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Autore: kurojulia_    24/03/2019    1 recensioni
Yuki ringhiò, stringendo i denti in una morsa dolorosa. Dannazione. L'unica cosa che potevano fare – l'unica che avesse un po' di senso, per lo meno – era quella di levare le tende. Eppure, la sola idea di lasciarli continuare a vivere, impuniti, la faceva impazzire come il più spregevole dei demoni. Se fosse dipeso da lei, sarebbe rimasta nella neve fin quando essa non le avesse raggiunto le ginocchia, e avrebbe continuato ad ucciderli. Fino all'ultimo.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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19.



«È un problema», commentò Tetsuya.

«Un bel problema», annuì Oseroth.

Takeshi arretrò lentamente e sollevò il mento verso l'alto, alla ricerca spasmodica di qualche indizio che potesse aiutarli. Niente da fare, solo in quel modo non avrebbe carpito niente da quella casa maledetta. Il buio inghiottiva le pareti come un lupo feroce.
«Dannazione», sbraitò il biondo, le mani intorno alle sbarre della cancellata. Per quanto la scuotesse, per quanto cercasse di spalancarla, non c'era verso. Neppure la forza sovrumana o il fuoco avevano sortito qualche effetto.
Tetsuya imprecò sottovoce e si rivolse ai due. «A questo punto non ci sono dubbi: questo non può essere un materiale comune».

Takeshi abbassò lo sguardo. «Aspetta... », in due passi, il moro si fece vicino alla cancellata, avvicinandoci il volto, fino a sfiorarla con la punta del naso. Proprio lì, ricoperto dalla ruggine di decenni, affiorava un bagliore giallognolo. Era appena appena visibile. «Che cos'è?».

«Quello è... oro?». Oseroth chinò il capo, aguzzando la vista. Le sue pupille, strette come aghi, si dilatarono per un istante. «Non ci sono dubbi. Si tratta proprio di oro».

Tetsuya digrignò i denti, passandosi una mano sulla tempia fino alla radice dei capelli biondi. «Per questo non riuscivamo ad aprire questo dannato cancello. Potevamo provare all'infinito, ma con la forza non si sarebbe mai aperto. Ma perché diavolo è fatto in oro?».

«L'oro è uno dei metalli più nobili», disse Takeshi – sebbene, in realtà, stesse riflettendo ad alta voce. «Ed è... strettamente legato al sole».

 

Oseroth si voltò verso il ragazzo. Sul viso aveva un espressione seria, impenetrabile, e apparentemente infastidita. Tuttavia, stava provando un vago senso di meraviglia, nei confronti dell'umano. «Precisamente. Il sole non ci ha mai dato la sua benedizione», ruotò la testa di lato. «e non ha mai accolto noi creature notturne. Potremmo dire, in breve, che si tratti di un nostro nemico e... rivale».

«E l'oro ha lo stesso ruolo?».

Il demone annuì. «L'oro è in grado di ostacolarci. Un'arma, se rivestita di quel metallo, potrebbe esserci fatale».

«Se le cose stanno così», disse Tetsuya. «ho ragione di credere che ci sia una chiave, qui da qualche parte, e che possa permetterci di aprire la serratura del cancello. Dobbiamo trovarla».

 

Ma era più facile a dirsi che a farsi. Quella casa era gigantesca, addirittura più delle sfarzose tenute dei Fukanishi, e Alyon aveva ovviamente nascosto per bene la chiave – sempre ammesso che non ce l'avesse lui.
Se fossi Alyon, pensò Oseroth, dove metterei una chiave così importante?
Ai propri sottoposti? Immobile in quel punto, il demone percepiva chiaramente la presenza di svariati vampiri, ma anche di demoni, che pullulavano in quella casa come formiche operaie. Naturalmente, Alyon aveva trasformato molta gente in vampiri, ma Oseroth dubitava che avesse lasciato la chiave ad uno qualunque dei suoi servi. Se lui fosse stato nella sua situazione, l'avrebbe lasciata alla persona più fidata.
In questo caso, l'unica risposta che gli saltava alla mente... «Quei due», bisbigliò. «La chiave ce l'hanno quei due, Juri e Ryuu. Certo, non ci scommetterei la testa, ma è l'unica opzione sensata che mi viene in mente».

