Anime & Manga > Yuri on Ice
Segui la storia  |       
Autore: ElinaFD    29/03/2019    2 recensioni
Marsiglia 2016, finale del Grand Prix. I sei pattinatori più forti al mondo si sfidano per determinare chi sarà il campione di metà stagione. Tra questi c'è di nuovo Victor, tornato all'agonismo, insieme allo Yuuri giapponese e a quello russo. Non tutto però va a gonfie vele, per gli atleti. A volte è il corpo a tradirli; altre, invece, soltanto la testa...
Chi vincerà?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Kintsugi, o l'arte delle preziose cicatrici'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Eccoci arrivati al secondo giorno di gare! L’atmosfera comincia a scaldarsi: come reagiranno i nostri eroi?

Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di dire una cosa importante. Questa storia (e tutte le successive) non esisterebbe se non fosse nata dal gioco goliardico con Tenar80. Diciamo che anche io arriverò a Corea 2018, ma con una mia versione piuttosto diversa dalla sua “Stagioni”, al momento in fase di pubblicazione e che consiglio. Spero apprezzerete il mio percorso a tappe verso il momento più topico della vita di un atleta.

Ringrazio inoltre Crystal_il_Cigno per i suoi immancabili commenti. Grazie di spendere sempre qualche minuto per darmi un feedback sulle mie sciocchezzuole.

Sottolineo che molte delle cose che accadranno all’interno di questa storia sono ispirate a fatti reali veramente accaduti e che io ho visto e ricordato. Alcune cose sono forzate, ma molto non poi molto. Il pattinaggio, diciamocelo, è uno sport brutale…

E detto questo vi auguro buona lettura!




Marsiglia, giovedì 8 dicembre 2016, mattina
 


Victor percepiva la tensione crescere ed era una sensazione deliziosa. Era incredibile come persone con cui si era trascorsa una serata a scherzare il giorno prima entrassero in una sorta di spazio mentale isolato dal mondo, astraendosi sempre più col passare delle ore. Non tutti, naturalmente, avevano quel tipo di reazione. Victor tendeva a rimanere più ciarliero e di buon umore fino a poco prima di scendere in pista, ma sapeva bene che lui era quasi un’eccezione.

Yuuri era entrato nel suo tipico mutismo asociale appena uscito dal bagno, quella mattina. Victor aveva fatto a malapena in tempo a baciarlo mentre era ancora mezzo addormentato e rilassato tra le lenzuola, poi tra il water e il lavandino il suo compagno doveva essersi imbattuto nella cruda realtà e quello che era uscito dal bagno era lo Yuuri da gara, non esattamente l’uomo più gioviale della Terra. Victor però non aveva interferito con i suoi processi mentali. Aveva imparato che era inutile: Yuuri aveva un mondo, in testa, che non si poteva controllare né plasmare dall’esterno e non c’era nulla che lui potesse dire che avrebbe cambiato il suo stato d’animo. Semplicemente non l’avrebbe ascoltato.

L’unica cosa che poteva fare, come suo allenatore, era stargli vicino, offrirgli il sostegno fisico e pratico necessario in prossimità della gara e ricordargli che il suo valore non dipendeva dal suo piazzamento in quella singola giornata. Come compagno, invece, poteva solo accettare la sottile freddezza che avrebbe caratterizzato tutti i loro rapporti interpersonali per le seguenti 14 ore circa, consolandosi coi ricordi della giornata appena trascorsa. Infine come avversario e atleta era suo dovere concentrarsi su se stesso e la propria performance, perché sarebbe stato irrispettoso anteporre i propri sentimenti alla competizione. Come queste tre personalità potessero coincidere era un problema ancora non del tutto risolto.

Quando Yuuri era uscito con gli auricolari nelle orecchie per andare a correre Victor era rimasto in camera, preparandosi con calma e approfittando del tempo libero per fare un po’ di stretching extra. Il fianco gli faceva davvero male, per quanto lui l’avesse ignorato e non avesse voluto allarmare chi gli stava attorno. Lo short non sarebbe stato un problema, ma se il dolore non fosse diminuito avrebbe dovuto alleggerire un po’ il programma libero, con inevitabile perdita di punteggio tecnico. D’altronde non poteva forzarlo adesso, con ancora tre mesi di gare davanti.

