Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    24/03/2019    1 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo 4:
"«Bene. Ora lasciami solo.».
La donna alzò un sopracciglio, contrariata.
«Per favore.» aggiunse l’uomo, sforzandosi di essere gentile.
Lei annuì e uscì, senza emettere un fiato e richiudendosi piano la porta alle spalle.
Keller ascoltò i suoi passi allontanarsi e sospirò, immergendosi nel silenzio che finalmente regnava sovrano nella piccola e umida stanza. Dopo qualche minuto passato a contemplare il vuoto, si decise a muoversi e estrasse dal cassetto nascosto sotto al tavolo alcuni fogli di carta ingiallita e una vecchia penna.
Era una stilografica, l’uomo si sorprese chiedendosi per quanto tempo fosse rimasta abbandonata lì dentro.
Poi si chinò sul foglio, cominciando a scrivere.
“Cara Isabelle...”."

Ho scelto il silenzio


GIORNO 40 – 24 Dicembre.


Frederich Keller rientrò nella propria cella lentamente, tanto che una guardia non mancò di dargli una spinta poco gentile per intimargli di sbrigarsi.
Una volta solo, sedette sulla scomoda panca che sporgeva dal muro ed estrasse dalla tasca ciò che era riuscito a rubare dalla mensa. Sapeva che non sarebbe stato complicato ottenerla, ma vi aveva comunque pensato a lungo prima di rubarla.
Ormai era in carcere da quasi due settimane, ma prima non ne aveva avuto il coraggio.
Sistemò l’oggetto sulla panca, alle sue spalle, estraendo dalla tasca qualcos’altro: la foto della sua famiglia.
Era riuscito a tenerla con sé, sempre, nonostante tutto. Anche sotto le macerie, quel giorno, agonizzante in mezzo ai massi, era stato attento a non perderla.
La spiegò e, con calma, cominciò a studiarla. Come sempre, come se la guardasse per la prima volta.
Sophie e Martha, le sue due bambine: la prima, sette anni, aveva i capelli scuri e ricci e gli occhi grigi del padre, taglienti ma al tempo stesso incredibilmente profondi. Era così carina nel suo vestitino a quadretti gialli, così allegra e solare. Accanto a lei, Martha, catturata nella foto mentre faceva una buffa smorfia rivolta alla sorella. Capelli biondi, occhi azzurri, la copia perfetta della madre. Aveva solo quattro anni. Poi, tra le bambine, Isabelle. L’amore della sua vita. La donna a suo avviso più bella che avesse mai incontrato, la più dolce, la più comprensiva.
Keller sorrise alla foto, come sorrideva ogni volta che le vedeva: la sua ragione di vita.
Una musichetta conosciuta arrivò alle sue orecchie da un corridoio lontano. Le guardie provavano a distrarsi, ad accontentarsi di dover essere in servizio anche quella sera, forse sperando di poter essere a casa prima della mezzanotte.
Era la vigilia di Natale.


Ben si sedette sul divano, esausto. Chiuse gli occhi per un momento, solo per un momento, e quando li riaprì Margaret era davanti a lui, con un sorriso dipinto sulle labbra e un maglione rosso attorno alle spalle.
Il giovane poliziotto le fece cenno con la mano e lei si sedette accanto a lui, accoccolandosi sul divano tra le sue braccia.
L’atmosfera attorno a loro era quasi perfetta.
Le luci soffuse, il piccolo albero di Natale addobbato alla perfezione, fuori il buio della sera e dentro il calore emanato dalla piccola stufa sistemata nell’angolo del salotto. Quasi perfetta.
Perché a Ben, quella vigilia di Natale sembrava strana.
Durante gli ultimi anni aveva trascorso il Natale con la famiglia Gerkhan, piuttosto che con la sua famiglia, attorniato dalle risate scherzose delle bambine, suonando la chitarra e spacchettando regali al posto di Lily, divertendosi come un bambino.
Ora le cose erano cambiate, ora c’era Margaret, e per questo probabilmente non avrebbe trascorso il Natale con la famiglia Gerkhan a prescindere da ciò che era successo. Tuttavia, sapere Semir e Andrea soli in un letto d’ospedale lo angosciava terribilmente.
«Dovresti rilassarti, Ben.» disse Maggie a un tratto, come se gli avesse letto nel pensiero «Sei stato con loro fino a poco fa, tornerai domani a vedere come stanno. Ma ora, per un momento, prova a non pensare.».
«Non riesco a non pensare.» mormorò Ben, guardandola negli occhi «Loro sono... è come se fossero la mia famiglia, come faccio a non pensare?».
La ragazza sospirò, annuendo comprensiva, ma estrasse qualcosa dalla tasca dei jeans che indossava: un foglio piegato in quattro e leggermente ingiallito.
Con un mezzo sorriso, lo spiegò e lo mise davanti agli occhi di Ben, mostrandoglielo.
«La lettera di Keller?» chiese il poliziotto, con il timore negli occhi.
«Non credi sia giunto il momento di leggerla, Ben?» fece lei, stringendosi di più al poliziotto e mettendogli il foglio tra le mani.
«Non so se voglio farlo, Maggie...».
«Dai...» sussurrò lei, stringendogli la mano.
Poi, cominciarono a leggere.