 

Tetsuya si spostò fino al centro della sala. Da quel punto, se sollevava gli occhi verso l'alto, riusciva a vedere il secondo piano aprirsi in corridoi e porte. Era un vero e proprio dedalo. «Già, sono d'accordo. Propongo di dividerci, sempre se vogliamo chiudere la faccenda in questo secolo».

«Sia. Tu e... », Oseroth fece per continuare, ma si bloccò, puntando i suoi occhi sul profilo di Takeshi. Se gli fosse mai accaduto qualcosa, sua figlia non gliela avrebbe mai perdonato, né in quella vita e né nelle prossime a venire. «... tu e Takeshi andate insieme».

«Ah... okay», disse Takeshi, sorpreso. «Faccia attenzione».

Oseroth indugiò. «Anche voi. Sbrighiamoci».

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Immersi nelle ombre del corridoio,Takeshi faticava ancora a focalizzare ciò che aveva di fronte. I suoi occhi non si erano ancora abituati a tutta quella oscurità, al contrario del vampiro, distante meno di un metro rispetto all'umano; Tetsuya camminava ad una lentezza esasperante, tenendosi incollato con la schiena alla parete, tastandone la superficie come se stesse cercando una porta segreta.
Takeshi si rendeva conto che in un luogo del genere la prudenza non era mai abbastanza. Dunque, il comportamento dell'amico era più che logico – tuttavia, non poteva fare a meno di provare nervoso: voleva andare da lei.

Le avevano fatto del male? Oppure, peggio ancora... l'avevano uccisa?

Stando al ragionamento di Tetsuya, no, non l'avrebbero uccisa – né ora né mai. Quindi Yuki doveva essere ancora viva e vegeta.

Se è così, allora non devo preoccuparmi. Sta bene, pensò, mentre lui e Tetsuya si fermavano all'angolo del muro.

Takeshi si era piegato sulle ginocchia, concedendosi un profondo respiro, mentre Tetsuya si affacciava all'angolo. Cominciava ad accusare la stanchezza. Indirizzò gli occhi verso il vampiro, guardandolo con una punta di agitazione.

«Tetsuya», bisbigliò. «riesci a vedere qualcosa, o qualcuno? Possiamo continuare?».

«No, non vedo nessuno. La strada è libera».

«E invece senti qualcosa?».

«In effetti sì».

«E cosa senti?».

«Te».

 

Takeshi lo guardò con la fronte corrugata e un evidente smorfia sul viso, ma la cosa l'aveva fatto sorridere un pochino.

 

Continuarono a camminare. L'ultima stanza in cui erano entrati e che avevano perlustrato si era rivelata un buco nell'acqua. Avevano ormai attraversato un bel pezzo di quel lato della casa, e nessuna delle stanze che avevano setacciato aveva la chiave che cercavano.
La possibilità che la chiave fosse nelle mani – direttamente – di Ryuu e Juri era sempre più alta.

Il corridoio, tappezzato da porte e qualche sporadico suppellettile malconcio, era giunto al termine. Erano arrivati in una grossa stanza rettangolare; sul lato sinistro c'era una fila di finestre e un paio di mobili d'arredamento, mentre sulla destra le due ultime porte.

Tetsuya si avvicinò alla porta più vicina. Appoggiò la mano sul pomello coperto da un leggero strato di polvere e lo ruotò lentamente. Esso emise un suono, molto più rumoroso di quanto avrebbe dovuto. Spinse la porta in avanti di un pochino, guardando nella fessura: un'altra stanza completamente al buio, come tutte le altre che avevano visto, ma questa sembrava più moderna, forse dei primi decenni del 1900; al centro della stanza c'era un tavolino, lungo e basso, e dietro di lui un divano scuro... capovolto.
Sulla parete di fronte erano affissi diversi quadri e quadretti.

