Anime & Manga > Cells at Work - Lavori in corpo
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Autore: Moriko_    31/03/2019    2 recensioni
[Cells at Work! BLACK] [BD7599, U-8787]
«Lo sai che ti amo così tanto che… in qualsiasi mondo, reale o immaginario che sia, io sceglierò te. Sempre, e solo te… anche se tu fossi un alieno ed io un semplice essere umano. Lo stesso se tu fossi una leucocita ed io un eritrocita: in quel caso non saprei come proteggerti… però di una cosa sarei certo. Mi sentirò sempre al sicuro tra le tue braccia. E, per questo… insomma: dovrei proprio sposarti.»
AU nella quale un professore trentenne e una giovane donna che lavora in una palestra decidono di fare il grande passo. E in cui un certo volume darà un maggiore significato.
Forse, non a caso.
[Alternative universe, What if?]
(Avviso: i fatti narrati qui non presentano spoiler per questo spin-off, in particolare sul finale dato che la storia è stata pubblicata due anni prima.)
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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[Aggiornamento del 20/06/2021] Questa storia - così come le relative note - è stata scritta e pubblicata prima dell’uscita del capitolo 30 e del finale del manga di Cells at Work BLACK, cioè prima del 14 luglio 2019. Chi ha letto il manga, dunque, sa che la coppia presa in causa in questa storia è una crack ship: purtroppo non potevo prevederlo qualche mese prima dell’uscita del capitolo 30.
Comunque la storia è ambientata in un universo alternativo, per cui... ;D


★ Iniziativa: Questa storia partecipa a "Marry me!" a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 6693
★ Prompt/Traccia: 43. “Dovrei proprio sposarti.” “Sì, dovresti.”

A/N: “Ma sì, dai. Prima o poi scriverò una storia normale su Cells at Work!
Eeeee, invece no: ci sono cascata di nuovo. Sulla serie BLACK, intendo… anche se, questa volta, non ci sarà nessun spoiler. In aggiunta vi devo anche delle spiegazioni riguardo la nascita di questa fanfiction (perché, credetemi: ne avrete bisogno prima della lettura ^^”).
Era da tempo che avevo in progetto di scrivere su due personaggi in particolare… e, no: non mi riferisco ai protagonisti in sé. Ed era da tempo che avevo in mente di raccontare un AU con il tema della reincarnazione. Perciò… a tutto questo aggiungete l’ennesima iniziativa di Fanwriter.it, ed ecco questa storia come risultato.
In altre (e poche) parole: il globulo rosso BD7599 (il tizio con le basette, del team del protagonista) e il globulo bianco ancora senza un nome, aaargh del team di U-1196 (delle due compagne, mi riferisco a quella con la coda), catapultati nel nostro mondo e che, quindi, vivono una vita assolutamente normale. Circa, almeno finché non entrano in contatto con alcuni volumi di Cells at Work XD
A questo punto la domanda è: perché prendere in ballo proprio questi due, se finora non hanno interagito tra loro per nulla, dunque costruirci una storia è quasi impossibile? La risposta è: boh. La classica fantasia dello scrittore, non so: forse per una volta volevo scrivere qualcosa di diverso dal solito (?)
Detto questo, ho praticamente detto tutto. Come al solito vi auguro buona lettura, chiedendovi in anticipo scusa per la stessa. (Mentre ai poveri protagonisti… beh: a loro chiedo perdono per averli usati come “cavia per i miei esperimenti”. ^^”)

Nota: Come al solito ringrazio stellaskia per… insomma, continuare a sopportarmi in privato con queste scemenze.





Even death won’t part us.



Come ogni giorno, la palestra nella quale lavorava era gremita di gente. Naomi Biancacci, una giovane venticinquenne con i capelli rossicci raccolti in una coda che le scendeva lungo la schiena, aveva appena terminato la sua ultima lezione prima della pausa pranzo e, dopo essersi cambiata nello spogliatoio, si diresse verso la reception per scambiare due chiacchiere con gli altri dipendenti e stare un po’ in loro compagnia.
Cinque minuti prima della ripresa pomeridiana, prese il suo cellulare per controllare gli ultimi messaggi ricevuti. Sullo schermo vi era una foto di lei in un parco: l’amava non solo perché si piaceva molto in quello scatto, ma anche perché era stata scattata dal suo ragazzo.
Ed era proprio lui, in quel momento, la persona con la quale Naomi avrebbe voluto mettersi in contatto.

«Pronto?»
«Ciao, Naomi.»
Non appena udì quella voce familiare che l’aveva salutata per nome, la ragazza sorrise dolcemente. «Ehi, Caleb.»
Dall’altra parte della conversazione, un uomo sulla trentina stava gironzolando per il corridoio della scuola dove si trovava. Caleb Rosmini era, infatti, un insegnante di una scuola media, situata al centro della stessa città della palestra di Naomi: la struttura era una delle più prestigiose, immersa in un ampio spazio verde e con luoghi destinati ai laboratori più svariati, dalla biologia alla letteratura. Nonostante ciò, la classe che avevano destinato a Caleb era piuttosto vivace. Un gruppo di studenti si era affacciato sulla soglia della porta della loro aula, lanciando di tanto in tanto piccole risate e commenti a bassa voce verso il loro insegnante.
«Andiamo, prof!»
«Si decide a fare questa proposta, sì o no?»
L’uomo diventò paonazzo in volto, allontanando il cellulare e rivolgendosi sottovoce ai suoi studenti: «Ma voi non avevate un esercizio da svolgere? Ecco: sappiate che se non finite tutto prima che rientri in classe, nessuno di voi avrà l’esonero per la prossima interrogazione!»
Alle ultime parole gli studenti chiusero la porta di scatto, rientrando velocemente alle loro postazioni e urlando tra loro frasi del tipo «Sarò io il primo a finire!» e «Non ci pensare!»
Con un sorriso Caleb si passò una mano tra i capelli, tirando un sospiro di sollievo e riprendendo la conversazione.
«Cara, perdonami: lo sai che quest’anno mi hanno affidato dei casinisti. E anche degli inguaribili curiosoni di prima categoria!»
«Non preoccuparti, so cosa vuol dire. Capisco perfettamente come ti senti.»
Alle spalle della ragazza, infatti, alcune persone stavano commentando a bassa voce, rivolgendo di tanto in tanto qualche parola di pettegolezzo tra loro. Naomi non se ne curò, limitandosi anch’ella a sospirare. «Ma, a parte questo…» proseguì, «… stai bene?»
«Sì… ecco…»
Caleb iniziò ad accelerare il suo passo, cercando di ridurre il suo crescente nervosismo. Quello che i suoi studenti avevano sospettato era vero: egli aveva deciso di dire una cosa importante alla donna che amava… anche se, in quel caso, apparentemente si trattava solo di un appuntamento.
Ci impiegò un bel po’, ma alla fine riuscì nel suo intento.
«D’accordo,» rispose allegramente la ragazza prima di chiudere la telefonata. «Non vedo l’ora, a stasera!»
L’uomo fece scivolare il braccio che stava reggendo il cellulare lungo il suo corpo.
Chissà se mai ce la farò a farle questa proposta… Sono così nervoso!