Keller ripiegò la foto e la mise in tasca, dove era sempre stata.
Ripensò a Semir Gerkhan e a tutto quello che gli aveva fatto.
Ripensò a quegli occhi colmi di terrore e rivide per l’ennesima volta se stesso, sette anni prima.
Ripensò alle grida della moglie e delle bambine, legate in quell’edificio predisposto all’autodistruzione e alle parole piene di odio di Kate.
Ripensò a Ben Jager, a quel ragazzo che gli aveva parlato, lo aveva ascoltato, nonostante tutto.
Aveva ottenuto quello che voleva, aveva rovinato la vita a Gerkhan, esattamente come aveva previsto.
Immerso nei propri pensieri, si alzò, prese la corda che aveva rubato dalla mensa e rimase fermo a guardarla: era una corda sottile, gli addetti la usavano per chiudere i sacchi delle patate. Ma era abbastanza resistente.
Spostò lo sguardo sulle inferriate della piccola finestra che si apriva nel muro grigio e uniforme.
Poi tornò a guardare la corda e, con un mezzo sorriso, la legò a cappio.
Sapeva perfettamente quello che stava facendo.


Cara Isabelle,
lo so, non sarai tu a leggere questa lettera, ma voglio comunque indirizzarla a te. Perché a leggerla sarà qualcuno che si prende il diritto di scavare nella mia vita... e la mia vita sei tu, sei sempre stata tu.
È il 17 Novembre e ti scrivo da una sudicia cantina nella periferia di Colonia.
Sto preparando la mia vendetta, Isabelle, sto preparando la vostra vendetta. Tu e le bambine sarete vendicate, finalmente, dopo sette lunghi anni.
Lo so, non approveresti. E, probabilmente, non approverei nemmeno io se non fossi accecato dall’odio.
Ma io vedo solo questo, Isabelle, vedo solo odio. Ho trascorso sette anni in una cella di cui qualcuno aveva già buttato via la chiave e l’unica cosa che mi ha tenuto in vita, oltre al vostro ricordo, è stato l’odio per quell’uomo. Quell’uomo che vi ha portate via da me. Che vi ha ridotto in cenere.
Lui vedrà la sua vita crollare, fosse l’ultima cosa che faccio.
Semir Gerkhan desidererà di morire, esattamente come l’ho desiderato io. Ma sopravvivrà, così come io sono sopravvissuto.
Lo so, Isabelle. Lo so che non approveresti. Ma non riesco a darmi pace in nessun altro modo.
Erano per l’America, sai? Quei quattro biglietti che ti ho consegnato in una busta chiusa, sette anni fa, e che ti ho chiesto di custodire in borsa fino a che non fossi tornato alla macchina.
Erano per l’America.
Avrei concluso lo scambio, saremmo fuggiti insieme. Io, te, le nostre bambine.
Avremmo cambiato vita, avrei cambiato vita. Sarei diventato il padre che loro meritavano, perché loro meritavano di più. Lo volevo davvero.
Ma poi quell’ispettore si è messo in mezzo, Isabelle.
E mi ha tolto tutto.
Tu mi aspettavi in macchina, non avrai capito che cosa stesse succedendo. Avrai udito gli spari, magari avrai provato a farti notare, ma i vetri erano oscurati. Magari avrai provato a scendere, ma le portiere erano bloccate.
E Gerkhan ha continuato a sparare.
Tu avrai visto le fiamme, Isabelle. O forse non hai avuto nemmeno il tempo per vederle, per sentire il loro calore.
Siete diventate cenere sotto i miei occhi, e io ho cessato di vivere e cominciato a sopravvivere, in quel preciso istante.
Chiunque tu sia, lettore, probabilmente la mia vendetta ora che leggi è già stata compiuta. Ebbene, tu sappi che io avrei voluto cambiare vita, che quell’uomo me l’ha impedito e mi ha tolto tutto ciò che amavo, e che io avevo bisogno di far provare a lui le stesse cose, per ricominciare a vivere.
Chiunque tu sia, sappi che sono stato un uomo, non solo un mostro. E ciò che mi rendeva uomo, erano mia moglie e le mie figlie. E lui me le ha strappate.
Chiunque tu sia, non è pietà quella che ti chiedo. Non chiedo niente. Ho scritto perché sento il bisogno che qualcuno legga, che qualcuno ascolti. Che qualcuno sappia perché.
Isabelle, perdonami. Se puoi vedermi, se puoi osservarmi dall’alto, ti prego, perdonami.
Ti amo tanto quanto sette anni fa, amo le nostre figlie e le sento ogni giorno, sento le loro voci nella mia testa. E gridano, Isabelle, loro non smettono mai di gridare.
Forse dopo che avrò fatto quello che devo fare, forse loro smetteranno di gridare e ci sarà silenzio.
Voglio solo silenzio.
Ti amo, Isabelle. Ti amerò sempre.


