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Autore: Kakashi_Haibara    28/03/2019    1 recensioni
L'errore di un padre ha trasformato la vita del figlio in una tempesta senza fine, piena di tormenti e domande.
Ma la luce di una persona allevierà ad Arthur Kirkland il peso della vita, trasformandola in una dolce melodia di colori, proprio come il sole al tramonto.
(Dal IV Capitolo)
- Francis... Tu sei p.. padr- balbettò Arthur non riuscendo nemmeno a finire decentemente la frase per quanto assurda gli suonasse.
- Ti prego, prima di dire qualunque cosa, fammi spiegare! - eppure non c'era nulla da spiegare. La realtà era quella, davanti agli occhi dell’ultima persona che Francis avesse mai pensato di incontrare mentre era insieme ai propri figli.
{FRUK, accenni di Spamano, AusHunPru, GerIta} [FACE Family] (Prologo prescindibile per il momento)
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
Inglese Nevrotico

 

Lunedì.

Ah, Francis odiava il lunedì. Ricominciava la solita routine tra la scuola, il lavoro e lo studio. Tutto ciò lo stancava davvero molto, dal momento che persino il sabato aveva il turno al lavoro, in un locale poco lontano dal suo appartamento. Nessuno conosceva il posto in cui lavorava (tranne Antonio e Gilbert, ovviamente), si vergognava a farsi vedere da qualcuno della scuola con la divisa da cameriere. Dopotutto lui proveniva da una famiglia benestante, la gente non si spiegava come mai un ragazzo così giovane dovesse cominciare a lavorare pur potendo ricevere tutti i soldi che voleva dal paparino. Ma loro non sapevano. Loro non potevano sapere.

Quel giorno era arrivato a scuola più stanco del solito. Non aveva avuto nemmeno la forza di flirtare con qualche ragazza del terzo anno adocchiata nei corridoi! Il che era parecchio strano per il re del corteggiamento.

Anche in classe era stato più distratto del solito. Aveva tante cose a cui pensare, davvero troppe per un ragazzo della sua età.

Si rianimò soltanto durante la lezione di letteratura inglese quando l'insegnante rimproverò per la centesima volta nell'arco di due settimane Arthur Kirkland, il suo vicino di banco. Era così divertente vederlo innervosirsi e diventare tutto rosso per la vergogna di essere stato ripreso di fronte a tutta la classe.

Ma Francis non lo sopportava affatto, specialmente dopo le premesse di quando aveva messo piede in quella classe per la prima volta, l'anno dopo essersi ritirato dalla scuola. Era il primo giorno, eppure il damerino inglese si era sicuramente alzato con la luna storta (ormai non la considerava più una novità, Arthur sembrava perennemente infastidito da qualunque cosa accadesse che non fosse perfetta), difatti dopo solo una piccola e involontaria spinta da parte del francese, aveva cominciato a dare di matto. Letteralmente! Certo, Francis scontrandosi con lui gli aveva fatto versare il thè ancora bollente sulla divisa, ma perché farne una tragedia? E meno male che gli inglesi erano considerati educati, rispettosi e dei veri "gentlemen”. Al diavolo le dicerie su quegli ingordi di thè! Da quell'insulso momento i toni tra di loro erano rimasti decisamente tesi.

In pratica, Arthur era troppo rigido e preciso in tutto, non sorrideva mai se non per ghignare per le sue stesse battute sarcastiche che gli rivolgeva spesso, ma non aveva affatto il senso dell'umorismo, a meno che non fosse quello pungente inglese. In pubblico, in particolare davanti ai professori, non si scomponeva mai nella postura, la sua divisa era sempre ben stirata e perfettamente aderente al suo corpo magro. I lineamenti marcati del viso gli conferivano un'aria fredda e tenace. Peccato si innervosisse per qualunque cosa e ciò poteva essere davvero irritante per chiunque gli stesse a fianco.

C'era solo una cosa di lui che Francis adorava follemente. Gli smeraldi che letteralmente aveva al posto degli occhi. Duri, ma brillanti, dentro di essi ardeva un fuoco verde che attirava intensamente il francese. Ogni volta che quell'inglesino gli lanciava uno sguardo, il cervello gli andava letteralmente in tilt, troppo impegnato a contemplare quel colore così vivo che mai aveva visto in vita sua. Nemmeno gli occhi di Antonio erano di un verde così intenso da sembrare finto.