«Tetsu», bisbigliò Takeshi dietro di lui. «Entriamo a dare un'occhiata. Male non farà».

«Qui è diverso dalle altre camere che abbiamo perlustrato. Sembra ci sia stata... una lotta».

«Una lotta?».

Tetsuya aprì ulteriormente la porta, lasciando campo libero anche al moro.

Takeshi si guardò intorno, socchiudendo le palpebre, riconoscendo in fondo una parete traslucida che dava in un'altra piccola stanzetta. «L'hai visto quello?», chiese Takeshi, indicando quel punto. «Dev'essere stata aggiunta di recente».

Il vampiro guardò in quella direzione e annuì. «Vuol dire che Alyon stava qui già da un po', per permettersi le “ristrutturazioni”», disse, aggrottando la fronte. «Aspetta».

Takeshi si voltò verso Tetsuya, staccando gli occhi dalla parete, notando la sua espressione quasi sconcertata.

«Che hai? Mi fai prendere un colpo!».

«Questo odore lo conosco», disse il vampiro. Tentennò un istante. «Forse mi sbaglio ed è tutto frutto della mia preoccupazione, ma... ».

«Ma?», incalzò il moro.

«Ma questo è l'odore di Yuki. Sono sicuro al 90% che è proprio il suo. Ah, non guardarmi così, non... ».

 

Tetsuya roteò gli occhi. Lo sguardo dell'amico si era decisamente insospettito, si era fatto addirittura aguzzo. Tuttavia, esso sparì piuttosto in fretta, lasciando il posto ad un viso più tranquillo. «Allora è stata qui – con o contro la sua volontà. E a giudicare dal divano... direi contro».

«Dobbiamo trovarla. Subito», sussurrò il vampiro.

 

 

I due si guardarono, entrambi certi di qualcosa: in quella stanza era accaduto qualcosa. Qualcosa che poteva essere stato un aggravante per l'albina.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Oseroth stava scostando una tenda quando alle sue spalle aveva udito dei passi. Con un movimento fulmineo, aveva scavalcato il parapetto della finestra – il cui vetro era ormai un vecchio ricordo – e si era calato giù, tenendosi in equilibrio sul massiccio cornicione che cintava il secondo piano della residenza. Inclinando la testa e la schiena, era riuscito ad accovacciarsi sotto la finestra, tendendo le orecchie come un pipistrello.

 

«Allora?».

«Allora cosa?».


Oseroth socchiuse le palpebre. Erano Juri e Ryuu. Le loro voci erano inconfondibili.

 

Ma soprattutto, sembravano di buon umore, allegri e spensierati come bambini; lei parlava divertita, ridacchiando di tanto in tanto, mentre Ryuu sembrava leggermente esasperato, forse proprio dalla ragazza.
Ah, chissà come facevano ad essere così rilassati. Avevano rapito una persona e si comportavano come se di fronte a loro si stesse diradando un parco giochi. Oseroth chiuse le mani in pugni talmente forte che la pelle sulle nocche stava diventando più bianca dei suoi capelli.
Sì, era furioso.
Furioso perché avevano osato rapire sua figlia, la legittima erede del casato Akawa.
E non era solo questo, per lui. Non lo diceva a nessuno, nemmeno a se stesso, ma quella ragazza era la sua amata figlia – non l'avrebbe di certo lasciata a quel depravato di Alyon.

 

«Guarda che non manca molto alla fine della missione, dobbiamo darci una mossa a scegliere la nostra destinazione», fece Ryuu. Il demone, che ascoltava il loro discorso, dedusse che dovevano essersi fermati nei pressi del suo nascondiglio improvvisato. «Anzi, in teoria è già finita; dobbiamo solo assicurarci che lei non scappi».

«E nient'altro?», domandò Juri, incalzante. «Sicuro?».

«Ah, sì: dobbiamo anche distruggere la chiave della cripta. Dannata chiave. Non ne posso più di portarmela in giro, sono sempre costretto a mettermi i guanti per non bruciarmi».