La sessione di allenamento di quella mattina era breve e soprattutto era l’ultima occasione di prepararsi al programma corto. Victor scivolò sul ghiaccio e come sempre gli succedeva i pesi della vita si sollevarono dalle sue spalle, lasciando spazio al corpo. C’erano un po’ di fan sugli spalti, che si erano alzate (erano praticamente tutte donne, menzione d’onore alla loro dedizione) all’alba, probabilmente, per assistere a quel momento più privato nella vita dei loro atleti preferiti. Victor spese qualche momento a salutare e a mettersi in posa, suscitando la solita reazione virulenta in Yakov, poi si mise seriamente all’opera con il riscaldamento. Di tanto in tanto gettava un’occhiata a Yuuri, che perso nei suoi pensieri seguiva la routine che aveva messo a punto per se stesso negli anni.  Era teso, ma non troppo; determinato, avrebbe detto Victor, il che era un bene.

Tuttavia, con il passare dei minuti, qualcosa cambiò. Victor sentì la tensione crescere attorno a sé e in modo automatico cercò con lo sguardo Seung-gil Lee sulla pista. Il pattinatore coreano sembrava impegnato ad eseguire la propria sequenza di riscaldamento, ma i suoi movimenti troppo spesso andavano a ridurre lo spazio di manovra di Yuuri, che ormai, accortosene, continuava ad interrompersi, allarmato. Victor imprecò a denti stretti e pattinò velocemente verso Yuuri.

“Victor, non me lo sto sognando,” iniziò subito lui, vedendolo approssimarsi. “Ti giuro che lo sta facendo ancora.”

“Sì, l’ho visto,” lo rassicurò Victor. “Che vuoi che faccia? Vado a parlarci?”

Yuuri si guardò intorno nervosamente.

“Non lo so,” rispose infine. “Non voglio fare scene.”

Gli altoparlanti annunciarono la musica di Otabek Altin e il giovane andò ad occupare la posizione di partenza, mentre gli altri pattinatori si portavano fuori dalla sua traiettoria.

“È la giusta punizione per avermi impedito di importunare Yurio ieri sera a cena,” la buttò sul ridere Victor, sperando di alleviare un po’ la tensione. L’espressione di Yuuri rimase cupa. “Se non vuoi che intervenga vai avanti. Non puoi stare a piangerti addosso in un angolo.” Era stato un po’ duro e lo sapeva, ma con Yuuri a volte era difficile trovare un canale di comunicazione per scuoterlo. Almeno questo sembrava aver funzionato, perché l’altro annuì, stringendo i denti, e si rimise a pattinare.

Victor si passò una mano tra i capelli, sospirando. Sperava soltanto che quell’idiota di Seung-gil non tirasse troppo la corda.


 
 
Il programma corto di Otabek, per quella stagione, era veramente intenso. Yuri si ritrovò a spiarlo tra un’evoluzione e l’altra, e si sorprese a sorridere di orgoglio. Otabek era davvero in forma, andava forte ed essendo suo amico era un po’ come se questo rendesse più forte anche lui. Incredibilmente, peraltro, quella mattina i suoi piedi sembravano comportarsi meglio del solito e non si sentiva più un fenicottero zoppo; di conseguenza la sua autostima era in risalita.

Fu durante uno di quei momenti di pausa non ufficiale che vide due cose che non gli piacquero per niente. La prima fu la faccia di Yuuri. Non serviva conoscerlo a fondo per notare che aveva i nervi a fior di pelle. Yuri non capiva cosa lo rendesse così psicologicamente inadeguato ad affrontare le gare, ma dacché lo conosceva non era migliorato granché. Non aveva tempra, probabilmente non l’avrebbe mai avuta, perché era troppo tenero. Non che fossero affari suoi, ben chiaro, ma con lui fuori gioco questo avrebbe significato un avversario in meno in grado di tener testa a JJ.

Quando vide la seconda cosa sgradevole capì anche perché Katsudon sembrava sul punto di avere un esaurimento nervoso. Yuuri stava eseguendo una parte del suo programma tenendosi nella metà destra della pista e stava prendendo la rincorsa per il triplo Lutz quando dal nulla comparve Seung-gil, che con una Flying Camel si piazzò proprio sulla sua traiettoria di salto. Yuuri stava pattinando all’indietro, naturalmente, e fu solo voltandosi all’ultimo momento che si accorse del pericolo. Yuri trattenne il fiato per un attimo, temendo il peggio, ma il giapponese ebbe la presenza di spirito di trasformare il Lutz in uno sgangherato volteggio singolo, che ciononostante terminò con una culata sul ghiaccio. Seung-gil a quel punto si era già allontanato, ignorando l’accaduto completamente.

