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Autore: Red_Coat    20/03/2019    1 recensioni
(SEGUITO DI "IL PRIMO AMORE DI IGNIS SCIENTIA")
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Vivere o morire, queste erano le due opzioni disponibili.
Toccava ripartire da zero, tentando invano di dimenticare l'orrore e il dolore appena vissuto.
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(Dal terzo capitolo: "Alexandra riaprì gli occhi alla vita e la prima cosa che udì fu il silenzio, rotto solo dal ticchettio inesorabile dell'orologio sul comodino. (...) Era sola, esclusivamente di questo si accorse. Sola e disperata, senza più nulla al mondo.
Come avevano fatto gli dei a dimenticarsi della sua esistenza, quel giorno ad Insomnia? Forse erano davvero troppo preoccupati a difendere il loro prescelto?"
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ignis Stupeo Scientia, Iris Amicitia, Nuovo personaggio, Talcott Hester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il meraviglioso fuoco della conoscenza'
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Il momento del risveglio 

 
Vivo nel vuoto.
Un vuoto silenzioso e completamente buio, mi sembra di stare sospesa nel nulla, e questo posto mi spaventa. Ho sempre avuto paura del buio, ma di solito riuscivo a scappare via per accendere la luce, ora invece è diverso perché non riesco a muovermi. Ricordo il giorno della festa, Insomnia piena di decorazioni e di gente, il corteo reale. Le mie nipotine che applaudono entusiaste vedendo passare le limousine dai vetri oscurati.
Anna è ancora troppo piccola di statura, non riesce a vedere bene. La prendo in braccio e mi ringrazia stringendomi.
Sorrido.
Ho sempre avuto un rapporto speciale con lei.
Anche con la sorellina maggiore, ma all’epoca della sua nascita ero troppo piccola per capire cosa volesse dire avere dei nipoti. Ero un’adolescente, ultima di tre sorelle, ed ero gelosa perché vedevo i miei genitori impazzire per quel fagotto e trattarmi da grande.
Con Anna invece è stato tutti diverso. Era febbraio, dopo averla vista e averla stretta tra le braccia sono andata sulla spiaggia quasi mai deserta di Galdin, assieme alla mia famiglia, e mentre loro si godevano la giornata esplorando la macchia nei dintorni o curiosando al molo, io mi sono seduta in riva al mare e ho pregato. Ho pregato tanto gli dei di proteggerla, di aiutarla a crescere forte e sana, e di aiutarmi ad essere per lei una roccia, ad esserci sempre ogni volta che ne aveva bisogno.
Poi ho scritto quella preghiera sul mio diario e l’ho conservata, sperando di fargliela leggere un giorno, per fargli capire quanto le ho voluto bene.
Perciò sono felice ogni volta che mi stringe, mi sorride e vuole stare con me. So che presto arriverà l’adolescenza e come tutti sentirà il bisogno di essere indipendente, ma spero comunque di riuscire ad esserci.
Lo spero anche adesso, mentre la stringo e all’improvviso vedo la situazione precipitare. Qui i ricordi si confondono, alcuni svaniscono.
L’unica cosa che so e che improvvisamente vengo colpita. È un magitek, sono circondata da magitek e imperiali armati.
Ho male al petto, non riesco più a respirare né ha tenere gli occhi aperti. Dal destro non ci vedo più, vedo solo il sangue che gronda mentre io cado a terra e sento le mie forze scemare.
I suoni si ottundono, le immagini si offuscano fino a che non rimango completamente sola, nel buio. Subito dopo sento solo qualcuno sollevarmi, poi mi addormento del tutto. Quando i miei sensi si risvegliano, non ho la forza neanche di aprire gli occhi. Mi ritrovo in questo posto vuoto, e nel nulla sento riecheggiare in lontananza come un bip lento e continuo. Cerco di capire da dove provenga ma non vedo altro che il vuoto nero e pronto a risucchiarmi. Davanti e dietro di me, perfino sotto i miei piedi ho il vuoto.
Ho la sensazione tangibile di essere lontana anni luce da me, e per quanto io mi sforzi di aprire gli occhi, di alzarmi e fuggire, sento che non posso farlo. Non so più come fare. Il mio corpo sembra una macchina impazzita che non risponde più ai comandi e improvvisamente vado nel panico. Sento alcune voci, lontane come quei bip che ora si confondo con loro; dicono che sono in coma da … quanti giorni?
Riconosco la voce preoccupata di mia sorella che chiede se posso sentirla. Certo che posso, Monica! Posso, e non sono in coma!