 

La chiave!

Dannazione. Non dovevano distruggerla, altrimenti entrare nella cripta sarebbe diventato il doppio più difficile – e con un umano a carico, non era proprio dell'umore per il pericolo.

 

«Già. Che palle».

«Che signora».

«Ma smettila», Juri scoppiò in una risata cristallina. «Come se fosse mai stato un problema. Adesso ci muoviamo? Dobbiamo fare le valige e tagliare la corda».

 

È così stanno per lasciare Alyon, pensò il demone, dopo avermi creato non pochi grattacapi.

L'uomo albino fece una gran fatica a trattenere i ringhi. Sentì Ryuu acconsentire, e il duo ricominciò lentamente a percorrere la moquette del corridoio – ma dopo appena due passi, Oseroth scavalcò il parapetto e tornò dentro l'edificio, flettendosi sulle ginocchia al momento dell'atterraggio.
I due vampiri si voltarono allo stesso tempo e alla vista del demone sbiancarono dalla testa ai piedi. Oseroth appoggiò le mani a terra e scattò verso i due, come un atleta ai posti di partenza.

«Ma cosa– », Juri, presa alla sprovvista, incrociò le braccia di fronte al viso e cadde sulle ginocchia, urtata da un violento schiaffo di vento. Arrancando, riuscì a gridare: «Ryuu! Prendilo!».

«Mi piacerebbe, ma... ». Ryuu, gli occhi rossi, respirava affannosamente. Oseroth Akawa era già un ricordo lontano. Non c'era. Dissolto nel nulla.

«... è sparito», tartagliò la vampira, le labbra tremanti. «Dannazione. Che accidenti è stato?».

«Dobbiamo subito... oh, no».

«Che c'è?».

Ryuu, nervosamente, si stava tastando le tasche dei pantaloni, tutte e quattro, a ripetizione. Poi, in un gesto rassegnato, si guardò i palmi delle mani e li richiuse, incidendo le unghie nella stoffa dei guanti. Il vampiro tirò un profondo sospiro e chiuse le palpebre, forse per rielaborare l'accaduto. Con rabbia, si rivolse alla ragazza. «Ha preso la dannata chiave».

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

La mano bruciava. Più stringeva tra le dita quella chiave, più essa gli impartiva una punizione – e diventava man mano più cattiva. Ma non poteva fermarsi. Finalmente era riuscito a trovarla e non l'avrebbe di certo lasciata andare.

L'oro con cui era stata forgiata la chiave sembrava volersi infilare sotto la pelle di Oseroth, tanto per fargli un dispetto. Il demone però, non desisteva, non era proprio nelle sue corde un simile atteggiamento.
Era da molto tempo che non metteva in moto quella vecchia carcassa del suo corpo. All'esterno, esso appariva perfettamente in forma, sano e ben formato, ma all'interno non lo era più così tanto, complice i secoli che pesavano sulle spalle, il lungo tempo trascorso nell'immobilità; tuttavia, non era messo ancora malissimo e poteva continuare fregiarsi del titolo di spaventoso demone o, come qualcuno diceva di tanto in tanto, “Re albino”. Per lo meno, il suo sguardo intimidatorio faceva metà del lavoro.

 

Poco prima di scagliarsi verso Ryuu e Juri, aveva avuto il dubbio che non ce l'avrebbe fatta.

A paragone con due forze fresche – sicuramente più di lui – come quei due vampiri, Oseroth non aveva pensato di farcela. Tuttavia, quando aveva mosso le gambe, il suo intero corpo non l'aveva tradito. E ce l'aveva fatta.
Era riuscito a sottrarre la chiave dalla tasca di Ryuu in un batter d'occhio.

