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Autore: Luinloth    06/04/2019    2 recensioni
What If tra la terza e la quarta stagione.
Dopo aver salvato l’Uomo Giusto dall’Inferno, Castiel viene a conoscenza dei piani di Michael per scatenare l’Apocalisse e decide di ribellarsi. A causa della sua disobbedienza, privato per sempre delle sue ali e della sua grazia, viene scaraventato sulla terra dove, per sopravvivere, inizia a vendersi lungo la statale. I Winchester, ignari delle sorti decise per loro dal Paradiso e di come Dean sia stato riportato in vita, hanno abbandonato la vita da cacciatori e vivono in una palazzina anonima alla periferia di Lawrence. Una notte di pioggia Dean incrocia Castiel sulla sua strada e l’Inferno riemerge prepotentemente dai suoi ricordi sotto forma di due occhi blu.
Dal testo:
“Volevi parlare” – il moro lo interruppe, serafico – “Parla”
Ero all’Inferno e ho visto i tuoi occhi.
Non era decisamente un buon modo di intraprendere una conversazione.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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In questo capitolo è presente il secondo flashback riguardante la vita di Castiel prima della caduta. Poiché è inserito proprio in mezzo al capitolo ne ho segnalato l’inizio e la fine con degli asterischi.
Buona lettura!


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




L’aria della notte era ancora fredda, nonostante fosse ormai primavera. Dean si strinse nelle spalle cercando di difendersi dagli spifferi che si insinuavano sotto i suoi vestiti e si addentrò nel variegato mix di uomini e donne più o meno sobri che popolavano il bar, seguito a ruota da un Castiel piuttosto impacciato.
Il verde del panno del biliardo brillava invitante sotto le luci calde delle lampadine attaccate al soffitto.

“Vedrai Cass, sarà divertente. Io e Sammy abbiamo fatto un mucchio di soldi con il biliardo”

Dean ordinò due birre, porse la stecca da biliardo al moro e impugnò la sua con disinvoltura da giocatore consumato.

“Non devi avere una presa troppo stretta, altrimenti il tiro non sarà preciso” – lo avvertì, dopo avergli spiegato le regole del gioco – “Mira con attenzione, ecco, così” – gli sistemò la posizione del braccio, sfiorandogli appena il gomito.
Castiel non sembrava molto a suo agio; le sue dita non smettevano di agitarsi intorno alle stecca neanche stesse stringendo una sbarra incandescente anziché un pezzo di legno, e i suoi occhi vagavano da una parte all’altra del bar come se fosse alla ricerca della via di fuga più vicina.
Forse, portarlo in quel locale così affollato e promiscuo, non era stata una buona idea.

Ad ogni modo, Dean non ebbe il tempo di riflettere sulla scelta fatta perché proprio in quel momento due ragazze in giacca di pelle e shorts si avvicinarono al biliardo.

“Possiamo unirci a voi?”

La ragazza che aveva parlato aveva lunghissimi capelli biondi e un corpo da aspirante modella; la sua amica era invece molto più prosperosa, castana, e i suoi occhi erano simili a quelli di Castiel, ma di un blu molto più slavato, tendente al grigio.

“Ma certo tesoro” – il cacciatore le fece posto dalla sua parte del tavolo; la ragazza prosperosa raggiunse Castiel dall’altra parte del tavolo.

“Non sono molto portato per questo gioco” – provò ad obiettare il moro, ma lei lo prese sottobraccio e gli tolse dolcemente la stecca dalle mani – “Ti insegno io dolcezza, non avere paura”

Se Dean avesse prestato un po’ più di attenzione, si sarebbe accorto del fremito quasi disgustato con il quale Castiel si era sfilato dalle braccia della ragazza, e se non fosse stato troppo impegnato a scivolare con lo sguardo lungo le cosce lunghissime della biondina in shorts – nel tentativo un po’ infantile di convincersi che fosse lei la persona più attraente del bar – si sarebbe anche ricordato che Cass, prima di diventare Cass, era stato anche qualcos’altro, e due mesi trascorsi a battere sul bordo di una strada statale, a fingere di desiderare i corpi degli altri dimenticandosi il proprio, a rispondere a baci, e carezze, e orgasmi che gli facevano soltanto venir voglia di vomitare, non si dimenticano nel giro di qualche settimana.