E’ assurdo, come posso esserlo? Non ho sentito nulla, l’impatto non deve essere stato così violento. Mi ribello, cerco di muovermi ma non succede nulla, e sembra che il vuoto intorno a me cominci a risucchiarmi.
E che vogliono dire adesso queste tue parole? Perché parli come se dovessi morire da un momento all’altro?
Mamma? Cos’è successo alla mamma? Christine? Le bambine?? Anna!
Cosa le è successo? Perché fa così freddo qui!?
Cado in ginocchio e vorrei urlare, ma non ci riesco. Sono bloccata qui.
Mia sorella mi prende la mano, o almeno … credo sia a questo che devo attribuire tutte le sensazioni che sento adesso.
Avverto il suo calore, la stretta dolce delle sue dita attorno alle mie, e vorrei supplicarla di portarmi via di lì, a casa.
Ma non riesco ad aprire bocca. Non posso comunicare, non riesco nemmeno a stringerle la mano mentre la sento sussurrarmi di stare calma, che tutto andrà bene.
Ho paura del buio.
Ho paura Monica, portami via! Portami dalla mamma, per favore! Portami da Anna. Dov’è? Fammela sentire. Voglio sentire la sua voce…
Sigh…
Ho solo venticinque anni, non posso morire così...
Portami a casa, ti prego! Dì alla mamma che sto bene, che voglio un suo abbraccio, voglio vedere un suo sorriso!
Vorrei piangere, e invidio quella lacrima che è riuscita a sfuggire al mio controllo e che ora mi sta sfiorando la guancia. La immagino scivolare lenta fino a metà, e poi ripiegare dolcemente verso il cuscino mentre cerco disperatamente un modo per raggiungerla. E all’improvviso il vuoto si riempie. Succede tutto così, in silenzio, con la stessa rapidità di un battito di ciglia.
Prima ero avvolta da buio e adesso sono in una stanza buia, e una piccola luce illumina una vecchia porta in legno verniciato di nero lucido.
Mi guardo intorno, confusa e stranita.
Almeno adesso posso guardare dove cammino ma … questa stanza ha un’aria così familiare.
È piccola, lunga e stretta; le pareti bianche sono completamente spoglie, tranne che per la parete alla mia sinistra, su cui è adagiato un vecchio mobile d’antiquariato.
Un momento … ora la riconosco! È casa mia! La vecchia casa in campagna in cui sono nata, e che abbiamo abbandonato quando avevo dodici anni per trasferirci in città. Ad Insomnia.
Il mio cuore si gonfia di lacrime mentre allungo una mano e sfioro la parete fredda e irregolare.
Non ci posso credere, mi manca il fiato mentre sento quei ricordi farsi di nuovo vividi sotto i miei occhi e il passato ritornare in questo mio strano presente.
Ho fatto tanto volte questo esercizio di immaginazione per sentirmi al sicuro, visualizzare di trovarmi nella nostra vecchia casa in campagna mi faceva sentire protetta e calmava i miei attacchi di panico, ma stavolta non è solo un’immagine lontana e statica.
Sento la superfice fredda, spessa e irregolare del muro bianco sotto i polpastrelli, vedo tutte le sue piccole imperfezioni.
C’è un piccolo mobiletto in legno a metà corridoio, lo sfioro e sento le lacrime raggiungere immediate i miei occhi. E’ tutto come lo ricordavo, tutto come lo abbiamo lasciato.
Le sensazioni, i profumi, i colori. Perfino la luce, quella forte e rassicurante del mattino. Proviene dalla porta aperta del piccolo soggiorno, dove stanno ancora il divano di vecchia pelle consunta coperta da un bel copridivano verde chiaro con ghirigori floreali, la meravigliosa credenza in legno laccato e la piccola libreria in stile industriale, essenziale ma funzionale.
Mi affaccio soltanto a guardare.
Al centro della stanza, sul nudo pavimento in piastrelle di ceramica che sembrano composte da cemento ingiallito e vecchie pietre, troneggia il rustico tavolo in legno levigato, rotondo e allungato, mentre dall’ampio finestrone entrano prepotentemente la luce del sole del mattino e i rumori della campagna risvegliata.
Non posso non accorrere a fare di nuovo quello che facevo da bambina, quando nonostante il solo metro e mezzo di altezza dell’infisso dal pavimento mi arrampicavo sulle punte o saltavo su una sedia per godermi l’incantevole spettacolo in prima fila, durante mattinate di pioggia o assolati pomeriggi estivi.
Mi fiondo alla finestra, la spalanco e un sorriso meravigliato e incantato ritorna a risplendere sul mio volto. Oh, per tutti gli dei!
Non ci posso credere! Non … io non riesco a crederci, non riesco a credere di essere finalmente tornata!
Quanto tempo ho aspettato, per quanto tempo sono stata in attesa che tutto questo accadesse, sognando durante cupi pomeriggi immersa nel caos cittadino di essere qui dove sono ora, a casa mia, osservando tutto questo!
Gli alberi di agrumi di fronte a me sono rigogliosi e verdi, un piccolo boschetto delle meraviglie proprio di fronte casa il cui agrodolce aroma si leva verso il cielo terso sopra il tetto di tegole rossicce e verso di me, risvegliando i miei sensi troppo a lungo sopiti.
Chiudo gli occhi e inspiro quella pace troppo a lungo negata, accolgo la carezza del vento della mia terra e a poco a poco mi sciolgo, inizio a piangere di gioia mentre ascolto il canto dei fringuelli, il dolce frusciare delle foglie, la morbida carezza dei raggi solari.
Ben presto la mia voglia di ritrovare il contatto con la mia Madre Terra si fa viva, incontenibile, e allora mi dirigo di nuovo verso quella porta, che non è nera ma marrone scurissimo, la apro e mi dirigo fuori, nel piccolo patio lastricato, calpestando il cemento e le mattonelle che fu mio padre stesso a posare.
Lo ricordo come fosse ieri, e magari è anche così visto che il solito tavolo è ancora lì, appoggiato al muro della vecchia cascina proprio a pochi passi da dove mi trovo io.
Mia madre lo ha coperto con una tovaglia di plastica a quadretti rossi e bianchi, e ci ha messo su un grande cesto di olive e un ammaccatoio, ma pur apprezzando la loro famigliare presenza continuo a guardarmi intorno e ad abbeverarmi di tutto questo.
La luce del sole illumina pienamente la facciata della casa, sulla parete del tavolo cresce spontaneo un viticcio di uva nera selvatica.
Ne colgo un chicco e lo assaporo gustandone la sapidità dolciastra e intensa. Mhhh, che delizia! Non sono mai più riuscita a mangiare un chicco d’uva così buono!
Poi scendo nel boschetto, mi perdo tra i piccoli alberi di limoni, mandarini e aranci, ne accarezzo i frutti pieni di un arancio e un giallo quasi spendenti, arrivo al limitare e mi siedo sul ciglio del burrone ad osservare l’orizzonte oltre la mia piccola tenuta, fatto di dolci colline, monti lontani e, in alto sopra tutto questo, ancora e sempre un cielo azzurro e vivo come poche cose a questo mondo.
Si, perché la mia terra non è solo terra.
E’ potente, calda, giocosa, accogliente, sensuale.
E’ una madre generosa, una donna bellissima e capricciosa, una rossa signora che un giorno, quello in cui sono nata, mi ha guardato e mi ha stretto a sé, insegnandomi tutto quello che so, e aiutandomi ad essere ciò che sono oggi.
Io sono la mia terra, mai nessuno potrà togliermi tutto questo.
La mia terra…
Dolce, ribelle, selvaggia eppure materna, comprensiva, impetuosa, volubile.
Non importa a chi appartiene adesso, non importa di chi sia questa casa, sulla carta.
Questa voce corre verso di me nel vento, la sento sussurrare il mio nome, e la sua essenza mi appartiene come a lei appartengono tutte le cose che faccio, tutti i miei sorrisi e i miei sospiri, le mie ricette e i miei scritti, perfino i miei sogni.
E così oggi, dopo tantissimo tempo, sono ritornata nella mia terra, nella casa dove sono nata e che lasciare mi ha spezzato il cuore, letteralmente visto che ero ancora piccola e nel pieno del mio processo evolutivo.
Il fatto è che non è importante la casa, o la terra annessa.
È proprio quel territorio a chiamare, la natura intorno, i ricordi.
La casa è un rudere, piccola e ora anche abbandonata e in decadimento.
Ma ho chiuso gli occhi e ho respirato il suo fiato e il profumo degli alberi, e di nuovo l'ho sentita quella voce inconfondibile, fatta di suoni, odori e silenzi.
Perfino il calore dell'aria è unico, solo suo. E’ di questo che parlo, è stata quella voce a crescermi dentro, a fare di me ciò che sono oggi. Sono convinta che perfino la mia passione per la scrittura, la mia fantasia, anche la mia sensibilità, li devo a lei.
Questa meravigliosa donna dai capelli rossi bella da mozzare il fiato, superba, bizzosa e dolce più di una madre.
Sarà per sempre mia, ovunque sarò. Nei miei racconti, nei miei piatti, in ogni mio più intimo pensiero, nelle mie lacrime e nei miei sorrisi. In ogni mio più piccolo gesto e in ogni respiro.
La mia Madre Natura, non importa ciò che dice o dirà la gente, non conta niente fino a che io e lei riusciremo ad ascoltarci.
E così qui, cullata dalla sua dolce voce e accarezzata dal suo respiro caldo, chiudo gli occhi ancora una volta e intrappolo quel cielo azzurro dentro alle mie pupille, tornando a poco a poco a sognare, mentre il cuore si calma e i muscoli si distendono.
Non so come questo sia stato possibile, non so se è un sogno o realtà.
Ma Lei mi sta parlando, ed era da tantissimo tempo che volevo ascoltarla di nuovo.
 
 
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Insomnia è deserta, devastata.
Mi sento irrequieta come un cucciolo spaventato mentre mi guardo intorno sorpresa e sconvolta, chiedendomi grazie a quale miracolo io mi trovi qua.
Mi ritrovo circondata da mura sconosciute, al sicuro in mezzo alle macerie della mia città.
Assieme a me altri sconosciuti, di ogni età e ceto, tutti terrorizzati e sperduti quanto me. Poco rassicurante è usare un eufemismo bello e buono.
E’ una stanza piccola, sembra il corridoio di un piano dentro un grattacielo, oppure no è una stanza dentro ad un appartamento di un grattacielo.
Non lo so, non capisco e ho ancora più paura.
So solo che fuori c’è la guerra, e oltre le vetrate delle finestre il tramonto cala su una Insomnia caduta, ormai priva di vita.
Mi affaccio a guardarlo e rimango sgomenta. Il cielo è rosso sangue, c’è un silenzio tombale rotto solo da qualche sparo ogni tanto, lo scricchiolio del fuoco delle macerie e i passi lontani dei magitek.
Arretro e scappo, vado in cerca dei miei nelle altre stanza della casa.
Oltre una porta è ancora più buio, ogni cosa è caduta. Sento i versi dei daemon in lontananza oltre una porta di emergenza spalancata e penso solo che sono sempre più vicini e che devo fare qualcosa se voglio salvare me e gli altri rifugiati. Non riesco a muovermi però, sono paralizzata dalla paura.
Non ho mai visto un daemon in vita mia, non dal vivo almeno. Ma i loro versi sono raccapriccianti e voglio solo che smettano, perciò forzo me stessa e corro a chiudere la porta, sbarrandola con quello che trovo sotto mano. Fatto, ora non potranno entrare, o almeno spero.
Mi accascio con la schiena contro l'uscio, chiudo tremante gli occhi e traggo un respiro di sollievo nel constatare che perfino i loro versi angoscianti sembrano rimasti fuori.
Poi però un dubbio balena alla mia mente: E se lo avessero già fatto? Se fossero già riusciti ad oltrepassare la soglia e mi stessero aspettando nell’ombra.
Ricomincio a sudare freddo, spalanco gli occhi alla ricerca dei loro ma tutto ciò che vedo è semi oscurità e macerie.
In questo piccolo corridoio una volta dovevano esserci almeno tre stanza, ma una è stata travolta dal tetto, l’altra completamente cancellata. Solo la terza, la cui porta è proprio alla mia destra, è ancora intatta, e da lì sento arrivare un ronzio sinistro e per niente rassicurante.
Sembra come se qualcuno stia russando, ma c’è uno strano sibilo a intermittenza che mi confonde e mi inquieta.
Eppure mi faccio forza, supero la soglia ed entro nella piccola camera da letto. Forse è qualcuno che conosco, magari sa dove si trovano mia madre, le mie sorelle e le mie nipoti. Spero che Anna stia bene, per gli dei! Tremo al solo pensiero di saperla sola e spaventata la fuori, o peggio ancora circondata dai daemon oltre quella porta!
Ma non ho sentito urla o voce di bambina, quindi mi cullo nel dubbio che non si trovi là.
Ora ho altro a cui pensare. Mi guardo intorno e noto subito che il russare è dovuto ad una donna che dorme nel letto matrimoniale di fronte a me. E’ la sola nella stanza, ha lunghi capelli neri e un viso emaciato, nascosto in parte da esso.
Di fianco a lei un piccolo cagnolino che sembra un cocker dal pelo chiaro, se ne sta buono ad aspettare, mi guarda con occhietti sicuri e per un attimo mi sento tranquilla. Ma dura poco.
Mi mette i brividi, sembra faticare a respirare e dopo ogni espirazione un sibilo sinistro si leva dai suoi polmoni. Mi accorgo di non riuscire a smettere di guardarla.
Ha qualcosa di famigliare, ma non voglio stare un attimo di più a guardarla, mi inquieta e sono talmente suggestionata che mi sembra di essere nelle sue stesse condizioni, mi sento mancare il respiro e tossisco mentre mi dirigo fuori, lasciandola sola.
Torno verso la luce, verso i sopravvissuti. Ormai per lei non c’è più niente da fare, anche se mi dispiace non molto non esserle di alcuno aiuto. Vorrei, ma non posso fare nulla.
Avviso tutti della presenza dei Daemon e propongo di uscire.
 