Ben e Margaret staccarono contemporaneamente gli occhi dal foglio e incrociarono tra di loro gli sguardi.
Entrambi avevano gli occhi lucidi.
«Voleva davvero cambiare vita.» mormorò Maggie, in quella che sembrò una via di mezzo tra una domanda e una semplice affermazione.
«Maledetto bastardo.» fu l’unica cosa che riuscì a sussurrare Ben, trattenendo a stento le lacrime e allontanando da sé il foglio, per vincere l’impulso di strapparlo «Maledetto bastardo...».


Non gridavano più.
Keller non le sentiva più.
Per la prima volta, dopo sette anni, appeso a quelle inferriate con un cappio stretto attorno al collo, non sentiva più le grida di dolore delle sue bambine.
Solo silenzio.
Per la prima volta.
Stava scegliendo di non sopravvivere.
Ora le bambine gli correvano incontro, allegre. Martha, sorridente, seguita da Sophie nel suo vestito giallo a quadretti. E poi lei, Isabelle, con gli occhi blu scintillanti e pieni di speranze.
Per una nuova vita, insieme.

Le guardie lo trovarono lì, nella sua cella, la mattina seguente, con uno strano sorriso disegnato sul volto ormai immobile.


Margaret si alzò dal divano, per poi tornare a sedersi accanto a Ben con un plico di fogli rilegati alla bell’è meglio, che mostrò al poliziotto. La prima pagina era di cartoncino nero e non vi era scritta nemmeno una parola.
Lui la guardò con fare interrogativo, ancora sconvolto dalle parole di Keller che aveva appena finito di leggere.
«Che cosa...».
«Ho finito il libro, Ben.» spiegò lei, posandogli il plico sulle ginocchia «L’ho finito e vorrei che lo leggessi. Non lo pubblicherò. Ma vorrei che tu lo leggessi.».
L’ispettore guardò il cartoncino nero, senza capire.
«Questo è il romanzo a cui stavi lavorando?».
La ragazza annuì, guardandolo negli occhi.
«Ci tengo molto che tu lo legga.».
Ben annuì, ma non lo sfogliò. Rimase immobile a osservare la copertina nera, senza trovare la forza di aprirlo, pur non conoscendone il motivo.
Spostò lo sguardo su Margaret e incatenò i suoi occhi scuri a quelli verdi di lei.
Lei gli prese il viso tra le mani e gli accarezzò i capelli, dolcemente.
«Ben, fammi un sorriso. È mezzanotte. È Natale.».
Ben distolse lo sguardo, senza rispondere.
Tornò a guardare il plico di fogli che aveva sulle ginocchia e finalmente sollevò il cartoncino nero, scoprendo un foglio bianco sul quale troneggiava, al centro, una scritta in corsivo.
Il titolo.
Leggendolo, Ben sorrise.
Sopravviviamo.”.


 
N.d.A.
E qui si conclude la storia di Keller.
Anche il contenuto della lettera è stato svelato, piano piano tutti i pezzi si risistemano, più o meno.
Grazie sempre, a presto!
Sophie
  
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