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Autore: _Lightning_    20/03/2019    3 recensioni
I Vendicatori hanno sconfitto Thanos, salvato la Terra e riportato l'universo alla normalità. Ma, almeno per Peter, il lieto fine non è ancora arrivato.
Tony si ritrova a sospirare di nuovo, in un moto spossato. [...] Riporta gli occhi a Peter e la sua espressione diventa seria, quasi austera, come quando è dietro la sua maschera in missione – e in realtà lo è. Non può permettere che Peter si trovi a passare un’altra notte insonne: ha accettato il compito di guidarlo, e ciò include arginare i demoni che non è ancora in grado di respingere da solo. E, soprattutto, non può permettere che le sue ultime parole siano quello straziante “mi dispiace” perso nella cenere che continua a perseguitarlo negli incubi.
[post-Infinity War non canonico // Tony&Peter // What If? // PoV Multiplo]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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7
 
Problemi che portano soluzioni
 
 
 
“The sun bursts, clouds break
Well this is life in motion
And just when I could run

This race no more
The sun bursts, clouds break
This is life in color”

 
[Life In Color – OneRepublic]
 
 
 
          Quando riprende conoscenza il suo corpo è del tutto intirizzito, come se avesse dormito su un letto di neve.

Gli occhi gli bruciano terribilmente e capisce di non averli chiusi forse per ore, ma si costringe a puntarli sull’ambiente che lo circonda, lasciandosi infine alle spalle il buio ed entrando nel suo odioso mondo ambrato. La testa gli fa così male che anche mantenere la messa a fuoco è un’impresa, ma riesce infine a riconoscere l’infermeria del Complesso, dove è capitato un paio di volte per rimettersi in sesto dopo qualche bravata troppo audace. È steso su uno dei sei letti da ospedale allineati lungo la parete.

Man mano che i contorni si fanno più nitidi, capisce che qualcosa blocca in parte il suo campo visivo. Realizza con stupore che il Dottor Strange è in piedi di fianco al suo letto: è a occhi chiusi, con le mani raccolte in un cerchio appena sotto il medaglione e la testa leggermente china in avanti. Il suo respiro è rallentato e profondo, ma si riscuote ben presto dalla sua meditazione e rivolge lo sguardo verso di lui, prendendo a scrutarlo coi suoi occhi vividi.
 
«Bentornato tra noi,» lo saluta con semplicità, accennando un sorriso sottile mentre abbassa le mani e rilassa le spalle sormontate dal mantello fluttuante. «Ho tenuto d’occhio la tua anima dal piano astrale. Sapevo quando saresti tornato,» spiega poi, intuendo con acutezza la sua domanda inespressa.
 
Come sempre, Peter non può far altro che ricambiare piattamente il suo sguardo, ma è grato che lo Stregone si stia prodigando per essere più accomodante del solito. Non sembra essere un tipo paziente, a dispetto delle vesti da monaco. 
 
«Sei stato “assente” per quasi dieci ore,» gli annuncia poi senza giri di parole, mantenendo lo sguardo penetrante su di lui.
 
Il proprio volto deve lasciar trapelare un’ombra di assoluta incredulità, perché Strange riprende a parlare in tono più pacato:
 
«Stark mi ha contattato non appena il tentativo coi suoi occhiali è andato storto. Sei rimasto sotto stretta osservazione costante sia fisica che mentale, visto che hai avuto un lieve attacco epilettico ed eri febbricitante. La tua anima si è distaccata per un po’ dal tuo corpo, ma sono riuscito a impedirle di allontanarsi troppo ed è poi tornata spontaneamente da te,» spiega senza batter ciglio, come se stesse parlando del tempo.
 
Peter, superato lo shock iniziale, si sente in qualche modo rassicurato nel sapere che almeno lui sembra avere quell’assurda situazione sotto controllo.
 
«Tua zia è impegnata a discutere col tuo mentore,» lo informa poi, incrociando compostamente le mani dietro la schiena. «Come puoi immaginare, non è stata molto contenta degli esiti della tecnologia Stark. Adesso siamo al quarto round della ramanzina,» aggiunge, con un cenno alla porta scorrevole in fondo alla stanza e un tono che sfiora il divertito, senza però intaccare il suo volto serio.
 