-Se restiamo prima o poi ci troveranno e saremo in trappola, dobbiamo andarcene.- dico.
 
Tutti quanti sembrano convincersi, ma qualcuno mi avvisa che fuori ci sono i soldati e le strade sono pericolose.
 
-Se ci trovano potrebbero ucciderci.- mi dice un uomo dall’aria greve e il volto scavato solcato dalle rughe.
 
Cado di nuovo nell’incertezza ma riesco stranamente a cavarmela.
 
-Usciremo a gruppi, le porte della città non sono distanti da qui.- dico determinata –Le donne e i bambini dietro agli uomini.-
 
Meglio uccisi da un magitek che divorati da un daemon, l’essenza stessa della paura. Su questo non ho dubbi, forse è questo a farmi risultare sicura, ha darmi la sensazione di essere invincibile.
Non voglio morire, o almeno non voglio farlo con gli occhi demoniaci di una creatura della notte puntati nei miei.
Li vedo annuire, il primo gruppo è quello che include anche me.
Ciò che troviamo all’esterno è il vuoto, lo sconforto e la devastazione più totale.
Ci sono macerie, comignoli di fumo e cadaveri ovunque, ogni tanto si sentono i passi di un magitek e ci fermiamo a ripararci dietro un muro, irrigidendoci.
Ho il fiato corto dalla paura e il cuore in gola.
Guardo il cielo sopra di noi, oltre i tetti mozzati dei grattacieli, e con angoscia vedo che sta scolorendo. Presto sarà buio, e i daemon ci raggiungeranno anche qui, non so se è una buona scelta andarsene adesso.
Forse avrei dovuto aspettare, forse restare con quella donna malata e il suo cagnolino in attesa dell’alba era la scelta migliore, ma adesso non posso più guardarmi indietro.
Continua ad avanzare muovendomi nell’ombra per tutto il percorso, un lungo rettilineo.
Poi finalmente intravedo i cancelli aperti e non so cosa mi prende, letteralmente impazzisco, corro fuori dal mio nascondiglio verso la mia via di fuga, la salvezza, e me ne frego dei magitek che si voltano a guardarmi puntandomi contro i fucili, ma senza sparare.
Non mi chiedo neanche perché non mi abbiano già fucilato.
Esco, e vedo le colline oltre Insomnia, gli ampi spazi, la libertà!
Sono libera, sono salva. Come … come faccio?
Come ho fatto ad essere salva dall’inferno sceso in terra?
Cado in ginocchio baciando terra, e nemmeno per un istante mi concedo anche solo un singolo dubbio. E’ così bello essere vivi! Così bello essere qui, che se tutto questo è solo un sogno, la mia strada verso il paradiso vero e proprio, vi prego di non svegliarmi per nessuna cosa al mondo.
Non svegliatemi, vi prego!
Lasciatemi ancora qualche istante per respirare l’aria melanconica di questo tramonto insanguinato che mi vede trionfatrice e superstite.
 
***
 
Altri tre giorni e mezzo trascorsero, dalla fatale operazione che come i medici avevano previsto costò la vita a Monica Baker.
La notizia raggiunse Iris come un terremoto e la sconvolse ancor di più.
Le aveva incontrate da poco, ma si sentì come se avesse perso anche lei una sorella, in colpa e devastata.
Monica le aveva fatto promettere di prendersi cura di Alexandra se le cose fossero andate male.
Fu questo a tenerla saldamente ancorata alla sua solare positività.
Non tutto era perduto, poteva ancora fare del suo meglio. Si sentiva in colpa, anche se sapeva bene che le disgrazie che avevano colpito Alexandra erano tutte da attribuirsi solo all'Impero.
L'Impero, già.
Niflheim era diventato una irritante presenza nella vita di tutti i giorni, non solo per lei ma per tutti quelli come loro, che a causa degli imperiali avevano perso casa, famiglia e le persone a loro più care.
Ripensò a Noctis e a Re Regis, che aveva cercato in tutti i modi di evitare il peggio, passeggiò nei corridoi dell'ospedale nel tentativo di scacciare l'angoscia ascoltando i racconti dei profughi, ed ogni storia che si aggiungeva a quel quadro peggiorava ancora di più la situazione.
Era sempre stata una ragazza solare e spensierata, anche se nascondeva un animo romantico e riflessivo.
La guerra e tutte le sue conseguenza adesso, almeno per il momento, le avevano portato via quel sorriso, spegnendolo e rendendolo artefatto quando provava a riportarlo sulle sue labbra.
I primi ad accorgersene ovviamente furono Jared e suo nipote, Talcott.
Il bambino, già una piccola guardia reale in quanto a senso di responsabilità, cercava senza trovarlo un modo per aiutarla.
Le portava il pranzo e la cena, visto che lei non si azzardava a lasciare il capezzale della giovane Alexandra temendo che si svegliasse da sola o che succedesse qualcosa di terribile nel frattempo viste le misere condizioni in cui versava.
Tubi per facilitarle la respirazione, per idratarla e nutrirla, tubi per tenerla collegata alle macchine.
Ormai non si riconosceva nemmeno più, mentre il suo aspetto cambiava, emaciandosi, e il suo respiro si faceva sempre più affannoso.
Un giorno, mentre lei era fuori dalla stanza a parlare col primario, aveva avuto una crisi respiratoria e aveva fatto andare in agitazione praticamente mezzo reparto.
Iris era rimasta fuori a piangere a singhiozzi mentre osservava i medici affannarsi attorno al corpo scosso dai tremiti e dai singulti.
Per fortuna era passato, i medici le avevano detto che era normale e che crisi come quella avrebbe dovuto aspettarsele anche dopo che si fosse svegliata, soprattutto nei primi tempi.
Ma proprio la paura che ricapitasse l'aveva tenuta sveglia.
Aveva pregato gli dei per lei, perché le dessero la forza di riuscire a farcela.
Ma intanto la sua di forza stava lentamente scemando.
Se solo Gladio fosse stato con lei.
Spesso tornava indietro con la menta alla loro ultima cena di famiglia.
Le mancavano da morire, ma badare ad Alexandra la aiutava a non pensare ai suoi di guai.
Tuttavia ... Quanto avrebbe voluto avere almeno suo fratello vicino!
Aveva preferito non dirgli nulla e sentirlo solo per messaggio, per non farlo preoccupare.
Era già un sollievo fossero riusciti a salvarsi, loro quattro.
Anche quel giorno Iris Amicitia lo aveva passato seduta al capezzale della ragazza, leggendo, guardandola e pensando, mentre il sole sorgeva e poi discendeva nel cielo di Lestallum, oltre il vetro della finestra della stanza.
Attenta ad ogni minimo segno del corpo della ragazza, aveva visto prima le palpebre battere e poi un dito della mano destra muoversi, ma non si era allarmata più di tanto.
Già un paio di volte nel corso di quei tre giorni c'erano stati movimenti simili da parte della paziente, ma poi il medico aveva scosso il capo grave.

-È ancora troppo presto, evidentemente. Però siamo sulla strada giusta.-

Le avevano fatto diversi esami, encefalogrammi e TAC, erano giunti alla conclusione che in quei momenti la paziente si stesse limitando a sognare.

-L'attività celebrale è buona, un ottimo segno.-

Però ancora il momento del risveglio non era arrivato, anche se ad ogni giorno che passava i medici erano sempre più fiduciosi.
Le analisi odierne avevano dato ottimi risultati.

