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Autore: Kodocha    02/04/2019    3 recensioni
Akito Hayama, ventiquattro anni; in seguito ad una dolorosa ferita amorosa, inflittagli dalla donna con cui avrebbe dovuto convalidare a nozze da lì a breve, decide di abbandonare Los Angeles e ritornare in Giappone, dalla sua famiglia.
Nonostante sia disposto ad avere tante donne a scaldargli il letto e nessuna a scaldargli il cuore e convinto di non poter provare più alcun tipo di sentimento per il gentil sesso, gli toccherà fare i conti con lei, Sana Kurata, una furia dai capelli ramati, nonché la nuova governante assunta da Natsumi.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Fuka Matsui/Funny, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith | Coppie: Akito/Fuka, Naozumi/Sana, Sana/Akito
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Aveva ripreso in mano le redini della sua vita.
Aveva smesso di piangersi addosso, crivellarsi nel dolore e si era rimboccato le maniche, andando avanti per la sua strada; gli ci erano voluti ben due mesi, ma alla fine c’era riuscito.
Non poteva dire di esser completamente guarito, certo, la ferita causata dalla rottura con Fuka era ancora aperta, ma si stava pian piano rimarginando e di questo n’era felice.
Trovava distrazione nelle donne, usandole proprio come loro usavano lui, solo ed esclusivamente per puro godimento fisico, senza mai instaurare alcun tipo di legame emotivo o sentimentale e gli andava bene così.
Non avrebbe mai più permesso ad una donna di entrargli dentro, non ci sarebbe cascato di nuovo, se l’era ripromesso e a nulla erano serviti i tentativi di Natsumi di dissuaderlo; aveva tentato più e più volte di convincerlo a non lasciarsi influenzare dalla spiacevole parentesi avvenuta con Fuka, a fargli credere che la persona giusta per lui c’era e che non avrebbe dovuto precludersi la possibilità di conoscerla, ma a nulla era servito, restava fermo nella sua decisione.
Con lei e suo padre i rapporti erano tornati alla normalità; aveva raccontato per filo e per segno come si erano svolti realmente i fatti e loro, seppur non approvando a pieno la sua decisione di abbandonare la vita stabile che si era creato a Los Angeles, l’avevano compreso, senza giudicarlo od etichettarlo come un idiota.
Gli avevano addirittura proposto di tornare a vivere stabilmente lì, proprio come i vecchi tempi, ma lui aveva rifiutato.
Non gli andava a genio l’idea di vivere ancora a lungo con la sua famiglia, voleva riprendere in mano la sua indipendenza e, pian piano, ci stava riuscendo; il progetto commissionato dal signor Toshiba era stato concluso e consegnato con gran successo e ciò gli aveva permesso di ottenere una discreta pubblicità nel suo settore, proprio come aveva sperato, e in poco tempo era stato assunto come assistente di uno dei più rinomati architetti della città.
Non si trattava di una posizione importante come quella ch’aveva raggiunto a Los Angeles, lì era lui il rinomato architetto in cerca di un assistente, ma per il momento si sarebbe accontentato, anche perché a causa delle necessità finanziare non aveva alternative.
Anche con Sana, la nuova governante, c’erano stati notevoli sviluppi, al punto tale che, ormai, quei giorni di profondo astio tra i due, sembravano tanto lontani.
Non la considerava un’amica, n’era troppo attratto per farlo, ma con lei ci stava bene, molto più di quanto potesse immaginare; gli piaceva stare in sua compagnia, ridere con lei, punzecchiarla, osservarla pulire l’appartamento con una cura maniacale, rientrare in casa e trovarla lì, con uno strofinaccio tra le mani e un sorriso radioso ad arricciarle gli angoli della bocca.
Trovava così appagante la sua presenza che più e più volte si era ritrovato a fare i salti mortali a lavoro pur di riuscire a racimolare un po’ di tempo libero da trascorrere insieme lei e la cosa più assurda era che non gli pesava affatto; era divertente portarla ad esplorare luoghi di Tokyo a lei ancora sconosciuti, recarsi nei locali e fare a gara su chi riusciva ad ingozzarsi di più,  tra una risata e l’altra, sotto gli sguardi allibiti dei camerieri e delle persone circostanti.
Quella ragazza era un vero spasso, un vulcano di energie, completamente diversa dalle tante donne ch’aveva conosciuto nel corso degli anni; in una maniera o nell’altra riusciva sempre a stupirlo, proprio come quel giorno d’inizio luglio quando, rincasando da lavoro, la trovò impalata in mezzo al soggiorno, con le mani portate dietro la schiena e un sorriso teso stampato sulla faccia «Heilà, Hayama!»