Una fitta di colpevolezza lo prende allo stomaco. Tutti si stanno preoccupando per lui, e non può fare a meno di pensare di non meritarsi l’attenzione dello Stregone Supremo, come il signor Stark e zia May non si meritano il fardello di stargli appresso. Per fortuna, il sibilo della porta scorrevole che si apre lo distoglie un istante prima che quella considerazione riesca ad affondare come un chiodo nella sua nuca, insieme a tutte le altre che vi si sono infisse recentemente.

Sente delle voci agitate che si sovrappongono tra loro – May, il signor Stark, forse Bruce, e una voce femminile sconosciuta – scalpiccio di piedi e un fievole rumore di fondo che titilla il suo senso di ragno. C’è un pericolo latente, una sirena d’allarme smorzata che gli trilla nelle orecchie, troppo lontana per identificarne con chiarezza la fonte.
 
«Eccoli… qui andremo per le lunghe,» borbotta quietamente Strange, forse a lui, più probabilmente tra sé e sé.
 
Rimane in piedi di fianco al letto, diritto come un fuso e imperturbabile, ancora davanti a lui come a fargli da scudo dal trambusto in arrivo e col mantello che ondeggia pigramente attorno alla sua silhouette.
 
«È di nuovo tra noi,» annuncia, a voce alta.
 
Il chiacchiericcio cessa di colpo e vi è una breve pausa attonita.
 
«Grazie a Dio,» sospira poi May, e Peter la sente avanzare verso il letto.
 
«Grazie al mago,» ribatte prontamente il signor Stark, col sarcasmo che cela solo per metà il suo ovvio sollievo.
 
May entra nel suo campo visivo, si siede accanto a lui e gli stringe la mano quasi annaspando. Sembra bollente nella sua stretta gelida. Ha pianto, è evidente dagli occhi gonfi e da quanto fragile sembri la sua voce. Peter si concede comunque di rilassarsi, anche se non si era accorto della tensione che gli stringeva la schiena annodandogli i muscoli in crampi nervosi. Sente gli altri che riprendono a discutere concitati in sottofondo, ma è troppo difficile concentrarsi sul volto e sulla mano di May e allo stesso tempo ascoltare cosa dicono.
 
Il suo cervello si rifiuta di collaborare ed è sicuro che qualunque forzatura finirebbe per farlo andare di nuovo in cortocircuito, quindi si limita a raccogliere le forze per stringere appena la mano di zia May e ammira la pura, incontenibile gioia che si sprigiona dal suo volto per quel semplice gesto.
 
§
 
Qualche minuto dopo, si sente strappare da quel momento di pace dal suo senso di ragno che ha improvvisamente un picco e inizia a inviare impellenti segnali d’emergenza al suo corpo inerte.

È una scarica talmente violenta che riesce effettivamente a guardare nella direzione giusta. Vede una giovane donna, col volto pallido incorniciato da lunghi capelli mossi che le scendono a cascata sulle spalle. I suoi occhi sono filtrati da quell’odiosa lastra gialla, ma gli sembrano comunque del colore sbagliato. Solo a guardarla sente tendersi ogni singolo nervo in uno spasmo allarmato, ma il segnale è confuso e intermittente: forse è ostile, forse no, ma può decisamente essere pericolosa. Per qualche motivo ha l’impressione di doverla riconoscere, ma decide di non sforzare più di tanto la memoria: per oggi ha già avuto la sua dose di brutti ricordi. 
 
«Signori, visto che qui il buonsenso sembra non andare di moda, mi sento in dovere di rilanciarlo personalmente.»
 
L’osservazione pungente del signor Stark intacca il silenzio come una lama mentre si piazza con nonchalance tra lui e la donna, le mani affondate pigramente nelle tasche. Lei gli rivolge un’occhiata infastidita, e per un singolo istante i suoi occhi vengono attraversati da un’ombra scarlatta che rompe la monotonia cromatica; l’altro si irrigidisce visibilmente, ma mantiene la propria posizione, continuando a guardarla in cagnesco. Peter percepisce i propri innati campanelli d’allarme attivarsi all’unisono, per poi ammutolire altrettanto repentinamente. 
 
«Tony, per favore,» interviene Bruce, in una supplica esasperata.
 
«Pensavo fossimo tutti d’accordo,» aggiunge May, in tono vagamente accusatorio, e Peter la sente stringere con più forza la sua mano. 
 