Ma la ragazza castana non poteva saperlo, e continuava ad avvicinarsi al moro, ad accarezzargli le spalle e la schiena, a sussurrargli all’orecchio ridacchiando, come se lui fosse il giocattolo di una sera e lei l’avesse appena comprato per servirsene a suo piacimento.

E questo, forse, con un enorme sforzo masochistico, Castiel avrebbe anche potuto accettarlo.

Ma la vista di Dean mentre flirtava con la biondina, rispondeva ad ogni battutina allusiva che lei gli faceva e le offriva la sua birra, come se lui si fosse improvvisamente volatilizzato no, quello non avrebbe mai potuto sopportarlo.

Perciò, quando il cacciatore si rese conto di cosa avesse fatto era già troppo tardi: Castiel aveva piantato in asso lui e la ragazza castana ed era uscito dal bar a testa bassa, incurante delle proteste dei clienti che urtava senza troppi riguardi, quando incrociavano la sua strada.

Dean si precipitò fuori dal locale, lasciando le ragazze a bocca aperta, e pure con il conto da pagare. La strada era deserta e si era alzato un venticello sottile che lo faceva rabbrividire.

“Andiamo, Castiel ti pare questo il modo di comportarti?” – esclamò alla sagoma scura del moro che si allontanava a grandi falcate; dovette mettersi a correre per raggiungerlo – “Ehi! Sto parlando con te!”

“Va al diavolo Dean Winchester! E restaci, questa volta!”

Dean per poco non inciampò nei suoi stessi piedi, non sapendo se ritenersi più stupito per quel disarmante sfoggio di umorismo nero da parte di qualcuno che non capiva neanche le barzellette più elementari o per il fatto che Castiel se la fosse presa così tanto.
Afferrò l’ex angelo per un braccio, non abbastanza saldamente da fermarlo ma abbastanza da obbligarlo a voltarsi verso di lui.

Gli occhi di Castiel erano due oceani torbidi, pieni di delusione, e Dean si sentì come se gli avessero appena tirato addosso una secchiata d’acqua gelida. Non avrebbe mai voluto che le cose andassero così.
Di colpo realizzò che in verità non gliene era mai importato un accidenti del biliardo, della birra o delle due ragazze, lui avrebbe soltanto voluto passare la serata con Castiel.

“Io non…non volevo” – furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.

Lo sguardo del moro si addolcì – “Ho un’idea” – gli rispose – “Vieni”

Dean lo seguì in silenzio lungo i viali alberati che portavano verso il centro città, finché non arrivarono davanti ad un edificio chiaro, con la facciata trapuntata di lucine gialle, simili a quelle usate per le decorazioni natalizie.

“Entriamo?” – poi Castiel lo prese per un braccio e lo spinse all’interno, senza aspettare una risposta.

Era un locale accogliente, dalle dimensioni modeste, pavimento e mobilio di legno scuro, luci ambrate, sapientemente soffuse, nell’aria odore di cioccolata mista a rum: uno di quei posti da primo appuntamento. Dean deglutì, e i palmi delle sue mani iniziarono inspiegabilmente a sudare.

Si sedettero in un angolo, accanto ad un vecchio juke-box d’epoca. Il locale era piacevolmente tranquillo e non molto affollato, erano occupati soltanto un paio di tavoli.

“Come conosci questo posto?”

“Mi ci ha portato Ellie, il giorno in cui tu e Sam siete andati da Bobby per quel vecchio libro che aveva trovato. Dicono che qui facciano la torta di mele più buona della contea: una volta mi hai detto che era la tua preferita”

La cameriera si avvicinò al loro tavolo – “Buonasera, cosa vi porto?”

Dean non l’aveva neppure vista arrivare: Castiel sfogliava pigramente il menù, il mento appoggiato alla mano, e lui non riusciva a smettere di guardarlo. Quando poi il moro spostò lo sguardo dalla lista dei dolci alla cameriera, sorridendole affabilmente, il cacciatore sentì una morsa acuta e rovente stringerli le viscere.
Era geloso di quel sorriso: avrebbe voluto che fosse rivolto a lui, non a quella ragazzina pallida e troppo truccata.