“Yuri!” lo richiamò all’ordine Yakov, e lui si diede dello stupido. Durante gli allenamenti doveva concentrarsi solo su se stesso. Non c’era posto per nessun altro. Doveva escludere gli altri e lavorare su di sé.

La sua musica fu passata poco dopo. La routine non riuscì male, nel complesso, sebbene fosse lontana dai suoi tentativi migliori. Arrivato in fondo, Yuri era tristemente consapevole che avrebbe regalato al pubblico, nella migliore delle ipotesi, un programma godibile, ma che non avrebbe mai potuto competere per il podio. Non contro Victor, che provò dopo di lui, né contro JJ, che quell’anno era tornato carico e grondante autostima in modo disgustoso. Persino Seung-gil, dopo i buoni piazzamenti della stagione precedente che però non gli avevano fruttato l’accesso alla finale, pareva migliorato notevolmente. Se avesse continuato a pattinare con tanta precisione avrebbe iniziato ad insidiare i primi posti… Arrivare sesto alla finale del Grand Prix esattamente un anno dopo averlo vinto a soli 15 anni, riscrivendo la storia. Quello sì, che era un bello smacco per Yuri.

La musica successiva era quella di Katsudon. Yuri conosceva così bene quel programma, avendolo visto tante volte sulla pista di San Pietroburgo, da poter tracciare in automatico un percorso che lo portasse sempre fuori dalle traiettorie del giapponese. Provò una combinazione di salti, approfittando di una sequenza coreografica che l’avrebbe portato all’estremo opposto della pista, e stranamente gli riuscì anche bene. Che buffo, pensò, davvero si sentiva più forte di 24 ore prima, pur non essendo neanche lontanamente al picco della propria forma fisica. Udì il pubblico esclamare d’orrore e gettò un’occhiata alla pista, per accertarsi che non si fossero verificati incidenti. No, tutto tranquillo, appurò; probabilmente si era trattato di uno scontro soltanto sfiorato, o di una caduta inaspettata. Eppure…

Seung-gil stava provando una sequenza di passi che lo stava portando verso il centro della pista, proprio mentre Yuuri partiva con la sua velocissima sequenza dal lato opposto. Yuri si sentì montare dentro una rabbia sorda. Quello stronzo non poteva non sapere che avrebbero finito per scontrarsi, se nessuno dei due si fosse fermato. C’erano delle regole di convivenza sulla pista e in nessun caso un pattinatore aveva il diritto di interrompere l’allenamento di un altro atleta mentre suonava la sua musica. Che cazzo gli passava per la testa, a quello stronzo di un coreano? Ancora pochi metri e Seung-gil pattinava con nonchalance proprio verso Yuuri, acquistando anzi velocità. Cinque, tre… Yuri socchiuse gli occhi, in attesa dello scontro. Invece Katsudon lo stupì un’altra volta per prontezza e, con un rapido cambio di direzione, interruppe la propria coreografia, virando nella direzione opposta. Impossibile non notare però il moto di stizza con cui tirò un pugno alla balaustra, quando probabilmente pensava di non essere visto. Yuri non poteva biasimarlo: quell’ennesima interruzione gli aveva fatto perdere la possibilità di provare il proprio programma decentemente e anche la concentrazione. Difficilmente sarebbe stato in grado di calmare i nervi abbastanza da combinare qualcosa di buono. L’ingiustizia di quella situazione gli fece andare il sangue al cervello. Perché quell’idiota di Katsudon non faceva un bel niente? E Victor a che serviva?

“Ehi, brutto coglione! Che cazzo combini?” urlò senza pensare all’indirizzo del coreano, che non fece nemmeno finta di averlo notato.

Si udì un fischio di approvazione; voltandosi Yuri si accorse che si trattava di JJ, che ora stava ridendo di gusto, mostrandogli il pollice in alto. Ribollendo di rabbia, accelerò i passi, scivolando con maggior velocità sul ghiaccio e respirando a fondo l’aria gelida. Doveva controllarsi, o avrebbe finito per iniziare una rissa. L’ultima cosa che gli serviva era ricevere un provvedimento formale dalla Federazione. Girò due volte su di sé, poi tentò un quadruplo Salchow. Atterrò malamente e scivolò, cadendo. Come non detto, si disse tra sé, rialzandosi al volo; la sua performance rimaneva pietosa.
 


 
“Ehi, è arrivato Chris!” esclamò Victor entusiasta, controllando le notifiche del cellulare.

Si guardò intorno ansioso e sugli spalti intravide una figura conosciuta che agitava un braccio. Victor corse in modo impacciato nella sua direzione, i pattini ancora ai piedi, sbracciandosi per fargli capire che l’aveva riconosciuto e facendogli poi segno di scendere all’uscita atleti.

“Yuuri, andiamo a mangiare una cosa tutti insieme?” propose raggiante, voltandosi a cercare il compagno con lo sguardo.

Gli occhi che si ritrovò davanti erano fissi e privi di espressione.

“Io…vado in hotel,” mormorò Yuuri. Aveva un’aria plumbea che fece scendere sul cuore di Victor un’ombra di pena e presentimenti nefasti.

“Ma come,” tentò Victor, sfoderando la sua migliore aura di leggerezza, “nemmeno per salutare Chris? Dovrai pur pranzare…”

“Non ho fame,” biascicò l’altro infilando i coprilame e dirigendosi come un automa verso lo spogliatoio.

Victor esalò un sospiro sconfitto.

“Yuuri,” lo chiamò sottovoce, trattenendolo per un polso appena furono fuori dalla visuale del pubblico. “Sei arrabbiato, lo so, lo capisco. Hai ragione. Per me puoi anche chiuderti in camera fino a mezz’ora prima della gara di stasera, ma devi mangiare qualcosa.”

Yuuri strinse le labbra e una profonda ruga di irritazione gli attraversò la fronte.

“Se dovessi mettermi a mangiare ora non so se riuscirei a fermarmi,” ammise in un sussurro imbarazzato, evitando il suo sguardo. “Ho bisogno di stare da solo. Lasciami andare.”

Victor lo accontentò, ma col cuore pesante. Capiva, fino ad un certo punto, ma quella non era la reazione che voleva da Yuuri. Inoltre, molto egoisticamente (e ne era consapevole, ma non sapeva impedirselo, in quel frangente), non voleva accollarsi la crisi di Yuuri quando aveva già il proprio stress pre-gara da gestire. Quelli erano esattamente i momenti in cui essere il coach di Yuuri non si accordava per nulla con la sua carriera da pattinatore.

Si cambiò in fretta, lavandosi di dosso il sudore con la testa altrove. Yuuri si era limitato ad infilarsi le scarpe da ginnastica ai piedi e a riporre i pattini nello zaino, per poi partire di corsa verso la camera d’albergo, cuffiette nelle orecchie. Conoscendolo era capace di farsi un’altra mezz’ora di corsa per stremarsi, giusto per buttare fuori l’agitazione e collassare poi sul letto. Victor aveva imparato che era una delle cose più deleterie che potesse fare: il corpo inerte non impediva alla sua mente di macinare i pensieri e farsi risucchiare sempre più a fondo nelle sue paranoie. Ma a che pro farglielo presente?

Christophe Giacometti lo stava aspettando nell’atrio del palaghiaccio. Occhiali da sole sui capelli biondi nonostante fosse dicembre e vestiti informali, Victor sogghignò ammirando quanto l’avversario di tante gare sapesse essere affascinante anche fuori dalla pista. La sua performance sarebbe mancata, quell’anno.

“Ohi, single?” esclamò Chris, guardandosi attorno sorpreso.

Victor alzò per un attimo gli occhi al cielo e gli regalò un’espressione esasperata.

“Crisi, eh?” interpretò correttamente Chris. “Non dovresti da bravo coach stargli alle calcagna?”

Victor lo abbracciò brevemente.

“Andiamo a mangiare da qualche parte,” disse, evitando di rispondere alle sue domande. “Dimmi che sei in macchina.”

“Certo, per chi mi hai preso?” fece l’altro, avviandosi. “Andiamo sul mare.”

Victor non si rese conto di essere rimasto stranamente silenzioso durante tutto il viaggio in auto finché Chris non si mise a ridacchiare tra sé.

“Non ti vedevo così teso per una gara da…mai, credo,” lo prese in giro bonariamente.

Victor sospirò, passandosi una mano sul viso e poi tra i capelli.