Proprio in quel momento, mentre rifletteva sulla bellezza dei suoi occhi, Arthur si voltò verso di lui ancora rosso per la figuraccia di qualche attimo prima. Se possibile, arrossì ancora di più quando notò che Francis lo stava guardando.

- Che diavolo hai da fissare?! - sibilò a denti stretti.

Francis lo ignorò, come al solito. Appoggiò la propria guancia sul palmo della mano, alzando un sopracciglio. - Fai proprio schifo in letteratura, eh, Mr. sourcils? - ridacchiò divertito.

- Ah, sta' zitto! Non so che cosa voglia dire quella parola, ma se è un insulto, vedrai! - detto questo, puntò di nuovo gli occhi sul suo libro e non li alzò più per il resto della lezione, lasciando Francis senza alcuna possibilità di ribattere.

 

Per qualche ragione che lui ignorava, ma decisamente straordinaria, quel giorno le attività pomeridiane a scuola erano state sospese, per cui avrebbe avuto più di tre ore libere prima di correre al lavoro.

Mentre cercava il proprio portafoglio nella borsa scolastica per poter comprare il pranzo alla mensa, Antonio e Gilbert erano ormai entrati in una delle loro conversazioni senza senso che nemmeno lui riusciva a capire, probabilmente riguardo alle arti marziali, decisamente non l'argomento preferito del francese.

Dopo averlo finalmente trovato, si alzò trionfante pronto ad andare a mangiare, ma venne attirato da una cosa. Qualcosa che ormai aveva notato da tempo, ma a cui non aveva mai dato troppo peso: Arthur stava pranzando da solo, di nuovo.

In quel momento gli fece... Pena? Forse non era la parola giusta, ma comunque gli dispiaceva. Non gli sembrava di averlo mai visto pranzare o parlare con qualcuno.

Francis non si sarebbe mai perdonato per il gesto che stava per fare, ma tanto valeva tentare.

Si sedette sul banco dell'inglese senza tanti complimenti e gli rivolse un sorriso decisamente forzato, ma gentile il più possibile.

- Vieni a mangiare con noi? - gli chiese.

In quel momento poté chiaramente sentire un acutissimo e stupitissimo “coooosa?!” da parte di Gilbert. E Arthur era forse più stupito di lui, tanto che si era pure dimenticato di insultarlo per essersi seduto sul suo banco.

- Come... Scusa? - la sua espressione era impagabile in quel momento, ma Francis si sforzò di non ridergli in faccia e rispondere ironicamente, come invece faceva sempre.

- Sei sempre solo, perché non vieni a mangiare con noi? Ti facciamo un po' di compagnia! - si spostò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio, sfoggiando il sorriso più caloroso possibile, capace di persuadere chiunque. Solitamente. Infatti, con Arthur non ebbe il risultato sperato. Anzi, sembrò innervosirsi.

- Te lo scordi, rana! Perché dovrei venire con voi megalomani casinisti? - rispose acido l'inglese.

Francis storse le labbra. Non aveva mai ricevuto un rifiuto, tutti cadevano ai suoi piedi grazie al suo incredibile fascino e ne era pienamente consapevole. Anche se da bambino non se ne vantava e non lo usava come mezzo di persuasione, aveva sempre saputo di essere un giovane dalla straordinaria bellezza: lineamenti delicati inusuali per uomo, occhi di un blu profondo e un buon fisico da ballerino. Insomma, per le ragazze della scuola era considerato “perfetto” e se questo poteva servirgli per ottenere ciò che voleva, sfoggiava la sua bellezza molto volentieri.

Ma a quell'inglese il suo fascino non toccava minimamente, sembrava quasi lo trovasse l'essere più ripugnante sulla faccia della terra! (Impossibile... Vero?)

- Allez! Non farti pregare! - usò il tono più supplicante possibile, ma l'inglese non cedette.

Dopo qualche attimo di riflessione, Francis continuò. - Se tu mi fai il favore di venire con noi a mangiare, ti prometto che domani prenderai più del 60% nel test di letteratura! Fermati con me dopo scuola, dopotutto le attività extrascolastiche sono state sospese e avrai sicuramente tempo, n'est-ce pas?

Arthur assottigliò lo sguardo. - Perché dovrei stare da solo con un pervertito come te? Non ci penso nemmeno! - incrociò le braccia, appoggiandosi allo schienale della sedia e guardando il francese con aria di sufficienza.

Francis fece finta di non ascoltare l'insulto del ragazzo e continuò. - Sono la tua unica speranza per prendere un bel voto e non essere più torturato dai richiami di Mrs. Collins.