 

«Ma quello è– signor Oseroth». Il demone era spuntato dalle scale, il respiro appena affannato, e il palmo della mano ridotto ormai allo stremo. Una leggera strisciolina di fumo si levava dalla sua stretta. Il demone guardò di fronte a sé, Takeshi e Tetsuya si stavano avvicinando rapidamente. «Che fortuna essersi incontrati», disse Takeshi, con un espressione malgrado ciò preoccupata – poi però, i suoi occhi notarono quella sorta di fumo dalla mano dell'uomo e la sua espressione si aggravò. «La sua mano è... ».

«Oseroth», proruppe Tetsuya, un po' agitato. «Hai trovato la chiave?».

 

 

Oseroth chinò il viso e aprì lentamente la mano, dito dopo dito. Alla vista della ferita, che si faceva via via più brutta, entrambi i ragazzi reagirono con stupore.

«La dia a me», disse Takeshi. «Non mi farà alcun male, a differenza vostra. Per una volta, essere un umano è di qualche utilità».

Il demone non aveva nessun espressione, ma era palpabile il suo nervosismo. Per quale ragione, proprio adesso, si stava agitando? Era troppo irrequieto.
Spostò lo sguardo su Takeshi. Quel ragazzo, si era proposto per prendere la chiave, il ché sarebbe stato senz'altro utile – eppure, Oseroth non accennava a muoversi. I tratti induriti e seri, era immobile come una statua di sale.

«Oseroth, abbiamo trovato una stanza», disse, a bassa voce, Tetsuya. Lo guardava di traverso, come di nascosto. «E sono quasi certo di aver percepito l'odore di Yuki. Penso che l'abbiano tenuta lì per la maggior parte del tempo, ma poi hanno dovuto spostarla. Molto probabilmente... gli avrà dato del filo da torcere, a quegli altri. In un certo senso, è una buona notizia, non pensate?».

Takeshi fece un piccolo cenno con la testa, in un certo senso lo era.

«Dai pure la chiave a Takeshi», riprese il vampiro. «Non sembra, ma è molto sveglio. Non la perderà».

Il moro fu quasi tentato di lanciargli un'occhiataccia, ma lasciò stare, accontentandosi di un'alzata di spalle. Si girò verso Oseroth invece, attendendo una reazione da parte sua – ma non arrivò. Anche per il ragazzo, era chiaro che il capostipite avesse qualcosa che non andava.
Mal che vada mi ammazza, pensò Takeshi, per poi allungare il braccio e prendergli la chiave dal palmo, stringendola nel proprio.
Le pupille del demone ebbero un guizzo e si assottigliarono come lame. Esse si sollevarono, cupe e fredde, sul viso di Takeshi, e lo fissarono per svariati ed infiniti secondi.

«Andiamo al cancello». E questo fu quanto uscì dalla bocca di Oseroth.

 

 

 

I tre scesero le scale velocemente, il moro di fronte agli altri due. Erano già abbastanza vicini al cancello della cripta, per cui non ci volle molto per raggiungere il punto.
Oseroth aveva brevemente spiegato il suo incontro con Ryuu e Juri e che, purtroppo, era stato inevitabile farsi scoprire dal duo. Adesso dovevano stare molto attenti, perché era probabile che si stessero già muovendo verso di loro. Proprio lì, alla cripta.
Una volta raggiunto il cancello, Takeshi infilò la chiave nella serratura, malandata e corrosa, e dovette metterci molta forza per riuscire a sbloccarla. Fece qualche giro in senso orario e finalmente, con un rumore metallico, fu aperto.

Ci siamo, pensò Takeshi, spingendo in avanti la cancellata.

 

Fece un passo, appoggiando il piede sul primo gradino, ma una mano sulla spalla gli impedì di scendere anche il secondo.

«Non puoi stare in prima linea», lo ammonì Tetsuya, accigliandosi. «Ti metterai tra me e Oseroth».

«Mi sembrava strano che mi lasciassi andare, in effetti». Beh, non poteva farci niente. Il vampiro gli fece un sorrisetto, come a beffeggiarlo, e lo superò di un metro intero. Takeshi allora scese anche gli altri gradini, finché non raggiunse il corridoio della cripta. Essa era immersa in una fulgida luce blu, ricoprendo le pareti rocciose e la pavimentazione in selciato. Il ragazzo si guardò alle spalle – Oseroth era proprio lì.