«Infatti non mi sono opposto… o almeno, non ad alta voce,» replica il signor Stark con assoluta disinvoltura, prima di inclinare appena la testa nel fissare la donna, quasi stesse valutando la pericolosità di un insolito fenomeno naturale. «Ma prima che inizi a sprigionare i tuoi trucchetti da Fata Morgana su di lui, vorrei essere molto chiaro,» prosegue, e il suo tono si fa gelido e stranamente ostile, come se stesse parlando tra i denti. «Se vedo qualcosa che non mi piace, non ci penso due volte a spararti addosso un uniraggio, per poi emendare qua e là gli Accordi personalmente, fregandomene di quel che dice il tuo paladino a stelle e strisce. Ci siamo capiti?”  
 
«Stark, stanne fuori e lasciami gestire il tutto come si deve,» s’intromette la voce profonda e distintamente irritata di Strange.
 
«Non sono così meschina come vorresti far credere, Stark,» risponde aspramente la donna, con un marcato accento dell’est a rendere più puntute le sue parole.
 
«Abbastanza meschina da far scatenare Hulk su una città innocente,» replica asciutto lui, e Peter coglie un sobbalzo da parte di Bruce.
 
«Tu non puoi permetterti di accusare nessuno, col cognome sporco di sangue che porti,» controbatte lei pacatamente, con un sorriso obliquo e amaro a incrinarle il volto.
 
Peter percepisce di nuovo il suo senso di ragno dibattersi frenetico in fondo allo stomaco quando capta il respiro del signor Stark arrestarsi per qualche istante, mentre serra i pugni nelle tasche sembrando pronto a mettere in atto la minaccia di poco prima. Riesce a intuire la sua espressione furiosa anche se gli volta le spalle, e ne coglie una porzione quando si volta verso Strange, ignorando il commento della donna e sembrando del tutto imperturbabile, almeno a chi non è dotato di un super-udito in grado di cogliere i battiti decisamente troppo rapidi e violenti del suo cuore.
 
«Scusa, Copperfield, ma stavolta non mi sento molto in vena di fidarmi delle tue “possibilità”,» commenta, e l’unico segno che tradisce la sua collera è il tono un po’ troppo brusco.
 
«Mi sembra che l’ultima volta le mie “possibilità” ti abbiano aiutato a salvare l’universo, stronzo,» replica l’altro, senza alzare di una tacca la propria voce, ma con un velo gelido a ricoprirla. 
 
«Potreste piantarla di azzannarvi alla gola a vicenda e concentrarvi sul problema attuale?»
 
Banner sembra tranquillo, quasi compassato, ma Peter intuisce il ringhio represso che riverbera nelle sue parole, così come gli altri, che ammutoliscono all’istante.
 
«Siamo tutti arrabbiati, qui dentro, lo so. Avremo tempo per risolvere tutte le stronzate che ci portiamo appresso da anni, ma non ora. Sono serio, Tony: piantala,» aggiunge poi, ora indiscutibilmente seccato, anticipando una sua prevedibile replica.
 
«Agli ordini, Dottor Disertore,» bofonchia comunque lui in risposta, e Banner non lo sente, o più probabilmente finge di non averlo sentito.
 
Peter sente il suo piede che comincia a contrarsi insistentemente in un ritmo nervoso sotto il lenzuolo, anche se non si saprebbe obbligare a farlo di proposito nemmeno se ne andasse della sua vita. La tensione nella stanza è palpabile, solida al punto da ostruirgli il respiro, e ciò che resta del suo senso di ragno emana uno snervante tintinnio di sottofondo, che si somma al disagio nel percepire quello che deve essere il flusso magico della donna sconosciuta, simile a un’anomalia elettrica che gli fa venire la pelle d’oca. Non sa dire se la sua irrequietezza derivi da quella presenza disturbante, dalla voce irritata di Hulk, dal volto adesso incupito di Strange o dal fatto che il signor Stark sembra pronto a indossare l’armatura per attaccar briga con chiunque gli capiti a tiro. 
 
«Tony, apprezzo molto il tuo interesse, ma non sta a te decidere,» interviene a quel punto May.
 
Peter riconosce appieno lo sforzo che sta compiendo per equilibrare la sua severa fermezza con un tono accomodante, la stessa mistura di emozioni che, come ha imparato a proprie spese nel corso degli anni, precede una sfuriata epocale. Dopo un iniziale attimo di confusione, anche il suo mentore sembra percepire il velato ammonimento, e il suo volto oscilla tra il consapevole e l’addolorato.
 
«Come vuoi,» mormora infine, prima di decidersi a farsi da parte, liberando il passo all’altra donna non senza lanciarle un’ultima occhiata ostile.
 
