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Autore: DeaPotteriana    07/04/2019    0 recensioni
Nessun mostro mi aveva mai prestato attenzione. Fu per questo che per tutta la mia vita ignorai di essere una semidea. Pensavo di essere una ragazza un po' sfortunata, forse, ma nel complesso abbastanza normale.
Fu una gioia scoprire di essermi sbagliata per quindici anni, sì.
Una vera gioia.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chirone, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 

 

 

Salimmo nel retro del camioncino e partimmo, mentre Violet canticchiava a bassa voce e sorrideva come solo una bambina può fare - con una speranza tanto forte da illuminare chi la circonda. 

"Quanto ci vuole, ancora?" chiesi appoggiano meglio la schiena sul retro del camion. 

"Un paio d'ore di macchina e qualche minuto a piedi, non di più," rispose Vinny. Annuii distrattamente e mi passai una mano sul gomito sinistro, dove chissà perché si stava formando un livido. Non ricordavo il modo in cui me l'ero procurato, ma poco importava. 

Mio padre aveva sempre avuto l'abitudine di dirmi che, la prima volta che mi prese in braccio, smisi di piangere e lo guardai intensamente, con aria di sfida. Come una neonata potesse farlo rimarrà sempre un mistero, ma lui non smise mai di ripetere quel dettaglio, per poi borbottare "E dopo mi sei scivolata e ti sei presa una bella botta". 

Oh sì, la prima di una lunga serie - non che lo facessi apposta, eh!

Ripensare a mio padre faceva male, perciò cercai di concentrarmi su altro. La mente vagò libera fino a fermarsi sulla spiegazione di Vinny sugli dei e i loro figli. Chi poteva essere mia madre? Non ero particolarmente bella o saggia... In realtà non avevo qualità che spiccassero davvero. 

Piuttosto deprimente.

"Sai già di chi siamo figlie?" domandai voltandosi verso Vinny, che scosse la testa. 

"Per alcuni semidei," spiegò, "è facile essere riconosciuti. Geni a scuola con l'aracnofobia e la passione per l'architettura? Niente di più semplice. Ma altri?"

Scosse la testa.

"Da poche settimane, però, grazie a Percy Jackson i semidei vengono riconosciuti più in fretta, anche i figli degli dei minori," sorrise. "Non vi preoccupate."

Violet ricominciò a canticchiare e io mi chiesi come facesse a essere così tranquilla; forse era l'età, o semplicemente il suo carattere, che da quanto avevo capito era abbastanza solare. 

Il resto del tragitto lo passammo senza parlare, cullati dalla voce di Violet; passò così la prima ora e la seconda stava volgendo al termine quando un rumore proveniente da sotto di noi ci fece sobbalzare. 

"Non è possibile!" sbottò Vinny scendendo dal camion con un salto e zoppicando in avanti con le stampelle. Lo seguii velocemente e aiutai a scendere anche la bambina, che mi ringraziò con un sorriso.

Anche l'uomo era in strada, ora, e fissava accigliato la gomma posteriore sinistra, a terra con uno squarcio. "Ma ti pare?!" gridai tirando un calcio al copertone. 

"Calmati!" mi intimò Vinny. "Da qui possiamo proseguire a piedi, manca poco."

Poi ringraziò calorosamente l'uomo, afferrò i nostri zaini e si avviò. 

"Non così in fretta!" tuonò una voce assolutamente non umana, mentre già ci stavamo allontanando. Mi voltai in un istante e vidi il corpo del camionista cambiare, come se la pelle non riuscisse più a coprire ciò che stava sotto. Impedii a Violet di guardare - non volevo avesse incubi - e vidi l'uomo torcersi per qualche secondo, per poi trasformarsi del tutto. Il volto era lo stesso di prima, solo più peloso, mentre il corpo ricordava quello dei leoni, che non mi erano mai sembrati così pericolosi. La coda, invece, era quella di uno scorpione, in tutta la sua gloria velenosa. 

"Merda, una manticora," imprecò Vinny; con una mano strinse la spalla di Violet, l'unica che ancora non guardava. "Ora voglio che tu corra più veloce che puoi in quella direzione," e indicò un punto in mezzo ad un campo abbandonato. "Dovrai essere svelta, capito? E, ti prego, non ti voltare."

Poi le diede una spintarella. "Ma..."

"Ti raggiungeremo," promisi.

E lei cominciò a correre.

"Vai anche tu," mi disse Vinny. 

"No."

"Sì!"

“No!"

La manticora si avvicinò di qualche passo, studiandoci.

"Non è il momento di fare la testarda!"

"Non ti lascio qui da solo, è chiaro?!" gridai, poi alzai lo sguardo al cielo. Mamma?, chiamai. So che ti ho già chiesto una mano, ma tu mi hai messa nei casini ancora di più! Non è che potresti... Aiutarmi di nuovo?

E finii a terra.

Vinny mi aveva spinta con tutta la sua forza, spostandomi così dalla traiettoria del pungiglione della manticora. "Non c'è tempo per distrarsi!" urlò rialzandosi. Buttò via le stampelle e mi guardò. "Non sono un semidio," disse slacciandosi i pantaloni. 

