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Autore: La_Sakura    27/03/2019    6 recensioni
Genzo Wakabayashi non è solo il portiere più acclamato e titolato del momento: è anche l’erede dell’impero della Wakabayashi Corp., una delle multinazionali più importanti sul mercato.
Non se n’è mai preoccupato troppo: con suo padre fisso al comando, e i fratelli già ampiamente attivi in varie filiali, non ha mai dovuto prendere le redini, riuscendo così a posticipare costantemente il suo completo inserimento in azienda. Forte della collaborazione della Personal Assistant di suo padre, ha continuato a concentrarsi sulla sua carriera di portiere paratutto del FC Bayern München, riuscendo pienamente a raggiungere gli obiettivi che si era prefissato.
O, per lo meno, così è stato fino ad ora.
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Serie "Im Sturm des Lebens"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Im Sturm des Lebens'
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ET - Capitolo 1

 

 

Karl non capiva dove l’amica volesse andare a parare, così continuò a fissarla con aria perplessa, in attesa di spiegazioni.

«Proprio non ci arrivi… – sbuffò la giovane, abbracciandosi le ginocchia – Sei tardo, Schneider.»

«Tua nonna ti ha lasciato una lettera, ok, e ha accennato al tuo padre biologico, va bene. Ma non comprendo la tua reazione.»

«Un imprenditore venuto da lontano…» citò nuovamente lei, spalancando gli occhi per l’ovvietà che, a suo parere, stava pronunciando.

«Ci sono migliaia di imprenditori, potrebbe essere chiunque.»

«E non ti sembra strano che Herr Wakabayashi si sia fatto carico di me e tutta la mia famiglia… così? Che mi abbia aiutato col lavoro, con mia madre, e tutto il resto.»

Karl si raddrizzò: un flash attraversò la sua mente, ma era palese che non potesse essere veritiero.

«Non ti sarai convinta che…»

«È mio padre, Karl. È ovvio.»

Il ragazzo ci mise qualche secondo ad immagazzinare l’informazione, per poi scoppiare a ridere di cuore.

«Tu stai… ridendo?»

«Julia, è davvero la cosa più assurda che io abbia mai sentito. Herr Wakabayashi non può essere tuo padre, tu sei palesemente occidentale. Non c’è nulla in te che ricordi l’Oriente, non hai gli occhi a mandorla, la tua carnagione è…»

«Conosci la genetica, Schneider? Sai fare un test del DNA con gli occhi?» lo riprese la ragazza, visibilmente piccata dal fatto che l’amico non le credesse.

«Perché, tu hai fatto il test, per affermare con così tanta certezza che sia tuo padre?»

«No… non ancora. Non posso farlo, Karl, con che coraggio potrei poi affrontare Genzo dopo tutto quello che è nato fra noi.»

«Lo puoi affrontare perché Ikemoto non è tuo padre! – la incalzò – Julia, io capisco che tu sia sconvolta da tutto quello che è successo, ma non puoi lasciarti influenzare così tanto da frasi scritte almeno un decennio fa, da una persona che non c’è più e non può toglierti il dubbio.»

La ragazza non rispose, iniziò a giochicchiare con un filo d’erba.

«Karl! Ben arrivato! – Heidi arrivò in quel momento a salutare l’amico – Venite a fare colazione? Abbiamo apparecchiato sotto al portico.»

«Volentieri! – esclamò il calciatore, alzandosi per poi allungare una mano a Julia, che ancora seduta a terra, continuava a fissare quel filo d’erba che aveva strappato – Vieni, ne parliamo davanti a una bella tazza di tè.»

«Di cosa dovete parlare?»

«Julia mi ha appena confessato il motivo della sua fuga.»

«Karl!» lo riprese la ragazza, arrossendo.

«Che c’è di male! – le rispose, facendole l’occhiolino – Ne parleremo insieme e troveremo una soluzione. È questo che fanno gli amici, ricordi?»

Lei non rispose, si limitò a seguirlo, sguardo basso. Si sedette accanto a lui, la tavola tonda in ferro era imbandita con ogni ben di Dio.

«Croissant, marmellate, burro, pane fresco, tè, caffè, succhi di frutta… cosa potrei chiedere di più!» esclamò il Kaiser, allungando la mano per prendere da mangiare.

«Julia… – il tono di Heidi si fece più dolce rispetto a quello della sera precedente – Vuoi parlarne?»

La ragazza sollevò lo sguardo e fissò l’amica dritto negli occhi.

«Ho trovato una lettera di mia nonna in cui menziona il mio vero padre, quello biologico, e… ho motivo di credere che sia Herr Wakabayashi.»