Questo sembrò smuovere appena l'inglese, che tornò nella posizione ritta e composta di prima.

- Me lo assicuri? - il tono era incerto, non si fidava del tutto di Francis.

L'altro annuì trionfante e scese dal banco, raggiungendo i suoi due amici. Si allontanarono tutti e tre dall'aula seguiti a ruota da Arthur, il quale si portò dietro il suo solito sandwich bruciacchiato fatto a casa.

 

 

 

Pessima idea ascoltare quel dannato francese.

Ora Arthur si trovava spiaccicato tra mille altri studenti in coda per prendere il pranzo. Si sentiva seriamente a disagio. Odiava stare in mezzo a troppa gente, lo faceva sentire vulnerabile. Francis e gli altri due invece sembravano abituati a tutta quella calca e non se ne curavano più di tanto. Ridevano e chiacchieravano, ignorando miseramente l'inglese.

Probabilmente Arthur assunse un'aria più nervosa di quanto credesse, perché Francis, quando lo notò, gli chiese subito se stesse bene. - Tranquillo, ormai siamo arrivati. - rise con la sua solita risatina da odiosi nobili parigini dei film ed aprì il portafoglio per tirare fuori i soldi per il panino.

Forse Arthur non avrebbe dovuto, ma sbirciò per qualche attimo all'interno del suo portafoglio. Lo attirò una foto coperta quasi del tutto dal dito del francese che riportava due bambini biondi, che potevano essere lui e sua sorella, immersi in un paesaggio innevato. L'altra foto invece era ben visibile: Francis che teneva in braccio una bambina dai lunghi capelli castani legati in due code e dalla pelle ambrata. Gli stava dando un tenero bacio sulla guancia e Francis sorrideva come mai lo aveva visto fare.

Francis chiuse velocemente il portafoglio non appena si accorse che Arthur stava fissando le foto al suo interno. - Sono cose private, mon cher. - disse sorridendogli, ma con una vena di irritazione.

L'inglese si chiese come mai quelle foto così belle per un tipo come Francis fossero considerate “private”, ma non gli sembrò opportuno porre la domanda al ragazzo.

Mangiare con i tre ragazzi non fu così traumatico. Arthur si era limitato ad ascoltare i loro discorsi idioti in silenzio e certe volte a tirare frecciatine a Francis, la sua specialità, prontamente ricambiate. L'argomento preferito di Gilbert era “quante ragazze sono cadute ai miei piedi nell'arco di una sola giornata” e per il momento si riteneva il migliore (come sempre). Dopo dieci minuti buoni passati a sentire il tedesco descrivere accuratamente ogni ragazza della scuola che trovasse carina, finalmente Antonio ebbe il coraggio di cambiare argomento abbracciando con fare fin troppo amichevole Francis, seduto accanto a lui. - Allora, usignolo, perché non ci canti qualcosa? Non lo fai da tanto!

Francis arrossì vistosamente alla proposta dello spagnolo e se lo scrollò di dosso. - Lo sai che mi vergogno! Non canterò mai davanti a qualcuno! - scoppiò a ridere dando delle occhiate nervose ad Arthur.

Ora che ci pensava, Francis non aveva mai frequentato il corso di arti marziali con i suoi due amici. Invece faceva parte del corso di canto, danza e strumento. Gli venne quasi da ridere ad immaginare Francis ballare, ma si ricredette subito pensando che entrare in quel corso non era affatto facile. Questo stava a significare che il francese aveva grandi capacità. Diamine! Un altro motivo per inv- odiarlo.

Proprio nel momento in cui Arthur stava per essere interpellato da Gilbert, la campanella suonò, salvando il ragazzo da possibili domande altamente imbarazzanti.

 

 

 

Arthur aprì la porta della biblioteca scolastica e sbirciò dentro per controllare chi ci fosse. Sembrava vuota, probabilmente ogni studente della scuola, approfittando della mancanza dei corsi pomeridiani, era uscito a fare qualunque cosa che fosse più invitante di passare il tempo in biblioteca.

- Allora, cominciamo? - la voce di Francis alle sue spalle gli fece prendere il primo infarto della giornata. Il francese entrò senza troppi complimenti, occupando uno dei tanti tavoli della stanza, invitando l'inglese a sedersi di fianco a lui.

Stranamente per Arthur, il francese non fece nulla di perverso, al contrario di quanto era accaduto in tutti i suoi film mentali. Anzi, era stato impeccabile nella spiegazione, nemmeno in cinque anni di scuola aveva sentito un professore spiegare così bene e soprattutto aveva avuto pazienza. Arthur doveva ammetterlo, quando non capiva qualcosa sembrava un ebete.

Lo metteva solo un po' a disagio il fatto che Francis gli stesse così vicino senza vergogna, che gli toccasse la mano quando voleva prendere la penna o che gli desse dei colpetti sulla spalla ogni volta che l'inglese riusciva a comprendere il significato di una poesia. Decisamente troppo invadente.

Ad un certo punto Francis diede un'occhiata al suo orologio da polso e scattò in piedi mettendosi velocemente il cappotto. - Mon Dieu, quanto è tardi! Scusami, Kirkland, devo andare. Ah! Devo avvertire Monique! Sei stato bravissimo, vedrai che domani prenderai un bellissimo voto e tutto grazie a me! - prese la borsa a tracolla della scuola e si precipitò fuori dalla stanza lasciando Arthur ridicolmente solo nella biblioteca completamente vuota.

Erano solo le cinque del pomeriggio, quali impegni poteva avere un ragazzo a quell'ora? Di solito finivano le attività e gli studenti tornavano a casa.

Arthur non stette troppo a pensarci. Sospirò per la stanchezza, prese tutti i suoi libri e si diresse verso l'uscita della scuola. Fu solo in quel momento che notò lo schermo del proprio cellulare e per poco non gli venne il secondo infarto della giornata.

- Cosa?! Dieci chiamate perse da mamma? Oh mio Dio... - quasi non ebbe il coraggio di richiamarla, tutte quelle chiamate non promettevano nulla di buono, e sua madre arrabbiata era la cosa più terrificante che avesse mai visto o sentito nell'arco della sua breve vita. Ma meglio tardi che mai... No?

Stette per parlare non appena sentì la cornetta alzarsi dall'altro lato, ma venne interrotto dalla voce alzata di due ottave della madre che chiamava il suo nome, il che lo costrinse ad allontanare il cellulare dal suo povero orecchio.

- Arthur William Kirkland!! Cosa stavi facendo?? Non hai visto che ti stavo chiamando?! Devi andare a prendere tuo fratello da scuola, muoviti! Sei in ritardo di mezz'ora! - e così gli chiuse il telefono in faccia. Tipico, dopotutto non era la prima volta che succedeva.

Tirò un sospiro di frustrazione e si avviò verso la scuola elementare del suo fratellino. Accadeva spesso che la madre non potesse andare a prendere Peter a causa del lavoro e che l'unico disponibile fosse Arthur, ma sentirla sbraitare così nonostante lui non avesse alcuna colpa era snervante. Adorava sua madre, era gentile con lui, ma alle volte avrebbe voluto che fosse un po' meno... agitata.

Finalmente arrivò davanti al portone della scuola. Sapeva già dove andare, di solito tutti i bambini che non potevano essere portati a casa dai genitori durante l'orario di uscita regolare giocavano nel grande giardino della scuola fino a che qualcuno non li veniva a prendere.

- Sei solo un mocciosetto di tre anni! -

Poco prima di svoltare l'angolo dell'edificio, Arthur riuscì a sentire questa frase pronunciata da una voce a lui inconfondibile. Era la tipica vocina di un bambino troppo allegro e gradasso, che aveva tanta voglia di crescere e fare lo spaccone con i bimbi più piccoli, nonostante fosse il primo ad essere un nano da giardino.

Ed infatti il suo udito non si sbagliava.

Svoltato l'angolo vide davanti a sé girato di schiena e con le mani sui fianchi il suo fratellino Peter: un bambino biondo dagli occhi azzurri di otto anni, vestito con pantaloncini, maglietta e cappellino bianchi e blu, la tipica divisa maschile della sua scuola elementare. Chiunque avrebbe notato che erano palesemente fratelli: nonostante il viso del più piccolo fosse più rotondo e dai tratti più delicati, avevano un taglio di capelli simile ed erano riconoscibili dalle loro enormi sopracciglia, solo che tutti sostenevano che calzavano in modo più grazioso a Peter. Arthur non sapeva ancora se lo dicessero perché ai loro occhi il suo fratellino era un dolce pulcino oppure per prendere in giro il maggiore.

- Non ho tre anni! - rispose grintoso il bimbo con cui Peter si stava fronteggiando. - Ne ho tre e tre quarti! Manca poco ai quattro, sono grande!

- Che diavolo vuol dire tre e tre quarti?! Sei comunque un mocciosetto! - ribatté Peter con altrettanta grinta, incrociando le braccia.

- Va bene, ora basta. Guarda che anche tu, Tappetto, sei poco più di un moccioso. - intervenne Arthur, temendo che da un momento all'altro i due si sarebbero azzuffati come se non ci fosse stato un domani. Era meglio prevenire, soprattutto se il più piccolo diceva la verità sostenendo di avere poco meno di quattro anni, sarebbe stato schiacciato dal peso di Peter, ben più grande di lui.

Questo si voltò non appena si sentì chiamato in causa dalla voce del fratello maggiore. - Hey, Arthur!! Ti avevo detto di non chiamarmi più Tappetto! E poi lui è molto più moccioso di me! - esclamò indicando il bambino che aveva davanti a sé: aveva due grandi occhi azzurri, talmente luminosi e carichi di vitalità che Arthur temette che, guardandolo per troppo tempo, sarebbe diventato cieco. I capelli biondo cenere erano piuttosto spettinati ed il suo grembiulino blu era tutto stropicciato, forse per via di una corsa o di una precedente azzuffata.

Il piccolo strinse i pugnetti e gli rispose a tono, ignorando del tutto l'arrivo di Arthur. - Ti ho detto che ho quasi quattro anni! Sono un grande eroe, salvo i miei fratelli dai cattivi, sono più forte di te! - batté il piede a terra e le guance paffute gli diventarono tutte rosse per la rabbia. Faceva tenerezza in quello stato, non avrebbe intimorito neanche un coniglietto.

Prima che Peter potesse ribattere con qualcosa di offensivo o di stupido, Arthur gli tappò velocemente la bocca con la mano e si chinò appena verso il bimbo, sfoderando un sorriso più o meno caloroso.

- Ma certo che sei un grandissimo eroe! Guarda che muscoli che hai! - era il tono più falso che avesse mai potuto usare, ma sembrò avere un buon effetto sul bambino, che sorrise e gonfiò il petto, fiero più che mai.

- Sì, sono un eroe! - esclamò con un tono ancora più energico di quello usato poco prima, accompagnato da una fragorosissima e fierissima risata.

Peter si dimenò a tal punto da riuscire a sfuggire alla presa del fratello, ma non disse niente e si limitò a mettere il broncio ed incrociare le braccia: sapeva benissimo quanto Arthur si potesse arrabbiare se faceva troppi capricci.

Arthur continuò così la conversazione con il bimbo, inginocchiandosi davanti a lui. - Come ti chiami, grande eroe dell'Inghilterra?

- Non dell'Inghilterra! È troppo piccola e fredda! Io voglio essere l'eroe... - ci pensò su per qualche attimo, poi il suo volto si illuminò. - Dell'America! Sì, sarò l'eroe della grandissima America! E comunque mi chiamo Alfred!

Arthur pensò che ce n'erano fin troppi di eroi americani con tutti i fumetti della Marvel che giravano in quegli anni, ma fece finta di niente e resse il gioco al bambino.

- E' un piacere conoscerti, grande eroe dell'America Alfred. - disse in tono solenne, come se dovesse incoronarlo re di qualche terra importante. - Ti prego di perdonare la maleducazione del mio fratellino, certe volte non sa bene quel che dice... - fulminò con lo sguardo Peter: nella strada verso casa gli avrebbe fatto una bella ramanzina. - Perché non ti scusi con lui, Peter? - suonava come una domanda, ma era chiaramente un ordine.

Il fratello si limitò a grugnire, senza dire assolutamente niente per non infrangere il suo orgoglio da bambino grande. In questo anche erano molto simili i due fratelli: l'orgoglio inglese era una delle cose più preziose che avevano, da difendere ad ogni costo! Solo al secondo richiamo, molto più irritato ed insistente, di Arthur dovette mormorare un “scusami” non troppo convinto.

Alfred non sembrò notare il clima teso tra i due fratelli e annuì energicamente. - L'eroe accetta le tue scuse! Ma solo perché me l'ha chiesto questo vecchietto. - disse indicando con il piccolo dito affusolato Arthur, il quale al sentirsi chiamare così pulsò una vena sulla fronte per l'irritazione.

- Come... Scusa?! Vecchietto a me?? Ma come ti permetti...! -.

L'appellativo provocò l'ilarità di Peter, che faceva da sfondo musicale con la sua risata sguaiata e divertita.

Arthur si sentì profondamente ferito da quell'insinuazione. E da chi? Da un bambino! Oh, di certo lo avrebbe riempito di frasi poco carine, ma lo trattenne il fatto che era troppo piccolo per sentirle. Eppure quella sensazione non gli era nuova. Non era l'unico che lo faceva sentire così irritato per una semplice frase. C'era anche... Francis. Ah! Quel maledetto francese! Perché gli veniva in mente proprio in quel momento?! Si sforzò di non pensarci, tentando di cambiare discorso. - Non ti viene a prendere nessuno, Alfred? - marcò volontariamente il suo nome, come se pronunciare quello invece che un brutto nomignolo gli suonasse difficile.

- Deve venire papà! - rispose lui con nuova energia, dimentico del discorso di pochi attimi prima. Dimenticava e si concentrava su qualcosa di nuovo ad una velocità impressionante, pensò Arthur. - Ma viene sempre molto tardi perché lavora.

- Capisco... Ma la mamma o altri parenti non possono venire? - chiese. Non che fosse davvero interessato, ma era un discorso che serviva giusto per non farsi più prendere in giro da Peter.

Alfred scosse la testa, facendo spallucce. - Viene solo papà. – disse spostando lo sguardo ai giochi del cortile della scuola.

In quel momento quell'espressione pensierosa, forse troppo per un bambino così piccolo, così diversa da quella allegra di qualche istante prima, gli ricordò una persona che già conosceva... E in effetti, facendo più attenzione, anche i lineamenti del viso così delicati gli ricordavano tanto qualcuno... Specialmente lo sguardo aveva un non so che di familiare, ma proprio non riusciva a ricordare chi fosse. Decise di non darci peso per non arrovellarsi troppo il cervello.

Si alzò annuendo alla risposta secca del bambino che stava a sottolineare che il discorso era ufficialmente chiuso. Magari voleva soltanto andare a giocare con gli altri bambini rimasti invece che parlare con lui ed Arthur si stava facendo sicuramente troppi problemi.

- Va bene, Alfred. Allora io e Peter adesso andiamo. Ci vediamo e non metterti nei guai facendo l'eroe! - disse prendendo per mano il fratello e salutando il piccolino con la mano libera, mentre si allontanava.

Solo quando Alfred si voltò per raggiungere i giochi del giardino, Arthur notò che c'era un altro bambino che lo seguiva. Sgranò gli occhi domandandosi se fosse stato dietro di lui per tutto il tempo o se fosse arrivato in quel momento. In ogni caso, non l'aveva notato affatto. Aveva anche lui i capelli biondo cenere, solo un po' più lunghi, e gli occhi violetti. Era suo fratello senza ombra di dubbio. Sembrava un bimbo tranquillo e silenzioso, tutto il contrario di Alfred. Possibile che tutta la sua energia offuscasse la presenza del suo stesso fratello?

Arthur ridacchiò un po' sconcertato al pensiero e, dando un ultimo saluto al bambino, si diresse verso casa. Sperava tanto di poterlo rivedere un altro giorno, era un bimbo buffo ed era divertente sentirlo parlare, magari cercando di rimediare con il fratellino, parlando anche con lui.

 

 

 

 

Seduto alla scrivania di camera sua, davanti al libro di inglese, al momento il suo acerrimo nemico, Francis sbuffò esasperato. Era sui libri solo da un'ora, ma era talmente esausto da non riuscire a concentrarsi.

Guardò l'ora sul suo orologio da polso: le 22:50. Non era neanche troppo tardi, ma la giornata era stata davvero sfiancante: cinque ore di scuola, tre di pura esasperazione con quel cocciuto di Kirkland ed altre tre di lavoro in quel maledetto locale.

Non aveva avuto tempo per niente e per nessuno, era a malapena riuscito a cucinare qualcosa per cena e si sentiva spossato più che mai. Ed era solo ottobre. Come avrebbe fatto a continuare così per altri sette mesi di scuola? Piuttosto un discorso eterno di Gilbert sul “Meraviglioso Lui”!

Proprio nel momento in cui stava per scaraventare la penna contro il muro per la frustrazione, sentì bussare alla porta e vide entrare sua sorella, il che lo fece calmare all'istante.

- Scusa se ti disturbo, Francis, ma io adesso tornerei a casa... - si sistemò i grandi occhiali rotondi sul naso e socchiuse la porta, avvicinandosi al fratello.

Francis annuì. - Va bene. Grazie mille, Monique, per tutto ciò che fai. Spero non ti abbiano causato troppi problemi e che invece ti abbiano lasciato studiare almeno un po'...

- Oh, sì! Ho studiato un pochino, non avevo molto da fare, dopotutto. - accennò una risatina appoggiando la sua lunga treccia sulla spalla.

Francis le sorrise dandole un bacio affettuoso sulla fronte.

La porta della camera cigolò appena, attirando l'attenzione dei due fratelli. - Papà... - Francis abbassò lo sguardo, cercando nella penombra la figura che lo chiamava con quella vocina femminile inconfondibile alle sue orecchie. - Non riusciamo a dormire, ci canti la tua ninna nanna? -. Francis sorrise intenerito e si inginocchiò. Subito tre bambini gli circondarono il collo con le loro braccia minuscole accompagnando il gesto con delle risatine gioiose. Il ragazzo si alzò in piedi e fece una piroetta con i bambini in braccio, scatenando i gridolini e le risate dei tre piccoli, poi li rimise a terra ridendo.

- Allora, papà, vieni?? - gli chiese Shell, l'unica femmina dei suoi tre gemelli, tirandogli insistentemente l'orlo della camicia. Aveva la pelle color caffelatte e due bellissimi occhi ambrati, proprio la copia in forma mignon della sua mamma. Al solo pensiero, venne travolto da un forte senso di malinconia che cercò di oscurare mostrando un altro grandissimo sorriso verso la sua bambina.

Saran era il suo nome. Una ragazza delle Seychelles dolcissima, dai capelli castani perennemente raccolti da due inconfondibili fiocchi rossi. Era morta dando alla luce i tre gemelli. Francis da quel giorno si era sempre dato la colpa della sua morte, non riusciva a sopportare il fatto che per un suo sbaglio da ragazzino immaturo una ragazza di soli diciotto anni fosse morta. La sua ragazza. La sua Saran.

Ma ormai doveva lasciare al passato questi orribili pensieri e pensare al presente e soprattutto al futuro. Doveva garantire una vita sana ai suoi bambini, istruzione e felicità. Per questo lavorava nonstop ogni giorno, solo per il loro bene.

- Sì, la ninna nanna francese... Per favore. - questo era Matthew, il più tranquillo dei tre. Sentì a malapena la sua voce, infatti dovette chinarsi per poterlo sentire.

- Certo, Mattie, se ti fa piacere, ve la canterò. - rispose dolcemente il suo papà.

- No! Io voglio la storia dell'eroe!! - gridò Alfred saltando e muovendo le braccia in alto per farsi notare. Ma come non notarlo? Solo dal tono di voce riusciva ad ottenere l'attenzione di tutti.

- Quella ve l'ho già raccontata ieri, oggi tocca alla canzone. - esordì Francis con tono autoritario. Doveva tenere duro con quelle tre pesti, specialmente con Alfred. Ognuno aveva dei gusti differenti, doveva accontentare tutti a turno.

Se Shell era la copia della madre, Alfred e Matthew avevano preso quasi tutti i tratti dal padre: la carnagione rosea, gli occhi chiari ed i capelli biondi, solo un po' più scuri. Erano gemelli, ma avevano sia tratti comuni che differenti. Ad esempio, Matthew era l'unico silenzioso, gli altri due invece erano dei tornado fatti bambini, carattere preso da Saran. Avevano tutti e tre il viso tondo e paffuto, solo Matthew era più magro e deboluccio dei fratelli.

Francis li amava più di qualunque altra persona al mondo, non sarebbe mai tornato indietro per riavere la sua vecchia vita da liceale spensierato. Forse solo per salvare quella di Saran.

- Bambini, il papà per domani ha molto da studiare, non disturbatelo... - disse Monique, ma Francis la rassicurò posandole una mano sulla spalla.

- Ci metterò un attimo, non appena si addormentano mi rimetto a studiare. - disse prendendo in braccio Shell ed uscendo dalla sua camera. - Piuttosto, vuoi che ti accompagni? Ormai è buio...

- No, papà mi verrà a prendere. - disse con tono incerto, come se l'argomento “genitori” non fosse ben accetto in quel momento. E in effetti era così. Francis non aveva più un buon rapporto con i suoi genitori dalla nascita dei tre figli. Sin da quando avevano scoperto che il loro primogenito (erede del patrimonio Bonnefoy) aveva messo incinta una ragazza a soli sedici anni l'avevano considerato un reietto. Anzi, non l'avevano proprio più considerato. L'avevano cacciato di casa e Francis aveva detto molto volentieri addio a tutto ciò che lo legava alla casa dei suoi genitori ed era andato a vivere con Saran nell'appartamento in cui ormai viveva senza di lei, ma con i bambini.

Non riusciva proprio a capire cosa spingesse quei due a rifiutare l'esistenza dei loro nipoti. Specialmente quell'arpia di sua madre. Una gallina che pensava solamente ai soldi e al futuro promettente dei suoi figli, o meglio, della figlia: dopotutto quello di Francis era già rovinato.

Cacciò via quei pensieri prima che gli venisse un attacco di isteria davanti ai bambini e salutò la sorella che stava uscendo dalla porta d'ingresso. Poi entrò nella camera dei bambini e li mise uno ad uno sotto le coperte del letto matrimoniale. Purtroppo non aveva ancora comprato un letto singolo per ciascuno, ma il letto matrimoniale era risultato la soluzione più economica. Era costato molto meno di quanto sarebbero costati tre letti singoli e i bambini riuscivano a dormirci bene, dato che erano ancora piccoli.

- Papà, papà! - esclamò Alfred che di dormire proprio non ne voleva sapere. - Sai che oggi ho fatto a botte con un bambino che ha preso in giro Mattie?? Alla fine ho vinto io, quindi sono un eroe!

- Ecco perché il tuo grembiule era tutto sporco! Alfie, lo sai che non voglio che picchi gli altri bambini. Sei forte e potresti fare molto male.

- Ma diceva che era anor... anorittico e nessuno può dire queste cose al mio fratellino!

Francis sospirò amareggiato. - Non sai nemmeno cosa voglia dire anoressico. Comunque, Mattie. - diede una carezza alla guancia dell'altro figlio, accennando un sorriso. - Non ascoltare ciò che ti dicono gli altri bambini, non sanno quello che dicono. E soprattutto sono troppo piccoli per dire certe cose! Domani mi direte chi è questo bambino cattivo, va bene?

Il piccolo annuì un po' in imbarazzo per tutte quelle attenzioni.

- Anche Xiao Mei e Li Xiao Chun hanno aiutato Alfred! Siamo amici, sai papà? - aggiunse Shell tirando la manica della camicia di Francis.

- Sì e poi stavo anche per fare a botte con Peter, quello della scorsa volta, ma poi è arrivato suo fratello e non mi ha più preso in giro! Era molto simpatico, anche se sembrava vecchissimo! Aveva delle enormi so-

- Va bene, ho capito, Alfie, ma adesso dovete andare a dormire. - lo interruppe Francis prima che cominciasse la filippica sui suoi nuovi amici. - Domani dovete svegliarvi presto per andare all'asilo!

- Ora ci puoi cantare la ninna nanna francese? - chiese con un filo di voce Matthew, il quale stringeva a sé l'orsetto di peluche che Francis gli aveva regalato al compleanno precedente e da cui non si era mai separato. Si sentiva fiero per questo, voleva dire che a lui ci teneva davvero e Francis ne era grato.

Suo padre gli diede un bacio sulla fronte e cominciò a cantare, a voce bassa per favorire il sonno. Come previsto, non ci volle molto prima che tutti e tre si addormentassero. Non appena fu sicuro che stessero davvero dormendo, li rimboccò per bene con le coperte e tornò a sedersi alla sua scrivania, non ancora psicologicamente pronto ad affrontare il test di inglese del giorno successivo.


Spazio dell'Autrice
Ciao a tutti!
Pubblicare il capitolo entro novembre??? Bella battuta!! Chiedo umilmente perdono a tutti quei poveri cristi che seguono la mia fanfiction, sono una frana in tempistiche! Ma gli studi non si completano da soli, no? (eh, magari!)
Comunque sono finalmente spuntati gli altri tre personaggi principali!! America, Canada e Seychelles! Aka figli di Francis! E' una storia deprimente la loro, lo so, ma ce l'avevo in mente da tantissimo e desideravo metterla in una fanfiction!
Poi Xiao Mei e Li Xiao Chun sono i nomi (ufficiali? Fanon? Non ne ho idea, sinceramente li ho scelti perchè sembravano dolcissimi) rispettivamente di Taiwan e Hong Kong, in questa fanfiction sono gemelli e fratellini di Cina ^^
Non ho molto altro da dire. Dal prossimo capitolo la storia comincerà a formarsi! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto (è lungo, perdonatemi!), mi piacerebbe sapere cosa ne pensate per magari migliorare qualcosa!
Bye bye, Aru! <3

   
 
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