«Questa sarebbe una cripta, eh?», bisbigliò il moro.

«In realtà, è solo un corridoio», disse Tetsuya.

«Mi sembra piuttosto chiaro».

«Quella cripta è vuota», disse Oseroth.

 

Vuota?, pensò Takeshi, e che senso ha, allora?

Ma la famiglia Akawa era ben lungi dall'essere compresa, benché meno da un essere umano che non aveva familiarità con quella tradizioni. «Perché?».

«Per svariati motivi. Gli Akawa, come molti altri di noi, non restano mai allungo nello stesso luogo – e bada, la nostra concezione del tempo è diversa dalla tua», rispose Oseroth, mentre il trio continuava a muoversi lungo le pareti, macinando metro dopo metro. «Di fatto, le cripte hanno solo un valore tradizionale». Poi si interruppe. Il suo sguardo, severo e attento, fissava di fronte a sé senza esitazione. «Senza contare che noi demoni, alla morte, perdiamo la consistenza fisica».

«La consistenza fisica... », furono le parole che Takeshi ripeté, come se stesse affondando le mani nell'etimologia stessa. In un certo senso, per lui, rimaneva un concetto arcaico – e al contempo, affascinante e assurdo.
In quei brevi secondi, in cui si era estraniato ed era uscito dalla villa, il corridoio era giunto al suo termine. Di fronte all'improbabile trio, si stagliava un portone a doppia apertura, rivestito di polvere e pesante legno di noce, ovviamente chiuso. In un certo senso, il colore scuro del legno stonava con quello delle pareti.
Tetsuya si avvicinò al portone, avvicinando un poco l'orecchio. Fece un piccolo cenno con il capo ad entrambi e, insieme ad Oseroth, agguantarono le maniglie e le spinsero in giù; la porta era pesante come un macigno e quando venne spostata cominciò ad emanare un sentore di muffa e vecchiume, disturbando ragnatele e famiglie di ragnetti. In un gesto istintivo, si coprirono naso e bocca, e Takeshi agitò la mano per scacciare la polvere che si stava sollevando.

 

Fu quando quella coltre si diradò che il ragazzo la vide. O meglio, quando la intravide, perché la sua vista non era mai stata particolarmente brillante.

Era sdraiata su un lungo e massiccio rialzo di roccia levigata, una sorta di altare improvvisato, e le caviglie e i polsi ben stretti dalle corde. La divisa scolastica era spiegazzato e i suoi capelli tutti sparpagliati. Nel vederla, seppur sfocata, Takeshi si sentì mancare il fiato in gola. Tetsuya e Oseroth stavano ancora armeggiando con la porta, nel tentativo di aprirla al suo massimo, e in teoria, lui non poteva prendere iniziative – in teoria, doveva aspettarli.

 

Ma non fu quello che accadde.

Le gambe si erano mosse prima ancora del suo cervello, i piedi erano scattati ad una velocità che non riconosceva come propria. In preda all'agitazione, Takeshi aveva varcato la soglia ed era entrato nella cripta della famiglia Akawa, e in pochi rapidi passi si era quasi gettato sull'altare.
Mandando all'aria qualsiasi forma di rispetto, si arrampicò sopra l'altare, appoggiandosi con le ginocchia accanto al fianco sinistro della ragazza.

Dio, ti prego, un miscuglio di sentimenti l'aveva preso all'amo, ti prego. Fa che sia viva. Ti prego, ti prego...

 

 

La mano sinistra accanto ai capelli albini, la osservò.
Le palpebre calate sugli occhi, il bianco niveo delle sue guance, il colore tenue delle labbra. Tutto ciò che vedeva e che aveva sempre guardato in lei, alla luce del giorno – e di quelle giornate in cui l'aveva scoperta – adesso gli suggerivano che era in pericolo di vita.
Che la sua vita... non c'era più. Il panico sormontò come un leone, mentre le dita della mano destra si avvicinavano al suo collo, verso il polso carotideo. I polpastrelli si posarono.