Daniel, che stava sorseggiando il caffè, per poco non lo sputò sul tavolo.

«Che cosa?!»

Notando lo sguardo a metà tra il divertito e il rimprovero del Kaiser, Julia sospirò e soppesò come modificare la frase.

«In realtà, lei menziona solo un “imprenditore venuto da lontano”, ma è abbastanza palese che sia lui, no? No.» aggiunse poi, lasciando cadere il cucchiaino di marmellata nel piatto. Gli sguardi di Heidi e Daniel, ora, assomigliavano sempre di più a quello che Karl aveva avuto pochi minuti prima; nel frattempo il calciatore, cercava di nascondere il sorriso divertito che si faceva strada sulle sue labbra.

«E tu smettila di ridere! – esclamò la manager, palesemente infastidita dal suo atteggiamento – Non è carino da parte tua… e neanche da parte vostra.»

«Tesoro, posso capire da dove sia arrivato il tuo ragionamento, ma credimi, sei la persona più distante dall’Oriente che io conosca, a livello di fisionomia. Non hai proprio nulla che ricordi una vaga origine giapponese.»

«Che poi, non sarebbe neanche tanto vaga. – Daniel rincarò la dose – Perché saresti per metà tedesca e per metà giapponese, dubito che questo non si noterebbe nei tuoi tratti somatici.»

«Il DNA di mia madre potrebbe aver preso il sopravvento.» provò a difendersi, anche se ormai la sua convinzione iniziava a vacillare.

«Tutto può essere. – ne convenne il futuro sposo – Chiedi un test e togliti il dubbio.»

«È quello che le ho detto.» concluse Karl, addentando finalmente il croissant.

«Siete matti!? Come lo spiego a Genzo!»

«Esattamente come lo hai spiegato a noi, magari senza quell’aria contrita.»

«E cosa faccio, vado là e inizio il discorso con “Ciao, mia nonna mi ha lasciato una lettera in cui accenna a mio padre, io credo che sia il tuo, facciamo un test?”? Mi riderà in faccia.»

Karl non trattenne una risatina.

«Scusa… ma ammetterai che la situazione è abbastanza inusuale.»

«Non mi siete d’aiuto…» mormorò, mescolando il caffelatte che si era preparata nel frattempo.

«Pensa a tornare a casa… il resto verrà da sé. Ma non puoi nasconderti qui in eterno, Julia.»

«Heidi ha ragione, devi tornare a casa, riprendere il tuo posto alla Wakacorp e affrontare questo dubbio che ti assilla. Fuggire non ti servirà a niente, non è mai la soluzione.»

Julia spostò lo sguardo sui suoi tre amici, fissandoli negli occhi uno per volta: era consapevole del fatto che avessero ragione, doveva solo trovare il coraggio di compiere quel passo.

«Genzo a breve partirà per il ritiro con la Nazionale. – Karl sferrò l’ultimo attacco – Fallo per lui e per l’azienda. Lo so che ci tieni, e che vuoi assolvere al tuo compito in maniera ottimale.»

Capitolò. La dedizione verso la Wakabayashi Corp. Deutschland superava qualunque remora potesse avere: sospirò e annuì, mordicchiandosi il labbro superiore.

«Posso almeno finire la mia colazione?»

Quella semi-battuta smorzò la tensione, e il gruppetto cominciò ufficialmente il pasto.

 

Non aveva fatto in tempo a rientrare, la sera prima, che già aveva ricevuto pressioni da parte di Karl e Martha per presentarsi alla Wakacorp. Si rimirò nello specchio dell’ascensore, fasciata nel suo solito tailleur antracite, una semplice camicetta grigia chiara, scarpe col tacco in abbinato. Gli enormi occhiali da sole scuri schermavano i suoi occhi e le permettevano di guardarsi intorno.

Le porte della cabina si aprirono e si ritrovò davanti al bancone della reception.

«Buongiorno, Judith.» salutò, ostentando indifferenza, e dirigendosi velocemente verso il proprio ufficio.

«Buo… buongiorno Fräulein Wagner… – balbettò la receptionist, salvo poi riprendersi e correrle dietro – Ehm, le porto un caffè, o qualcosa, ha bisogno di…»

«Ho bisogno di non essere disturbata.» la liquidò, procedendo per la sua strada. La ragazza smise di seguirla.

«Come… vuole, Fräulein Wagner.»

Entrò nel suo ufficio e si chiuse direttamente la porta alle spalle, quindi vi si appoggiò ed emise un lungo e profondo sospiro. La prima parte era andata.