«Signora Parker, la signorina Maximoff ha il permesso di usare i suoi poteri per aiutare Peter?»
 
Strange prende formalmente la parola dopo un breve momento di silenzio, e dal modo in cui ha enunciato la domanda Peter ha l’impressione che sia una sorta di contratto vincolante, completo di conseguenze funeste in caso di mancato adempimento. Si rende poi conto che adesso gli occhi di tutti sono puntati su lui e May, e ne sente quasi la pressione addosso. Sua zia fa un respiro profondo prima di rispondere:
 
«Ho solo lui,» dice con semplicità, e Peter sente il suo cuore contrarsi e piegarsi come un cartoncino ad attutire l’impatto di quelle parole. «Non ti conosco, ma da ciò che mi hanno detto sono sicura che sai come mi sentirei se dovesse accadergli qualcosa,» conclude, e lui è l’unico a sentire la sua mano tremare appena, al contrario della sua voce salda.
 
«Lo so,» sussurra la donna, con una traccia di tristezza negli occhi.
 
Quasi rispondendo a un comando collettivo, May si alza strizzandogli un’ultima volta la mano, Strange riprende posto in piedi accanto a lui e Peter si ritrova a fissare senza barriere la donna. La sua espressione è quasi vacua, le labbra piene atteggiate a una piega inespressiva, ma i suoi occhi sono di un’intensità fuori dal comune e lo scrutano a fondo, mantenendo la distanza. A Peter verrebbe da sospirare, se solo potesse: si sta stancando di essere costantemente osservato come se fosse un esotico fenomeno da baraccone.
 
La donna si fa avanti di un passo e Peter scorge una densa nebbia scura che prende a scaturire dalle sue dita. La fissa sbigottito, ma il suo senso di ragno tace, seppur sulle spine. Strange vigila attento su di loro, con le dita intrecciate in una complessa geometria e il mantello più irrequieto del solito. May e il signor Stark si tengono lontani, entrambi tesi e preoccupati, quasi trattenendosi a vicenda dall’avvicinarsi di più; Peter è certo di aver fatto perdere loro almeno dieci anni di vita in un solo giorno.
 
«Non farà male,» dice in quel mentre la donna, e non gli è chiaro se stia parlando con lui o con gli altri. 
 
Le spire fumose serpeggiano verso di lui e le sente sfiorargli la fronte come un alito di vento caldo. Per un singolo istante, il velo giallastro che gli scherma gli occhi si solleva, e non può fare a meno di trasalire per la sorpresa, assaporando meravigliato quell’istantanea a colori che balena davanti a lui. Nota solo ora che gli occhi della donna sono di un verde chiaro, ombreggiati però da una sottile iridescenza che richiama la sfumatura scarlatta della sua magia. Nel giro di un istante, piomba di nuovo nel suo mondo giallo e un’imprecazione gli si schianta contro la gola sigillata.
 
Percepisce le volute magiche farsi strada cautamente dentro la sua testa, spingendo da parte le sue tenui difese con gentile fermezza. È una sensazione che non riesce a classificare con precisione come spiacevole o meno, ma è sicuramente innaturale. Destabilizzante, anche, ma non prova davvero alcun dolore. Gli ci vuole un po’ per notare che la luce intorno a lui sta scemando lentamente, e ancor di più per realizzare che la causa sono le sue palpebre che si stanno chiudendo.
 
No.
 
No, no, no no, non può permettere che ciò accada: tornerebbe nel vuoto, riverso sulla lastra ambrata e deserta che l’aveva imprigionato e dove nessuno poteva sentirlo piangere o gridare; tornerebbe ad essere incastonato dentro la Gemma e poi sotto le macerie, e stavolta morirà – morto, sarà morto e non può morire se May e Tony e Ned e MJ lo stanno aspettando.
 
Il terrore di risprofondare in quella voragine arancione e senza fondo dilata le sue pupille finché i suoi occhi non diventano neri quanto l’oscurità che lo sta inghiottendo.
 
Non riesce a respirare.
 
“Peter.”
 
La voce calda della donna echeggia nella sua mente, permeando ogni meandro della sua coscienza e aprendo uno stretto sentiero nell’intricata selva dei suoi pensieri impauriti. Di tanto in tanto, vede lampeggiare davanti a sé delle singole immagini sconosciute e slegate tra loro, forse particelle di memoria involontariamente condivise da lei.
 
“Voglio aiutarti, ma devi permettermelo. Calmati.”
 