«Oh Dio».

 

C'era. Il battito c'era. Era lento, molto lento, ma era lì, forse un po' insicuro.

 

«Che accidenti credi di fare?!». La mano di Tetsuya gli afferrò la spalla, strattonandolo bruscamente, costringendolo a voltarsi verso di lui. «Ti abbiamo detto di non agire di testa tua o sbaglio? NON puoi fare come pare a te!». Negli occhi del vampiro c'era isteria. I suoi nervi stavano chiaramente friggendo.
Takeshi, che era ancora nella stessa posizione di prima, lo fissava di rimando con sconcerto. Increspò le sopracciglia, in un espressione di frustrazione, e con uno scossone si liberò dalla presa dell'amico vampiro, tornando al corpo esanime di Yuki, ricoprendolo con la propria ombra.

«Takeshi!», ripeté Tetsuya, con voce austera.

«Possiamo parlarne dopo? Sono vivo, o no? Pensiamo a portarla via, piuttosto». Invece, quella del moro era apparentemente calma. Il suo tono, per lo meno.

«È addormentata», osservò Oseroth.
Il demone – che non aveva nessuna intenzione di immischiarsi in litigi da marmocchi – era apparso dall'altro lato dell'altare, quello sinistro, e si era sporto sulla figlia per analizzare il suo aspetto. Annuì lentamente. «Non le hanno torto un capello. Non era loro intenzione», guardò i due. «Dobbiamo svegliarla».

Takeshi, senza perder altro tempo, si voltò verso Yuki e cominciò a chiamare il suo nome, ad incitarla a svegliarsi, mentre il vampiro e il demone si dedicavano alle corde. Tuttavia, Yuki ancora non si svegliava, i lineamenti del suo viso non accennavano a cambiare; agitato, la prese dalle spalle per scuoterla, più e più volte. «Non si sveglia», esclamò, col sudore freddo sulla fronte. «Che diavolo faccio?».

Oseroth tirò la corda, lacerandola come carta. «Schiaffeggiala».

«Signore, per fav– ».

«Schiaffeggiala».

 

Dio, non poteva credere che stesse davvero per...

«Take, datti una mossa, sento che sta arrivando qualcuno», esclamò Tetsuya strappando la seconda corda. «Sbrigati!».

 

Lui sgranò gli occhi e diede un'occhiata alla porta. Dannazione. Dopo lei gli restituirà tutto, non c'erano dubbi – allora alzò la mano destra, pregando tutti gli dei, e colpì la guancia della sua fidanzata con un bel ceffone.
Yuki spalancò gli occhi. Il colore oro brillò intensamente.
Con le braccia finalmente libere, si mise a sedere in uno scatto instabile, annaspando come se avesse trattenuto il respiro per tutto il tempo. Le labbra tremavano, lo sguardo era frenetico, le mani corsero alla propria gola e alla bocca. Ovviamente non c'era sangue.
Poi guardò di fronte a sé, trovando il viso di Takeshi, in totale apprensione. Suo padre e Tetsuya, ad appena mezzo metro di distanza.

 

E la porta della cripta che si apriva.




NOTA: 
Dopo un periodo lungo un'eternità - ma pure di più, mi sa - ho fatto ritorno su efp. Penso proprio che non abbandonerò mai questo sito. So che non è più tanto popolato come un tempo ma, per quanto mi riguarda, il semplice fatto di rendere pubblica questa storia rappresenta un importante traguardo e per questo, malgrado tutti gli impegni e i problemi, la pubblicherò fino alla fine. Difatti, il motivo per cui non stavo più pubblicando era un groviglio di impegni - tra cui la scuola -, di problemi, e anche un blocco particolarmente fastidioso, sigh. 
E niente, questo è tutto! Spero abbiate apprezzato il capitolo e se vi va, lasciate pure una recensione. Adios ~

   
 
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