«Allora, l’ha detto?»
Gli sguardi di tutti gli studenti si posarono sul loro professore appena rientrato, mentre una ragazza dai capelli corvini stava facendo da portavoce. «Non è più un segreto, sa?»
«Ma voi non avevate un compito da svolgere?»
Caleb cercò di sviare il discorso, ma - a quanto sembrava - quel giorno i suoi allievi erano più interessati alle sue vicende personali che ad altro.
«Prof, non siamo più dei mocciosi,» rispose la ragazza. «Con un professore come lei, siamo diventati talmente bravi che riusciamo a svolgere un compito difficile in meno di venti minuti!»
«Si vede,» ribatté Caleb. «Ricordo che all’ultima verifica la maggior parte di voi ha raggiunto la sufficienza a malapena… tranne te e altri due della classe, signorina Petrini. Perciò, la prossima volta ti consiglio di parlare solo per te stessa. E ora, su: diamo uno sguardo a questi compiti...»
L’uomo si alzò per avvicinarsi ai banchi e così ritirare i fogli della verifica ma, quasi in sincronia, i ragazzi li afferrarono e li nascosero dietro la schiena.
«Prima ci dice come è andata con la sua fidanzata...»
«… e poi le consegniamo i nostri compiti!»
Caleb incrociò le braccia, alzando gli occhi verso il soffitto. «Sapete molto bene che mi basta chiamare il preside per avere quei compiti. Non sono così stupido da sottostare alle vostre richieste.»
Ma i ragazzi non cedettero, iniziando a sorridere al loro professore senza, però, alcuna punta di malignità o superbia nei suoi confronti.
«Andiamo, prof: sia più rilassato, per una volta!»
«Il matrimonio è una cosa seria, almeno qui può sfogarsi in totale libertà senza essere giudicato!»
Ed era vero.
Il rapporto tra Caleb e quella classe era del tutto particolare. Gli studenti che la componevano provenivano da molteplici situazioni, ciascuno con una storia complessa alle spalle. Nonostante ciò, Caleb era l’unico dei professori ad essere preso in simpatia da quei ragazzi, grazie alla sua dolcezza dietro alla sua apparente severità. Riusciva a stare al gioco dei suoi alunni, che fin da subito cercarono di instaurare un rapporto scherzoso ma sereno con lui, senza pretese né arroganza.
L’uomo voltò loro le spalle, dicendo: «Va bene. Sì, ha accettato l’appuntamento.»
A quelle parole i ragazzi corsero vicino alla cattedra, lasciando lì i loro compiti e tornando al loro posto.
«Grazie per l’informazione, prof!»
«Ci tenga aggiornato, mi raccomando!»
«Domani mattina vogliamo sapere tutti i dettagli...»
«… e non faccia il furbo, altrimenti faremo sciopero!»
«Peggio per voi, in quel caso!» replicò Caleb con un sorriso, tornando al suo posto e sistemando in ordine i compiti dei suoi ragazzi. «Vorrà dire che ci sarà una bella sospensione per tutti, e così verrete bocciati!»
«No… Dai, prof: almeno quello, no!»
E scoppiarono tutti a ridere. Nessuno di loro aveva seriamente intenzione di fare sciopero per un pettegolezzo mancato: quei ragazzi, in fondo, erano molto volenterosi di superare l’anno… almeno con la sufficienza.

---

La sera, dopo essere tornato a casa ed essersi cambiato d’abito, Caleb giunse con l’auto sotto la casa di Naomi, che nel frattempo si stava preparando per l’appuntamento.
Dopo aver sistemato lo specchietto, l’uomo si rilassò contro il sedile. Nel momento in cui rivolse lo sguardo verso il lato del passeggero, vide una giovane donna avvicinarsi alla sua auto e aprire lo sportello, salutandolo affettuosamente.
«Ehilà!»
Naomi si sedette, e subito l’auto partì. Caleb posò una mano sul suo ginocchio, sorridendo mentre guidava.
«Tutto bene, oggi?»
La ragazza ricambiò il sorriso. «Sì, caro. Nessun problema. Anzi… sai cosa ho fatto di bello, mentre tornavo a casa?»
Caleb si incuriosì: era raro che Naomi facesse qualcosa nel tragitto tra la palestra e la casa. E, quando lo faceva, di solito riguardava un acquisto. Probabilmente avrà comprato un’altra tuta per la palestra e vuole mostrarmela per vedere se piaccia anche a me… - pensò.
La ragazza aprì la borsa e, da essa, prese un piccolo libro. In quel momento Caleb accostò il mezzo, nei pressi di un viale alberato che portava al parco dove, qualche giorno prima, aveva scattato la fotografia che Naomi aveva come sfondo del suo cellulare; solo allora vide l’oggetto che la sua amata aveva in mano e ne lesse il titolo.
«Cells… At Work? E che roba è?»
«Non indovineresti mai… È un manga con protagoniste delle cellule antropomorfe. Me ne hanno parlato bene in palestra… e avevano ragione: ho divorato questo volume in un sol colpo! Domani pomeriggio andrò di nuovo in edicola ad acquistare tutti gli altri che sono usciti finora!»
«E ti pareva… Sei sempre la solita!»
Caleb uscì dall’auto, e aprì la portiera a Naomi per farla scendere. Iniziarono ad incamminarsi lungo il viale alberato tenendosi per mano; intanto la ragazza tornò a parlare della serie che aveva appena scoperto, e delle storie che al suo interno vi erano contenute.
«… E ti dirò di più! Sai cosa ho sognato la scorsa notte?»
L’altro cercò di mantenere alta la sua attenzione il più possibile. In quel momento, quel discorso lo stava leggermente… annoiando. «Sentiamo.»
«Che io ero un globulo bianco, pronto a proteggere le cellule del corpo nel quale mi trovavo! Sai, in quel sogno ero molto forte… e, ad un certo punto, c’eri anche tu!»
«Io?»
L’uomo fu colpito da quel dettaglio, e a quel punto volle saperne di più dalla sua compagna.
«Vedo che la curiosità ti divora, eh?» gli disse lei. «Tu eri un fattorino che trasportava ossigeno in ogni angolo del corpo! E, sai il bello? Che ogni tanto ci incontravamo… ma non eravamo fidanzati, almeno non nel momento del mio sogno.»
«Dubito che un globulo bianco e un globulo rosso possano fidanzarsi nella vita reale,» sottolineò Caleb, alzando leggermente le spalle in segno di rassegnazione. «Ma… a tal proposito...»
Egli prese per mano Naomi e la portò nei pressi del laghetto del parco. La luna si specchiava nell’acqua, insieme alle migliaia di stelle che costellavano il cielo.
Quello sembrava essere uno scenario perfetto per farle quella proposta.
Cercando di farsi coraggio Caleb si inginocchiò e, tenendo ancora per mano la sua donna, le sussurrò: «Naomi… vuoi sposarmi? Se dirai di sì, mi renderesti l’uomo più felice del mondo… anzi, cosa dico: dell’intero cosmo!»
La ragazza spalancò gli occhi, iniziando a commuoversi. «Caleb… io...»
L’altro prese dalla sua giacca un piccolo cofanetto contenente un semplice anello d'argento, che poi prese e porse alla sua ragazza, rialzandosi da terra. «La tua espressione felice… posso considerarla un sì?»
Naomi lo abbracciò, stringendolo forte a sé. «Per tutta la vita, Caleb.»

