molto tempo che non viene più tanto considerata o apprezzata, ovvero la Rivetra.
Ho pensato di scrivere quali potessero essere i pensieri di Levi alla fine di quella sfortunata spedizione (e rivolti soprattutto verso qualcuno che ha scoperto troppo tardi di esserne affezionato), aggiungendo anche qualche piccola scena extra non appartenenti all'opera originale, ma che sono solo frutto della mia fantasia.
Vi auguro una buona lettura.
P.S. per goderla appieno, vi consiglio di leggerla ascoltando "Omake Pfadlib"
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Levi Ackerman, Petra Ral
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pensieri e lacrime

 

 


La spedizione era stata un completo fallimento. Non solo non erano riusciti a compiere la missione che avrebbe dato una marcia in più per l'intera umanità, ma anche perché stavolta avevano perso un numero inimmaginabile di soldati. Molti di loro erano per lo più delle reclute, tutte giovanissime, cosa che li colpiva maggiormente nel profondo.

 

Appena attraversarono l’entrata del Distretto di Karanes, ovviamente l'intero corpo di ricerca non poteva mica risparmiarsi i continui insulti da parte della popolazione, riguardanti in primo luogo l'utilizzo delle tasse del popolo stesso per poter finanziare quelle spedizioni che però fino ad allora non hanno portato altro che sconfitte.
Alcuni parenti delle vittime, non avendoli visti tra le file di soldati, si precipitavano preoccupati verso i carri, chiedendone la loro sorte, oppure il loro stesso corpo per dargli almeno una degna sepoltura, ma che purtroppo a malincuore alla maggior parte di essi non poteva essere concesso, avendoli scaraventati giù dal veicolo per poter almeno dare un ultimo aiuto ai pochi sopravvissuti.

 

Non dissero loro la verità, limitandosi a dire che avevano combattuto finché potevano, con coraggio e determinazione, e che la loro morte ha dato loro un motivo in più per continuare a combattere. Di conseguenza i parenti dei poveri malcapitati scoppiavano in lacrime, sotto gli sguardi scuri e delusi dei soldati.

 

Ad uno di questi soldati in particolare dedicheremo la nostra attenzione.

 

Nonostante la storta alla caviglia, camminava con passo lento e deciso, ma con il solo e unico desiderio di voler correre via da tutta quella gente e da quel continuo vociare.

 

Aveva una mano impegnata a tenere le briglie del suo cavallo color carbone, che fedelmente lo seguiva.
Troppi pensieri vagavano nella sua testa, ma uno in particolare continuava ad imprimersi poco a poco. Aveva vissuto fin troppi traumi riguardanti le perdite delle persone a lui care, e questa appena accaduta sicuramente l'avrebbe perseguitato in tutte le sue notti insonni,  fino al giorno della sua morte. Tra tutte, sicuramente la considerava una delle più drammatiche che abbia mai visto.

 

Ricordava benissimo quella innaturale posizione piegata all'indietro e quell'espressione del suo bellissimo viso, una volta dall'aria innocente, sempre sorridente e pieno di vita, ma che adesso traspariva una profonda disperazione.


Mentre era immerso in quella immagine, all'improvviso sentì alcuni passi svelti.
"Sicuramente un altro parente di quelle
vittime" pensava tra sé e sé, continuando a camminare. E in effetti sì, era proprio così. Ma perché non si stava dirigendo verso i carri, come se in realtà si stesse dirigendo proprio verso di lui?

Una voce gli diede la conferma. La voce di un uomo.

Gli si accostò a lui. Era un uomo alto sulla sessantina, con capelli e occhi castani, vestito da umile contadino.


-Capitano Levi!- disse l'uomo, stranamente con un tono allegro.
"Chi sarà e cosa vorrà questo scocciatore?" pensava abbastanza arrabbiato, come se ciò che era accaduto quel giorno non lo avesse già distrutto, sia fisicamente, che mentalmente.
-La ringrazio di esserti preso cura di mia figlia. Io sono il padre di Petra.-
Un battito perduto. La gola che cominciò a prudergli e a seccarsi. Gli occhi sgranati. Le labbra che si incurvarono più in giù.
Probabilmente ancora non sapeva la crudele verità. Era fin troppo felice e questo cominciava a fargli ancora più male.
-Volevo solo dirle qualche parola prima di andare da lei a salutarla.-
Adesso cosa gli avrebbe dovuto dire? Che sua figlia purtroppo non l'avrebbe mai più rivista e che non avrebbe avuto indietro neanche le sue spoglie? No, non se la sentiva in quel momento di parlare. Si limitò nel continuare ad ascoltarlo guardando avanti, con il suo cuore che man mano accelerava e la tristezza travolgerlo parola dopo parola, ma facendo molta attenzione a non darlo a vedere, mantenendo la sua indifferenza ed empatia. Non voleva affatto mostrarsi debole agli occhi di tutti.