-Il respiro sembra essersi quantomeno regolarizzato, quel leggero fischio che sentiamo è dovuto alla difficoltà dei polmoni di compiere i propri movimenti. Anche i valori sanguigni sono buoni, ormai il corpo ha assorbito il colpo.-

Erano a buon punto sulla strada del ritorno a casa, dunque.
Ripensando fiduciosa a quelle parole Iris la guardò e sospirò stanca, sorridendo appena.
Si allungò verso di lei, prendendole una mano.

-Forza, Alex. Un ultimo sforzo e torni tra noi, coraggio... Non sarai sola, te lo prometto.- aggiunse poi, sentendo il peso della stanchezza e della tristezza farsi di nuovo pesante sopra al proprio minuscolo corpo.

In fondo aveva solo 15 anni, eppure sembrava già più grande della sua età.
Anche Alexandra lo sembrava, adesso.
Colpa dei capelli sudati e ingarbugliati appiccicati al cranio, delle cicatrici e delle profonde occhiaie.
Colpa della guerra, che aveva strappato troppo a entrambe.
Si alzò, andò alla finestra ad osservare il tramonto e si perse in quei colori, in quel meraviglioso rosso acceso che infuocava il l'orizzonte e rifulgeva riflettendosi sul meteorite della Faglia di Cauthess.
Sospirò, perdendosi nei suoi pensieri, e a poco a poco sentì la mente prendere il volo e librarsi per qualche attimo via da tutte quelle ansie e quelle disgrazie.
Tornò indietro agli attimo passati con suo fratello, ai pomeriggi assolati trascorsi ad esplorare Insomnia e il palazzo reale assieme ad un giovanissimo principe Noctis, anche lui ancora privo di paturnie e responsabilità.
Rivide sua madre e suo padre, e lo sguardo anziano e amorevolmente severo di Re Regis.
Per un istante fu come se fossero tornati tutti lì, da lei, a farle coraggio e rincuorarla, trasportati dalla magica luce del sole al tramonto.
La notte li avrebbe portati via, forse per sempre o magari solo fino alla prossima alba, fino a quando avrebbe di nuovo avuto bisogno di loro.
Qualcuno bussò alla porta, quattro colpi decisi, riportandola alla realtà.
Jared entrò col suo passo claudicante e le sorrise.

-Iris, è tanto che stai qui. Hai davvero bisogno di un po’ di riposo.- le disse dolcemente.

Iris gli sorrise a sua volta.
Jared e suo nipote cercavano in ogni modo di alleggerirle il carico da quando questo calvario era iniziato. Il vecchio maggiordomo degli Amicitia le stava vicino come un padre e non era la prima volta in quei tre giorni che le chiedeva di concedersi un po’ di relax.

-Capisco tu sia preoccupata, ma hai solo 15 anni e la situazione è già abbastanza complicata.- le aveva detto il giorno dopo la morte di Monica.

Era riuscito a strapparle così la promessa di andare a dormire in albergo e concedersi almeno un paio di ore al giorno per passeggiare per le strade della cittadina con Talcott, ma comunque ancora non era abbastanza.
Era diventata una donna all'improvviso e troppo presto, e Jared si sentiva responsabile perché l'aveva vista nascere, e aveva conosciuto la sua famiglia ed il loro Re.
Nessuno avrebbe voluto questo per lei, ma l'Impero se n'era infischiato.
Così restavano loro, anzi solo lui, a prendersi cura della piccola come fosse sua figlia. Con suo nipote Talcott in fondo era successa la stessa cosa, ormai era avvezzo a doveri di questo genere e ne sentiva anche l'onore oltre che l'onere.

-Coraggio, usciamo un po’ e andiamo a mangiare qualcosa di buono.- la invitò cordiale e tenero -Ci sono i medici ad occuparsi di lei, ci avviseranno non appena dovesse accadere qualcosa.-

Iris gli rivolse uno sguardo titubante, lanciando rapide e ansiose occhiate alla ragazza.
L'idea di uscire da quella stanza era allettante, ma ... e se si fosse svegliata senza trovare nessuno? Se avesse avuto un'altra crisi?
Dov'erano i medici? Si sarebbero accorti di lei con tutto quello che avevano da fare in ospedale.
Il viso gentile di Jared era rassicurante ma non abbastanza.
Tuttavia ... non ce la fece a resistere a lungo, si sentiva stanca e aveva bisogno di evadere.
Annuì sorridendo, gli occhi lucidi pieni di gratitudine, e si lasciò accompagnare alla porta stretta in un abbraccio rassicurante.
Fuori la attendeva il primario che le disse di rilassarsi e le consigliò di restare a dormire in albergo per quella notte.

-Sarete avvisati non appena avremo novità, ve lo prometto. Adesso devi pensare solo a riposare signorina, d'accordo?-

E lei accettò di buon grado, ormai rassegnata.
In effetti non serviva poi a molto stare lì fino a che Alexandra fosse stata in coma, meglio riposarsi nell'attesa di poter essere veramente utile.
Il tempo sarebbe arrivato molto presto, anzi era già iniziato; così, proprio come sboccia un fiore o una farfalla spalanca le ali a nuova vita, un'ora dopo, mentre la giovane Iris Amicitia si concedeva un po’ di giusto riposo, gli occhi di Alexandra Jane Baker si riaprirono al mondo, rivelando al corpo la propria, all'apparenza contraria metamorfosi.
Da splendida farfalla a bruco un po’ ammaccato, senza più ali di sogno per volare e con gli occhi un po’ troppo offuscati per potersi guardare intorno.
Era quasi impossibile crederci, che una cosa del genere fosse accaduta.
Impossibile accettare che fosse accaduta proprio a lei, che si era guadagnata la felicità con così tanta fatica, e in un attimo l'aveva vista svanire.
Impossibile, ingiusto.
Ma la realtà a volte sapeva essere crudele quanto l'Impero di Niflheim e quell'uomo di nessuna conseguenza, il suo vendicativo cancelliere le cui mani ora erano piene del sangue di tutti loro: Ardyn Izunia.

Anzi, con lei era stata anche troppo clemente.
 
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Il leggero battito del suo cuore.
Come prima cosa fu questo ciò che Alexandra Jane Baker sentì, ancor prima di riaprire completamente gli occhi.
Era stata per molto immersa in un mondo fatto di ricordi e pace, ma non aveva potuto scacciare la terribile sensazione di non essere nel posto giusto, nel tempo giusto.
Aveva continuato a vivere in quel mondo lontano dal mondo, poi all'improvviso si era sentita come sollevare e a poco a poco il peso del suo corpo l'aveva riportata a terra.
Era stata una sensazione dapprima stranissima e bella, come riappropriarsi del proprio corpo, poi sempre più angosciante, quando fitte di dolore sempre avevano iniziato a farsi sempre più presenti, assieme alla sensazione che qualcosa non andasse.
"Forse..." si disse "Sarà perché sto dormendo e tutto questo non è che un sogno dal quale devo svegliarmi."
Ma qualcosa non andava. Che centrava comunque tutto quel dolore con lei?
Doveva capire, sapeva che solo andando oltre la paura sarebbe riuscita a farlo.
Così si aggrappò a quelle sensazioni e lentamente riemerse, risalendo a fatica, fino a quel momento tanto atteso.

Riaprì gli occhi, lentamente, e cercò di guardarsi intorno.
La visuale era offuscata come i suoi sensi, lì per lì non le fu facile neppure accorgersi della differenza fra il prima e il dopo. Si sentiva un peso morto sopra quello che doveva essere un letto di ospedale. Una piccola camera con un finestra che dava su una cittadina a lei sconosciuta.
Era sera, faceva appena un po’ caldo ma l’aria era umida e appiccicosa.
Si guardò le mani, non seppe nemmeno perché lo fece, e scoprì così che qualcuno le aveva tolto occhiali e l’anello di fidanzamento e li aveva appoggiati sul comodino alla sua destra.
Ecco perché non riusciva a vederci, era senza occhiali!
Debole sollevò un braccio verso di loro e tremante riuscì ad afferrarli, li inforcò e quella sensazione assurda tornò.
No, così non andava per niente bene. Ora era sicura, ci vedeva da solo un occhio: Perché?
C'era qualcosa che glielo impediva, tolse gli occhiali e allungò l'altra mano verso il viso, ma oltre ad accorgersi di non poter usare quel braccio a causa di una flebo, di avere una benda sulla mano e di essersi fatta anche abbastanza male nel maldestro tentativo di muoversi, si rese conto di essere in condizioni pietose.
Guardò in basso e vide il proprio petto fasciato, scoprì che era proprio una bendatura ad impedirle la vista e che quel sibilo che aveva sentito per tutto il tempo era in realtà il suo respiro, mozzato e affannoso ora più di prima.
All'improvviso si rese conto di essere lei quella donna del suo sogno, ma nessun cane le stava accucciato al fianco.
Era ferita mortalmente, ricoverata in una città sconosciuta.

