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Autore: cut_wing    28/03/2019    0 recensioni
Noah è un ragazzo normale, con una famiglia normale e un futuro normale. O, almeno, così credeva.
"Il suo grido si perse nel vento, rimbalzando tra le vette rocciose del canyon e strisciando sulla sabbia, raggiungendo infine i bassifondi e da lì una chiesa dal pavimento coperto di fiori, ormai disabitata. Eppure lì, quello stesso giorno di due anni prima, un bambino aveva aperto per la prima volta gli occhi al mondo. Occhi color mako."
Genere: Azione, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Crisis Core, Advent Children
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Noah
Rido sguaiatamente, non badando alla sabbia che il vento mi schiaffeggia contro con forza, e accelero ancora di più. Mi piego in avanti sul sedile di Fenrir, tenendo gli occhi piantati sulla bandierina del traguardo che si avvicina sempre di più. “Questa volta ce la posso fare!” Penso, euforico, prima che una chiazza indistinta mi sfrecci accanto e si porti di fronte a me. Il motociclista volta appena la testa, giusto per farmi notare il sorrisetto di scherno che gli è appena comparso sulle labbra sottili e farmi ciao-ciao con la mano, per poi far impennare la moto e saettare ancora più in là, verso la vittoria.
-NO! - Urlo. -Ca**o, anche stavolta NO! -
Di solito non sono uno che dice parolacce, ma questa volta proprio non posso farne a meno, vedendo LUI che ride di ME intanto che va a vincere il MIO trofeo. Mi appiattisco sulla moto per diminuire la superficie d’attrito e qualcosa nel mio stomaco si mette a fare i salti con la corda, ma in questo momento non ho tempo di pensare ai problemi di intestino che mi ritroverò non appena scenderò da qui: tutto quello che mi importa è arrivare primo. Cinque metri. Due metri… e lui taglia il traguardo. Mi lascio sfuggire un grido frustrato; me l’ha fatta di nuovo.
-Ben arrivato! - Mi grida, per farsi sentire oltre il rombo del motore. Spengo tutto e lo fulmino con un’occhiataccia. Lui ridacchia, dandomi una pacca sulla spalla. -E dai, Noah! Che fine ha fatto la sportività? - -L’ho spappolata sotto alle scarpe dopo la dodicesima corsa che hai vinto al posto mio. - Gli rispondo, fulminandolo con lo sguardo. Lui si finge pensieroso. -Ecco perché mi sembrava di aver visto qualcosa spiaccicato sul percorso… ah, no, era una cacca di chocobo! - Ci mettiamo a ridere, come se non fosse successo niente. È sempre così, con lui; fa tanto lo spaccone, ma in quanto a farsi perdonare non ci mette più di cinque minuti. O secondi. Con me, è più probabile la seconda. -Paparino non si arrabbierà per la moto? - Fa, accennando a Fenrir. Io sbuffo. -La lascia sempre chiusa in garage, piuttosto dovrebbe ringraziarmi per il fatto di farle prendere un po’ d’aria. - Sentiamo suonare un telefono, e sicuramente non è il mio, dato che non lo porto mai quando gareggio con il mio amico. Lo odo imprecare (ecco, se qui c’è qualcuno a cui piace dire volgarità, quello è proprio lui) e si mette ad armeggiare con il casco, da cui spunta una zazzera rosso fuoco. Non credo che riuscirò mai ad abituarmi al colore dei suoi capelli, soprattutto considerando che non se li è mai tinti in vita sua.
-Qui Reno. Qualche problema, zo-to? - Chiede, dopo aver tirato fuori il cellulare dalla tasca della giacca nera. Dall’altra parte una voce femminile strilla: -Lo so chi sei, testa di… gnu! Quello che non so è DOVE sei, visto che dovresti trovarti QUI! -. Ridacchio, riconoscendo già dalla prima frase chi sta parlando. “Elena.” Mima lui con le labbra, dopo aver allontanato il telefono dall’orecchio per evitare di venire assordato. Io annuisco, dandogli il permesso di allontanarsi. Reno non mi ha mai neppure accennato cosa faccia per vivere ed io non gliel’ho mai chiesto, ma a volte, se è di buon umore, mi parla dei suoi colleghi (o in caso contrario se ne lamenta): Elena, una ragazza intelligente e davvero molto carina (almeno secondo lui), ma che ha questa mania di sostituire le parolacce con insulti inventati di sana pianta, che spesso la fa apparire veramente ridicola; Rude, un tipo taciturno e tutto muscoli che segue sempre le regole (con grande dispiacere di Reno), e Tseng, il “grande capo”. E poi, Cissnei. Lei è… beh, credo che sia una sua vecchia fiamma, ma da come ne parla (o per meglio dire NON ne parla) sembra che non sia finita bene.