---

Il giorno dopo Caleb fece ritorno a scuola e, non appena varcò la soglia della sua aula, gli alunni lo accolsero con un grande striscione e schiamazzi di gioia.
«Abbiamo saputo della bella notizia! Tanti auguri, prof!» dissero all’unisono. Ma il loro professore, nonostante il sorriso e la commozione che cercò di nascondere per essere il più imperturbabile possibile ai loro occhi, cercò di reagire nella maniera che ben gli riusciva: stando al loro gioco.
«E figli maschi. Sentiamo… da chi lo avete saputo, stavolta?»
«È semplice: un bel fai-da-te! Alcuni di noi l’hanno seguita di soppiatto!» rispose candidamente uno di loro. «Prof, noi siamo come i camaleonti: ci mimetizziamo ovunque!»
Caleb non riuscì più a trattenere il sorriso. Nella loro furbizia, i suoi studenti erano adorabili. «Quindi… siete felici che mi sposo?»
«Sì!» risposero, nuovamente all’unisono.
«Proprio tutti, tutti
«Sì!»
I ragazzi urlarono con un tono più forte, di fronte al quale Caleb iniziò a ridacchiare. «Perciò, visto che siete così contenti… immagino che sarete pronti anche per il compito che era stato fissato per oggi! E niente scuse, lo sapevate già da tempo.»
«Uffa… Nessun sconticino per oggi?»
«Nessuno: proprio perché siamo tutti felici e contenti - me compreso - tornate al vostro posto e prendete carta e penna. Al termine del compito, continueremo con i festeggiamenti.»
A quell’ultima frase, com’era prevedibile, tutti si sedettero e prepararono il necessario per il compito che dovevano svolgere. Ad un tratto, tuttavia, la ragazza dai capelli corvini che il giorno prima aveva fatto da portavoce alzò la mano per prendere la parola.
«Dimmi, Petrini.»
«Visto che noi saremo impegnati con questo compito per un bel pezzo… allora, caro prof, le darò un bel passatempo. Così non si annoierà nel guardarci per circa due ore!»
La ragazza corvina prese un piccolo libro dal suo zaino e, alzandosi, lo diede a Caleb, che lo osservò sorpreso. «Un… fumetto? E con questo cosa ci faccio?»
«Non lo sa? Che strano!» disse la ragazza, tornando a sedersi. «Vedrà, le piacerà molto: si chiama Cells At Work, e racconta del microcosmo delle cellule dei nostri corpi, ma con personaggi dalle nostre stesse sembianze!»

Cells At Work? Mi sa… che è lo stesso nome di quella serie che piace tanto a Naomi!

«Come in Micro Patrol?» chiese l’insegnante.
«Qualcosa del genere. È molto educativo, soprattutto quello che le ho appena dato. Tra le mani ha un volume di una serie molto… dark, diciamo. Le assicuro che, dopo averlo letto, si impegnerà a fare molta attività fisica e a non esagerare col cibo!»
«Per quello, la mia ragazza basta e avanza,» disse il professore, accomodandosi verso la sua cattedra, roteando gli occhi. «Ci mancavi solo tu, Petrini. Che dire, grazie per questo friendly reminder: ne avevo proprio bisogno.»
Sottolineò le ultime parole con molta ironia e sarcasmo: Caleb era un tipo che dedicava una buona fetta della sua giornata ad una sana attività fisica - anche grazie a Naomi che gli aveva preparato un programma e una dieta adatta per il suo organismo.
«Ora basta con le chiacchiere. Buon lavoro! E non pensate che non vi stia guardando mentre darò un’occhiata a questo volume: lo sapete molto bene che ho un terzo occhio sulla fronte!»
A quell’affermazione, gli alunni chinarono la testa e si concentrarono sul compito che era stato loro assegnato. Nel mentre, Caleb diede un’occhiata alla copertina del piccolo libro che aveva appena ricevuto.