Così Alexandra Jane Baker riaprì gli occhi alla vita, e la prima cosa che udì fu il silenzio, rotto solo dal ticchettio inesorabile dell'orologio sul comodino.
Era sola, esclusivamente di questo si accorse. Sola e disperata
in una stanza buia d'ospedale, senza più nulla al mondo.
Come avevano fatto gli dei a dimenticarsi della sua esistenza, quel giorno ad Insomnia? Forse erano davvero troppo preoccupati a difendere il loro prescelto?

Ad un tratto sentì il peso di quella verità travolgerla, mentre cercava di ricordare come ci fosse arrivata i ricordi nella sua mente esplosero tutti insieme e i battiti del suo cuore iniziarono ad accelerare, la macchina collegata a lei ne registrò le pulsazioni, e il panico a crescere sempre di più.
In meno di qualche secondo le luci si accesero e si ritrovò circondata da medici ed infermieri.
Le fecero tante rassicurazioni e domande affannandosi a cercare di calmarla, dietro alle loro mascherine verdi per qualche istante le sembrò di vedere riflesso il terrore e questo non fece che peggiorare le cose.
Tutti i suoi peggiori incubi, erano tutti lì, si erano materializzati per divorarla.
E la sua famiglia?
E Ignis?
Dov'erano?
Monica, sua madre e le sue nipotine, sua sorella Christine. La piccola Anna col suo sorriso innocente.
Scomparso, per sempre.
Uccise da un magitek imperiale.
No.
La sua memoria non poteva avere ragione.
"Mr. Scientia, almeno tu, riesci a spiegarmi che sta succedendo?"

-Alexandra, stia calma. Va tutto bene adesso, non si agiti o dovremo praticarle un altro anestetico.-

Niente Mr. Scientia.
A parlare per lui, ma in maniera molto meno rassicurante seppur sforzandosi di esserlo, stavolta fu un uomo alto e brizzolato dai capelli neri macchiati di bianco e un tesserino che lo presentava come primario del reparto di chirurgia intensiva.
Lo guardò negli occhi, grigi ed espressivi, iniziò a tossire e sentì i polmoni infuocarsi.
Un dolore atroce la colse, come se qualcuno glieli stesse strappando dal petto.
Un infermiere le mise davanti alla bocca una mascherina che iniziò a soffiarle nelle narici aria depurata, e come predetto il dottore fu costretto a praticarle un'altra anestesia.
Chiuse gli occhi quasi istantaneamente, quando si svegliò di nuovo stavolta era giorno e c'erano alcune persone accanto a lei.
Un vecchio dall'aria gioviale e rassicurante, un bambino che gli sedeva vicino e parlava fitto fitto a bassa voce con lui, sorridendo divertito ogni tanto, e una ragazzina, capelli a caschetto e un viso gentile, in quel momento puntato su di lei. Sembrava preoccupata, ma quando la vide riaprire gli occhi sfoderò un bel sorriso contento e sollevato.

-Oh, ti sei svegliata!- esclamò, applaudendo.

Alexandra sentì il cuore battere un po’ più veloce in petto, non che avesse paura ma sembrò quasi che gli fosse mancato qualche battito. Una aritmia che si ripeté più volte nel corso di quei minuti.

-Oh, bene.- disse il vecchio, staccandosi dal ragazzino e avviandosi verso la porta -Vado a chiamare il medico.-

Il bambino le si avvicinò e le pose una mano sul braccio, sorridendole premuroso.

-Come ti senti? Vuoi un po’ d'acqua? È fresca.- disse mostrandogli una bottiglietta d'acqua minerale che era appoggiata sul comodino assieme al resto.

Alexandra ci pensò su per qualche istante, guardò la bottiglia e si accorse solo allora di quanto fosse una buona idea.
Acqua fresca, si!
Aveva la gola riarsa, sembrava aver ingoiato fuoco.
Annuì, sforzandosi di sorridere per ringraziare dopo che il giovane la ebbe accontentata accostandole la bottiglia aperta alle labbra e aiutandola a bere.

-Grazie ...- mormorò.

Il ragazzo sorrise e annuì, lo stesso fece la giovane dall'altro lato del letto.
Fu a lei che Alexandra si rivolse, chiedendole con la poca voce che riuscì a trovare.

-Chi siete voi?-
-Io mi chiamo Iris.- sorrise la giovane -Iris Amicitia. E lui è Talcott, mentre quel signore anziano che è appena uscito è suo nonno Jared Hester.-
-Amicitia ...-

Mormorando quel cognome Alexandra si intristì di colpo, in balia di nostalgici pensieri.
Iris la guardò estraniarsi, osservò i suoi occhi lucidi e dopo una breve occhiata a Jared le propose.

-Hai fame? Vuoi qualcosa da mangiare? Il medico ha detto che puoi provare a mangiare qualcosa se vuoi, e qui a Lestallum ci sono un sacco di cose squisite.-

Di nuovo una leggera aritmia la costrinse a chiedere la maschera per l'ossigeno.

-Siamo a Lestallum?- chiese stupita.

Era lontano da Insomnia. Molto lontano.

-Mh. Si, esatto.-  rispose Iris cercando di mostrarsi serena e cordiale.

Anche se aveva appena capito di essere sulla strada per la fatidica domanda, e non era pronta a rispondere.
Nessuna delle due era pronta a questo.

-Da quanto tempo?- chiese infatti Jane Baker, poi ancora -Dove sono Monica, mia sorella, e mia madre?-

Li vide scurirsi entrambi e già quella risposta muta non le piacque.

-D'accordo, da qui in poi ci pensiamo noi.- intervenne il medico che aveva conosciuto la sera precedente e che aveva ascoltato tutto dietro la porta assieme a Jared e ad una giovane dottoressa con una lunga coda e un paio di occhiali tondi sul naso.

-Posso chiedervi di uscire un istante? Potete pure rimanere fuori alla porta in attesa.- disse a Talcott e Iris.

Annuirono e la lasciarono sola con loro.
Aveva già capito tutto, e le lacrime erano già pronte ad esplodere. Ma ancora resisteva, aggrappandosi alle lenzuola sotto le sue mani.

-Allora signorina Baker, come si sente oggi?- fece il medico sedendosi al posto di Iris.

Una smorfia si dipinse sul suo volto.
Guardò la dottoressa dietro di lui e le si rivolse direttamente con disprezzo.

-A che mi serve una psicologa? Lo so già, ho perso tutto.-

Parole che lasciarono di stucco entrambi i medici, e nel breve attimo di gelo lei proseguì con le sue domande che ormai erano quasi retoriche.

-Insomnia è distrutta, vero? Casa è solo un mucchio di macerie. E loro ... Mamma ... Monica ... Sono morte, è così?- la voce gli morì in gola nel pronunciare quei nomi, i ricordi le fecero pungere gli occhi, o per meglio dire l'unico occhio dal quale riusciva ancora a vedere -Ditemi la verità, non trattatemi come una bambina o una malata di mente, sono stanca di essere vista in questo modo!- sbottò rabbiosa, e le lacrime presero a sgorgare senza che le potesse fermare, come un fiume in piena strariparono sul suo viso magro e pallido -Cos'altro ho perso dottore, me lo dica...- lo supplicò, e avrebbe voluto continuare a sfogarsi ma di nuovo il respiro si fece talmente pesante da costringerla a tossire per non soffocare, e quando lo fece un dolore lancinante al petto la ferì. Era come ricevere una pugnalata ogni volta.
Faceva un male cane.
Il medico si alzò per soccorrerla, le diede una pillola da sciogliere sotto la lingua che le promise l'avrebbe aiutata a calmare la crisi e le rimise la mascherina regolando il getto di aria. Sentì l'odore agrodolce e pungente del cortisone avvolgerle il naso, tossì ma stavolta fece meno male.
Si sentì subito meglio, ma continuò a piangere, in silenzio.
Il primario e la psicologa si guardarono seri ed annuirono.

-Va bene, Miss Baker.- disse l'uomo, tornando a sedersi -Non le negherò la verità ma la prego di fare uno sforzo per mantenersi calma. Lo dico per lei, un forte stress emotivo potrebbe esserle nocivo. In qualsiasi momento può bloccarmi e chiedermi di interrompere la nostra conversazione, d'accordo.-

Alex sospirò. Batté la testa contro il cuscino e annuì, ingoiando le lacrime. Cos'altro poteva fare? C'era un modo per uscire da quell'incubo, per svegliarsi subito?
Perché lo era, vero?
Era un sogno dal quale prima o poi si sarebbe svegliata, giusto?
Pregò fortemente che fosse così, mentre ascoltava il medico tornare a parlare.

-Lei e sue sorella siete arrivate qui in condizioni disperate, vi hanno scortato degli angoni che sono ripartiti subito dopo e a vigilare è rimasta la signorina Amicitia con i signori Hester, vostri compagni di viaggio.-

Jane Baker sentì di nuovo il cuore farle le capriole in petto.