Quest’ultimo assottigliò gli occhi, scrutandola con fare circospetto.
Non sapeva spiegarsi esattamente il perché ma c’era qualcosa di strano nella sua espressione, un qualcosa che però non riusciva bene a decifrare «Che ti prende? E perché sei impalata lì al centro del soggiorno?»
«Sapevo che saresti tornato a breve, così ti ho aspettato qui per accoglierti come si deve e…»
«Ma se non l’hai mai fatto!»
«E allora? C’è sempre una prima volta per tutto, no?!»
Akito le si avvicinò, perplesso, con la fronte aggrottata «Te lo ripeto per l’ultima volta, Kurata, che ti prende?»
«Te l’ho detto, nulla! Piuttosto…» gli sorrise, indicandolo dall’alto in basso «Sai che ti trovo in splendida forma? Sbaglio o hai aumentato i muscoli?» gli diede un buffetto sul braccio, strizzandogli l’occhio «E poi il colore di questa camicia ti sta a pennello, risalta molto i tuoi…»
«Kurata!» l’interruppe, alzando appena il tono di voce. Non che gli dispiacessero quei complimenti, ma era certo che glieli stava rivolgendo solo ed esclusivamente per un puro scopo personale.
Voleva forse addolcirlo?
Probabile.
«Ti prego, dimmi che non hai incendiato la mia camera»
«Ma sei stupido o cosa?» sbottò, indignata «Quando mai ho incendiato qualcosa?»
«Allora cos’hai combinato?» borbottò, incrociando le braccia al petto «Hai rotto il vaso preferito di Nat? Graffiato qualche mobile, o…»
«Nulla del genere» borbottò a sua volta, gonfiando le guance «E’ solo che…»
«Solo che?» l’incitò a continuare.
«Ho combinato un casino» ammise infine, chinando il capo.
«Che tipo di casino?»
«Vedi, il fatto è che…» un rumore proveniente dal piano superiore la fece impallidire ed ammutolire in contemporanea, lasciando il suo interlocutore sempre più perplesso ed interdetto.
«Chi c’è di sopra?» le chiese, ma non ottenne risposta.
Sana si limitò a distogliere lo sguardo dal suo, assumendo un’aria colpevole e un campanello di allarme risuonò della testa di Hayama; era assolutamente certo di non aver intravisto né la macchina di Natsumi, né quella di suo padre in cortile, dunque chi poteva esserci di sopra?
Un uomo forse?
Una simile ipotesi fu peggio di una doccia ghiacciata.
«Kurata» la chiamò e, stringendo con rabbia i pugni lungo i fianchi, riformulò la domanda «Chi c’è di sopra?»
Era furioso e davvero non riusciva a capirne il motivo.
Insomma, che fosse attratto da lei lo sapeva, non era una novità, ma oltre a quello non c’era e non ci sarebbe mai stato nulla, dunque perché provava tanta irritazione a saperla con un altro? Cos’era quella stretta allo stomaco che avvertiva?
 «Ecco, io…» la osservò dondolarsi sui talloni e torturarsi nervosamente il labbro inferiore con i denti, come se fosse in difficoltà, come se non avesse il coraggio di dirgli come stavano effettivamente le cose e ciò lo fece infuriare, se possibile, ancora di più.
«Come ti sei azzardata a portare un uomo in casa mia?» le urlò contro, facendola dapprima trasalire e poi assumere un’espressione talmente sconcertata che, se non avesse avuto i nervi a fior di pelle, gli sarebbe risultata parecchio esilarante.
«Un uomo?»
«Non provare a finger…» l’ennesimo rumore, proveniente dal piano superiore, lo portò non solo a lasciare la predica sospesa a mezz’aria, ma anche a sorpassarla e a salire velocemente la rampa di scale, con un diavolo per capello, ignorando la voce di Sana dietro di lui che quasi lo supplicava di fermarsi.
Non sapeva perché stesse reagendo il quel modo, del perché si comportasse come un fidanzato geloso, seppur non provasse alcun tipo di sentimento per lei, l’unica cosa di cui era certo era che quel tizio nascosto in camera sua non sarebbe uscito di casa dalla porta, bensì dalla finestra.
Spalancò la porta di colpo, ma la scena che gli si parò davanti era completamente differente da quella che si aspettava; la camera era messo a soqquadro e sul pavimento, a pochi passa da lui, c’era un batuffolo nero con tanto di orecchie e punta e coda scodinzolante.
«Un cane?!» sbottò, basito, osservando quella piccola palla di pelo venirgli in contro e subito dopo udì la voce di Sana, dietro di lui, urlare «Posso spiegare!»