-Spiacente amico, ma il lavoro mi chiama. - Esordisce dopo aver riattaccato il telefono in faccia ad un’Elena LEGGERMENTE imbufalita. Cerco di non mostrarmi troppo deluso: ho imparato che quando se ne deve andare è molto più triste di me, quindi cerco di non fargli pesare ancora di più la cosa. -Certo. Ci troviamo domani? - Gli chiedo, con un sorriso forzato. Lui si mordicchia il labbro, come fa sempre quand’è nervoso o imbarazzato, ed io alzo un sopracciglio. -Cosa c’è? - -Ecco… - Si gratta la nuca, abbassando lo sguardo. -…non credo che potrò venire. E nemmeno la settimana prossima. - Incrocio le braccia, invitandolo a continuare. -Andrò in trasferta. Per un mese. - Sputa fuori tutto d’un fiato. Io alzo le sopracciglia. -Che cosa? Ma… - -Lo so, lo so. - Mi interrompe, rimettendosi il casco. -Ma non posso rifiutare, capisci? - Annuisco, anche se in realtà vorrei mettermi a piangere come un bambino. Reno ha dieci anni più di me, che sto per arrivare ai 17, ma tutto in lui fa pensare ad un ragazzino: l’aspetto, la lingua lunga, il carattere scherzoso e la sua passione per le belle ragazze. È il mio migliore amico da quando avevo 13 anni, quando lo incontrai mentre veniva a casa a chiedere informazioni sul lavoro di papà, e mi ha insegnato ad andare in moto, a flirtare ed un sacco di cose che i miei coetanei manco si sognano. Solitamente sta via anche per più tempo, ma quest’anno… -C’è l’anniversario della sconfitta di Sephiroth fra sole due settimane. Avevi detto che… - -Lo so quello che avevo detto! - Sobbalzo, sorpreso. È la prima volta che lo sento alzare la voce. Lui sembra rendersene conto, perché fa un sorriso forzato. -Ti prometto che quando tornerò troveremo i membri dell’AVALANCHE e faremo la richiesta di entrare a farne parte. E su con la vita, riusciremo a farlo prima che salvino il mondo un’altra volta. - -Doveva essere l’ombra di una battuta? - -Forse. - Mi fa l’occhiolino, salendo sulla sua moto nera, splendente come se fosse stata appena lucidata. Balzo in sella anch’io e facciamo un’ultima gara fino al “punto proibito”, come l’ho soprannominato io: una piccola stradina in mezzo alle rocce del canyon, a cui per un tacito patto non posso accedere.
–Tieni il telefono a portata di mano! - Mi grida, prima di imboccarla.
-Anche tu! - Lo saluto, per poi girare la moto e correre a casa. Dò una rapida occhiata a Fenrir, notando le ruote infangate. Sbuffo. “Devo spicciarmi a pulirla, se no chi lo sente mio padre?”
Torno a casa passando dal retro, sperando che nessuno di quei bambini pestiferi che di solito si aggirano nei paraggi si sia accorto di me, e lavo la moto con la canna dell’acqua. Dopo aver finito l’asciugo con uno straccio, riportandola in garage.
-Noah!
Appena in tempo. Questa è mia madre! Corro su per le scale che portano in dispensa e mi fiondo in casa. Beh, più che casa, nel locale.
La mia famiglia gestisce un piccolo bar a Midgar, il “7th Heaven”, ed io do una mano quando posso. Preferisco far compagnia ad ubriaconi che mi scambiano per una femmina, piuttosto che andare a zonzo per la città come un fattorino come vorrebbe mio padre, sgobbando tutto il giorno e rischiando di ritrovarmi appresso qualche moccioso piagnucolone da portare all’orfanatrofio (casa mia). Certo, non che sia piacevole cercare di far capire ad un vecchio alcolista che non sono la sua ragazza delle superiori, ma quando si hanno dei capelli come i miei… “Oh cavolo!” penso, fermandomi di botto. Ero così di fretta da non accorgermi nemmeno di avere ancora il casco in testa. E ora che faccio? Sento i passi di mia madre avvicinarsi sempre più e mi guardo intorno, cercando di ragionare in fretta. Indietro non posso tornare, ormai mi ha quasi raggiunto, e qui non ci sono nascondigli. D’un tratto, ecco la mia salvezza: una scatola degli attrezzi e, dietro ad essa, un buco nel muro. Sposto la cassetta e mi accorgo che più che un buco è una voragine, che si estende anche sul pavimento. Mi slaccio il casco e ce lo getto dentro senza tanti complimenti. -Noah, sei qui? - Io mi ravvio i capelli color pece con un gesto della mano, lasciando che mi ricadano sulla schiena in tutta la loro lunghezza, fino alla cintura dei pantaloni.