-Eravamo solo io e mia sorella?- tornò a chiedere seria, alzando la testa.

Il dottore annuì in silenzio, dispiaciuto.

-E Monica dov'è adesso? Perché non è qui?-

"Lascia perdere Alex, la sai già la risposta."
L'uomo sospirò.

-Purtroppo non siamo riusciti a salvarla ...- mormorò, sgomento e triste.

Era davvero dispiaciuto, glielo si leggeva in faccia.
Le lacrime sul viso di Alexandra furono come acido, bruciarono sulla pelle e scesero a bagnare la mascherina, mentre il suo volto rimase serio e inespressivo come quello di una statua.
Guardò il medico, ma la sua mente tornò indietro agli ultimi istanti con loro.
Monica, Anna, Christine, sua madre ...
Non riuscì a pensare ad altro, mentre la sua mente sprofondava sempre di più nel baratro dei ricordi.

-Vi ha lasciato una lettera.- tornò a parlare il primario, indicando una busta chiusa sul comodino che lei aveva già adocchiato ma che ora non ebbe il coraggio di tornare a guardare.

Le lasciò qualche minuto. Poi vedendo che non reagiva la psicologa provò ad incoraggiarla.

-Miss Baker, non abbia paura. Noi siamo qui per lei.-
-Non ho paura ...-

Un sussurro quasi sfuggito alla sua mente. Tremulo. Appena percettibile.
Con gli occhi lucidi fissò le sue ferite e trattenne le lacrime.
Sospirò più volte, maledicendo la sua sfortuna in silenzio.
Poi si fece coraggio e concluse, tornando ad alzare gli occhi verso il medico.

-Quindi adesso ... che si fa? Resterò cieca?-
-No, potrebbe non restarlo.- si affrettò a rispondere il dottore
-Che significa potrei?-
-Dipende tutto dai prossimi esami. Abbiamo evidenziato una lesione lieve al nervo ottico, ma fino ad oggi non abbiamo potuto testare la sensibilità dell'occhio perché lei era in coma. Ora che si è svegliata potremmo concludere con certezza tutto l'iter. Anche per la gamba dovrebbe risolversi tutto in qualche mese, anche se probabilmente potrebbe restarle una lieve zoppia.-

Alexandra batté le palpebre sorpresa.

-La gamba?-

Alzò un po la coperta per poter guardare in che condizioni era e si accorse che in effetti era fasciata da una bendatura piuttosto spessa. Si chiese come avesse fatto a non accorgersene prima.

-È stata ferita da un proiettile.- le spiegò il medico, omettendo di proposito il fatto che in una maniera simile sua sorella aveva perso la vita -Ma per fortuna i danni non sono gravi, potrà tornare a camminare molto presto.-

Alexandra tornò seria a fissarlo. Sospirò, arresa.

-Cos'hanno invece i miei polmoni che non va?-

Il primario sospirò di nuovo, una reazione che non le piacque per niente.

-La loro è una situazione più complicata...- iniziò titubante.
-Vada al sodo.- tagliò corto lei.

Aveva sempre trovato irritante l'esitazione, in ogni circostanza.
Adesso era perfino insopportabile.
Cos'altro avrebbe potuto ferirla più delle notizie che già aveva ascoltato?
Era rimasta sola al mondo, non era riuscita a salvare neanche una sola delle persone a lei care pure nonostante il suo tentativo disperato che le era costato un occhio, una gamba e i polmoni.
Si sentiva un castello di carte in mezzo a un uragano, eppure ancora non era crollata.
Sentiva ... di essere impedita nel farlo.
Sarebbe successo, ma non ora.
Il primario annuì, dopo aver lanciato un'occhiata alla psicologa che lo spronò ad andare avanti con un cenno del capo.

-Il tessuto polmonare è stato forato in più punti da tre proiettili.- le disse -Abbiamo estratto tutti e tre e ricucito le lesioni ma ci vorrà del tempo prima che guariscano del tutto. Durante la convalescenza potreste ritrovarvi a dover combattere con crisi d'asma, e dovrete far attenzione a qualsiasi cosa possa peggiorare la situazione, come germi e polvere.
Per questo sarebbe meglio se per i primi tempi indossaste una mascherina e dei guanti. È solo fino a che i danni non saranno completamente rimarginati, ci vorrà qualche mese soltanto ma sarà importante ...-
-Va bene.- soffiò stanca a quel punto la paziente.

Quindi si sistemò meglio sul cuscino e tolse la mascherina voltando il viso dalla parte opposta, verso il comodino.

-Quanto tempo dovrò restare qui?- chiese atona.

Oramai era solo questo, soltanto questione di tempo.
Come quello che la separava dalla morte. Tutti dovevano morire prima o poi, no?
Il medico la osservò appena qualche istante in silenzio, preoccupato.

-Qualche settimana. Avremo bisogno di tenere sotto controllo i suoi progressi.-

Tacque di nuovo. Lei non rispose, continuando a non guardarlo senza preoccuparsi di risultare maleducata.
Non aveva poi tutta questa importanza adesso. Loro stavano bene, lei no.
Affatto.
E poi ... I suoi occhi continuarono a fissare l'anello di diamanti sul comodino e la sua mente stanca non riusciva a non staccarsi dai ricordi.
Sentiva la fronte dolergli, aveva freddo, e gli occhi le si chiudevano.
Avrebbe tanto ... Tanto voluto ... che in quell'incubo a starle vicino ci fosse il suo Ignis.
Forse avrebbe saputo svegliarla, ma la sua mente confusa tra sogno e realtà pensò che probabilmente non sarebbe stato un incubo degno di quel nome se Mr. Scientia fosse stato presente.
Quando sarebbe arrivato il tempo del risveglio? Perché era un sogno. Doveva per forza essere solo un sogno.

-Verrò a trovarti ogni giorno se vorrai parlare.- le disse la psicologa, in tono gentile.

Una smorfia amara si dipinse sul volto della giovane.

-Va bene, grazie.- disse flebile, chiudendo gli occhi.

E di colpo si addormentò davvero, senza nemmeno accorgersene.
Era stanca. Doveva riposare.
I due medici si accertarono delle sue condizioni, poi lasciarono la stanza raggiungendo i visitatori nel corridoio.
La prima a chiedere di lei fu Iris, in ansia.

-È molto scossa, comprensibilmente.- le disse la dottoressa -Le abbiamo detto quello che doveva sapere, ora verrà la parte difficile per lei.-
-La dimetteremo tra qualche settimana, nel frattempo però sarebbe meglio per lei se riusciste a trovarle un luogo dove vivere durante i primi mesi.- aggiunse il primario -Come vi dicevo, l'aria umida di Lestallum non è il massimo per i suoi polmoni.-

Iris, Talcott e Jared si guardarono riflettendoci su. Poi quasi illuminandosi al vecchio maggiordomo di casa Amicitia venne un'idea.

-Potremmo portarla a Capo Caem.- disse
-Oh, si!- esclamò entusiasta Talcott.
-Che bella idea!- assentì Iris illuminandosi.
-Ah, Caem. È una bella zona di mare.- confermò con un sorriso il medico - Ottimo cibo e paesaggi splendidi, ci sono stato per un periodo in vacanza quando ero adolescente. Se riusciste a portarla lì credo le gioverebbe anche all'umore.-

La psicologa confermò con un sorriso e un cenno del capo.

-Saranno giorni difficili.- disse -Ha una convalescenza piuttosto complicata da affrontare e ha perso tutto, famiglia, casa, presumo anche gli amici che aveva ad Insomnia. Sapete nulla del fidanzato?-

Iris scosse dispiaciuta il capo.

-Monica non mi ha detto altro se non che lavorava a palazzo come lei e al momento dell'attacco non si trovava lontano da Insomnia, non mi ha detto dove.- rispose
-Non ti ha detto come si chiamava.- le chiese Jared.

La ragazza scosse di nuovo rammaricata il capo.

-No. Non so perché non me lo abbia detto, forse aveva talmente tante cose da dirmi e così poco tempo che deve aver sorvolato su questo.- rifletté -Comunque era convinta che sarebbe tornato a cercarla.-
-Speriamo.- disse il medico -Le farebbe bene trascorrere un po’ di tempo con lui, ora che è l'unica cosa che gli è rimasta.-
-Se sapessimo il suo nome potremmo cercarlo.- disse Talcott, e il nonno gli diede ragione appoggiando fiero le mani sulle sue spalle.
-Cercherò di capire se lei è disposta a parlarne.- disse la psicologa con un sorriso -Ad ogni modo è importante tirarla su di morale e starle molto vicino. Potrebbe essere difficile, ciò che ha passato non è una passeggiata e i primi tempi ... - si fermò un istante per trovare le parole più adatte -Potrebbe avere parole e reazioni un po’ forti e sgarbate. Dovete sapere che è normale per una persona depressa comportarsi così.-
-Non importa, cercheremo di stargli comunque vicino e di farla sentire a casa.- risolse propositiva Iris.

