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Autore: Old Fashioned    09/04/2019    8 recensioni
Inverno del '44, la guerra volge alla fine. Due giovani assi della Luftwaffe si incontrano e sembrano trovarsi come le due metà di platonica memoria. Fra loro nasce immediatamente un'amicizia che presto diventa qualcosa di molto più profondo e intenso.
La guerra però non lascia scampo e i due sono chiamati a combattere un'impari lotta contro gli stormi di bombardieri che si susseguono sulla Germania.
Storia romantica, in cui amore, guerra e morte si intrecciano. Da leggere solo se piace il genere.
Prima classificata al contest Coincidenze perdute, appuntamenti mancati, scelte difficili: Sliding Doors Contest indetto da missredlights e Shilyss sul forum di EFP
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Gente, vi perseguito con i miei mappazzoni. Spero che non vi siate spaventati troppo per il disclaimer, era solo per tenere lontani talebani e zeloti. Come vedete, non è che ci siano contenuti così sulfurei…
In ogni caso, grazie a tutti quelli che sono passati a dare un’occhiata e un ringraziamento particolare a chi mi ha commentato^^






Seconda parte

L’alba rivela le carcasse fumanti di due B-26 poco lontano dal campo, segno che qualche americano ha sottovalutato la contraerea della base.
Una squadra li raggiunge alla ricerca di eventuali feriti bisognosi di cure, un’altra chiude i buchi che le bombe hanno scavato nella pista, quindi l’attività dello stormo riprende come se l’incursione non avesse mai avuto luogo.
La missione consiste nello scortare gli Stuka che attaccano i mezzi corazzati in prima linea, un compito sicuramente poco gradevole per gente abituata agli scontri nel cielo. Più ci si avvicina al suolo, infatti, più la guerra mostra il suo lato spaventoso e crudele.
Lo Stormo decolla.
Gli Junkers 87 procedono in formazione serrata diretti verso il loro obiettivo, ovvero un gruppo di Sherman che sta impegnando in combattimento un reparto delle Waffen-SS.
Ai comandi dei loro caccia, von Kleist e Lützow controllano l’orizzonte con attenzione, gli Stuka rappresentano una preda troppo ghiotta per i Mustang.
Eccoli che sbucano infatti da dietro un banco di nubi, stavolta è il circo al gran completo, saranno almeno una ventina. Sembra che stiano letteralmente fiutando il cielo alla ricerca di prede. Non appena si accorgono dei tedeschi si animano guizzando in tutte le direzioni.
Subito Siegfried si porta in posizione d’attacco seguito da Friedrich: individua il più vicino dei nemici, picchia per prendere velocità, cabra, spara una prima raffica. L'altro scarta, i traccianti lo sfiorano senza colpirlo. Siegfried spara di nuovo, l'americano si rigira brusco, si sposta per prenderlo di coda. A questo punto interviene Friedrich cercando di portarsi a sua volta in coda al caccia che sta minacciando il compagno, ma altri due Mustang stanno arrivando a tutta manetta. Il più avanzato spara una raffica, Friedrich è obbligato a scartare mentre pezzi di rivestimento alare baluginano al sole prima di cadere verso terra. Vira, torna verso la mischia, ma un altro americano gli si butta addosso. