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Autore: BabaYagaIsBack    24/03/2019    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Joseph socchiuse gli occhi, mentre lentamente lasciava uscire dalle labbra il fumo bianco della sigaretta. Era il primo momento di totale pace e solitudine che si concedeva in giorni, perché alla fine, aveva deciso di scaricare le proprie preoccupazioni, ma soprattutto ire, nell'allenamento – con chi, in quei giorni, era stato relativo.
Stare nelle mura della Tana era diventato impossibile, ovunque si girasse incontrava la schiena di lei, oppure il suo profumo o, ancora, voci che ricordavano la sua; insomma, persino la stanza che gli era stata assegnata aveva preso la connotazione di prigione.

Si raddrizzò contro la parete, passandosi poi la lingua sui canini affilati e chiedendosi se, prima o poi, sarebbe riuscito a togliersi dalla mente tutta quella baraonda di pensieri. Da quando, il figlio di Douglas Menalcan, si perdeva via con una femmina bastarda? Per quale ragione Aralyn si era presa tutti gli spazi della sua mente? Insomma! Aveva una missione da portare a termine, non poteva concedersi il lusso di una cotta, men che meno di quella.

Con un gesto di stizza buttò il mozzicone oltre il parapetto della finestra. Più ci rimuginava sopra, meno ne veniva a capo, soprattutto visto che mai prima gli era capitato di non riuscire a scrollarsi un pensiero o una persona dalla mente.

Doveva uscire da lì, dal covo dei nemici. Doveva cambiare aria, non vederla, sentirla nominare o udire la sua voce. Aveva assoluto bisogno di ritrovare un po' se stesso, Joseph, non Josh.
Forse, se avesse scovato i gemelli, Fernando, Marion o qualsiasi altro lupo a cui era concesso usare le automobili, avrebbe potuto fuggir via da quel posto per qualche ora – possibilità remota, certo, ma comunque reale.
Armandosi della felpa più pesante che aveva portato con sé, si lanciò fuori dalla stanza con il chiaro intento di placcare Hugo ed Eike. Quasi corse lungo il corridoio che portava alle scale e, una volta lì, fece i gradini a due a due, provando a velocizzare maggiormente la ricerca dei licantropi crucchi.
Arrivato alla base della rampa si sporse verso il piccolo salottino d'ingresso e, preso del tutto alla sprovvista, bloccò la propria corsa.
Non aveva fatto i conti con la possibilità che, in quella spasmodica ricerca, avrebbe potuto finire con l'imbattersi proprio nell'oggetto di tanto turbamento, così quando accadde, lo stupore fu totale. Aralyn se ne stava tranquillamente seduta sul divano in pelle, persa ad osservare qualcosa d'incomprensibile sullo schermo di uno smartphone. Ogni tanto i suoi occhi si fermavano per poi illuminarsi, scorgere un dettaglio che, Joseph si rese conto, voler conoscere a propria volta.
Così, senza alcuna cognizione di ciò che stava facendo, si avvicinò a lei, ignaro di quale reazione avrebbe potuto generare. Sarebbe stato il loro primo incontro solitario dopo il bacio nel bosco, il loro primo scambio di parole in giorni, eppure non temette a fatto l'arrivo di quell'istante.

Le arrivò tanto vicino che, quando lei se ne rese conto, per poco non le sfuggì di mano il cellulare a causa del sussulto. La ragazza batté più volte le palpebre, senza sapere esattamente che fare o dire, ma poi, probabilmente conscia del fatto che non sarebbe più potuta scappar via, tirò un sorriso a labbra strette: «Ehi» salutò con un filo di voce e lui rispose nello stesso modo, restando in attesa – di cosa però, ancora non lo sapeva.

«Ha-hai bisogno di qualcosa Josh?»
Oh, sì! Aveva bisogno di entrarle nella testa e capire cosa vi frullasse all'interno. Aveva bisogno che lei gli dicesse se il suo rifiuto era totale o solo dettato dal momento.
«Potremmo parlare, non pensi?»
Le guance di lei sì arrossarono appena, rendendola più dolce di quello che era nel suo ordinario e facendo chiaramente capire al Purosangue dove i pensieri le fossero caduti.

«Non del clan, immagino...»
Lui scosse piano la testa, infilando le mani in tasca: «No, infatti. Abbiamo qualcosa in sospeso, tu e io... vorrei far chiarezza» le confessò, più per poterla aver vicino, per stare del tempo con lei, che per altro.

Aralyn si morse il labbro, valutando la proposta e, nel compiere quel gesto, Joseph avvertì il desiderio di sostituire gli incisivi di lei con i propri. Era stato fin troppo piacevole baciarla e afferrarle quelle linee rosse, morbide e umide al punto giusto, e ogni gesto che involontariamente lei compiva, coinvolgendole, suscitava in lui ulteriore desiderio.

«Sì, credo sia giusto, però... che ne pensi se non lo facessimo qui? Sai... preferirei evitare interruzioni»

Il Purosangue si guardò attorno, scrutando tutti i presenti. Effettivamente, la Tana era il posto peggiore per affrontare una conversazione come quella, soprattutto con la minaccia di Garrel e Arwen a mettere tensione tra loro.
«Se è questo che vuoi, okay. A me interessa solo mettere in chiaro le cose»
«Perfetto. Prendo le chiavi del suv, dammi un attimo»
Era uscito dalla stanza per andare via da quel posto, per scordarsi di Aralyn per qualche ora e, invece, aveva finito con il fuggire per un tempo indefinito al fianco di lei. Cosa era andato storto, esattamente?
Fu così che, nemmeno mezz'ora dopo, si ritrovò in una tavola calda dai divanetti logori e l'odore di fritto a impregnare ogni angolo.
Joseph storse più volte il naso, per nulla certo che quel posto fosse adeguato al tipo di conversazione che avrebbero dovuto avere.
Seduta di fronte a lui, intanto, l'Impura aveva preso a massacrare una bustina di zucchero al pari di un antistress – certamente nemmeno lei si sarebbe potuta definire a proprio agio lì, inoltre la cameriera che aveva preso il loro ordine non pareva intenzionata a far ritorno dalla cucina.

Il Purosangue scosse la testa, facendo un sorriso nervoso: «Hai davvero una strana concezione di posto tranquillo» le fece notare, lanciando nel mentre qualche sguardo divertito agli strambi soggetti presenti attorno a loro.

Gli occhi di lei si mossero nella sua stessa direzione, indagando lo spazio.

«Quindi? Chi inizia?» 
Aralyn si morse le labbra, riportando lo sguardo sul tavolo: «Perché lo hai fatto?» domandò, senza mai osservarlo in viso. Per quale ragione lo stava evitando persino ora che erano soli?
Era interesse d'entrambi mettere in chiaro la situazione e, sicuramente, un contatto visivo avrebbe aiutato – però non poteva costringerla a guardarlo, se non era ciò che voleva.

«Perché un ragazzo bacia una ragazza? Dovresti saperlo alla tua età» cercò di schernirla, perché in quelle settimane aveva imparato che solo a quel modo avrebbe ottenuto la sua attenzione, cosa che al momento pareva essere di solo dominio della bustina di zucchero.
La ragazza continuò imperterrita a torturare la carta e a quel punto, forse in parte infastidito, Joseph la bloccò con una mano. Appoggiò le proprie dita su quelle di lei, facendole mollare la presa sul trastullo che si era trovata. Aralyn sussultò sotto al suo tocco, allontanandosi svelta. Forse le cose non sarebbero andate come sperato dal Nobile.
«Scemo! Intendo dire... perché io? E perché mi vuoi mettere nei casini? Oltre ad aver quasi lasciato sfuggire un nemico e avermi tirata in mezzo, ti stai mettendo contro Arwen, provandoci con me. Sono sua sorella, te ne rendi conto?» fece una pausa, osservandolo per la prima volta da quando erano saliti in auto per raggiungere quel posto. L'ansia nella sua espressione era evidente, persino un cieco avrebbe potuto notarla. Si concesse ancora un morso alle labbra, poi riprese: «A lui non piace che io sia il passatempo dei maschi del clan» ammise, mentre un lieve rossore prese a imporporarle le gote. Il ragazzo spalancò le palpebre, confuso da quelle parole. Sapeva bene che tra loro non ci sarebbe potuto essere nulla se non una semplice presa in giro, per lo più da parte sua, ma allo stesso modo sapeva che ciò che lo aveva spinto a baciarla, in mezzo al fogliame autunnale, era stato tutto tranne che il desiderio di un "passatempo".
Che dire, quindi? O semplicemente che fare? Inimicarsi Arwen a causa di un flirt con sua sorella avrebbe potuto compromettere l'intera missione – cosa che, il suo continuo perder tempo, sembrava aver già iniziato a fare.

