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Autore: Diletta_86    28/03/2019    0 recensioni
La perdita di così tanti volti amici, di un altro figlio, rende inevitabile fare i conti col passato, col dolore e con le emozioni represse. Ogni perdita porta ad un cambiamento e Carol e Daryl sono i primi ad accorgersene, i primi ad avvertirne il peso.
( Spoiler per la 9.15 )
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Sospirò, lentamente, lasciando l’aria scorrere quanto più a lungo possibile attraverso i polmoni. Non sarebbe stata capace di sopportare ulteriormente la vista di quell’uomo. Vederlo le ricordava il fallimento della sua vita “”normale””, si sentiva una stupida, ma non avrebbe permesso a quella cosa di averla vinta su di lei.  Volse i tacchi, dando le spalle a quella che era ormai solo l’ombra di un re ed andandosene.  Anche questa volta Daryl aveva avuto ragione: ogni singola pietra di quel posto le ricordava suo figlio, non sarebbe mai riuscita a sopportarlo.

Si diresse con passo cadenzato verso quella che era la casa che lei ed Ezekiel avevano diviso in quegli anni, riflettendo su come il concetto di casa le fosse apparso da sempre forzato in relazione ad un luogo. In un mondo post apocalittico casa erano le persone alle quali sei legato, non un luogo o degli oggetti. E quel posto non la tratteneva più in alcun modo adesso che Henry era sparito.  

“Hey…”

Era il tipico modo in cui Daryl richiamava la sua attenzione, anche se qualcosa nel timbro della voce rendeva evidente la sua preoccupazione nei suoi riguardi. Voltando lo sguardo Carol lo individuò immediatamente, seduto sui gradini del portico, chiaramente in attesa.

“Hey straniero...”

“Mi sono permesso di radunare un po’ di cose…anche se non sono sicuro siano tutte… nel, nel caso tu avessi avuto bisogno di partire in fretta.”

Quando era emozionato Daryl diventava balbuziente, quasi incapace di mettere in fila le parole, di solito si mordicchiava l’interno del labbro inferiore. In quel caso stava anche giocherellando nervoso con il manico di un voluminoso borsone di tela verde militare al cui lato era fermato il bastone nero di Henry. Carol si portò una mano alla bocca, di nuovo commossa dal gesto inatteso. 

Si avvicinò, aprendo lentamente la sacca e sbirciandone il contenuto. La scatola di legno intagliata appartenuta al ragazzo fu la prima a balenarle davanti. Henry ci custodiva dentro i disegni ed i fiori che essiccava per lei.  Era appoggiata su una pila di camicie piegate con cura, probabilmente ancora impregnate dell’odore di Henry. Carol fu costretta a trattenersi dall’affondarci il viso dentro alla ricerca di uno sprazzo di quel figlio prematuramente perduto. Per ultimo vide il pupazzo con le sembianze di Sheeva, che lei stessa aveva trovato durante una delle loro battute di ricerca viveri. Lo estrasse, rigirandolo tra le mani pensierosa.

“Diamine... quel gatto troppo cresciuto mi stava simpatico...”

Cane, accoccolato ai piedi di Daryl parve aversene a male, sollevando le orecchie in una tacita domanda al padrone.

“Daryl Dixon una Gattara?! Oh buon dio… tuo fratello sarebbe morto di crepacuore a sentirti...:”

“…Smettila...”

Era il loro solito scambio di battute ironiche. Stavolta aveva dato il via ad uno scroscio inatteso di risolini, chiaramente azzittiti in fretta, come da chi non avrebbe dovuto farsi notare. Carol si volse immediatamente, di nuovo pronta a dare battaglia, incontrando lo sguardo terrorizzato di Lydia, nascosta poco lontano, al collo il medaglione con su incisa la H, l’aria di chi si è trovata davanti al demonio e ora non ha la minima idea di che fare. Daryl le osservava con un sopracciglio alzato.

“Vieni fuori ragazza.” – impose Carol spiccia, aggiungendo un cenno della mano come rafforzativo.

Lei si mosse, trascinando i piedi come chi stà per essere rimproverato duramente, suscitando un principio di rivolta dell’istinto materno di Carol.

“Oddio...signora. Scusi…oh mio dio... non conosco neppure il suo cognome. Mi dispiace...”