“È anche colpa tua, sai? Avete insistito tutti perché tornassi a pattinare e adesso mi sto facendo venire il sangue amaro…” Sospirò ancora una volta, teatralmente, nella speranza che questo nascondesse la sua reale preoccupazione, poi aggiunse “E tu non ti sei nemmeno qualificato!”

Chris si strinse nelle spalle.

“Con le nuove leve che stanno crescendo la vedo sempre più grigia.” Sogghignò, lanciando un’occhiata al russo. “Mi sa che ho sbagliato a farti tornare a gareggiare; senza di te ora sarei in finale!”

Victor ridacchiò, scuotendo la testa.

“La verità è che siamo vecchi, Victor. Non dirmi che non lo senti anche tu.”

Victor non rispose; non serviva.

“Veramente tu hai solo ventisei anni,” ribatté invece. “Non starai mica pensando di ritirarti! Non puoi farmi questo. Dovrò pur avere un rivale…”

“No, non per ora, almeno. Quest’anno sono rimasto fuori per un soffio, ma ve la farò pagare agli Europei, vedrai. L’anno prossimo… Vedremo come va la preparazione atletica.”

Il mare brillava sotto il sole invernale. Victor era contento di essere in compagnia di qualcuno che rispettava come atleta e che stimava come persona, per di più una persona schietta e divertente come Chris; eppure anche lì al suo fianco sentiva la spina della malinconia punzecchiarlo. Forse era la consapevolezza di non essere con Yuuri in un momento di difficoltà, forse erano quei discorsi nostalgici a turbarlo un po’.

“Ho paura di non riuscire ad arrivare alle prossime Olimpiadi,” buttò lì, come se quello fosse un commento come un altro. “L’ho promesso a Yuuri, in qualche modo, che ci saremmo andati insieme. Dovrò rinunciare a qualche oro, Chris, non posso spingere troppo. La schiena non mi regge più.”

Chris, a quel discorso, stranamente sorrise.

“Tutto a favore del tuo bello, eh? Be’, preferisco che tu ti risparmi qui per averti di fronte al meglio a gennaio. Certo, deve bruciare non riuscire a riprendersi il proprio oro. La stella di Victor Nikiforov che tramonta… Chi l’avrebbe mai detto?”

Victor gli diede una gomitata.

“Non esageriamo adesso…”


 
 
“Yuri.”

Il giovane si bloccò mentre stava per addentare il proprio panino. Otabek, apparso da chissà dove, era in piedi di fianco a lui e lo fissava serio, ma la cosa in sé non era strana.

“Ti stai facendo tirare in mezzo ai giochetti di Seung-gil,” continuò il kazako.

Yuri aggrottò la fronte.

“Eh?”

Otabek non distolse gli occhi scuri dai suoi e Yuri seppe che gli stava vedendo dentro. Istintivamente si ingobbì, quasi potesse sottrarsi a quello scrutinio.

“Lo so che ti dà fastidio ciò che ha fatto con Katsuki, ma non ti riguarda.”

Yuri strinse le labbra, infastidito.

“In questo momento sembri Yakov. E non è un complimento… Io non mi faccio venire il sangue amaro per nessuno, soprattutto per quel buono a nulla di Katsudon.”

Otabek non cambiò neppure espressione. Continuò a fissarlo per qualche secondo, poi scrollò le spalle.

“Cerca di non fare nulla di avventato,” gli disse semplicemente, prima di fargli un breve cenno di saluto con la mano e allontanarsi.

Yuri soffiò fuori l’aria dal naso in un’espressione insolente. Che anche Otabek si mettesse a fargli la paternale, poi… Morse con ferocia il panino, trangugiandolo senza quasi masticarlo, mentre la sua mente richiamava alla memoria la scena a cui aveva assistito durante l’allenamento, quella mattina. Non capiva perché Yuuri gliel’avesse fatta passare liscia, ma poteva stare tranquillo che, se per colpa di quel coreano non avesse dato il meglio, allora lui in persona gli avrebbe dato una ripassata. Parola di Tigre della Russia.


