L’ascensore
sta salendo all’ottavo piano. Il tenente Anderson, con le
braccia serrate al petto e le spalle buttate all'indietro, prima
sbadiglia senza coprire la bocca e poi si gratta un orecchio sotto il
groviglio di capelli grigi.
«Ho visto la tua reporter, giù in
strada.»
Connor, di fianco all'uomo, valuta il tono come neutro. Scarta la
possibilità di chiedere chiarimenti in merito
all’uso dell’aggettivo possessivo ed elabora una
risposta alla richiesta implicita: il tenente vuole sapere se sia stato
lui a informare la donna. «Sappiamo che ha lavorato per
questa redazione. Sarebbe venuta presto a conoscenza
dell’accaduto.» Una pausa e un tentennamento,
segnalato da uno tremolio nel LED. «È rimasta
turbata dalla notizia. Le ho consigliato di tornare alla propria
abitazione.»
Anderson sbuffa. «E ho visto quanto ti ha dato retta.
Giornalisti, che rotture di coglioni.»
A bordo della Brougham, dalla Centrale alla State Street, il tenente lo
ha interrogato sull’esito dell’incontro al
Cassidy’s ricorrendo alla definizione appuntamento
romantico’ e l'androide si è reputato in dovere di
sottolineare l’inesattezza nella scelta dei termini.
Un'occhiata in tralice da parte dell’uomo lo ha poi convinto
ad abbandonare la contestazione a metà. Poco dopo, messo al
corrente delle dichiarazioni della reporter, Anderson se
n’è rimasto con gli occhi sulla strada, una mano
sul volante e la fronte aggrottata. «Continua a non
piacermi.»
Connor non avrebbe saputo indicare se il commento fosse diretto al
comportamento della donna o alla situazione generale.
«Intende acconsentire alla richiesta?»
«Due giorni per scoprire il mittente della soffiata
anonima?» Anderson ha tamburellato il pollice sul volante.
«Quella si ficcherà nei casini.» E
mentre l’androide respingeva l’impulso di chiedere
su quali basi reputasse verosimile il coinvolgimento di Nova Barton in
una situazione di pericolo, Anderson ha chiuso il discorso con un
borbottio: «Bah, affari suoi. Noi abbiamo un omicidio tra le
mani.»
Un
cicalino annuncia l’apertura delle porte dell'ascensore.
Anderson esce dalla cabina.
«Hank, finalmente...»
«Ben...» sospira Anderson, a mo’ di
saluto.
La pingue figura del detective Collins gli viene stancamente in contro,
mentre l’interfaccia visiva di Connor scandaglia il nuovo
ambiente: quattro agenti umani sorvegliano la sala, dominata da una
palette di grigi, di nero e rosso mattone. Il pavimento di finto marmo
riflette la composizione di lampade a goccia che pendono dal soffitto;
una delle pareti è interamente composta di vetro
antisfondamento e si affaccia sul vuoto sopra la strada. Dietro al
banco della reception vuota, il nome del tabloit occupa un monitor
trasparente. La Z iniziale ruota sull’asse di una stella a
quattro punte, simile a una rosa dei venti.
«Hai un aspetto orribile, Hank» fa notare Collins
bonario. Non bada a Connor, fermo a cinque passi di distanza.
«Nottataccia?»
«Lasciamo stare.»
«A qualcuno qui è andata peggio.»
Collins sposta il datapad da una mano all’altra.
«Vieni... è da questa parte.»
I due uomini si spostano verso la porta sulla parete della reception.
Connor li segue, in silenzio. Quando attraversano l’ologramma
del nastro segnaletico, l’androide in divisa che presidia il
corridoio non batte letteralmente ciglio.
Un carrello delle pulizie è abbandonato di traverso in mezzo
al corridoio e due piante artificiali, che Connor identifica come
dracene, fanno picchetto alla porta chiusa di una sala riunioni. Poco
più avanti un distributore di snacks ronza accanto a un
mediaschermo spento. Sul lato opposto del corridoio, dei pannelli in
policarbonato delimitano un open space: un ordinato affollamento di
scrivanie, sedie ergonomiche, computer fissi, faldoni e cartelle
stipati in scaffalature di metallo, altre Dracene sintetiche, altri
mediaschermi spenti.
«La vittima è stata trovata dalla caporedattrice.