Una strana corrente di forza – magia – lo avvolge delicatamente; non gli sembra ostile, anche se vi si intreccia una sottile nota di tristezza. Si sente sospingere da quel flusso rassicurante, fino a immergervisi completamente, e i flash di memoria aumentano.
 
Intravede dei paesaggi montuosi e sconosciuti, ricoperti da fitte foreste; percepisce il calore di una vecchia casetta affacciata su una stradina di ciottoli; inspira l’odore di resina, legno di pino e fumo della stufa; il sapore dolce ed esotico di un piatto alla paprika gli riempie la bocca; gli risuonano nelle orecchie delle risate argentine e infantili mentre due bambini si rincorrono giocando a palle di neve, lei con una lunga treccia dai riflessi ramati che ondeggia qua là, lui con delle ciocche bionde e ricce che sbucano dal cappello di lana. I loro occhi hanno lo stesso punto di verde, e sono lucidi e brillanti per il freddo e il ridere. Quell’ultimo fotogramma sfuma più rapidamente degli altri, soffermandosi appena sul sorrisetto da monello del bambino e lasciando dietro di sé una traccia dolceamara.
 
Si ritrova in un bosco, con la sottile nebbia del mattino che serpeggia tra gli alberi, simile a miele nei primi raggi di sole; delle pozzanghere ghiacciate riflettono la luce come specchi incrinati. L’aria fredda sembra detergergli i polmoni, e assorbe con lo sguardo quelle tinte verdi che spezzano la sua prigione ambrata. C’è silenzio, e anche il brusio di sottofondo che gli risuona in testa da quando è tornato scema, confuso col lieve stormire degli abeti. Riesce a pensare, in quel bosco sconosciuto ma arioso, pulito, irrorato di luce soffusa.
 
Non ha idea di chi sia questa donna, se non che l’ha già incontrata da qualche parte e che è molto più potente di qualsiasi altro super-eroe che conosce, ma quel torrente di ricordi familiari e sinceri riesce a quietare il suo panico crescente fino a ridurlo a una semplice increspatura sulla superficie di un mare calmo. Chiunque lei sia, è umana, a dispetto dei suoi poteri, aveva una casa e una famiglia e sa cosa sia il dolore: gli è chiaro da quanto quelle immagini gli siano sembrate nostalgiche e intrise di rimpianto.
 
“Sono Wanda,” dice lei a quel punto, o meglio, pensa, e poter associare un nome a quel volto lo fa sentire meglio, quasi ciò potesse dare contorni più definiti alla persona. “Posso farti uscire di lì, ma devi fidarti di me,” continua con fermezza, con la voce che sembra echeggiare attutita dai tronchi circostanti.
 
Il bosco ondeggia, come un riflesso o un miraggio facilmente valicabile. Sente le palpebre farsi pesanti, invitandolo verso il sonno. La paura lo morde nuovamente allo stomaco e sembra dilaniarlo mentre i suoi sensi lo implorano di non lasciare la presa sul mondo reale e non affondare nella penombra invitante che gli sta spalancando davanti Wanda. Fidarsi vorrebbe dire abbandonare ogni residua coscienza di sé e rischiare di non riemergere mai più dall’oblio, perché non è detto che funzionerà, così come non hanno funzionato il piano di Tony, i tentativi di May e i suoi stessi, vani sforzi.

Ma allo stesso tempo non vede altre soluzioni, e lui vuole uscire di lì con tutto se stesso e vuole disperatamente essere aiutato: fuggire dalla sua prigione d’ambra e tornare dalle persone che si stanno preoccupando per lui e dire loro con la sua voce che sta bene.

Esita per un lungo, doloroso istante prima di abbandonare completamente le sue difese e fidarsi di Wanda.
 
Improvvisamente, non è più dove dovrebbe essere. Il bosco è svanito, l’infermeria anche, la lastra ambrata è lontana. Non sa più dove sia il suo corpo, ma sente qualcosa che lo tira e lo strattona per un braccio, come se stesse cercando di strapparlo da una sorta di trappola viscosa in cui sembra intrappolato – non sa dire dove, o come, e continua a tenere gli occhi chiusi anche se una parte di sé continua a rimanere perfettamente sveglia – e poi inizia a lottare. Si dibatte e divincola, seguendo quella forza che lo guida, sentendo i viluppi che si staccano pian piano dal suo corpo spezzandosi sotto le sue mani; straccia un filo alla volta la trama di quella ragnatela – il destino, lo sa, è beffardo – finché non gli manca il respiro, finché la forza che lo guida non diventa la sua forza. Scalcia un’ultima volta, con impeto, e avverte un improvviso vuoto allo stomaco, come se stesse cadendo.
 