 


-Mia figlia mi ha scritto questa lettera. Dice di voler essere completamente devota a lei. Ho come l'impressione che si sia innamorata. Dice anche che era al settimo cielo quando lei ha riconosciuto le sue capacità, accogliendola nella sua squadra. Ma sa, lei non si rende conto quanto un genitore possa essere preoccupato per una notizia del genere.-
"Sua figlia era un ottimo soldato, ma non doveva essere lei ad occuparsi di me. Dovevo essere io che, come suo capitano, doveva proteggerla, insieme a tutta la sua squadra, la mia squadra. Ma maledetto a me stesso, non ci sono riuscito. Sono arrivato troppo tardi. Perdonami, non meritava questa fine.” continuava a parlare nella sua testa, senza che uscissero dalla sua bocca, troppo amare per pronunciarle.
-Comunque, come suo padre, beh: secondo me è ancora troppo presto per pensare al matrimonio. È ancora troppo giovane ed ha ancora molte esperienze da fare, avendo ancora tutta la vita davanti.-
"Era troppo giovane per morire. Se solo fossi arrivato in tempo, a quest'ora sarebbe al sicuro nelle braccia del suo premuroso padre. E anche tra le mie, se fosse stato necessario."


Ricordava ancora quando aveva recuperato personalmente il suo corpicino senza vita, portandolo in braccio fino ai carri. Lo aveva depositato a terra vicino a tutti gli altri, in attesa di essere coperti dal telo bianco. Ma prima di ciò era riuscito, senza farsi vedere, a rubarle un veloce bacio sulle sue labbra ormai fredde e successivamente, a scucire dalla sua giacca il distintivo della legione esplorativa. Almeno avrebbe avuto un ricordo di lei... Se non fosse che purtroppo fu perduto subito, quando aveva deciso di donarlo ad un soldato che aveva appena perso un suo compagno, facendogli credere che era invece di sua appartenenza. Era già doloroso donare ad un altro una cosa sua personale (nonostante poteva comunque essere considerato un bel gesto di generosità, compiuto specialmente da una persona come lui), ma era ancora più doloroso vedere poco tempo prima come il corpo della ragazza, con il tempo che sembrava si fosse fermato, cominciò a volteggiare sospeso in aria, con i capelli e parte del suo volto coperto di sangue che riuscirono a farsi vedere da quel telo che li intrappolava con prepotenza.
La vide sbattere violentemente il suolo e cominciare ad allontanarsi sempre di più dal carro e da lui, che con uno sguardo di dolore osservava l'intera scena. Aveva un grande impulso di tornare indietro pur di riprenderla e riportarla a casa, ma l'orgoglio lo portò a non fare niente. Da perfetto codardo.

 

Dopo che il padre lo salutò e si allontanò finalmente da lui, lo sentì poco dopo cominciare a chiedere agli altri notizie di lei, non riuscendo a trovarla. Scoperta la triste verità da uno dei soldati, cominciò a piangere, urlando il nome della figlia perduta.
Non si fermò per andare a consolarlo, o a perdonarlo per non aver avuto il coraggio di dirglielo subito.

Anche il capitano aveva bisogno di lasciar fuoriuscire i suoi repressi sentimenti lontano da tutto e da tutti, cosa che effettivamente fece appena arrivò nella sua stanza.

 

Appena varcata la soglia e chiuso la porta a chiave, col piede malridotto diede un violento calcio alla sedia della sua scrivania, scaraventandola contro il muro, rompendola. Riuscì a sopportare il dolore dell'arto perché un altro più grande che aveva dentro ebbe la meglio, con la stessa intensità di un pugnale che gli perforava lentamente le carni.
Si privò della giacca, delle cinghie e della camicia, senza piegarli e sistemarli com'era solito fare, ma gettandoli in malo modo a terra, rimanendo a petto nudo con soltanto i pantaloni. Si sedette sul suo letto e mise la testa tra le sue mani, nascondendosi gli occhi, ormai coperti da lacrime che cominciarono ad uscire copiosamente.