 
 
Victor aprì la porta della camera quasi con timore. Ora che era arrivato si sentiva un po’ stupido, con quell’insalata da asporto in mano e l’istinto naturale di camminare in punta di piedi per non allarmare i nervi già scossi di Yuuri. Gettò uno sguardo attorno, cercando segni di vita da parte del compagno, ma ci mise un po’ ad individuarlo e quando lo fece sentì di aver perso un battito. Yuuri se ne stava seduto sul pavimento, incastrato tra il comodino e il letto, le gambe strette al petto e la testa tra le braccia. Ad un primo sguardo si poteva pensare che stesse dormendo, ma ad un occhio più attento non poteva sfuggire il tremito leggero della schiena. Stava piangendo? Difficile a dirsi e poteva aver smesso sentendo il rumore della porta che si apriva, per un irrazionale pudore… Ma cosa c’era di razionale nel comportamento di Yuuri in queste situazioni?

Victor si avvicinò un po’ di più e abbandonò il pranzo del compagno sul mobile più vicino.

Ty v poryadke?[1]” domandò, tentando il russo come lingua domestica.

Udì tirar su col naso, segno che Yuuri aveva pianto almeno fino a qualche minuto prima, e poi la sua voce arrochita rispondergli “Daijoubu[2].” Giapponese. Victor avrebbe dovuto aspettarselo.

Quando era andato a vivere con lui a San Pietroburgo, un anno prima, Victor si era illuso che Yuuri avrebbe presto appreso il russo. Fino a quel momento l’inglese era stata la loro lingua franca, per quanto ogni tanto non la padroneggiassero perfettamente, ma Victor credeva che nel giro di qualche mese lui e il compagno avrebbero potuto conversare tranquillamente nella propria lingua madre. Sbagliato. Yuuri non era esattamente un campione nelle lingue straniere, se ci si doveva basare sul livello raggiunto in una lingua semplice come l’inglese dopo cinque anni in America a studiare, figurarsi alle prese con una complicata come il russo. Sì, gli piaceva memorizzare alcune frasi da usare all’occasione ed era curioso, o forse lo trovava divertente; tuttavia da lì a conoscere e padroneggiare una lingua c’era un abisso. Alla fine di quei dodici mesi Yuuri capiva circa un terzo di ciò che gli diceva in russo e Victor poteva dire di essere quasi fluente in giapponese. Quella loro strana lingua mista basata sull’inglese, per cui tutti li prendevano in giro, era proprio figlia di quel lento studio reciproco, in cui capivano più di quanto fossero in grado di dire.

In verità Yuuri si sforzava di non parlare giapponese. C’erano solo tre casi in cui scivolava di nuovo nella propria lingua madre, a volte senza nemmeno rendersene conto: quando facevano l’amore, quando aveva sonno o era ancora nel dormiveglia, o quando era in preda ad una delle sue crisi d’ansia. Le prime due circostanze erano assai gradite a Victor, ma quel giorno si trovavano nel bel mezzo della terza. Il giapponese così perdeva gran parte del suo fascino.

“Non mi pare…” mormorò, quasi tra sé, accostandosi a lui con più convinzione.

Si sedette sul letto proprio accanto a dove si trovava Yuuri e rimase per un attimo in silenzio, ad osservarlo dall’alto. Eccola lì, la strana sensazione di disagio che sempre lo prendeva quando Yuuri piangeva.

Victor non era mai stato incline alle lacrime. Reagiva velocemente, si schermava dalle emozioni, si gettava alle spalle tutto ciò che non poteva o non voleva gestire e andava avanti. Gli era capitato di commuoversi, specialmente nell’ultimo anno e mezzo, da quando aveva fatto spazio alla vita e all’amore, e più raramente di piangere per rabbia e frustrazione. Aveva pianto di fronte a Yuuri, una volta, esattamente un anno prima, e si era sorpreso da solo, perché una reazione così violenta, da se stesso, non se l’era aspettata.

Yuuri invece piangeva con una facilità disarmante e le sue lacrime potevano significare qualsiasi cosa. Ogni emozione gli andava dritta alla testa e, c’era da metterci la mano sul fuoco, gli occhi gli si facevano lucidi. Si commuoveva con una naturalezza che Victor un po’ gli invidiava, perché lui quella sensibilità la stava riscoprendo alla tenera età di ventott’anni suonati, ma si era detto che probabilmente c’era anche uno stigma culturale nella sua educazione che aveva regalato al compagno una libertà che lui non aveva. Ad onor del vero, Yuuri non piangeva nemmeno così tanto; piuttosto si trovava spesso sul punto di. E a volte era per frustrazione, imbarazzo o malinconia, altre per gioia. Comunque fosse, rispetto a ciò a cui Victor era abituato, tutta quella lacrimazione era eccessiva e lo faceva sentire a disagio. Peggio, si sentiva inutile e stupido, perché quando Yuuri stava così male da piangere sul serio lui non sapeva mai cosa fare per farlo smettere.