Il senso di vertigine lo assale, facendo vacillare sempre più la sua lucidità, e distende d’istinto un braccio come a lanciare una ragnatela per proiettarsi verso l’alto, ma non ci sono appigli, ed è inerme. Si sente trattenere dolcemente per poi essere adagiato a terra, su quello che sembra un tappeto di muschio e foglie secche. Stringe i pugni, e le sente scricchiolare fragili contro i palmi mentre inala l’odore denso del sottobosco.
 
Schiude gli occhi, e la tinta ambrata che gli offusca lo sguardo inizia a diluirsi, per poi scurirsi fino a diventare di un nero assoluto. 
 
§
 
I colori sono tornati.
 
È la prima cosa che nota non appena riprende il controllo dei propri occhi, che non è sicuro di aver davvero chiuso per tutto quel tempo. La prima cosa che incontrano è un display con una linea di un verde brillante a segnare il battito del suo cuore: s’impenna e scende in picchiata in modo discontinuo, seguendo un ritmo leggermente accelerato che rispecchia il suo stato di completa euforia.
 
Batte le palpebre nella penombra, all’erta, ma si rilassa quando inala un profumo conosciuto e realizza che May è raggomitolata accanto a lui, mentre lo abbraccia da dietro sopra le coperte. Lascia vagare i suoi occhi sulla stanza, e individua il signor Stark abbandonato sulla poltroncina accanto al letto, con gli occhi stanchi illuminati fiocamente dallo schermo del telefono.
 
Peter rimane immobile, sveglio, troppo esausto per provare davvero a muoversi o parlare, e in fin dei conti non lo farebbe neanche se ne avesse la forza per evitare di infrangere quella piccola cornice di serenità in cui è racchiuso. Si limita a riempirsi gli occhi di ogni singolo colore che riesce a vedere di nuovo per la prima volta, dall’azzurro chiaro delle sue lenzuola al rosso acceso del logo degli AC/DC sulla maglietta del signor Stark, dai piccoli numeri di un verde fluorescente sull’orologio allo smalto blu notte di zia May.
 
Un sorriso sfinito ma spontaneo emerge sulle sue labbra screpolate nel vedere il signor Stark sbadigliare e muoversi appena per rimanere sveglio, e nel sentire l’abbraccio di May stringerlo così forte da poter percepire il suo cuore battere contro la propria schiena.
 
Finalmente, un battito alla volta, riprende a respirare.
 
§
 
Sono circa le due del mattino quando May si alza barcollando per andare al bagno e, su insistenza del signor Stark, per fare uso della vasca, mangiare qualcosa e mettersi qualcosa di più comodo, visto che c’è. Peter è immensamente sollevato quando lei finalmente cede e acconsente riluttante a tornare tra circa un’ora, a patto che poi lui faccia lo stesso.
 
Peter è ancora abbastanza terrorizzato all’idea di provare a muoversi o parlare, ma adesso che ha finito di analizzare e classificare ogni singolo colore, gradazione e sfumatura dell’infermeria e che May se n’è andata, inizia a trovare un po’ inquietante starsene lì a fissare con le palpebre socchiuse un ignaro signor Stark, che è apparentemente occupato a testare quanto può piegarsi la sua schiena prima di spezzarsi man mano che sprofonda sempre più nella poltrona. In effetti è quasi divertente, ma sa anche che è il momento di scoprire se il suo corpo e la sua voce funzionano davvero, e conclude che è meglio farlo adesso con lui che rischiare di far preoccupare ancora May.
 
“Signor Stark,” prova a dire, ma le parole si accapigliano nella strettoia delle sue corde vocali e l’unico risultato è un senso di soffocamento.
 
Emette un muto sospiro frustrato e si agita appena sotto le lenzuola, tirando su le ginocchia fino al mento e stendendole di nuovo in un gesto nervoso. La realizzazione di essersi appena mosso volontariamente lo colpisce con una frazione di secondo di ritardo, e comincia subito a piegare, muovere e ruotare ogni singola articolazione che ha coscienza di possedere per assicurarsi che tutto funzioni ancora a dovere. Si sente intorpidito e dolorante, oltre che molto scoordinato, ma è comunque meglio di essere totalmente paralizzato.
 