Balbettava in maniera molto simile a Daryl, fu la prima cosa che le balzò in mente e sembrava ancora più terrorizzata di quanto lo era stato lui ai tempi della fuga da Atlanta. Sospirò.

“Dixon. Il cognome, intendo... è Dixon.”

“Per la miseria donna! Dì vuoi ammazzarmi ?!”

La brusca interruzione ad opera di Daryl le provocò un sobbalzo. L’uomo stava ancora tossendo in modo convulso, rosso in faccia come chi ha corso per salvarsi la pelle, o come chi è talmente sbigottito da non riuscire a trattenersi. Le strappò il primo sorriso genuino dopo quattro intensi giorni di oscurità. 

“Temo di essermi persa di nuovo.” – doveva insegnare a quella ragazza a non sussurrare, si appuntò.

“Siediti Lydia… c’è una storia che devi ascoltare. “– concluse indicandole il posto sullo scalino di legno, esattamente in mezzo tra dove lei si era seduta e dove Daryl rimaneva appollaiato con l’aria del bambino sperduto. Gli concesse un rapido scambio di sguardi, quasi a volerlo rassicurare di non essersi bevuta il cervello.  Si prese il tempo per rimettere a posto il peluche di Sheeva che ancora teneva in mano e chiudere il borsone con un sorriso nostalgico spuntato chissà come sul volto.

 Respirò e poi iniziò a raccontare alla ragazza di quando il mondo era finito, realizzando nell’istante stesso in cui lo diceva ad alta voce, che Lydia doveva avere avuto più o meno l’età di Sophia allora.  Un singhiozzo le rubò il respiro, aggravato dalla mano tiepida di Daryl che le si posava tra le scapole, in un gesto di tacita comprensione e conforto. Ecco cosa c’era in lei che attirava così tanto il suo ragazzo…

Senza neppure rendersene conto Carol riassunse tutti gli anni trascorsi con il gruppo capitanato di Rick Grimes con dovizia di particolari emotivi, rendendo palese alle sue stesse orecchie tutto quello che aveva tentato di negare a sé stessa.  Narrò di come Henry   avesse deciso che sarebbe stata lei a fargli da madre, piazzandoglisi alle costole in quel bosco, a rischio di essere lui stesso divorato.  Ezekiel si era aggiunto soltanto in un secondo momento, quando ormai la guerra coi Salvatori era finita, forse più per un contorto senso di colpa nell’aver causato lo sterminio della famiglia del ragazzo che per sincero affetto paterno.

“Quando se ne è innamorata?”

“Innam??Credo di non aver mai capito se ero innamorata di Ezekiel… Semplicemente ero più che contenta di essere idolatrata ed al centro di ogni pensiero. Dopo Ed, il mio primo marito, non credevo sarei mai riuscita a vivere qualcosa zucchero e miele né a sentirmi al sicuro. “ 

Di nuovo Daryl che tossiva nervosamente in sottofondo. Carol alzò gli occhi al cielo, ironica.

“Qualcosa da obiettare Dixon?!”

“Più di qualcosa in verità ...”

“Mmh. Hhm…sentiamo...”

“Mi chiedo se tu portassi gli occhiali, donna, prima che il mondo andasse a puttane. Perché se hai bisogno dello sciroppo d’acero per capire che sei il centro del mondo di un uomo… bah!”

Daryl si era alzato in piedi di scatto, voltando le spalle ad entrambe. Lydia aveva abbassato lo sguardo, arrossendo, proprio come fanno tutti i ragazzi quando mamma e papà si trasformano nei fidanzatini. 
La risata si era levata spontanea dal profondo dell’animo lungamente sedato di Carol Peletier, risuonando forte e chiara sotto la volta della veranda, diffondendosi come una specie di luce dopo una tempesta profonda. Richiese un minuto buono riuscire ad esaurirla, ma quando fu conclusa Daryl vide chiaramente che si era espansa, offuscando il dolore dello sguardo di lei in qualcos’altro.

“Daryl Dixon ...sei l’unico uomo su questa terra di zombie capace di fare una dichiarazione tanto melensa e tanto orribile insieme…”

“Ed ora cosa vorrebbe dire ?!”

Carol scosse il capo facendo ondeggiare i lunghi capelli che già le davano fastidio. Si alzò, raggiungendolo e poggiandosi lieve contro le sue spalle, in punta di piedi per via della differenza di altezza.

“Non è questo il momento di fare il geloso…”
   
 
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