Aveva fatto una promessa a Monica, voleva mantenerla. E poi Alexandra era già entrata a pieno titolo nella loro famiglia, pure se lei non li conosceva nemmeno.
Jared e Talcott ascoltarono interessati i consigli dei medici e quella conversazione, annuendo propositivi.
Anche loro erano d'accordo con lei, volevano assolutamente aiutare quella povera ragazza anche solo per semplice empatia. Erano vittime della stessa tragedia, e lei sembrava una brava ragazza bisognosa di aiuto.
Anzi, non sembrava solamente, lo era.
Jared era vecchio, aveva servito per molti anni a corte e sapeva riconoscere le persone solo guardandole negli occhi, anche se aveva imparato a lasciar sempre il beneficio del dubbio.
Alexandra Jane Baker aveva una forza e una dignità nello sguardo che non lasciava spazio a dubbi, senza esagerazione poteva affermare di averle viste l'ultima volta in quelle del loro ultimo, ormai compianto Re, Regis Lucis Caelum.
Come lui, la ragazza era nobilmente fiera, ma anche forte, leale, determinata, e buona di una bontà di quelle che spingono a gesti anche estremi pur di salvaguardare il bene, qualsiasi sia la sua provenienza.
Era ferita adesso, certo che ci avrebbe messo del tempo a tornare ad essere quella di prima, e forse non lo sarebbe mai più stata.
Ma quello che era non si poteva cambiare, un animo buono restava tale anche dopo tempeste e guerre. Per fortuna.

-A proposito di questo...- aggiunse la psicologa -Dedicarsi a ciò che le piace e concedersi del tempo per sé stessa è fondamentale per una buona ripresa dello spirito. Se scoprite ciò che le piace fare lasciateglielo fare, le farà solo bene.-

Jared sorrise e guardò Iris annuire.
Era facile, in questo avrebbe potuto aiutare anche lui.
Aveva visto solo in qualche foto il faro di Capo Caem, la "residenza estiva" dei Caelum. Essendo Clarus Amicitia una dei più fidati amici del Re ovviamente aveva trascorso molto tempo con Regis in gioventù, e Capo Caem era una delle loro basi preferite.
Molte volte aveva sentito i racconti del padre di Iris e Gladio, ad alcuni aveva contribuito anche Regis stesso, che si divertiva a rievocare quei momenti per loro. Perfino alcuni dipinti nel palazzo e nella casa degli Amicitia raccontavano di quella splendida località marittima che adesso Talcott non vedeva l'ora di poter vivere in prima persona.
Lui ed Alexandra si sarebbero divertiti molto, sarebbe riuscito a tirarla su di morale. 

Sarebbe stata la sua missione personale.
Il mare, la natura selvaggia e il buon cibo lo avrebbero aiutato a completarla.

-Faremo del nostro meglio, grazie dottore.- concluse Iris con un sorriso, riassumendo il pensiero di tutti e ritrovando un po’ di serenità.

Il peggio era passato, adesso non restava che tornare a godersi la vita.
Certo, non sarebbe stato facile per Alexandra, ma loro ce l'avrebbero messa tutta per aiutarla.
Ricominciando proprio dalla più grande passione della sua vita: il cibo, ambrosia della vita e metafora di tutte le sue altre passioni.

-Lo street food di Lestallum è squisito, sua sorella ha detto che era una cuoca a palazzo e penso potrebbe piacerle.- propose -Dite che è una buona idea?-

I dottori sorrisero e annuirono contenti.

-Perché no, in fondo è da tanto che non tocca cibo, non potrebbe che fargli bene.- rispose il primario -Mi raccomandò però, niente di troppo pesante, lo stomaco deve riabituarsi a ricevere cibo.-

Iris e Jared batterono le mani quasi all'unisono e si sorrisero contenti.
Non poteva esserci ripartenza migliore per lei, senza ombra di dubbio.
 
 
***
 
Alexandra guardò il cartoccio unto che aveva di fronte, appoggiato sulla parte di lenzuolo che le copriva il ventre, e si sentì immediatamente in imbarazzo.
Iris e Talcott la guardavano speranzosi che quel regalo potesse piacerle, soprattutto si aspettavano che mangiasse, ma non ne aveva alcuna voglia, pure se dovette ammette che l'aspetto non era male e il profumo stuzzicava le narici.
Non voleva deluderli, ma non riusciva nemmeno anche solo a pensare di mangiare.
Le si era chiuso lo stomaco, si sentiva sazia anche se stando ai medici non aveva mangiato da giorni.
Sorrise, sforzandosi di sembrare il più gentile ed educata possibile.
Doveva loro la vita e voleva ringraziarli per esserle stati vicini nonostante non la conoscessero nemmeno, così ci provò.
Prese la forchetta e il coltello di plastica dalla busta trasparente sul comodino e tagliò un pezzo di quel pesce succulento, portandoselo alla bocca.
Lo masticò con calma, e alla fine annuì sorpresa.

-Mh ...- fece, continuando ad annuire.

Iris si illuminò.

-È buono, vero? Io e Talcott lo abbiamo adorato subito!- ridacchiò contenta.
-Domani ti portiamo gli spiedini, anche quelli sono buonissimi!- aggiunse il ragazzino senza lasciarle il tempo per rispondere -E poi devi assaggiare anche le pannocchie! Le facevano anche ad Insomnia, ma queste sono cento volte più buone!-

Alex sorrise annuendo in silenzio, poi abbandonò le posate nel piatto e prese dal comodino la bottiglia d'acqua minerale già mezza vuota, bevendo da essa fino a cancellare completamente il sapore del pesce.
Sentì un conato di vomito salire fino alla bocca dello stomaco ma lo trattenne, per fortuna.
L'accenno ad Insomnia non aveva fatto che peggiorare le cose, ma la tristezza a questo punto era minima cosa.

-Vuoi qualcos'altro dopo pranzo?- le chiese Iris.

"Morire. Si può?"
Scosse il capo con un altro sorriso.

-Sono a posto così, grazie. Adesso vorrei solo riposare.- chiese.

E loro, gentili, esaudirono quella richiesta.
Riconsegnò loro il cibo avanzato, quasi tutto intero in realtà visto che ne mancava solo un pezzo, quindi attese che lasciassero la stanza, si rimise sotto le lenzuola e chiudendo gli occhi incominciò a piangere in silenzio, bevendo le sue stesse lacrime salate e sentendo a poco a poco il cuore calmarsi e le forze scemare.
Si addormentò di nuovo, ma non fu un sonno tranquillo.
Fece di nuovo incubi, qualcuno la svegliò ma poi ricadde di nuovo nel sonno. Fino a che, a sera, i medici tornarono a farle visita come ogni sera dal giorno in cui era arrivata lì.
Non ne poteva già più, avrebbe voluto urlare di lasciarla marcire in quel letto da sola fino a che non fosse invecchiata o una crisi d'asma non l'avesse uccisa, invece non ci riusciva e continuava a comportarsi da brava ragazza reprimendo le emozioni in un guscio di pietra che sperava mai sarebbe esploso, perché altrimenti sarebbe stata la vera fine di Alexandra Jane Baker così come tutti avevano imparato a conoscerla.
Tutti quelli che erano morti, e anche Ignis che prima o poi sarebbe tornato a cercarla.
Anche se ora come ora stava iniziando a sperare che non lo facesse mai, perché non sapeva se farsi vedere così da lui avrebbe potuto migliorare o peggiorare la situazione. Nel dubbio meglio illudersi che niente fosse reale, o al massimo evitare di pensarci quando la consapevolezza diventava troppo presente per essere considerata una semplice illusione della mente.

 
***
 
Regione settentrionale di Duscae
Rifugio di Sothmocke
 
 
-Hey Iggy...-

La voce di Gladio lo riscosse dalla lettura che aveva in corso, inducendolo ad alzare lo sguardo verso il compagno di viaggio che se ne stava sdraiato di fronte a lui, dall'altra parte del falò da campo e vicino al suo chocobo, che dormiva beatamente.
Erano accampati nei pressi di Cleige. Sarebbero già dovuti essere ad Altissa da un pezzo, ma le cose erano cambiare precipitosamente e il ritrovamento della prima arma ancestrale grazie al maresciallo Cor Leonis li aveva spinti su una strada diversa, più difficile da percorrere ma anche più mistica, avventurosa.
Noctis aveva dovuto fare i conti con l'eredità ricevuta da suo padre e col presente, che li vedeva separati per sempre dalla mano ferrea della morte.
Era stata dura. In quella circostanza Ignis aveva realmente capito il significato dell'ultima raccomandazione del sovrano.
Ed era stato lieto di poter essere al fianco di suo figlio, come amico prima di tutto, e come alleato e subito poi.
Era dove doveva essere, e ne era felice.
Eppure ...