«Cosa vuoi che ti dica, Aralyn? Ti ho baciata perché volevo farlo, perché in quel momento è stata l'unica cosa che mi è passata per la testa» Joseph allargò le braccia, in segno di resa. Non aveva motivo di mentirle – non in quel frangente quantomeno. Nuovamente, tentò d'afferrarle una mano, lasciata imprudentemente sul bordo del tavolo: «Non so né come, né perché okay? Però mi piaci. Mi piace la tua testardaggine, il modo in cui ti muovi per il clan, il tuo coraggio. Ci sono tanti gesti che fai che mi spingerebbero a baciarti ancora e ancora» la lingua prese a lasciar sfuggire i pensieri che per molto si era tenuto per sé, coltivandoli fino a quel punto: infatuarsi del nemico. 

Il Purosangue rimase fermo, in attesa di un qualsiasi gesto o parola da parte di lei, eppure nulla sembrava essere sul punto d'accadere. Aralyn se ne stava muta con la schiena curva e gli occhi sulle loro mani intente a sfiorarsi.
«Ascolta» sbottò lui, lasciando la presa e facendosi cadere sullo schienale imbottito. Starsene lì, senza ottenere alcun risultato, era più estenuante che evitarla per tutto il giorno: «sono grande abbastanza per accettare un rifiuto, quindi se il mio interesse per te non è ricambiato, dillo subito, almeno mi levo di torno»
«Non è questo il punto»
«Qual è allora?» il tono di Joseph si alzò di qualche decibel, facendo trasparire tutto il suo nervosismo. Si morse la lingua, conscio del fatto di star oltrepassando un limite che poche persone, in tutta la loro specie, avrebbero potuto giustificare.

Perché? Perché non riusciva a fermarsi? Per quale stupida ragione, il suo sangue Menalcan, non lo faceva rinsanire?
Avrebbe voluto trovare una risposta a tutte quelle domande, ma la verità era che tutto ciò di cui era certo, era che tra loro vi fosse una sorta di legame, una filo che si andava stringendo intorno ai polsi ogni giorno di più – tutto il resto gli era oscuro.
Se non fosse stato certo che, tra Puri e Impuri, non potesse nascere un'unione del genere, avrebbe sospettato dell'imprinting. Aralyn però era nata umana, non lupo, giusto? Quindi la questione era pressoché impossibile.

La ragazza si passò una mano tra i capelli, scuotendo le ciocche dorate: «Non voglio innamorarmi di qualcuno che potrei perdere» disse infine, riprendendo a seviziare le proprie labbra. Con gli occhi dorati si mise a vagare per il pavimento accanto ai loro piedi, forse imbarazzata dal discorso.
«Essere in questo clan vuol dire essere sempre in guerra. Lo hai visto anche tu, no? Dominik mi sta addosso, i Menalcan anche... che vita sarebbe? E se un giorno uno di noi uscisse in missione e non tornasse più?»
Lo stomaco di Joseph si strinse; in parte a causa di ciò che lei stava dicendo, in parte per via del fatto che sospettasse che la sua famiglia le fosse alle calcagna – cosa che, a dire il vero, tanto sbagliata non era.

«E' questo che ti frena? Aralyn, noi siamo...» il giovane tentennò appena, incerto sul termine più adatto da usare: «quel che siamo. La nostra vita sarà sempre minacciata dalla spada di Damocle che ci pende sopra la testa!»

«E allora fammi scegliere di non soffrire più del dovuto!» sbottò lei di risposta, stringendo i pugni.

   
 
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