-Cosa c’è mamma? – Dico, uscendo dal mio nascondiglio. Lei si mette le mani sui fianchi, squadrandomi da capo a piedi. Quando mi guarda in quel modo mi mette soggezione, soprattutto se indossa quel grembiule con i chocobo disegnati sopra: ti verrebbe quasi da pensare che sia solo una bella donna gentile e tenera, mentre non c’è niente di più distante dalla verità. –È da dieci minuti che ti chiamo. - Si lamenta infatti. –Ero uscito un secondo con degli amici. - Rispondo. In realtà i miei genitori non hanno idea di chi sia il mio unico vero amico, ed a me sta bene così: un giorno, quando avevo 15 anni, mi sono lasciato sfuggire il suo nome, e loro mi hanno proibito di averci ancora a che fare. Ovviamente, non hanno dato spiegazioni. Come al solito. –Spero che tu abbia fatto questo giretto a piedi, e non su Fenrir. – L’avevo detto io, che non era tutta abbracci e coccole. –Che cooosa? Ma perché mai dovrei prendere la moto di papà, scusa? – Ridacchio, leggermente nervoso. A volte ho davvero l’impressione che mandino qualcuno a pedinarmi ogni volta che esco di casa. Mia madre incrocia le braccia, sorridendo. -Questo dovresti dirmelo tu, dato che prendi in prestito la moto DI PAPÀ quasi tutte le settimane. – Mi fa il verso, calcando la voce sulle ultime due parole. “Fregato.” Penso, scoraggiato. –Perché mi cercavi? – Chiedo, cercando di cambiare argomento. “Per piacere!” La imploro con gli occhi. Probabilmente oggi è di buon umore, perché si limita a sospirare e a dire: -Avevo intenzione di chiederti di pensare al bar mentre vado a prendere Marlene e Denzel a scuola, ma credo sia il caso che tu prima ti dia una bella pulita. -. Mi guardo i vestiti, in cerca di qualche macchia di fango o roba simile, non trovandone. –L’odore, Noah. Sai di cane bagnato. – Sbatto le palpebre ed adotto un sorriso di circostanza, stringendomi nelle spalle. –Vai a lavarti, dai. – Mi sprona, sorridendo divertita. La saluto “alla soldier” e sfreccio di sopra, ma faccio in tempo a vedere un lampo di fastidio, sorpresa e tristezza nei suoi occhi nocciola. Prima che possa chiedermene il motivo, sono sotto alla doccia, con l’acqua bollente che mi scivola addosso portandosi via tutte le preoccupazioni.
 
Tifa
Quando vedo Noah portarsi due dita alla fronte e poi allontanarle, indirizzandole verso di me, il mio cuore salta un battito. Sì: io, Tifa Lockhart, ex membro dell’AVALANCHE e combattente nata, ho paura che mio figlio voglia essere come uno di loro. Come un Soldier. Aspetto che corra di sopra e appena gira l’angolo afferro il telefono, componendo l’unico numero oltre al mio che so a memoria. Squilla una decina di volte, e proprio quando penso che non risponderà, sento la voce di Cloud che mi chiama. -Tifa? Tutto bene? - “Adesso sì.” penso, sorridendo. Ogni volta che sono preoccupata o in ansia per qualcosa, sentirlo parlare mi fa tornare calma. –Sì, tranquillo, niente di particolare. Avevo solo bisogno di sentirti, tutto qui. Quando torni a casa? - -Dovrei rientrare fra un’ora e mezza; sembra che per oggi il lavoro sia finito. - -È fantastico! – Esclamo, trattenendomi dal battere le mani. –Già. Ci sentiamo dopo. - -A dopo. Ti amo. – Sento un leggero sospiro e sono sicura che stia sorridendo. –Anch’io. – Chiudo la telefonata e torno al bancone del bar, assicurandomi che gli unici due clienti di oggi non bevano più delle loro possibilità, ed intanto rifletto.