E in quel momento, mentre la cameriera prendeva le ordinazioni apparentemente senza accorgersi del suo sguardo assente, capì che per tutto quel tempo – erano ormai trascorse settimane da quella notte di pioggia torrenziale a Lawrence – non aveva fatto altro che accampare scuse.
Perché era sempre stato troppo difficile ammetterlo, accettare quella realtà così lontana da tutto ciò che da sempre aveva caratterizzato Dean Winchester, così lontana dalle avventure di una notte, dalle frasi a effetto buone solo per rimorchiare, dai numeri di telefono cestinati non appena la ragazza di turno si chiudeva la porta della camera alle spalle.
Era fottuto.
Completamente, definitivamente, perdutamente, irrimediabilmente fottuto.
Si era innamorato.
Di un uomo, un angelo, non sapeva neanche lui di che cosa, sapeva soltanto che da quando Castiel era piombato nella sua vita tutte le ferite che si portava addosso e che ormai da tempo tentava inutilmente di far rimarginare, ora non sanguinavano più.

E sì, quella era davvero la torta di mele più buona che lui avesse mai assaggiato, ma probabilmente il merito era tutto dell’individuo seduto di fronte a lui, che lo guardava e sorrideva – finalmente quei sorrisi erano solo per lui – e Dean pensò che avrebbe potuto anche morire così, andarsene con quel blu fenomenale come un riflesso di luna in uno zaffiro piantato per sempre nelle sue retine.

Due ore dopo, uscirono dal locale barcollando: il rum che avevano ordinato era sceso giù come acqua e prima che potessero accorgersene si erano già scolati mezza bottiglia. Fuori non faceva nemmeno più così freddo. Raggiunsero l’Impala e si stravaccarono sopra il cofano: Dean era ancora troppo sbronzo per guidare – ma non lo era abbastanza da voler dormire – Castiel invece aveva chiuso gli occhi e si era sdraiato con le gambe penzoloni che urtavano il parafanghi.

“Ci pensi mai?” – la voce di Castiel era ancora più bassa del solito.

“A cosa?”

“Alla prima volta in cui ci siamo incontrati. Qui, sulla terra”

Al degrado di quella strada statale, all’Inferno che d’improvviso si spalancava sotto i suoi piedi, allo sguardo senza speranza che gli aveva rivolto un Castiel di cui non conosceva ancora niente, se non il mestiere.
Certo che ci pensava. Ma quella bocca che si chiudeva su di lui era qualcosa che avrebbe dovuto togliersi dalla testa.

“Io non ero in me e tu eri…beh, immagino che non debba essere io a ricordartelo” – rispose il cacciatore – “Parlarne non farebbe bene a nessuno dei due”

“Non lo trovi buffo? Che io ti abbia salvato dall’Inferno e che poi tu abbia salvato me” – il moro represse un singhiozzo e si spostò su un fianco – “Forse non dovrei parlare di queste cose dopo aver bevuto”

“O forse potresti entrare in macchina prima di rotolare sull’asfalto. I miei riflessi sono ancora troppo lenti per riuscire a prenderti al volo” – Dean spalancò la portiera del passeggero e lo aiutò a sistemarsi sul sedile. Poi fece il giro dell’auto e si sedette anche lui, al posto del guidatore.

“Dean?”

“Cosa c’è?”

“Prima che il mondo finisca, mi piacerebbe a vedere i giardini di Dumbarton Oaks”

“Cass, sei decisamente ubriaco”

“Dicono sia uno dei più spettacolari al mondo, e tra marzo e maggio è quasi tutto in fiore. Quando ero un angelo non sapevo, non sapevo niente della bellezza: vedevo i germogli sbocciare e morire, e mi sembrava così stupido che Dio avesse creato una natura così effimera. Poi sei arrivato tu e ho capito…e allora ho pensato che anche Michael avrebbe compreso…ma come avrebbe potuto…”

“Cass?”

Si era addormentato.
Le labbra semiaperte, la testa appoggiata sulla spalla del cacciatore in una posizione che doveva essere dannatamente scomoda, eppure a guardarlo Castiel sembrava più in pace di un bambino; Dean dovette resistere all’impulso di affondare il naso nei suoi capelli e aspirare un po’ del suo odore.

Rimase a guardarlo per qualche minuto, mentre il braccio gli si intorpidiva lentamente.
Si domandò cosa potesse sognare, qualcuno come Castiel.
Un presentimento strano, una sensazione fastidiosa aveva iniziato a ronzargli nella testa sulle ultime parole del moro, ma non era abbastanza lucido da riuscire a metterne a fuoco i dettagli.
Nella sua storia, nel racconto della sua caduta, mancava ancora qualcosa. Qualcosa di fondamentale che era stato – volutamente o per caso – omesso, e Dean adesso era troppo stanco per capire di cosa si trattasse.