Le sue manovre attirano ben presto l’attenzione del signor Stark, che solleva lo sguardo dal telefono, fortunatamente senza notare il modo idiota in cui sta agitando le dita dei piedi solo per il gusto di poterlo fare di nuovo. L’ingegnere gli rivolge un gran sorriso, coi lineamenti che si rilassano di colpo, scacciando parte della preoccupazione e lasciando posto a un pizzico di serenità.
 
«Ehi, ragazzino,» lo saluta, con voce chiaramente distrutta, ma comunque vivace. «Sei sveglio?» chiede poi, e sarebbe una domanda sciocca, se Peter non sapesse di aver passato la maggior parte del tempo a guardare fisso in lontananza, a volte del tutto inconsapevole di ciò che gli accadeva attorno.
 
È quindi con estrema soddisfazione che risponde annuendo lentamente col capo, riuscendo anche a strapparsi un sorriso esitante. La mandibola del signor Stark cade in modo quasi comico, lasciandolo a fissarlo a bocca semiaperta e con sguardo assolutamente sconcertato.
 
«Sei… sei qui? Insomma, sei davvero qui?» sussurra, a corto di voce, e nel parlare quasi capitombola a terra nel tentativo di districarsi dalla coperta in cui si è avvolto.
 
Peter stavolta annuisce più volte, e l’uomo si copre la bocca con la mano, i gomiti poggiati sulle ginocchia mentre chiude brevemente gli occhi.
 
«Ok. Ok, tutto… tutto questo è reale, vero?» mormora preoccupato, alzandosi e avvicinandosi al letto. «Dimmi che non sto allucinando.»
 
Peter annuisce una volta per la prima domanda, per poi fare un cenno di diniego alla seconda affermazione, e il signor Stark si lascia cadere seduto di peso sulla sponda del letto, senza staccargli gli occhi di dosso, come se farlo potesse in qualche modo farlo scomparire. Lui è ancora disteso e non vuole forzare il suo corpo provato per tirarsi su; è comunque piuttosto sicuro che a lui non importi che lui sia sdraiato, seduto, in piedi o a testa in giù, in quel momento.
 
«Riesci a parlare?» chiede poi, con ancora la mano davanti alla bocca a smorzare la sua voce.
 
Peter sente la sua espressione soddisfatta affievolirsi appena mentre nega di nuovo con la testa. Lui tira a sua volta le labbra, ma non lascia trasparire troppo la sua preoccupazione in merito.
 
«Non fa niente, Pete, ci riuscirai; ora sono solo contento che-… sei qui,» dice poi, balbettando come se avesse davvero realizzato quel fatto solo nel momento in cui pronuncia le parole per esprimerlo. «Oddio, sei qui. Devo–… merda, dammi un secondo, sto avendo un– un sovraccarico di sistema,» straparla infine, buttando poi fuori un sospiro traballante.
 
Si alza di nuovo in piedi, sfregandosi incredulo i palmi sul volto e prendendo a camminare su e giù per scaricare la tensione nervosa. Il volto di Peter si blocca a metà tra un sorriso perplesso e un cipiglio preoccupato, perché è raro che si mostri così palesemente in agitazione e soprattutto emotivo, e non si sarebbe mai aspettato di vederlo così per causa sua. Non sa se sentirsi in colpa o lusingato, quindi la sua espressione continua ad oscillare tra le due alternative, creandone una terza, molto confusa. Ma è felice che lui sia lì, e non vede l’ora di rivedere anche May. Il signor Stark si volta bruscamente verso di lui, puntandogli contro un indice minaccioso, il volto atteggiato a un cipiglio severo.
 
«Non guardarmi così. Lo so che sto miseramente fallendo nel darmi un contegno, quindi–…» s’interrompe di nuovo e si siede di nuovo sul letto, apparentemente svuotato di ogni energia.
 
Riprende a parlare a raffica dopo appena un paio di secondi, badando ad evitare accuratamente di guardarlo negli occhi.
 
«Sapevo che ce l’avresti fatta. Lo– lo sapevo e basta, dopotutto sono un genio,» farfuglia, e per un singolo istante Peter intravede il suo labbro tremare tra un ghigno e un singulto sotto il pizzetto.
 