Quello che mi ha mostrato Naomi è molto simile… Però la Petrini ha ragione: a differenza di quello di Naomi, da ciò che vedo qui scommetto che questi due non se passano molto bene…

In particolare il suo sguardo venne catturato dal giovane raffigurato sulla copertina, che l’insegnante supponeva si trattasse di un globulo rosso, che portava un grande e - a giudicare dalla sua espressione - pesante pacco bianco.
Lui… che strano: mi sembra familiare…
Gli occhi di Caleb non si distaccarono da quell’immagine: era come se fossero attratti da una forza che li stava spingendo ad indagare su quella figura. Finché, ad un tratto, molte strane immagini attraversarono la sua mente, come se fossero stati dei ricordi confusi.
Ricordi che lo vedevano protagonista, in un mondo che, apparentemente, non conosceva. Una grande e vasta città, con molti quartieri diversi tra loro… e lui che li attraversava, sempre con un pacco bianco tra le sue mani.
E poi, all’improvviso, una scena più vivida balzò di fronte ai suoi occhi. Quella che sembrava essere… appartenente a un mondo ormai in macerie.


Intorno a lui, ogni cosa stava crollando. Tutti stavano fuggendo all’impazzata: chi cercando di salvarsi e chi, invece, tentava di continuare il suo lavoro in mezzo a quel baccano.
Sugli schermi della grande piazza dove egli era giunto insieme al team del quale faceva parte, il messaggio d’emergenza continuava a lampeggiare, accompagnato da un assordante audio:

[A tutte le cellule. Attenzione: grave emorragia nei pressi dello stomaco, provocata da una grande arma da taglio. Ripeto, a tutte le cellule...]

«Non riesco a crederci...»
Strinse i pugni, mentre in lui un sentimento di rabbia stava crescendo sempre più. «Alla fine lo ha fatto per davvero… E noi così stupidi dallo sperare in una svolta positiva per questo corpo!»
«Non pensiamo a questo, adesso!»
Si voltò nella direzione di quella voce, giunta alle sue spalle come un lampo che illumina un paesaggio notturno. Uno dei suoi kohai, un giovanotto con gli occhiali, stava cercando di incitare tutti a fare del loro meglio, nonostante la terribile situazione senza via di uscita nella quale erano precipitati.
«Io non mi arrendo: continuerò a lavorare, per assicurarmi che tutte le cellule abbiano il loro ossigeno! Lo farò fino alla fine… In qualsiasi condizione, anche la più avversa! E forse… forse alla fine avverrà un miracolo!»
A quelle parole, egli non riuscì più a trattenere la sua ira. Si avvicinò al giovane e lo afferrò per il bavero della sua giacca, cercando di riportarlo con i piedi per terra.
«Smettila… smettila di sperare in un futuro migliore! Non lo capisci?! Stiamo andando incontro ad una morte da shock ipovolemico! Cosa farai, a quel punto? Dimmelo: dimmi cosa farai!»
Il discepolo lo stava osservando con molto shock. Molte volte aveva visto il suo maestro infuriarsi in situazioni difficili, però mai in quel modo.
Poi, lentamente, egli lasciò la giacca, abbassando lo sguardo. «Scusami, non volevo… Mi sono lasciato andare… Questa situazione ci sta facendo perdere la testa...»
Dopo un attimo di smarrimento, quel giovane sorrise. «Senpai… Non devi più preoccuparti: siamo giunti qui insieme, e insieme porteremo a termine i nostri doveri, come una squadra!»
Ma, per l'altro, quelle parole stavano scivolando via come gocce di pioggia sul vetro. Così il giovane kohai cercò di parlargli, per incoraggiarlo almeno a riprendere il suo lavoro.
«… Senpai?»
Ma la sua risposta fu lapidaria. «Voi andate avanti. Soprattutto tu… Cerca di incontrare la tua amica leucocita: ormai non resta molto tempo per tutti. Approfittane per dirle tutto quello che finora non sei riuscito a comunicarle.»
«Ma...»
«Perdonatemi… ho bisogno di restare da solo.»
Così egli iniziò a correre, allontanandosi dai suoi compagni di lavoro mentre - invano - i suoi discepoli cercarono di rincorrerlo per riportarlo indietro.
«Senpai, aspetta!»
«Non andare via! Ovunque la situazione è molto pericolosa!»
Ma lui fu più veloce. Sentì quelle urla sempre più lontane, fino al punto di non udirle più; solo a quel punto rallentò il suo passo e, alzando lo sguardo, iniziò a guardarsi intorno. Vi erano gigantesche crepe che stavano attraversando il pavimento ormai dislivellato da parte a parte, come se ci fosse stato un grave terremoto che aveva colpito quell’area; le case delle cellule di quel luogo, ormai in rovina, sembravano completamente disabitate.
Intorno a lui, il silenzio assoluto.
Tutto sembrava tacere: nessun fattorino che stava consegnando l’ossigeno, né globuli bianchi che stavano assassinando feroci batteri.
Si ritrovò così in un’ampia zona, un tempo felice luogo di ritrovo delle cellule. Egli si sedette su una delle panchine che lì erano state collocate per il riposo dei globuli rossi, accanto ad un distributore di glucosio ormai non più funzionante.
Strinse i pugni e, più volte, li sbatté contro il legno della panchina.
«Perché… perché dovevamo capitare in questo mondo schifoso?!» disse, con un crescente tono di voce che, ad un tratto, rivolse verso quel cielo ormai oscuro. «Dovevo capitarci proprio io in quella maledetta trasfusione? A cosa è servita, se alla fine non siamo riusciti a migliorare questa situazione?!»
«Ciao.»
Una voce improvvisa bloccò il suo discorso. Egli abbassò lo sguardo, per così incrociare quello di un globulo bianco. Alta, con i capelli raccolti in una lunga coda, e una katana pregna di sangue insieme ai suoi abiti candidi.
Egli la conosceva molto bene: proveniva dallo stesso corpo d’origine, ed era una delle compagne dell’amica del suo kohai, AA2153. Non avevano avuto molte occasioni per parlarsi, ma in quelle poche volte egli aveva sempre avvertito un tuffo al cuore. Nonostante, all’apparenza, quella cellula sembrasse così giovane, in realtà il suo sguardo nascondeva una profonda maturità, probabilmente dovuta alle tante difficoltà che ella aveva affrontato.
«Tu...» fu l’unica parola che uscì dalla sua bocca. L’altra lo stava scrutando e, comprendendo bene i suoi sentimenti di rabbia e rancore nei confronti della situazione che tutti stavano attraversando, pensò che non sarebbe stato male scambiare qualche chiacchiera con lui per qualche minuto, così da cercare di tranquillizzarlo.
Anche se non sarebbe stato facile.
«Ti va se mi siedo qui? Ho bisogno di fare una pausa.»
Il globulo rosso si sistemò il berretto e abbassò la visiera, prima di risponderle. «Sì. Nessun… Nessun problema...»
La leucocita si accomodò al suo fianco, senza dire altro. Ad un tratto alzò lo sguardo e gli disse: «So come ti senti. Almeno io sto sfogando la mia rabbia sui batteri… anche se so già che, prima o poi, non basterà svolgere al meglio il mio lavoro per stare meglio...»
Egli la guardò, percependo in lei il suo senso di delusione; tuttavia, di fronte alla leucocita, non voleva più apparire disperato. Era come se la sua presenza, a poco a poco, stesse placando la sua indignazione. I suoi occhi puntarono di fronte a sé, verso quella vasta radura colma di macerie dove un tempo vi erano palazzi e bancarelle di ogni genere, tali da soddisfare le esigenze di tutte le cellule che passavano in quella zona, per consegnare del materiale oppure solo per rilassarsi un po’.
«Pensare che, un tempo, forse anche quest’area era piena di vita e di divertimento. Ti ricordi? Da noi era proprio così: passeggiavi da queste parti e non era facile andare via!»
«Ora è così deserto...»
«Forse è il nostro destino. Fin dalla nostra nascita non abbiamo mai avuto un momento di tregua… Per questo, mi sarebbe piaciuto restare di più nel nostro vecchio corpo. Se solo… se solo non fossimo mai finiti in questo mondo...»
In quel momento, lentamente, da quel cielo oscuro iniziò a cadere qualche fiocco di neve. La temperatura si stava abbassando sempre più, ed entrambi iniziarono a sentire freddo. Vedendo la leucocita cercare di scaldarsi, abbracciandosi e strofinando le mani lungo le sue braccia, egli si tolse la giacca e la mise sulle spalle di lei. Quest’ultima fu scioccata dal suo gesto: sapeva che così, per lui, avrebbe solo messo ancora di più a repentaglio la sua vita. Si scostò leggermente, facendo capire le sue intenzioni. «Tienila tu: ne hai più bisogno di me in questo momento!»
Il globulo rosso ignorò la sua reazione, avvicinandosi e stringendola a sé, avvolgendo la sua giacca intorno a lei. «Se morirai prima di me, non riuscirai a portare a termine il tuo lavoro. Devi continuare a proteggerci, finché ne avrai le forze.»
«Ma il tuo gesto non ha senso! Di questo passo… prima o poi moriremo tutti!»
«Non voglio vederti soffrire. Starei male nel vedere la tua vita affievolirsi prima della mia.»
«Potrei dire lo stesso anche di te! Ogni volta che una cellula muore, io soffro sempre più!»
Un forte rossore colorì le guance dell’eritrocita. Da quando erano diventati così sfacciati, soprattutto lui? Dietro quelle parole era come se, entrambi, si stessero dichiarando… e in quell’attimo, l’ultima cosa che voleva era lasciare un brutto ricordo nella mente della persona alla quale era affezionato di più.
Portando le sue mani lungo le guance dell’albina, con delicatezza le sollevò lo sguardo per incrociare il suo. La neve aveva iniziato a posarsi anche sulle loro teste e sui loro indumenti, ricoprendoli di un candido manto.
«Fidati di me: riuscirai a portare a termine il tuo lavoro. Sai… morire osservando uno splendido scenario innevato non è poi così male. Sempre meglio di andarsene cadendo nell’acido o essere uccisi dai batteri con l’emolisi...»
La leucocita sorrise, posando una mano su quella di lui. «Sei freddo… Certo che sei proprio testardo: non vuoi saperne di riprenderti la giacca, eh?»
«Penso proprio di no. Però, se vuoi, sono disposto a fare anche un 50% restando abbracciato a te… cosa ne pensi?»
Lei rise a quella proposta. «Non è poi così male. Qui… almeno c’è un po’ di calore.» E aggiunse: «Allora, in cambio… posso sapere il tuo nome?»
Egli fu sorpreso da quella richiesta. «Il mio… nome?»
«Sì. A dire il vero era da molto che volevo chiedertelo: finora ho incontrato e salvato così tanti globuli rossi che la mia testa sta iniziando ad esplodere! Però… la verità è che mi dà fastidio chiamarti senza un nome vero e proprio...»
«Ah… ecco...»
L’eritrocita distolse leggermente lo sguardo, arrossendo nuovamente e chiudendo gli occhi. «Il mio nome… è BD7599… E il tuo?»
«Il mio?»
Ora, anche la leucocita si sentì a disagio. «Sei… sei sicuro di volerlo sapere?»
«Direi di sì… Ormai ti ho detto il mio, perciò anche tu dovresti… insomma...»
Lei gli sorrise nuovamente. Pensò che per entrambi quell’epilogo non sembrasse più così tragico come lo era all’inizio.
«Il mio nome è...»