“Ehi…” sussurrò, mettendogli una mano sulla schiena.

“Lo so che ti dà fastidio quando piango,” fece Yuuri alzando a malapena la testa, le parole che uscivano con difficoltà dalla sua gola, ma velate di un’aggressività mal trattenuta. “Lo so che pensi che queste mie crisi siano del tutto immotivate. Lo so, ma non posso farci niente.”

Victor si ritrasse appena, sorpreso.

“Non mi dà fastidio,” mentì, sperando non fosse troppo palese. “È solo che non lo capisco, tutto qua.”

“Non c’è niente da capire.”

“Mmm…” Victor si batté un dito sulle labbra in quel modo peculiare di cui forse non si accorgeva nemmeno più. “Invece io voglio capire.”

Yuuri alzò gli occhi, finalmente, caldi occhi castani arrossati dal pianto, e lo fissò. Ancora una volta Victor percepì in lui una forza e un’aggressività che non si accordavano alla fragilità che aveva creduto causa del suo attuale crollo.

“Ho solo pensato… L’anno scorso ha funzionato, quando ho pianto, prima del libero, mi sono sentito più leggero. Magari anche stavolta…”

“Ti senti meglio?”

Yuuri si scrutò i piedi, pensieroso. Victor sapeva che si stava analizzando, prendendo estremamente sul serio la domanda che gli aveva posto.

“Un po’,” mormorò poi. “Non ho ancora finito.”

A Victor scappò una risatina, perché quell’ammissione era la cosa più assurda che avrebbe potuto dire e per questo così terribilmente Yuuri da farlo innamorare da capo nonostante la tensione della gara in arrivo.

“È che questa volta è diverso,” continuò Yuuri. Ora che si analizzava, ora che Victor era con lui, metteva lentamente le cose in prospettiva e cercava di dar loro un senso. “Non… Non mi sento schiacciato dalla pressione. Non penso che farò schifo. È…”

Victor annuì.

“Sei arrabbiato,” disse, afferrandolo per un braccio e obbligandolo ad alzarsi e a mettersi seduto sul letto accanto a lui. Gli sarebbe venuta la gobba, se no, a starsene piegato su di lui come un avvoltoio.

“No… Non solo,” lo corresse Yuuri. “È che non capisco.”

Victor alzò un sopracciglio, sorridendo tra sé. La sensazione era familiare.

“Cosa?”

“Perché Seung-gil si comporta così. Non gli ho fatto niente. Non ha motivo di avercela con me.”

Victor questa volta rise abbastanza apertamente da sorprendere il compagno, che si voltò a fissarlo sconcertato.

“Oddio, scusa, ma… Forse non ci sei abituato, ma come fai a non capire?” Victor era sinceramente divertito dall’apparente mancanza di contatto con la realtà di Yuuri. Lo stesso Yuuri che quindici giorni prima, all’NHK Trophy, era salito sul gradino più alto del podio, relegando il coreano in seconda posizione. “Gli hai soffiato il primo posto per un pelo, soltanto due settimane fa. Sappiamo com’è Seung-gil… Anche lui ha un sacco di pressione addosso ed è un perfezionista.”

Yuuri scosse piano la testa. No, continuava a non capire.

“Vuole batterti. Sei il suo avversario diretto, al momento. Almeno nella sua testa. Probabilmente pensa che mettendoti sotto pressione ti farà venire una crisi di nervi tale da bruciarti la performance. C’è quasi riuscito…” Borbottò le ultime parole sottovoce, quasi come un ripensamento dell’ultimo momento.

“Ma ci sei tu!” obiettò Yuuri, testardo. “C’è JJ. Io non sono…”

“Yuuri,” lo bloccò Victor, vedendo già dove quelle osservazioni volevano andare a parare. “Ti rendi conto che potresti battermi con il tuo programma di gara, vero?” Gli occhi del compagno lo fissavano brillanti, incerti, timorosi. “Ho creato io le coreografie e sono il tuo coach. So perfettamente qual è il punteggio tecnico massimo a cui puoi aspirare e quali sono le tue capacità artistiche. Ho messo insieme i programmi di questa stagione pensando solo a come farti vincere l’oro, a costo di farti battere di nuovo il mio record. E tu puoi.” Sottolineò quell’ultima parola e stavolta non c’era menzogna nel suo discorso. Aveva guardato con attenzione gli allenamenti di Yuuri nelle ultime settimane. Sebbene in pubblico l’esecuzione risultasse ancora traballante in alcuni punti, l’aveva visto pattinare routine praticamente perfette quasi ogni giorno. Se solo avesse mostrato ai giudici ciò che aveva visto lui, nulla poteva togliergli la medaglia d’oro. Soprattutto non lui, in quel momento e con i suoi acciacchi fisici.