Mise in moto, dolcemente, e l’Impala scivolò via nella notte di seta della California.



*****


“Un Paradiso tridimensionale?” – Michael si muoveva con circospezione attraverso i cespugli in fiore che circondavano il giardino – “È così…claustrofobico.”
Castiel non lo aveva sentito arrivare. Di solito la presenza dell’Arcangelo si percepiva a distanza, la sua aura di potere era troppo netta ed intensa per potersi confondere con quelle degli angeli comuni e molto spesso il Paradiso mutava, lì dove lui metteva piede.
Quella volta l’Arcangelo era stato talmente discreto da risultare ancora più inquietante del solito.

“Non mi aspettavo una tua visita”

“E io non mi aspettavo di trovare…questo” – Michael allungò una mano e staccò un piccolo bocciolo giallo che spuntava timido tra i fili d’erba del prato: il Paradiso di Castiel si era tramutato in un enorme giardino in piena fioritura: un tripudio di colori, odori, fruscii di foglie smosse da una brezza leggera, primaverile.
Un Paradiso tranquillo, semplice, sorprendentemente umano. Troppo umano.

“Sulla Terra hanno dei luoghi simili” – spiegò l’angelo – “Alcuni umani trascorrono la loro intera esistenza a prendersene cura”

“Un inutile spreco delle loro già limitate energie.”

“Forse” – Castiel allargò le braccia, lasciando che i fiori che si staccavano dai rami dei ciliegi gli piovessero addosso – “Ma per gli umani, a volte, il bello è proprio questo. È l’effimera configurazione delle cose nel momento in cui se ne vedono, insieme, la bellezza e la morte.* Una fiamma eterna può essere meno luminosa di una stella cadente, in certi casi”

“Inezie!” – tagliò corto Michael – “Giorni, stagioni…paragonati all’eternità non sono niente. E tu non dovresti pensarla diversamente” – sul suo volto diafano apparve una smorfia contrariata – “Sono venuto ad avvisarti: il tempo della nostra venuta è ormai quasi giunto, ed è necessario che l’Uomo Giusto si fidi di te prima di riuscire a fidarsi di me ed acconsentire a diventare il mio tramite”

“Un tramite?” – le ali di Castiel iniziarono a tremare. Il giardino si riempì di ombre.

“L’Uomo Giusto non impedirà la rottura dei sigilli. Nessuno potrebbe impedirlo. L’Apocalisse si scatenerà in Terra e a quel punto agli uomini verrà chiesto di scegliere” – gli occhi dell’Arcangelo si accesero come fuochi fatui – “Schierarsi al mio fianco, o morire”

Il giardino precipitò nel buio.
I contorni degli alberi e dei cespugli iniziarono lentamente a sfocarsi, come se qualcuno li stesse cancellando con una gomma. Rimasero solo le ali di Michael, fastidiosamente luminose, a brillare nell’oscurità.

“Nessun umano sopravviverebbe dopo la possessione di un Arcangelo” – nella sua lunghissima esistenza, Castiel non si era mai sentito così spaventato. L’Apocalisse avrebbe spazzato via metà della razza umana, avrebbe distrutto ogni giardino, ogni fiore, ogni fragile bellezza mortale.

Di fronte al suo sbigottimento, Michael rimase del tutto indifferente.
“Un sacrificio da poco” – rispose, noncurante – “È stato proprio l’Uomo Giusto, ti ricordo, a causare la rottura del primo sigillo, e solo l’idea di dovermi servire di un’anima così corrotta mi disgusta” – tutto il suo corpo fremette di ribrezzo – “Purtroppo non c’è altro modo”

“Michael, ma…”

“Ma, ma, ma…Basta, Castiel!” – l’Arcangelo spalancò le ali e un rombo come di uno scontro intergalattico tra due pianeti riempì lo spazio con un rumore assordante – “Non sono venuto a chiedere il tuo parere: sono venuto a darti degli ordini! E tutto ciò che voi angeli fate e continuerete a fare sarà eseguirli, oppure ne pagherete le conseguenze”

Un altro rombo, e Michael sparì.
Il giardino era ricomparso, spoglio e devastato come dopo una tempesta; sugli alberi, i pochi rami rimasti intatti pendevano tristemente verso il basso.
Immobile, Castiel rimase a fissare i resti del suo Paradiso distrutto.