Lisa Kane» sta dicendo Collins. «Questa mattina la
donna è arrivata in redazione, intorno alla sette e trenta.
Pare abbia l’abitudine di arrivare prima di tutti. Non ha
trovato l’androide della segreteria al solito posto,
all’ingresso, così si è diretta qui,
nel proprio ufficio.»
Oltrepassano una doppia porta a vetri. Davanti a una scrivania di vetro
curvato, una poliziotta, intenta a lavorare con un datapad, si
interrompe per salutare il tenente Anderson.
«E ha visto la porta dell’ufficio del direttore
spalancata.»
Collins li guida sulla scena del delitto.
All'interno dell'ufficio del direttore i fotografi della scientifica,
avvolti nelle loro tute bianche, si muovono tra marcatori e faretti,
distribuiti sul pavimento e sulla scrivania ovale. Un telo bianco
nasconde il cadavere, disteso sul pavimento, tra due sedie Eames di
polipropilene. Una è ribaltata a terra. Una macchia di
liquido scuro, dall’aspetto denso e rappreso, si allarga
sotto un angolo del telo. Sempre a terra, sull’elegante
resina che riveste il pavimento, a ottantatré centimetri
esatti di distanza dal cadavere, un marcatore indica un oggetto dalla
forma inconsueta: la scultura di una civetta con le ali chiuse,
estremamente stilizzata, tanto da somigliare più
un’automa che a un animale. Uno spigolo del piedistallo
è sporco di sangue.
Connor si piega sul ginocchio sinistro. Avvia lo scanner con un battito
delle palpebre.
[ RACCOLTA DATI... 100%
ELABORAZIONE DATI... 100% ]
Un altro battito e
riceve le informazioni dalla rete.
[ ATHENE NOCTUA
AUTORE: HANA CHO, SOUTH KOREA. 2026
ALTEZZA: 30 CM. LARGHEZZA PIEDISTALLO:
13 CM
CORRENTE: NEOSIMBOLISMO
MATERIALE: BRONZO PLACCATO ARGENTO.
VALORE COMMERCIALE STIMATO: 800 DOLLARI.
]
Connor torna in piedi
e guarda il tenente, in attesa del permesso a procedere con la
revisione delle prove sulla scena.
Anderson si sta stropicciando la barba.
«Gli altri impiegati?»
«Sono arrivati nel giro di pochi minuti. Ma i primi agenti
erano già qui, chiamati dalla Kane. Non è stato
toccato nulla e non dovrebbero aver avuto tempo di parlare tra di loro.
Li stiamo ancora ascoltando.» Collins accenna arbitrariamente
alle proprie spalle con un movimento del capo. «Abbiamo
sgombrato tutti gli uffici su questo piano.»
«E che mi dici dell’androide?»
«Androidi» puntualizza Collins. «Erano
due. Una ST400 per le mansioni di segreteria e un WG100 per le
pulizie.»
Anderson inarca un sopracciglio. «E sono scomparsi tutti e
due?»
«Già. La telecamera del parcheggio sotterraneo li
ha ripresi mentre scappano dall’uscita ovest, al livello uno.
Esattamente...» Collins controlla il datapad, «alle
ventuno e trentotto minuti. Non sono stati ripresi dalla telecamera
all’interno dell’ascensore, perciò
crediamo che abbiano raggiunto il parcheggio usando le scale di
servizio. In quanto all’orario della morte, il coroner
l’ha stimato tra le venti e le ventuno di ieri
sera.»
«Fammi indovinare... la vittima era da sola, con gli
androidi, in quel momento.»
«Gli uffici chiudono alle venti. Tutti i colleghi della
vittima hanno dichiarato di aver lasciato la redazione a
quell’ora. E le riprese dell’ascensore
confermano.»
«Sappiamo perché è rimasto oltre
l’orario?»
«Ci hanno detto che lavorava spesso fino a tardi.»
Anderson argina un sospiro dietro una piega amareggiata della bocca,
gli stanchi occhi blu fissi sul corpo senza vita occultato dal telo.
Collins gli consegna il datapad.
«Prima di portare via il corpo, immagino che il tuo androide
voglia dare un’occhiata. Non che ci sia molto da scoprire
sulle modalità dell’omicidio.»
«Frattura aperta dell’osso occipitale
sinistro» legge Anderson. «Gli hanno sfondato il
cranio.»