 

Amava quella sua sottoposta. Così coraggiosa, forte, gentile e generosa con tutti, bella...
Sospettava già da tempo che lei provasse qualcosa di più per lui. Lo capiva da come arrossiva mentre gli parlava quando erano soli, oppure quando si rendeva in qualunque momento disponibile nell'aiutarlo, per esempio nelle sue continue e faticose faccende domestiche.

 

Amava quando ogni sera lei arrivava in camera sua, con il suo immancabile sorriso, a portargli il suo tè nero fumante. Lo considerava come uno dei momenti in cui poteva finalmente trovare un po' di pace.
Se solo fosse ancora viva, forse in un futuro anche non troppo lontano avrebbe potuto ricambiare i suoi sentimenti. Invece il fato ha voluto che le cose andassero diversamente, lasciando il capitano da solo a capire che era ormai condannato a vita nel perdere qualsiasi persona a cui cominciava ad affezionarsi.

 

Poteva anche essere considerato l'uomo più forte di tutta l'umanità, ma quando si trattava dei suoi sentimenti, sapeva essere invece il più vigliacco. Almeno quando era insieme a lei, riusciva poco a poco ad aprirsi, ad essere finalmente umano, anche perché lei riusciva a capirlo. Sapeva che la sua solita espressione, che agli occhi di chi lo conosceva solo superficialmente dava l’impressione di essere privo di ogni emozione, era in realtà solo una maschera per nascondere quello che in realtà provava realmente. E adesso che lei non c'è più, è arrivato per lui il momento di ritornare dietro quella maledetta maschera che tanto odiava.

 

Continuò a versare lacrime amare, emettendo anche qualche singhiozzo, cercando comunque di controllarsi, ma invano. Si sentiva debole. Non aveva più forze quella sera. La morte della sua graziosa e amata sottoposta lo aveva completamente sconvolto e ucciso dentro. Si sentiva il cuore che stava andando letteralmente a pezzi.
-Perdonami Petra. Ti prego di perdonarmi, per tutto...- disse dolorante con voce molto bassa e roca.
-Mi scuso anche con tutti gli altri. Nessuno di voi meritava di morire in questo modo. Sono stato un’idiota nel lasciarvi da soli ad affrontare quella puttana, fidandomi ciecamente delle vostre innate capacità, noncurante dello scherzo del destino sempre dietro l'angolo. Proprio nel momento del bisogno non ho potuto esserci per voi. Vi prego, perdonate il vostro stupido capitano. Mi mancherete, ragazzi...-

 

Pianse per così tanto tempo che senza accorgersene si addormentò, con le guance e le mani ancora umide, e la bocca socchiusa che ancora emetteva di rado qualche singhiozzo. Era da troppo tempo che non dormiva nel suo letto, troppo freddo e ordinato per accogliere i suoi continui incubi.

 

All'improvviso, dal nulla una figura angelica apparve accanto a lui. La forma era di una ragazza dagli occhi dorati e dai capelli ramati, che indossava un candido vestito bianco, lungo fino ai piedi. Dalla schiena scoperta spuntavano delle immense ali di due colori diversi: quella destra bianca e quella sinistra blu.


Osservava il suo capitano senza smettere di sorridere, nonostante anch'ella avesse gli occhi contornati da piccole perle d'acqua, però piene di luce.

 

Si chinò verso di lui, posando una sua piccola mano sulla fronte sudata di Levi, passandola lentamente prima sulla guancia destra e poi su quella sinistra, accarezzandole con una grande delicatezza.

 

Dopo essersi sistemata un ciuffo ribelle dietro l'orecchio, posò le proprie labbra carnose sulle sue. Fu un bacio lungo, ma casto, come se non avesse la minima intenzione di staccarsi da lui. Voleva godersi quel sapore tanto desiderato per sempre.

 

Però il tempo per lei disponibile era finito. Quando finì quel momento magico, lei si rialzò e subito fu avvolta da un forte fascio di luce, che cominciò a circondarla e a dissolverla. Ma prima di sparire del tutto, ebbe almeno il tempo di sussurrargli con un filo di voce le sue ultime parole:

 

-Capitano Levi, ti amo con tutto il cuore. Veglierò per sempre su di te come tuo angelo custode. Addio.-

 

   
 
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