«… Prof! Prof, la prego: si svegli!»
«Sarà morto?»
«Speriamo di no, altrimenti ci beccheremo anche il rimprovero del preside. E chi vuole sentirlo, poi!»
«Ma che dite: sta ancora respirando!»
Inizialmente Caleb udì quelle voci come se fossero state pronunciate da lontano. A poco a poco riaprì gli occhi, vedendo i suoi studenti che lo stavano osservando con grande sorpresa mista a preoccupazione.
«Sono morto… vero?»
L’intera classe scoppiò a ridere, ed esclamò: «Benvenuto negli inferi, prof!»
Di fronte a tutto questo Caleb non reagì. Stava avvertendo un forte dolore alla testa, cercando di raccapezzarsi per quanto aveva vissuto fino ad allora. Quello che la sua mente aveva rievocato era davvero un ricordo… oppure solo una profonda immaginazione?
All’inizio pensò che si trattasse proprio di una fantasia scaturita dalla visione di quel volume, unita a ciò che Naomi gli aveva raccontato la sera prima. Eppure… la sua pelle percepiva ancora molto bene quelle sensazioni che aveva provato, come se, in realtà, quel sogno fosse stato del tutto reale.
Aveva bisogno di verificare, di avere certezze. Si alzò di scatto dal lettino dell'infermeria dove era stato portato e, sotto gli occhi increduli degli allievi, si diresse verso il laboratorio di biologia. Giunto lì, il professore prese una lastrina in vetro contenente un campione di sangue umano e la osservò al microscopio, aumentando sempre più lo zoom per accertarsi, con i suoi occhi, della realtà dei fatti.
«I globuli rossi… sono… Grazie al cielo: nessuno di loro ha le nostre sembianze!»
Tirò un sospiro di sollievo, anche se il suo mal di testa non accennava a diminuire. Si appoggiò sulla scrivania, tenendosi il capo dolorante.
In quel momento il suo pensiero volò alla sua amata. Quella ragazza che aveva incontrato in quella visione, e che in quella visione la conosceva molto bene, assomigliava terribilmente a lei. Lo stesso sguardo, gli stessi gesti… anche lo stesso modo di fare e di reagire di fronte a qualsiasi situazione.
Gli era davvero strano tutto ciò.
Devo… devo telefonare a Naomi, subito!
Estrasse il cellulare dalla tasca della giacca e accese lo schermo. Non appena i suoi occhi si posarono su di esso, nel vedere il loro selfie scattato subito dopo la proposta di matrimonio, davanti agli occhi di Caleb si materializzò un'altra scena.
Ancora in un paesaggio innevato.
Ancora lei, di fronte a lui, che le stava sussurrando qualcosa.