/\/
Il
parcheggio sotterraneo è come un mondo parallelo. Gli
schiamazzi della State Street non arrivano fin laggiù e
c'è qualcosa di elettrico nell’aria bluastra: si
dirama da una all’altra delle centinaia di automobili
automatizzate, in attesa dei loro proprietari, nel chiarore
fluorescente delle frecce olografiche che galleggiano
sull’asfalto levigato delle corsie.
Anche Nova è in attesa. La schiena appoggiata contro le
portiere di una Flux color ardesia e i pollici agganciati alle tasche
del trench. Mentre l’RK800 tornava alla centrale, lei ha
raggiunto di corsa la fermata del bus. A detta dell’androide
nel rapporto non era compreso il nome o le generalità della
vittima, così appena salita a bordo, ha contattato Walty.
Ha inviato un messaggio tramite chat.
Che non è stato ricevuto.
Ha avviato tre chiamate.
Tutte e tre le volte si è ritrovata ad ascoltare la voce di
Walty registrata nella segreteria telefonica.
Quando è scesa sulla State Street, alla fermata
più vicina al palazzo dello Zenosyne, ha trovato un mezzo
principio di assedio: giornalisti e curiosi confinati sul marciapiede
da una squadra di androidi della polizia e da un pugno di agenti in
carne e ossa. Ha capito subito che, anche avesse avuto con
sé il tesserino da giornalista, le porte del palazzo
sarebbero rimaste chiuse come le bocche degli agenti.
Si è imposta di non cedere all’agitazione. Di
ragionare e non rimuginare. Restare là fuori a sperare di
udire per caso delle informazioni credibili non le è parsa
una perdita d tempo. In quanto al tentare di contattare qualcuno dello
Zenosyne, lei non è mai stata nelle grazie di nessuno in
redazione ed ed è certa di essere l’ultima persona
con cui vorrebbero parlare al telefono in un momento del genere.
È stato allora che Nova si è ricordata che per
gli impiegati dello Zenosyne esistono dei posti riservati nel
parcheggio sotterrano.
È sgattaiolata nel parcheggio passando per
l’uscita sul lato est. Se la sorveglianza, costituita da
telecamere e sensori, si è accorta di lei, nessuno sembra
aver reputato urgente andarla a cercare: sono venti minuti che vigila
sull’automobile di Lisa Kane. E per venti minuti il suo
cervello non ha fatto altro che camminare in punta di piedi attorno a
allo stesso angoscioso pensiero.
Walty non risponde al telefono.
Nova cava il cellulare dalla tasca e apre l’applicazione di
O-DISPATCH. Attraverso il display venato, rilesse l’ultimo
messaggio che le ha inviato Walty. I crampi allo stomaco si arrampicano
fino al petto, scavandosi una nicchia in mezzo ai polmoni, ridotti a
due stracci rattrappiti.
06/11/2038
20:01
INDOVINA CHI STA PER CHIEDERE UN AUMENTO
A MALONE? ;)
Un ticchettio di passi frettolosi e uno squittio soffocato le
impediscono di avviare un'altra chiamata.
«Che stai facendo tu qui?»
Lisa Kane, in bilico sulle scarpine nere dal tacco a spillo, fissa Nova
come l’avesse sorpresa a nascondere una partita di Red Ice
nel bagagliaio della sua automobile.
Nova si stacca dalla portiera con una spinta dei reni.
«Scusami. Non volevo spaventarti.»
Lisa sbatacchia le palpebre macchiate di mascara sciolto. Ha il trucco
sfatto. La luce cruda del parcheggio dà
all’incarnato bruno un che di malaticcio, ma Nova immagina
che nemmeno lei sotto quella luce, tra lividi e occhiaie e capelli
sporchi, sia il ritratto della salute.
«Ho saputo cosa è successo.» Nova va
dritta al punto. «Volevo solo sapere—»
«La polizia mi ha raccomandato di non parlare con
nessuno.» Nel tono scostante della caporedattrice
c'è un sottofondo provato e umidiccio. Getta il fazzoletto
appallottolato nella mano dentro la rigida borsa di vernice appesa al
gomito. «E io non ti farò infamare il nostro
giornale con uno dei tuoi articoletti saccenti.»
«Lisa...» Nova sospira. «Ero... sono
preoccupata. Ho provato a telefonare a Zach, ma non mi
risponde.»