Un maniaco?!

"Sono un satiro."

Forse avrei preferito un maniaco. 

Quello che accadde dopo è un po' confuso, nella mia memoria. Una macchina superava di parecchio il limite di miglia in un'ora così, quando vide il cartello che indicava il rilevatore di velocità, inchiodò per non prendere la multa. Questo fece sì che il guidatore dietro di lui sterzasse per non tamponarlo, ma a causa dell'asfalto ancora bagnato la macchina slittò. Come ho detto, non ricordo bene come accadde, però vidi la macchina sopracitata investire con tutta la sua forza la manticora, che volò a diversi metri di distanza. 

"Ma come..."

"Grazie, mamma," dissi con un sorriso, ancora sorpresa dal modo in cui aveva agito.

"Gli dei non possono interferire in questo modo, il divino Zeus non lo permette," mormorò Vinny. Poi, forse rendendosi conto che la manticora non sarebbe rimasta a terra per sempre, accantonò l'argomento e mi afferrò per un braccio, scattando verso la direzione presa da Violet. Forse dovrei dire trottando... Ma le capre trottano?

Ad ogni modo scappammo il più velocemente possibile, cercando di aumentare la distanza tra noi e il mostro. Caddi un paio di volte, ma Vinny mi fece rialzare tirandomi per un braccio e intimandomi di non rallentare. Come se mi andasse di diventare la cena di un camionista-leone-scorpione!

Scoprimmo che Violet non era andata molto lontano, perché si era fermata a cinque minuti dalla strada per aspettarci. Corremmo insieme, spingendo la più piccola a rimanere sempre tra noi, così che rischiasse di meno; fu un tacito accordo tra me e Vinny, che mi aiutò a capire quanto mi fidassi di lui, sebbene lo avessi incontrato quello stesso giorno. Non solo, l'arrivo della manticora mi aveva anche convinta della sincerità delle sue parole.

"Quanto manca?" chiese Violet ansimando. Si fermò di scatto, una mano sulla pancia e una sul petto. Respirava pesantemente, rossa in viso. 

"Manca poco, dai. Non fermiamoci ora!" disse Vinny, prendendola in braccio e lanciandomi un'occhiata. 

"Ci sono," lo rassicurai. 

In lontananza si udì un ruggito, ma sembrava più di frustrazione che di caccia, così mi azzardai a guardarmi indietro. 

La manticora si era fermata.

Lo dissi ai miei due compagni e mi piegai, la testa sulle ginocchia. "Uff," sospirai, "dovrei fare più ginnastica."

"Perché si è fermata?!" disse invece Vinny. "Mancano due minuti al limite del Campo e lì saremmo al sicuro, ma... Perché non ci ha provato?"

"Siamo stati fortunati!" rise Violet, felice. 

"È come se temesse qualcosa."

"Satiro, ci stai rovinando la festa!" esclamai. Poi gli sorrisi, presi Violet per mano e insieme camminammo verso la nostra nuova vita.

 

 

"Aspettate qui!" ripetei con una smorfia. "Parlo con Chi... Coso per un attimo!"

Mi voltai verso Violet, seduta su un muretto a fianco a me. Vinny ci aveva lasciate lì più di un mezz'ora prima con la promessa di metterci poco - poco un corno!

Come se l'attesa non bastasse, non c'era una persona, satiro o ninfa che non ci osservasse con curiosità. In particolare un gruppetto di ragazze dall'aria civettuola continuava a ridacchiare, indicando me e i miei capelli, il cui stato non osavo immaginare. Cercai di ignorare quelle oche e mi costrinsi a non degnarle di un'occhiata. Fu a quel punto che lo vidi. 

Era un semplice adolescente; stava al limitare del bosco, appoggiato ad un albero con la pigra indolenza di un gatto sazio, e si godeva la scena, ghignando in modo insopportabile. Che diavolo voleva? Non aveva niente di meglio da fare?

Una ragazza fece una battuta sui miei capelli, la voce abbastanza alta da essere sentita da metà del Campo, e tutto il gruppo scoppiò a ridere, sconosciuto incluso. Probabilmente divenni livida di rabbia, perché mi guardarono e risero più forte.

Basta!

Lo pensai con tutta la mia forza, umiliata e desiderosa di scappare da lì il prima possibile. Ma dove si era cacciato Vinny? 

I miei pensieri si interruppero quando udii il rumore di uno schianto, come qualcosa che si spezza. Alzai immediatamente lo sguardo e vidi lo sconosciuto crollare sotto il peso di un ramo, che cadendo lo aveva preso in pieno. Scoppiai a ridere, mentre le oche che si erano prese gioco di me si alzavano di scatto per aiutare il ragazzo. La prima scivolò sull'erba umida e finì faccia a terra; la seconda e la terza inciamparono in lei e caddero a loro volta. Le mie risate aumentarono e battei le mani, felice come una bambina a Natale, mentre le uniche due rimaste incolumi si voltavano a guardarmi. Pensai che potessero essere spaventate da me, ma entrambe mi sorrisero. 