«Se dovessimo rinascere… mi piacerebbe diventare un essere umano. Vivere in modo sano, innamorarmi di qualcuno, e… sposarmi.»
«Sposare? Di cosa... si tratta?»
«Ne ho sentito parlare tempo fa, quando eravamo ancora nel nostro corpo d’origine. Nel cervello stavano discutendo di una tale eventualità nel futuro: il tizio che gestiva il corpo si era “fidanzato”, cioè trascorreva molti momenti insieme ad un altro essere umano… ma non solo ai fini della riproduzione, anzi: aveva iniziato ad avere pensieri positivi nei confronti di quest'altra persona, come ad esempio il vestirsi elegante per farle una promessa.»
«Scusami, però… inizio a non seguirti...»
«In altre parole, attraverso il dono di un anello alla sua amata… i due esseri umani avrebbero iniziato a viaggiare insieme, per il resto della loro vita. Avrebbero condiviso gli stessi spazi, gli stessi pensieri, e anche la loro durata vitale… per essere il più possibile accanto l’uno all’altra.»
«Un po’ come stiamo facendo noi adesso?»
«Non esattamente, BD7599. Per farti un esempio… è come se noi due avessimo intrapreso lo stesso percorso dal momento in cui siamo giunti qui. Come se io andassi a vivere nel tuo stesso appartamento e stare al tuo fianco per gran parte della giornata, per intenderci.»
«Molto interessante. Peccato non aver mai avuto tale occasione: una guardia del corpo che mi segua ovunque io vada, e con la quale condividere un po’ di glucosio!»
«Come?»
A quell’affermazione, egli si coprì la bocca con la sua mano. Pensò di essere stato sfacciato nei confronti della leucocita con la ultima osservazione. «Scusa, non volevo dire questo! Intendevo che---»
«Ti sarebbe piaciuto stare con me? Era questo che volevi dire? Dì la verità...»
Lei gli sorrise compiaciuta, pronta a provocarlo. Ma, prima che potesse darle una risposta, l’eritrocita si accasciò su di lei e fu sull’orlo di perdere i sensi.
«Dannazione… Inizia a fare troppo freddo...»
Subito il globulo bianco lo abbracciò, cercando di alleviare quella rigida sensazione attraverso il contatto dei loro corpi. Nonostante stesse cercando di sorridere, dai suoi occhi iniziò a scendere qualche lacrima. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per aumentare la temperatura dell’ambiente in cui si trovavano, ma sapeva molto bene che nulla avrebbe risolto il problema.
Non ci sarebbe stato niente da fare: presto o tardi, sia lui che lei sarebbero morti assiderati, così come tutte le altre cellule. Era solo questione di tempo.
«Sei davvero cocciuto. Ti avevo detto… di tenere la giacca!»



«Ma… cosa...»
Caleb chiuse gli occhi e scosse velocemente la testa. Si guardò intorno, rendendosi conto di essere ancora nel laboratorio di biologia.
Nel mentre, alcuni dei suoi studenti lo avevano raggiunto, avvicinandosi a lui per capire se stesse bene oppure fosse sull’orlo del delirio.
«Non dovrebbe correre così nelle sue condizioni!»
«Potrebbe ancora avere qualche mancamento. La prego, si sieda!»
L’insegnante non riusciva a credere a quelle parole, e iniziò a balbettare qualcosa. «La neve… l’assideramento… Sì, forse è il caso che mi portiate una coperta e una bella tisana calda...»
Gli allievi lo guardarono straniti dal suo confuso atteggiamento.
«Mi sa che il prof non si sente ancora bene...»
«La tisana e la coperta con questo caldo… Forse avrà beccato l’influenza!»
«Ci sono circa trenta gradi: ormai l’estate è alle porte!»
Caleb sobbalzò. «C-cosa… Cosa state dicendo?!»
«La verità, prof: ha avuto uno sbalzo di pressione a causa del caldo, lo hanno detto quando l’abbiamo portato in infermeria subito dopo che, all’improvviso, è svenuto sulla cattedra!»
«Non… non è possibile!»
L’uomo si precipitò ad una delle finestre del laboratorio, che davano sul giardino. Lungo il corridoio che portava all’ingresso vi erano dei glicini in fiore, dai colori viola alternati al rosa; il prato che faceva da manto all’esterno dell’edificio scolastico era verde come non mai, e alcuni gruppi di ragazzi stavano uscendo per tornare alle loro case.
La vita sembrava scorrere come sempre…
… Come sempre? È sempre stato così… questo posto?
Caleb prese nuovamente il cellulare in mano e compose il numero di Naomi, che non tardò a rispondere.
«Ho bisogno assolutamente di vederti… il prima possibile!»