-Deve essere davvero interessante quella pagina, visto che è da mezz'ora che la fissi senza andare oltre.-

Gladio concluse la sua osservazione sagace con un sorriso divertito.
Ignis, seduto sulla sua sedia da campeggio, sospirò abbandonando il libro sulle sue gambe e poi levandosi gli occhiali e appoggiandoli sulle pagine del volume, a mo' di segnalibro.
Si stropicciò le palpebre con le dita della mano sinistra, senza rispondere.

-Dì, pensi ad Alexandra vero?- suppose Amicitia.

Accidenti a lui!
Scientia buttò la testa all'indietro verso lo schienale e si concesse di guardare il cielo stellato sopra le loro teste, che nella natura selvaggia era ancora più bello che sotto le luci di Insomnia.
Avrebbe tanto voluto condividerlo con lei.
Da quando quel viaggio era iniziato non faceva che chiedersi quale fosse stata la sua sorte, stare in pena per non saperlo e non poterlo nemmeno scoprire, e perdersi in quei sogni ad occhi aperti per tentare di alleviare il dolore.
Era distratto, cercava di non esserlo quando erano in missione, ma nei momenti di pausa come quello non poteva evitarselo.
Cucinare lo aiutava a sfogare un po’ lo stress, anche se non era un palliativo tanto potente.
Leggere era un'altra delle cose che aveva sempre amato fare e che adesso gli risultava quasi impossibile.

-Non ti sfugge mai niente, eh Gladio?- rispose, vagamente sarcastico.

Risero insieme, come i due buoni amici che erano.

-Ti conosco abbastanza bene da capire quando sei in crisi, quattrocchi.- replicò lo scudo del re, poi tornò serio e lo incoraggiò -Sono sicuro che starà bene. È una ragazza tosta, la ritroveremo.-

Ignis Scientia sospirò di nuovo.
Certo, starà bene.
Ovviamente starà bene, altrimenti non avrebbe saputo perdonarsi di averla lasciata sola all'improvviso.
Ma era una cittadina di Insomnia, e quel giorno alla parata probabilmente aveva accompagnato la sua famiglia...
Un brivido freddo gli percorse la schiena, come succedeva ogni volta che ci pensava.

-Se vuoi posso chiedere ad Iris di trovarla. So che a Lestallum ci sono molti sfollati da Insomnia. Magari è tra questi. Ci pensi? Potresti esserle molto vicino ugualmente e non saperlo.-

A quelle parole qualcosa in lui si accese, come la luce di una piccola speranza. Se avesse seguito il suo istinto di quel singolo attimo avrebbe preso la macchina ora, infischiandosene pure dei daemon che infestavano le strade di notte, e ci sarebbe andato di persona a Lestallum, altro che chiamare Iris. Ma …
Alzò gli occhi verso Gladio e lo fissò per diversi istanti, prima di alzarsi spazientito e avviarsi verso i fornelli.

-Vuoi un caffè?- chiese.

L'orologio da polso che aveva batteva le tre e trenta del mattino, e loro erano ancora svegli.
Gladio sorrise.

-Anche due se può aiutare a prendere una decisione.- rispose.

Ignis incominciò a trafficare con la Moka. Quando fu sul fornello si concesse un altro sospiro e spiegò.

-Non posso distrarmi, Gladio. Noct ha bisogno di noi, soprattutto adesso.-

Lo scudo del re alzò gli occhi verso di lui.

-Se sapessi che è viva potresti avere la mente più libera e il cuore più calmo ...- gli fece notare, per poi aggiungere saccente -Ma viceversa se scoprissi ... qualcosa di negativo, potresti avere l'effetto contrario, e così preferisci rimanere nel dubbio.-

Ignis sospirò di nuovo, più pesantemente.

-Non hai nient'altro da fare tu, che fare congetture su di me?- rispose assottigliando le palpebre.

Gladio rise.

-Per una volta che ne so una più di te, lascia che mi goda il momento.-

Ignis sorrise, quindi prese i bicchieri da caffè e si preparò a versarvi il nero che stava già fuoriuscendo dallo sfiato della macchinetta.

-Aggiudicato, ma non prenderci l'abitudine. Ognuno ha i suoi ruoli.- disse, portandogli poi la sua porzione.
-Tranquillo...- concluse Amicitia, brindando insieme a lui -Io sono più un tipo d'azione, la strategia la lascio a te che in quanto a materia grigia stai messo meglio di chiunque altro. Sicuramente meglio di quella mammoletta di Prompto.-

Risero di nuovo, attenti a non svegliare gli altri due che dormivano nella tenda.

-Ti ringrazio del complimento.- concluse Ignis ritrovando il buon umore -Ma non dirglielo, non sarebbe carino nei suoi confronti.-
-Ah, altroché se glielo dirò! Domattina mi sente, così impara a perdere tempo in foto mentre noi ci spacchiamo la schiena a combattere.- replicò Gladio, contento di essere riuscito a tirarlo su di morale.

Ignis sorrise ancora, bevendo un altro sorso dal suo caffè e tornando a sedersi. Non c'era nulla di più buono, Ebony a parte.

-Sei troppo severo.- replicò divertito -In fondo non sono poi così male quelle foto. Soprattutto quelle dove appaio io.-

Gladio rise di nuovo.

-Ah, benvenuto signor Modesto.-

Ignis accennò appena un divertito inchino rimanendo seduto e chinando solo il capo e la schiena.

-Il piacere è tutto mio, Mr. Muscolo.-


 

 





NdA:
Buongiorno cari! Finalmente anche questo capitolo è venuto alla luce!
E' stato un parto moooolto lungo, durato mesi. Tutto per colpa del primo pezzo, quello del primo sogno di Alexandra. Mi sono ispirata alla mia storia, sono cresciuta in un luogo così e volevo dare questo pezzo di me ad Alex, ma visto che ci tengo tantissimo mi sono sentita in soggezione e mi sono bloccata. Per descrivere il luogo mi sono affidata ai miei ricordi e alle foto di famiglia, anche se la foto che ho allegato non è tra queste ma è presa da internet, e non ritrae nemmeno il vero luogo, che si trova in un piccolo paesino della Calabria, vicino Cosenza.
A dire il vero avrei voluto mettere una foto della mia vecchia casa, ma poi ho trovato questa e ho pensato che fosse più indicativa per il capitolo :)
Il secondo sogno di Alex invece, ambientato ad Insomnia, è un sogno che ho fatto veramente (si, ho sognato di essere al posto di Alex e non è stato piacevole :P). Mi sono limitata a descriverlo, senza cambiare nulla.
Poi c'era da descrivere la scena del risveglio, che sarebbe la scena chiave di tutta la Fan Fiction.
L'ho riscritta circa una ventina di volte per farla venire come volevo, ma ancora non mi soddisfa. Alla fine ho deciso di non riscriverla per la ventunesima volta perchè altrimenti non lo avrei mai pubblicato :P
A proposito di quella scena, mi sento in dovere di ringraziare tantissimissimo la bravissima Elena per aver disegnato la povera Alex in quel momento cruciale. Come potete vedere non è messa bene, ma come dice giustamente Gladio la ragazza è una roccia, si rimetterà!
Sempre parlando di Elena, se volete leggere qualcosa di suo potete trovarla su efp con il nome di CaptainKonny (Cliccate sul nome per andare direttamente sul suo profilo).
Detto questo, ci vediamo al prossimo capitolo, direttamente in quel di Capo Caem!
E chissà che il nostro fascinoso quattrocchi (ma non è stupendo in questa foto??? *____*) rompa gli indugi e decida di raggiungere Alex ;)
Chissà, chi lo sa.
Nel frattempo vi faccio notare una cosa: Jared Hester, il nonno di Talcott, nel gioco muore dopo esser stato arrestato a Lestallum. Mentre nella mia Fan Fiction, come avrete potuto intuire, non sarà così. Almeno per il momento l'adorabile vecchietto è salvo, grazie ad Alex che indirettamente lo ha salvato senza saperlo :3 ^^
Adesso ad Alex e Iris (che nel gioco ha davvero quindici anni, si. Sono andata a leggere sulla guida che ho acquistato al day one) serve un aiuto e il maggiordomo di casa Amicitia ne può dare uno prezioso.
Bene, detto questo vi do appuntamento al prossimo capitolo ;)
Grazie mille per essere arrivati a leggere fin qui, e ripeto se la storia vi sta piacendo fatemelo sapere, mi farete un'autrice felice e contribuirete a velocizzare la stesura dei prossimi, eheh ;) <3<3<3
 
   
 
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