"Forse ti abbiamo sottovalutata," esordì una, i capelli biondi chiusi in una complicata acconciatura. La sua compagna, dai splendidi ricci rossi e la bocca a forma di cuore, - erano tutte top model, lì?! - mi sorrise incoraggiate. "Chi è il tuo genitore divino?"

Io feci spallucce.

Le due si guardarono, eccitate, e cominciarono a nominare alcuni dei di cui sarei potuta essere figlia. "Ma cosa hai fatto ai capelli?" domandò ad un certo punto la rossa. 

Le altre intanto si erano rialzate e pulite i vestiti; anche il ragazzo si era ripreso, sebbene gli si stesse formando un grosso bernoccolo sul capo, e si spolverava il giubbotto di pelle come se non fosse accaduto nulla. Tutte le giovani - che mi dissero essere figlie di Afrodite - si riunirono attorno a me e così raccontai del "battesimo" all'orfanotrofio, traendo forza da quell'umiliazione. 

Alla fine della spiegazione rimasero a guardarmi in silenzio; persino il ragazzo-insopportabile mi osservava, gli occhi scuri spalancati come se mi stesse rivalutando.

"Ti sistemiamo noi!" esclamò ad un certo punto un'oca - forse avrei dovuto trovare un altro modo per chiamarle... Forse. Non riuscivo a capire perché andassero in giro con tutto l'occorrente per la messa in piega, ma tirarono fuori diverse custodie, un pettine e delle forbici. Dubitavo che potessero peggiorare la situazione, quindi tanto valeva lasciarle fare, no?

"Aspettate!" le fermò Violet. "I suoi capelli sono così belli, le stanno così bene lunghi! Non tagliateglieli!"

E rimanere con un nido in testa? Li preferivo corti, in questo caso.

"Ha ragione," disse rossa-bocca-di-cuore. "E so già cosa possiamo fare."

Poi si voltò verso le sue sorelle e confabulò per un paio di minuti. 

"Violet, con tutto l'amore possibile, non potevi tacere? Mi trasformeranno in... In..."

"Ti renderanno bellissima," sorrise lei. "Anche perché ti manca poco."

Era un complimento?

Le sfiorai la testa con una mano. 

"Allora!" esordì a quel punto una figlia di Afrodite. "Sappiamo che taglio farti! Un'unica domanda, prima di iniziare: se usiamo delle tinte naturali fatte da noi, possiamo colorarti i capelli?"

Dovettero provare a convincermi per più di un quarto d'ora, ma poi ci riuscirono, così si misero all'opera. Speravo solo non uscisse un completo disastro.

 

Era passato meno tempo di quanto pensassi, quando lasciarono che mi alzassi e mi guardassi nello specchio che una di loro mi porgeva.

"Incredibile," mormorai.

Avevano fatto un lavoro eccezionale. Il lato destro della testa, quello malamente tagliato dalle orfane, era stato sistemato in modo che i capelli fossero tutti alla stessa lunghezza, ovvero meno di mezzo centimetro. Il lato sinistro, invece, era stato scalato leggermente, e alcune ciocche erano state tinte di sfumature che andavano dal rosso porpora al viola, in diverse tonalità. Il ciuffo era al naturale, a parte la ciocca più esterna, color prugna.

Violet applaudì, sul volto un sorriso che le andava da un orecchio all'altro. "Sei bellissima!" mi disse. 

Era così che mi sentivo. Magari non ero molto raffinata, ma avevo il mio stile e i capelli mi stavano da dea. 

"Un ultimo tocco," disse una figlia di Afrodite - avrei dovuto rivalutarle. Mi applicò l'eye-liner e il mascara, che fecero risaltare il color ambra degli occhi. Poi squadrò i miei vestiti, ovvero i pantaloni militari, gli anfibi e l'aderente maglietta nera senza maniche. Chissà dove avevo lasciato la felpa.

L'assistente sociale mi aveva lasciato poco tempo per cambiarmi, dopo il funerale, e l'umore del momento non mi aveva facilitata a scegliere abiti più "carini", facendo sì che preferissi indossare qualcosa che mi ricordasse ciò che ero, che mi ricordasse casa. 

"Sei il mio tesoro più prezioso, Kat."

Il viso di mio padre si fece spazio a forza nella mia mente, lasciandomi senza respiro.

"Il mio bravo soldatino."

Inghiottii a vuoto e vidi che Violet mi guardava, così mi sforzai di tornare allegra come prima e le sorrisi. "Grazie," dissi, "grazie a tutte, davvero, avete fatto un lavoro stupendo."

"Ci fa sempre piacere lavorare a nome della bellezza," rispose rossa-bocca-di-cuore. Le sue sorelle annuirono, sorridendo. "Soprattutto con i casi disperati," concluse una biondina, soddisfatta di sé. Questo pose fine alla mia gratitudine, immagino.

 

 

  
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