Avanzò verso la scrivania, quindi accese il pc, togliendosi la giacca del tailleur e appoggiandola allo schienale. Si guardò intorno, nulla era stato toccato, ogni singolo oggetto era ancora lì, al suo posto.

Mentre recuperava qualche informazione riguardante l’andamento aziendale durante la sua assenza, una voce nel corridoio la fece sobbalzare.

«Genzo…» mormorò. Le dita, che fino a quel momento stavano battendo sulla tastiera, ora erano ferme, fatto salvo un leggero tremore che le pervadeva. Concentrò tutta la sua attenzione su quei passi, quella voce: stava parlando di lavoro con qualcuno, era al telefono perché non udiva alcuna risposta. Il suo cuore si fermò quando il ragazzo passò davanti al suo ufficio, ma ovviamente non entrò. Lui non sapeva che era lì, neanche poteva immaginarlo.

Chiamò Judith e le disse di non disturbare né lei né Genzo, quindi si alzò e si diresse verso il suo ufficio: si affacciò alla porta e lo vide di spalle, intento a fissare il panorama, mentre continuava a parlare al telefono. Prese un profondo respiro, superò la soglia e chiuse la porta alle proprie spalle, incurante del rumore; il portiere si voltò e, non appena la vide, impallidì.

«Scusa, devo andare, ti richiamo io.»

Chiuse la comunicazione e abbassò la mano con cui teneva il Blackberry, senza distogliere lo sguardo dalle iridi nocciola della giovane.

«Julia…» avanzò di qualche passo, posando il dispositivo sulla scrivania.

«Ciao, Genzo…» la voce le tremava. Lui avanzò ancora, fino a pararsi davanti a lei: la fissava come se la vedesse solo allora per la prima volta, mentre lei, dal canto suo, si era persa nelle iridi scure del giovane.

Improvvisamente, forse memore del fatto che la manager era fuggita e nessuno aveva più saputo niente, Genzo si irrigidì e la trafisse con lo sguardo.

«Si può sapere che diamine è successo? Che cavolo ti è preso!»

Julia reagì di istinto, e attaccò a sua volta.

«Scusami, se ero sconvolta dalla morte di mia madre!»

«Non intendo quello, e lo sai bene! Parlo del fatto che sei sparita nel nulla, facendo preoccupare tutti! Che razza di atteggiamento è?»

«Avevo bisogno di stare da sola, per pensare. E riflettere.»

Lui accusò il colpo: riflettere?

«Vuoi andartene?» dritto al punto, come suo padre gli aveva insegnato.

«Forse… – mormorò lei – Potrebbe essere la cosa migliore per tutti.»

Il portiere mandò giù a fatica, Julia poté osservare la difficoltà con cui il suo pomo d’Adamo si alzava e abbassava per aiutare la deglutizione.

«Genzo… – si avvicinò a lui di qualche passo, per ristabilire un contatto – Sono… sono subentrate delle variabili che né io né te potevamo prevedere. Io…»

Martha entrò in quel momento nell’ufficio, dopo aver bussato una volta sola.

«Si può?»

«Vieni pure.» le accordò Genzo, senza distogliere lo sguardo da Julia, che ora fissava il pavimento.

La giovane si diresse subito verso l’amica e le passò un braccio intorno alle spalle.

«Di nuovo tutti insieme, eh?»

Si rese conto subito che l’atmosfera non era delle migliori, le facce dei due davanti a lei valevano più di mille parole. Il sorriso che le illuminava il volto, pian piano, svanì.

«Scusate, io… ho interrotto qualcosa?»

«No. – replicò Genzo, secco – Stavo dando il bentornato alla nostra Manager.»

«Grazie. – Julia alzò lo sguardo e lo puntò sul portiere – Ora torno nel mio ufficio, mi trovate lì.»

Girò sui tacchi e li lasciò lì: Martha passò lo sguardo dall’uno all’altra e scosse leggermente la testa. Non andava bene, non andava affatto bene.






Le idee che Julia si è fatta, alimentate anche dal suo dolore, e dal non essere completamente razionale in questo momento, vengono smontate dai suoi amici. La nostra Manager è quasi offesa del fatto che i suoi amici non le diano man forte, bensì le portino alla luce particolari che lei sembrava non aver minimamente preso in considerazione. 

Il rientro - quasi forzato - alla Wakacorp., è d'obbligo, così come l'incontro con Genzo... che però pare non aver preso bene tutta questa situazione, e sfoga la sua rabbia su di lei. 

Martha ha ragione: non va affatto bene... 

Vi aspetto mercoledì prossimo, sempre su queste frequenze ^^

Vi abbraccio 

Sakura 

   
 
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