Sulla Terra era quasi Natale, a Lawrence nevicava, e Dean Winchester era da poco tornato a casa con un abete alto quasi due metri legato sopra il tetto dell’Impala.

Castiel l’aveva vista l’anima di Dean Winchester, quell’anima che Michael credeva tanto corrotta – l’aveva vista il giorno in cui l’aveva strappata all’Inferno quasi a costo della sua stessa vita – ed era cristallina, trasparente, così bella che avrebbe potuto davvero morirci soltanto guardandola, e adesso l' Arcangelo l’avrebbe spezzata per sempre.
Avrebbe spezzato per sempre l’unica cosa che lui aveva mai amato.

Non avrebbe mai potuto permetterglielo.



*****


Castiel si svegliò che era quasi mezzogiorno e dalle finestre spalancate la luce del sole entrava con la forza di un esplosivo. Sentiva la bocca impastata e un lieve retrogusto alcolico gli risaliva dalla gola.
Il letto di Sam era ancora intonso – il cacciatore non aveva dormito lì quella notte – mentre quello di Dean era un ammasso disordinato di lenzuola.

Non ricordava bene gli eventi della sera prima. Dean l’aveva portato in un bar troppo affollato dove una ragazza bionda aveva cominciato a strusciarglisi addosso, e lui era letteralmente scappato via, preda di una gelosia feroce che gli scavava nello stomaco come il peggiore degli alcolici.
La seconda parte della serata – ad ogni modo – era stata nettamente migliore della prima. Castiel ricordava il braccio del cacciatore intorno alle sue spalle, quando erano usciti dal locale barcollando, poi quasi più nulla.

Si stiracchiò pigramente, mettendosi a sedere sul letto. In quel momento Dean tornò in stanza, portando due tazze fumanti dalle quali si sprigionava un odore inconfondibile.

“Ti sei svegliato finalmente!” – esclamò – “Ti ho portato il caffè, credimi, non ho ancora trovato rimedio migliore per il post sbornia” – ridacchiò porgendogli una tazza – “Sam è già da Ellie, anche se credo che non sia proprio tornato in albergo stanotte, quindi quando sei pronto andiamo anche noi. Ti aspetto in macchina”

Castiel mugugnò qualcosa di simile ad un ringraziamento, era ancora troppo addormentato per poter formulare un discorso di senso compiuto, e iniziò a bere il suo caffè, pensieroso.

Gli umani dovevano possedere doti straordinarie, per riuscire a gestire quel gran casino che era l’amore. Lui invece non era neanche in grado di distinguere le diverse emozioni che gli si affastellavano nell’animo, ogni volta che si ritrovava a pensare a Dean.
Eppure, guardando Sam ed Ellie, sembrava tutto così facile.

Si alzò con un sospiro e cominciò a vestirsi.






La porta della casa era stata lasciata aperta, spalancata come se qualcuno fosse appena scappato o come se avessero appena fatto irruzione all’interno.
Dean estrasse la pistola e fece segno a Castiel di seguirlo senza fare rumore.

In mezzo al soggiorno, stravaccato comodamente sul divano azzurro neanche si trattasse del divano di casa sua, trovarono un giovane uomo dai capelli castani, lunghi fin quasi alle spalle, con una barretta al cioccolato tra le mani, dalla quale staccava piccoli morsi che poi masticava di gusto, come a volerne assaporare ogni briciola.

“I Winchester al completo finalmente! Vieni Dean, ti stavamo giusto aspettando” – lo sconosciuto li guardava con aria quasi divertita, senza preoccuparsi minimamente dell’arma che Dean aveva in mano né delle altre due pistole che Sam e Ellie – seduti di fronte a lui – gli stavano già puntando contro.
I suoi occhi avevano lo stesso colore dell’ambra.
Poi il suo sguardo si posò sul moro, seminascosto alle spalle del cacciatore, e all’espressione sorniona sul suo volto si sostituì bruscamente uno sbigottimento incredulo.

“Castiel?”

“Gabriel?”




*Questa frase è ripresa da “L’eleganza del riccio”, di Muriel Barbery. (Che, in caso non l’aveste già fatto, vi consiglio caldamente di leggere <3 )

Grazie a lilyy per i consigli sui titoli dei capitoli ^^
Alla prossima settimana!

   
 
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