Yuuri boccheggiò, alla ricerca di qualcosa da dire, e Victor vide gli occhi riempirglisi nuovamente di lacrime. Prima che scoppiasse a piangere se lo strinse al petto, abbracciandolo con forza. Avvertì le dita afferrare il tessuto della felpa sulla sua schiena e torcerlo con una veemenza quasi disperata. Era silenzioso, ma percepiva i tremiti che gli scuotevano il corpo, il suo respiro caldo e umido contro il petto e la fronte premuta contro la sua spalla. Sospirò, arrendendosi all’impotenza, accettando di stare semplicemente lì, ad aspettare che Yuuri credesse alle parole che gli aveva detto. Perché stesse piangendo di nuovo era un ennesimo mistero, ma Victor iniziava a capire, non a livello razionale ma sottopelle. C’era troppa emozione, troppa intensità in Yuuri, che non sapeva gestire le novità, che rifuggiva il ruolo da protagonista pur desiderandolo. Non era abituato, psicologicamente, ad essere considerato un campione nemmeno dai suoi familiari, immaginarsi dai suoi stessi avversari. Avrebbe dovuto farsene una ragione, pensò Victor, affondando il naso nei suoi capelli neri e respirando piano il suo odore.

Con calma l’ondata di pianto si esaurì. Ora Yuuri respirava piano, profondamente, contro il petto di Victor, e se lui non avesse sentito i minuscoli movimenti del suo corpo che si accomodava ancor meglio nell’abbraccio avrebbe potuto pensare che si stesse addormentando. Pensandoci, l’idea non lo disgustava. Prima di gareggiare un riposino si poteva fare.

Si scostò un po’ da lui e gli rialzò il viso mettendogli due dita sotto il mento. Gli occhi che ricambiarono il suo sguardo erano intensi e brillanti, ma calmi. Così belli nella forma perfetta del suo viso completamente rilassato… Victor si chinò a rubargli un bacio a fior di labbra, poi un secondo, e un attimo dopo il bacio era diventato più profondo, più appassionato. Yuuri gli portò entrambe le mani al volto, chiudendole a coppa sulle sue guance, e Victor quasi mugolò di dolore quando si ritrasse.

“Basta baci,” sussurrò Yuuri, e la fatica di rispettare quell’indicazione traspariva chiaramente nella sua voce. “Poi mi agito di nuovo…”

“Ma fa bene,” si lamentò Victor. “È ottimo per scaricare i nervi!”

Yuuri rimase immobile per qualche secondo, interdetto.

“È per questo che abbiamo fatto sesso, ieri?” chiese a bruciapelo, incredulo.

Victor avrebbe potuto nicchiare, ma sarebbe stato scorretto.

“Non solo? Eri molto carino,” concesse. “Funziona, no?”

Yuuri lo fissò senza espressione.

“No.”

Victor rimase a bocca aperta per un attimo.

“Come no?”

“Ti sembravo calmo stamattina?”

Victor si strinse nelle spalle.

“Be’, io ero calmissimo.”

Yuuri scosse la testa.

“Sai cosa dovresti fare, ora?” disse Victor, cercando di cambiare argomento. “Mangiare qualcosa. Ti ho portato un’insalata. Fatta fare apposta per te con amore dal tuo allenatore preferito,” concluse civettuolo con una strizzatina d’occhio. “E poi un riposino…”

“Niente sesso, Victor.”

Victor si accasciò sulle coperte, gli occhi chiusi e una mano abbandonata sulla fronte.

“Come può un uomo così bello essere così crudelmente respinto?” motteggiò drammatico.

Lo sbuffo di risa di Yuuri gli gonfiò il cuore.


 

[1]   Ty v poryadke?: Stai bene?
[2]   Daijoubu: Tutto ok/Sto bene
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yuri on Ice / Vai alla pagina dell'autore: ElinaFD