L'espressione risentita di Lisa si dissolve in uno sguardo di angoscia.
«Ti
prego, Barton, la polizia mi ha riempito di domande per
un’ora... non chiedermi di parlarne di nuovo.»
Nova è confusamente grata di avere un sedile sotto di
sé — Lisa ha aperto le portiere della Flux per
farla mettere seduta — perché dubita di possedere
ancora la capacità di tenersi in piedi; ogni briciola di
energia e volontà è risucchiata nello sforzo di
non crollare davanti a Lisa Kane. Ha i polmoni in fiamme, per la fatica
di trattenere le lacrime e mantenere un respiro regolare.
La caporedattrice è rimasta fuori, in piedi davanti alle
portiere spalancate, con le braccia strette davanti al petto. Sta
osservando Nova con un cipiglio a metà tra
l’impietosito e l’impaziente.
«Vuoi un fazzoletto?»
Nova scuote la testa.
Walty è morto.
Morto.
Ammazzato.
No.
Non è vero. Non è reale. Non stanno davvero
parlando di Walty.
«Ma... perché?» sussurra Nova.
«Perché l’hanno ucciso? Che cosa
è successo ieri sera?»
«Ti ho già detto che non lo so» risponde
Lisa, aspra. Inghiotte a vuoto e l’asprezza si attenua.
«Ho sentito gli agenti parlare di devianti.»
Nova chiude gli occhi. Strofina le dita lungo le sopracciglia. Il
profumo di cocco che infesta l’abitacolo le fa girare la
testa. «Lisa...» La logica. Deve aggrapparsi alla
logica. «Tu vedevi gli androidi tutti i giorni. Hai mai
notato qualche comportamento insolito?»
Lisa fa cenno di no.
Nova aggrotta la fronte. «E non è possibile che
ieri sera Walty abbia fatto qualcosa che possa averli... non so...
spaventati?»
Lisa trasale. «Spaventati? Che stai insinuando? Che Walton se
l’è cercata? Dio, se avessi visto come lo hanno
ridotto!» La voce della donna si fa stridula.
«Avrò bisogno di anni di terapia per dimenticare
cosa ho visto!»
«Sto solo cercando di capire...» mormora Nova. Il
giramento di testa diventa un’atroce vertigine.
Lisa, invece, par riprendere un minimo di controllo. «Tu e
Walton vi conoscevate da anni, no? Sai che tipo era. Un nerd fatto e
finito. E un fanatico degli androidi. In redazione passava praticamente
più tempo a chiacchierare con Jimmy che con noi. Non avrebbe
mai fatto... del male, come dici tu, a quei due.»
Nova serra i denti fino sentir male alla mascella. Lisa Kane ha
ragione. Non riesce a immaginare Walty maltrattare di proposito un
androide. In effetti, non riesce a immaginare Walty maltrattare
chiunque.
«Quei mostri sono andati in corto circuito!» sbotta
Lisa. «E Walton ha avuto la sfortuna di trovarsi nelle loro
mani, quando è successo.»
Però
non combacia con quello che mi ha detto di aver scoperto Connor, Nova
si guarda i palmi della mani. Freddi e sudaticci. Deve esserci stata una causa
scatenante.
«E gli altri? Qualcun altro in redazione li vessava? A
parole? Fisicamente?»
Lisa fissa Nova, tra l’incredulo e l’inorridito.
«Sono androidi, Barton. Noi diamo gli ordini, loro eseguono.
Punto. Nessuno gli ha mai messo le mani addosso, se è questo
che intendi. Li ha acquistati Malone. Pensi che avessimo voglia di
farci sottrarre i soldi dallo stipendio per le riparazioni?»
Prende un respiro.
Si calma.
«Vuoi... vuoi che ti accompagni a casa?»
«No... no, grazie.» Nova scivola giù dal
sedile. Le suole delle sneakers incontrano l’asfalto e le
gambe non la tradiscono. «Devo trovare una persona.»
/\/
«Sì,
due devianti in fuga.» Anderson sta parlando al telefono.
«Ricercati per omicidio.» Le parole si trasformano
in nuvolette di fiato mentre l'uomo cammina indolente davanti alla
portiera della Brougham. I fiocchi cadono fitti e ingrossano i cumuli
di neve sporca ammucchiati ai bordi della strada.