---

«Senti… io non so se dirtelo o meno… però credo proprio che tu mi abbia contagiato.»
«Come?»
Caleb le voltò le spalle, cercando di nascondere il suo disagio a Naomi. Si erano ritrovati nel primo pomeriggio proprio a casa sua perché, a suo dire, almeno lì niente potrà distrarmi o farmi avere altri strani ricordi come quello di stamane!
Ella aveva compreso fin da subito che nel suo fidanzato c’era qualcosa che non andava. Aveva iniziato a camminare nervosamente intorno alla sua scrivania, come se stesse per comunicarle qualcosa di funesto come, ad esempio, l’annullamento delle nozze.
No… non è il tipo da venir meno alle promesse! A maggior ragione ad una importante come questa! - pensò la ragazza.
Caleb disse: «Ecco... ora ti capisco quando ieri mi hai raccontato del tuo sogno. Questa mattina, mentre ero in classe… ero seduto alla mia scrivania, come al solito, quando… ecco: mi sono immaginato essere un fattorino con tanto di divisa rossa, che si trovava in uno scenario molto simile a quello che avevi descritto ieri sera. E... insomma: nella mia immaginazione, in realtà era davvero un casino.»
Lei iniziò a commuoversi: era riuscita davvero a convincere il suo amato ad immaginarsi nella stessa situazione che aveva sognato! «E...» chiese, timorosa. «C’ero anch’io… in questa tua fantasia?»
«No.»
L’altro negò lapidariamente. Non volle confessarle la verità: in quel momento gli sembrava fin troppo doloroso far soffrire anche lei. E se alla fine fosse stata, davvero, una sua fantasia? Un brutto scherzo del destino che, per prendersi gioco di lui, stava portando la sua mente ad immaginarsi scenari apocalittici?
Che, forse, non erano affatto reali?
Non gli sembrava giusto. Sarebbe stato meglio per tutti se Naomi non avesse mai saputo tutto quello che lui aveva visto in quei minuti.
Ma la ragazza sapeva che Caleb le stava nascondendo qualcosa e così incrociò le braccia, sbuffando. «Non prendermi in giro. Si vede che stai mentendo: c’è qualcosa che non ti va di dirmi… vero? Tipo… che mi hai lasciata per un’altra cellula più bella e graziosa di me!»
«Ma cosa stai blaterando?!»
Egli le si avvicinò e, dopo averla guardata negli occhi con fare serioso, si passò una mano tra i capelli, imbarazzato. «Lo sai che ti amo così tanto… che, in qualsiasi mondo, reale o immaginario che sia, io sceglierò te. Sempre, e solo te… anche se tu fossi un alieno ed io un semplice essere umano. Lo stesso se tu fossi una leucocita ed io un eritrocita: in quel caso non saprei come proteggerti… però di una cosa sarei certo. Mi sentirò sempre al sicuro tra le tue braccia. E, per questo… insomma: dovrei proprio sposarti.»
Naomi spalancò gli occhi. Quella che le sue orecchie stavano udendo era, per lei, la più bella dichiarazione d’amore che Caleb le avesse mai fatto, dal giorno in cui si erano incontrati per la prima volta fino ad allora.
Si asciugò le lacrime che nel frattempo le erano scese dagli occhi, e sorrise.
«Sì, dovresti!»
Poi gli diede un buffetto. «Direi che sia proprio il caso: almeno diamo una possibilità alle nostre controparti… giusto? Perché lo sai che la vita delle cellule non dura per anni interi come la nostra… poverette! Ma tu non sei costretto ad acconsentire alle mie fantasie solo per rendermi felice, perché lo sai che tutto quello che ti ho raccontato è solo frutto del mio subconscio, ahahah! E, tanto per cominciare, brucerò tutti i volumi di questa maledetta serie alla quale mi sono affezionata!»
Caleb abbassò lo sguardo, iniziando ad arrossire. «A tal proposito… devo confessarti una cosa…»
«A tal proposito? So cosa vorresti dirmi, ma ti ringrazio: faccio da sola. Sono una scema ad aver portato la mia mente ad immaginare che tu potessi tradirmi---»
«Non è questo, stupida!»
Caleb sbatté il palmo della mano sulla scrivania, iniziando ad essere adirato. «Frutto del tuo subconscio, stai pensando? Ok, d’accordo: forse nel tuo caso sarà stato proprio così… ma io che finora non ho mai letto nemmeno un volume di questo Cel-cosa, allora prova a spiegare questo: come ho fatto a ricordarmi all’improvviso, nel momento in cui una dei miei allievi mi ha dato un volume di questo manga... che tu, un globulo bianco, abbia abbracciato me, un globulo rosso, sotto la neve per scaldarmi... mentre, in realtà, io ero altrove, in una comunissima aula scolastica a controllare che i miei studenti non copiassero tra loro?»
«Tu… cosa?»
Naomi era rimasta incredula. Possibile che il suo futuro sposo stava continuando ad assecondare le sue fantasie, fingendo che anche lui avesse avuto quelli che in apparenza sembravano essere solo assurdi ricordi?
«Dimmi la verità, Naomi. In quella tua cosiddetta “fantasia”... tu ci difendevi con una katana ricoprendoti di sangue e, col rischio di essere sfacciato… indossavi una giacca bianca militare, sbottonata al punto che quasi si vedeva ogni cosa? E i cosiddetti “nemici” erano… dei batteri? E poi… confermami anche questo: se quel mondo è lo stesso che anche tu hai “immaginato”, siamo morti perché quel cretino che gestiva il corpo nel quale eravamo si è tolto la vita, conficcandosi una lama che ha poi creato quella grande emorragia nei pressi dello stomaco?»
La ragazza esitò prima di rispondere. «Ecco… io…»
«Ed io... ero vestito di rosso e portavo pacchi bianchi in ogni angolo di quel mondo, per caso?»
Naomi esitò prima di rispondere. «… Corretto. Ma, a dire il vero…»
«... e il mio nome non era Caleb, giusto? Così come nel tuo caso: che io ricordi… in quel mondo non ti ho mai chiamato Naomi.»
«Ecco...»
«E, se in quel mondo il mio nome era BD7599… il tuo era...»
Lei sussultò nell’udire quei due codici in sequenza. Entrambi corrispondevano anche in quelle che credeva essere solo delle semplici fantasie, e così pensò che, se Caleb avesse avuto i suoi stessi ricordi, allora...
Abbassò il capo, tornando a singhiozzare. «Io… non sapevo che… anche tu…»
«Perdonami se non te l’ho detto subito. Mi sembrava una cosa troppo assurda, anche per me. E poi… non volevo darti altri dispiaceri.»
La ragazza tornò ad abbracciare il suo amato, mentre lacrime copiose scesero nuovamente lungo il suo volto. «Ti chiedo scusa… se non sono riuscita a salvarti… quel maledetto giorno! Ti ho visto morire assiderato, ed io non ho potuto fare niente per evitarlo!»
Caleb la strinse a sé, cercando di farle sentire tutto l'affetto che provava per lei. «Sono io a chiederti scusa, per essere stato un totale incapace… e, soprattutto, per non essere riuscito a proteggerti… Sono stato debole: non volevo farti soffrire, né tantomeno morire di fronte ai tuoi occhi… Perciò, perdonami!»
Per qualche minuto i due rimasero abbracciati, senza aggiungere altro.
Solo i singhiozzi di Naomi sembravano rompere un silenzio che, per entrambi, stava dicendo loro molto più di quello che avevano detto a parole.