Ho sempre saputo che Noah ha una passione per le storie incentrate su Soldier e sull’AVALANCHE, e che non molto tempo fa ha addirittura tentato di farsi assumere in una palestra di incontri clandestini in cui si pratica l’addestramento speciale che veniva impartito dalla SHINRA prima del suo fallimento, senza per fortuna riuscirci. È fissato con le armi, soprattutto quelle da taglio, e questo mi spaventa. Non voglio che diventi come suo padre quando lavorava per l’Agenzia: un burattino pronto a spargere sangue ed a divertirsi mentre lo fa, che mette da parte la sua umanità all’ordine di farlo. No, non posso accettarlo.
Sposto la mia attenzione sul piccolo televisore dietro al bancone, che sta trasmettendo il notiziario. “Mancano appena due settimane all’8° anniversario della sconfitta di Sephiroth, il Soldier perfetto, o almeno così si pensava all’inizio.” Sta dicendo la ragazza del telegiornale, una biondina truccata tanto da far pensare di essere appena uscita da un incontro di wrestling, sbirciando ogni tanto dal foglio che tiene languidamente appoggiato sulle gambe. “Diciotto anni fa infatti, venuto a conoscenza degli esperimenti di cui era stato oggetto già prima della nascita, impazzì, mettendo a fuoco e fiamme la piccola città di Nibelheim in cui era stato mandato in missione insieme a dei Fanti e ad un altro 1st class che è stato dichiarato deceduto due anni dopo. Ecco qui le immagini di quella drammatica notte, in cui persero la vita la maggior parte degli abitanti del villaggio.” Distolgo lo sguardo mentre le grida delle persone arse vive e i pianti dei bambini si fanno largo nel silenzio del bar, rotto appena da qualche colpo di tosse degli avventori. Chissà se mischiato a tutte quelle urla c’è anche il mio grido, quello che ho lanciato quando mi sono accorta di cosa fosse successo a mio padre. “Sparì dalla circolazione per otto anni, per poi tornare e mettere in pericolo l’intero pianeta. Quando la minaccia di Meteor sembrava ormai imminente un gruppo di coraggiosi, l’AVALANCHE, riuscì, non senza sacrifici, ad impedire la catastrofe. Molti sostengono di aver visto in viso alcuni di questi eroi, ma le loro identità continuano a rimanere segrete. La speranza è che si facciano vivi durante la grande festa che celebra la loro vittoria, dove tutta la popolazione mostrerà la sua riconoscenza. Per ora è tutto, passo la linea a Friedrich.” Sento sbattere la porta del piano superiore da cui scende Noah. Si è cambiato, ora indossa un paio di jeans ed una maglietta bianca mezza bagnata, cosa non molto strana dato che i suoi capelli stanno gocciolando un po’ ovunque. Sorrido, scuotendo la testa. Ha cercato di arginare il danno mettendosi un asciugamano sulle spalle, ma la chioma corvina è talmente lunga da bagnargli da metà schiena in giù. –Dovesti… - -NO! – Mi anticipa, afferrandosi le ciocche con fare protettivo. Sospiro, esasperata. –Avanti, dopo sei tu che ti lamenti del fatto che ci mettano tanto ad asciugarsi, per non parlare di quando devi spazzolarli. – Lui guarda l’orologio che porta al polso con una finta espressione preoccupata. –Non devi andare a prendere i ragazzi?! – Mi slaccio il grembiule e glielo metto in mano. –Fra un’oretta dovrebbe tornare papà. Io sarò qui fra una ventina di minuti ma intanto mi raccomando, stai attento ai clienti e… - -ASINO. ASINO CHE BRUCA L’ERBA. BEPPINA! – Sospiro alla volta dell’ubriacone di turno che si è alzato in piedi di scatto rovesciando la sedia, per poi seguirla subito dopo con un tonfo. –Sì, lo so… - Sbuffa mio figlio sollevandolo da terra con inquietante facilità e dirigendosi all’uscita. -… “aspetta che torni la cameriera prima di lasciare il posto incustodito”. – Dice in falsetto, aprendo la porta con un calcio e adagiando il cliente sulla panca vicino all’uscio. –Esattamente. Cerca di non combinare guai. - -Mamma, non è la prima volta che mi lasci solo a gestire il locale. - -Lo so, voglio solo essere sicura. – Noah alza gli occhi al cielo ed io rinuncio ad ulteriori raccomandazioni. Imbocco la porta sicura che stia ridacchiando alle mie spalle.      
 
   
 
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