L’automobile è parcheggiata in una via secondaria,
poco distante dalla State Street, fuori dal radar della stampa accorsa
sul posto.
«Dobbiamo battere a tappeto tutta la Downtown. Controllate
ogni strada. Ogni telecamera. Ogni drone. Questo caso deve avere la
priorità.»
Connor, che attende accanto al muso della macchina, non recepisce la
risposta dalla Centrale perché i suoi sensori audio vengono
dirottati su un rumore di passi.
Qualcuno corre, verso di loro.
L’androide volta il capo verso la propria destra.
L'intensità del LED aumenta.
È Nova Barton.
«Tenente Anderson!»
L'interfaccia visiva segue i movimenti della reporter: lei gli passa
davanti, ignorandolo, e si piazza davanti al tenente. Il ritmo
respiratorio della donna è alterato e gli appare
più pallida rispetto a quando l’ha lasciata su
Howard Street. In quanto ad Anderson, non sembra sorpreso dalla
comparsa della donna ma Connor riconosce i familiari segnali di
irritazione nel linguaggio fisico dell'uomo.
Il tenente chiude senza tante cerimonie la telefonata, ficca il
cellulare in tasca e agguanta la maniglia della portiera.
«Non ti darò un’esclusiva su questo
caso.»
«No... no, aspetti!»
Il LED di Connor ha un tremito: ha rilevato un cambiamento nella voce
della reporter. Suona incerta e arrochita.
«Il ragazzo che è stato ucciso... era mio
amico.»
La mano di Anderson abbandona la maniglia. Trattiene il respiro, per un
istante. Poi lo butta fuori, scuotendo la testa. «Mi
dispiace.» E Connor rintraccia nel sospiro
dell’uomo una somiglianza con l’avvilimento della
notte precedente, al Riverside Park.
«È vero che sono stati gli androidi?»
La diffidenza di Anderson riaffiora in un nodo di rughe sulla fronte.
«Come lo sai?»
«Ho parlato con la caporedattrice.»
Il tenente annuisce, riluttante.
«Avete capito il motivo? Sapete che cosa è
successo?»
«Stiamo indagando.»
«E che cosa avete scoperto?»
«Secondo le ricostruzioni del mio
software—»
«Connor.»
L'androide ammutolisce, trattenuto dallo sguardo truce di Anderson. Ma
anche Nova lo sta guardando adesso e Connor si vede offrire la
possibilità di eludere l’ordine di Anderson.
Potrebbe continuare a parlare. Batte le palpebre. E si piega alla
programmazione.
[ RESTA IN SILENZIO. ]
«Sta’ a sentire... mi dispiace per il tuo
amico» ripete Anderson. La mano destra esita, allungandosi
verso il braccio della donna. Riesce a battere una goffa pacca sulla
spalla, pur senza guardarla in faccia. «Dico
davvero.» Ritira la mano. «Troveremo i
devianti.» E si volta verso la portiera.
«E dopo?» sbotta Nova.
Anderson torna a guardarla.
«Cosa succederà dopo che li avrete trovati? Chi
pagherà per quello che è successo a Walty? Non
potete sbattere in galera degli androidi.»
«La Cyberlife—»
«La Cyberlife pagherà? Oh, sì.
Pagheranno il padre di Walty, e chiunque dovesse azzardarsi a
costituirsi parte lesa, per non finire sotto processo,
giusto?»
«No, non è giusto. È il contrario di
giusto» abbaia Anderson. «Ma così gira
il mondo, ragazzina. È ingiusto. È un fottuto
schifo. E noi non possiamo farci un cazzo.»
«È quello che si ripete ogni giorno, prima di
iniziare il suo lavoro di cagnolino da riporto per la
Cyberlife?»
Il tenente accorcia di mezzo passo la distanza da Nova Barton.
Connor si sposta automaticamente verso l'uomo.
Pronto a intervenire.
Ma non c’è niente da fermare.
L’androide lo vede aprire la portiera, con un fiacco
strattone.
«Connor, andiamo.»
Connor guarda Nova. Lei è indietreggiata. Mantiene le labbra
serrate, nel probabile sforzo di non lasciarle tremare, e le braccia
rigide lungo i fianchi. La lucidità negli occhi chiari
è anomala. Sono tutti elementi spia di uno stato emotivo di
tensione e sconforto.
L’androide dà le spalle alle donna, fa il giro
della Brougham e sale in macchina.