---

Così giunse il gran giorno.
Naomi si guardò allo specchio dopo aver indossato l'abito bianco. Mentre intorno a lei c'era grande fermento per i preparativi, la ragazza si isolò per qualche minuto, tornando a riflettere su quanto accaduto qualche giorno prima.
Il suo pensiero volò a quelle che erano state da lei bollate come “fantasie”. Più volte le tornò in mente quella scena del paesaggio completamente innevato, con lei e l’uomo che amava che si stringevano per cercare di resistere più a lungo.
Si commosse, portando le mani all'altezza del cuore.

Questa volta sarà diverso, lo giuro: riuscirò a proteggerlo senza rimpianti. È per questo che sono nata. A me… Naomi… è stata data una seconda possibilità.
Per ricominciare, pur essendo me stessa.


Si erano ritrovati l’uno di fronte all’altra, i loro volti a pochi centimetri di distanza. Si guardarono negli occhi che, nonostante la loro apparente impassibilità, non riuscivano a tradire le vere emozioni dei due giovani.
Era giunto il momento più importante della loro vita. Questa volta, la coppia era certa del fatto che non ci sarebbero stati imprevisti che avrebbero ostacolato il loro voler stare insieme per sempre. Intrecciando la sua mano destra in quella della ragazza, Caleb sapeva che doveva pronunciare quella formula per primo. Emozionato, chiuse gli occhi e prese un profondo respiro per cercare di non commettere errori.
«Io… BD7599...»
Una fragorosa risata scoppiò tra i primi banchi della chiesa, dove avevano preso posto gli studenti del professore, alcuni dei quali stavano registrando il video della cerimonia proprio in quel momento.
«Il prof è impazzito?» commentò uno di loro. «Ha deciso di dare letteralmente i numeri?»
«Ma no, dai: è ancora sano di mente!» disse la ragazza dai capelli corvini, iniziando a prenderlo in giro insieme ai suoi compagni. «Insomma, prof: abbiamo capito che il volume che le ho prestato l’abbia colpito molto al punto di traumatizzarla a vita… però non mi sembra che questo sia il momento giusto per parlarne!»
«E invece sì!» aggiunse un altro, «Facci caso: assomiglia parecchio a BD7599!»
A quell’affermazione, tutti osservarono meglio la coppia e si ammutolirono per qualche secondo, per poi riprendere il loro chiacchiericcio subito dopo.
«È vero!»
«Ha anche il suo stesso sguardo quando si arrabbia!»
«Ora che me lo fate notare… anche la sua ragazza assomiglia molto ad una delle compagne della bella protagonista!»
Caleb arrossì e abbassò lo sguardo, guardando la punta delle sue scarpe.

Che figuraccia, proprio adesso doveva succedere?! Ed io che speravo di aver rimosso l’accaduto… proprio nel giorno del mio matrimonio!

Naomi osservò il suo novello sposo con un sorriso e, intuendo il suo disagio, strinse più forte la presa. «Non preoccuparti,» gli sussurrò, incoraggiandolo con un sorriso. «In fondo… non è forse la verità? Per fortuna che loro non sanno nulla del nostro piccolo segreto
L’uomo alzò gli occhi e li rivolse in quelli della sua donna. Allora, proprio come in quel momento funesto… il sorriso rassicurante di Naomi era il lato della sua bellezza che più lo colpiva nel profondo.
«… Hai ragione.» rispose sottovoce. «E forse… oggi non siamo qui per caso.»
«L’ho pensato anch’io, sai?»
Un leggero riso colorò le guance di entrambi, che tornarono a pensare al loro lieto evento e a tutto quello che li avrebbe attesi da quel momento in avanti.

In effetti… questa realtà non è poi così male!




A/N [Ovvero: angolo di una piccola pinguina nelle vesti di scrittrice.]
Sull’ipotetico finale del BLACK, io avrei un paio di teorie (che in questa sede non descriverò altrimenti si fa notte XD)… ma, per fortuna, nessuna di esse coincidono con il finale narrato in questa storia. Ho inserito i personaggi in quel genere di finale solo per ricollegarmi all’ipotesi della reincarnazione come “seconda possibilità”, dove poter avere - finalmente - una vita felice e senza rimpianti.
Perciò, potete tranquillamente considerare questa storia come una grande What if, anche per il motivo sopracitato!
Riguardo i nomi dei personaggi - quelli “umani”, intendo: per i cognomi sono partita con un’associazione dei loro colori, almeno nelle prime lettere (Biancacci per il bianco e Rosmini per il rosso) e puntando su quelli che più mi suonavano bene per loro. Insomma, non volevo fare una cosa troppo diretta scegliendo cognomi comunissimi come “Bianchi/Bianco” e “Rossi” XD
Per i nomi, invece, ne ho scelti due molto “particolari”: Naomi fa riferimento al carattere della dolcezza e della gioia (infatti le due compagne di U-1196 sembrano essere molto allegre); mentre Caleb ha origine dall’ebraico con significato di “cane” con tutte le caratteristiche associate a questo animale - ovvero l’essere fedele e, allo stesso tempo, anche furioso (e chi sta seguendo le scan del BLACK in Italiano sa già che BD7599 è un tipo dal grande cuore ma piuttosto irascibile se provocato)
Detto questo, vi lascio con la notizia della licenza della serie BLACK negli Stati Uniti (con, quindi, una grande possibilità che presto o tardi possa giungere anche qui in Italia… perché, davvero: merita di essere conosciuta ^^): per ulteriori informazioni potete andare qui.
Alla prossima!
--- Moriko
   
 
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