Lo superò, entrò in camera e prese in braccio il cagnolino «Lo so, ho sbagliato, questa non è casa mia e non dovevo permettermi di portare un animale qui senza il vostro consenso, però…» deglutì, accarezzandolo «Oggi pomeriggio mi trovavo in centro per fare la spesa e, fuori ad un negozio d’abbigliamento sportivo, ho notato un grosso scatolone muoversi, come se ci fosse qualcosa dentro, così, incuriosita, mi sono avvicinata per vedere cosa contenesse e ho trovato lui. Ho chiesto al proprietario del negozio se fosse suo, ma lui mi ha risposto di no, che qualcuno l’aveva lasciato lì una settimana fa e ha anche aggiunto che se nessuno l’avesse adottato sicuramente sarebbe stato soppresso. Quindi io…» alzò lo sguardo su Akito, assumendo un’espressione da bambina «Non ho avuto il coraggio di lasciarlo lì, mi dispiace»
Hayama sospirò, portandosi una mano sulla fronte.
Certo, trovare un cane era stato meglio di trovare un uomo, su quello non c’era alcun dubbio, tuttavia quella piccola palla di pelo, per lui, rappresentava ugualmente un problema… non che odiasse i cani, ma non gli suscitavano neppure tutta quella gran simpatia, inoltre non aveva la benché minima voglia di assumersi la responsabilità di accudirne uno.
«Kurata, il tuo è stato un gran bel gesto, ma…» un nodo alla gola gli impedì di continuare quando la vide stringere ancora di più a sé il cucciolo, come se avesse paura che potesse portarglielo via da un momento all’altro «Ma…» deglutì, fissando quelle due pozze color cioccolato cariche di supplica «Ma…» ripeté per l’ennesima volta, dandosi mentalmente dell’idiota.
Perché era così difficile dirlo?
Perché si sentiva come un orco che voleva portarle via una cosa a lei tanto cara?
«Insomma, Kurata…» sbuffò poi, massaggiandosi le tempie con movimenti circolari, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo «Accudire un cane è una grossa responsabilità e…»
«Penserò a tutto io, promesso» lo supplicò, sfoderando l’espressione più angelica che riusciva a fare «Mi occuperò di ogni singola cosa, delle spese, delle passeggiate, di fornirgli cibo e acqua, e… e…» aprì e richiuse la bocca almeno una decina di volte e poi, sospirando pesantemente, chinò il capo «Ma cosa sto farneticando? Che stupida! Non posso chiedervi tanto»
Il tremolio nella voce lasciava chiaramente intendere che si stesse sforzando di non piangere e nel capirlo, Akito, provò un gran senso di tenerezza nei suoi confronti; era chiaro come il sole che si fosse già affezionata a quel batuffolino nero, lo si capiva dal modo in cui lo guardava, accarezzava e stringeva a sé, come se potesse scomparire da un momento all’altro.
«E va bene» sbuffò infine, alzando gli occhi al soffitto «Puoi tenerlo»
Sana trasalì, nel suo sguardo c’era tanta incredulità e speranza «Eh?»
«Ho detto che puoi tenerlo. Ma sarai tu ad occupartene, t’avverto, io me ne lavo le mani»
 Per una frazione di secondo sorrise, prima di tornare seria «E come la mettiamo con tuo padre e Nat?»
«Nat adora gli animali, quindi sono certo che quando lo vedrà farà i salti di gioia. Quanto a mio padre, beh…» scrollò le spalle «Non si è mai espresso a riguardo, ma non credo gli dispiacerà»
«Sicuro?»
Annuì.
«Quindi lo teniamo?»
Annuì una seconda volta e il sorriso che ricevette in risposta fu così radioso, limpido e cristallino che, di rimando, fece sorridere anche lui, contro la sua volontà.
La vide appoggiare delicatamente il cagnolino sul pavimento, corrergli incontro e, prima che potesse rendersene conto, si ritrovò con le sue braccia avvolte intorno al torace e il viso affondato all’altezza del petto.
Hayama s’irrigidì, non perché quell’abbraccio gli recasse fastidio, anzi, ma la sensazione positiva che quel contatto scaturì lo sorprese più del dovuto «Se questo è il tuo modo di ringraziarmi, sappi che puoi adottare tutti i cani che vuoi» tentò di sdrammatizzare.
Sana ridacchiò, si alzò in punta di piedi e gli posò un casto bacio sulla guancia destra, provocandogli un lungo brivido su per la spina dorsale «Grazie, Akito»



***
Angolo autrice:

Heilà! 
N'è passato di tempo, eh? ^-^"
Perdonate l'attesa, ma non sono riuscita ad aggiornare prima.

Per farmi perdonare proverò a pubblicare il capitolo successivo la prossima settimana, intanto se volete/potete, fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo aggiornamento, leggere le vostre recensioni è sempre un toccasana per me *_*
A presto! =)

 
   
 
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