Poggia la fronte contro il palmo e prende un altro respiro profondo e non del tutto stabile. Peter si sta sforzando di dire qualcosa, qualunque cosa, ma tutto ciò che riesce a fare è sollevarsi su un gomito; incapace di chiamarlo a voce, lo tira leggermente per la manica come un bambino, facendogli così sollevare il capo. I suoi occhi sono indiscutibilmente lucidi e si sta trattenendo con ostinazione dal battere le palpebre per evitare di farli traboccare. È quasi riuscito nell’intento di ricacciarle indietro, quando una lacrima sfugge a tradimento dalle sue ciglia, attraversandogli una guancia, e scatta subito ad asciugarla col palmo della mano prima che raggiunga il pizzetto.
 
“Sta bene?”, cerca di sillabare Peter, senza riuscire a controllare del tutto i propri movimenti, e indirizza ogni briciolo di emozione in suo possesso verso il suo volto per esprimere quella semplice domanda – perché, Cristo santo, Tony Stark sta piangendo e non ha la minima idea di come gestire un evento simile.
Chissà come, lui comprende quello che sta cercando di dirgli, e riesce a rispondergli in modo coerente.
 
«Sto bene, ragazzino, davvero. Sono lacrime di gioia: odio cercare altri protetti,» dice, con una mezza risatina un po’ rotta. «E giuro su Dio, se questo,» si asciuga del tutto il volto con la manica a chiarire il concetto, «Esce fuori di qui, la prima cosa che faccio è mettere della polvere pruriginosa nella tua eroica calzamaglia,» aggiunge, tirando su col naso un’ultima volta e raddrizzando compostamente la schiena quasi a voler cancellare quel momento di debolezza.
 
A Peter viene un po’ da ridere, adesso, ma la sua voce è decisa a privarlo anche di quel gesto, quindi si limita a rivolgergli un sorriso furbo per quella minaccia non poi molto minacciosa. Gli sembra così irreale poter scherzare col signor Stark come se nulla fosse mai successo, e potersi di nuovo muovere e pensare lucidamente, e poter vedere ogni singolo colore che aveva temuto di dimenticare – e forse è lui a piangere, adesso, e non fa nulla per impedirlo, perché anche quelle sono lacrime di gioia e si sente un po’ giustificato dal fatto che neanche Iron Man sia riuscito a trattenerle.

Il signor Stark lo osserva incerto, e Peter a quel punto cerca di ricomporsi almeno un po’, sentendosi in lieve imbarazzo. Infine, Tony libera un sospiro teatrale, volge gli occhi al cielo con fare giocoso e allarga le braccia con aria quasi rassegnata.
 
«Dai, bimbo-ragno. Mi sa che adesso ci siamo,» dice semplicemente.
 
Prima ancora che possa finire la frase, Peter l’ha già abbracciato goffamente e con tale impeto da sbalzarlo quasi per terra. Lui sbuffa divertito e lo trattiene con prontezza, arruffandogli i capelli per poi stringerlo saldamente a sé. Peter chiude gli occhi umidi, stavolta senza alcuna paura, e si lascia avvolgere da quel calore nuovo, ma allo stesso tempo conosciuto e familiare. Tutti i ricordi degli abbracci passati e rotti, dolorosi o sbriciolati, sfumano alle sue spalle mentre lascia che le sensazioni che prova adesso diventino le uniche che contino davvero.
Stavolta, è tutto esattamente come dovrebbe essere. Si sente al sicuro, amato, a casa, come lo era stato tra altre braccia ormai lontane che gli sono mancate fino ad ora.
 
«È bello riaverti qui, ragazzino.»


 


Note Dell'Autrice:

Eccomi qui, sebbene in ritardo di un giorno <3
Forse ci sono andata un po' pesante col fluff, ma spero abbiate apprezzato il cambiamento :')
Qui mi sono sforzata di non lasciar trapelare la mia antipatia borderline per Wanda, che in realtà è un personaggio che mi dispiace aver visto così poco approfondito nel MCU; mi sono tenuta dall'entrare in merito dei rapporti tra i Vendicatori post-Endgame, ma non ho potuto evitare di inserirvi un accenno. E sì, Tony è volutamente rompiscatole, come sempre quando parte per la tangente delle sue paranoie...

Ringrazio tantissimo _Atlas_ e T612 che hanno recensito lo scorso capitolo, oltre a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le preferite/ricordate/seguite (siete sempre di più e io un po' mi commuovo <3)
L'aggiornamento è scalato a domenica, ed è incredibile vedere che, pur con tutti i capitoli pronti, riesca comunque ad aggiornare in modo discontinuo :')
Au revoir,

-Light-
   
 
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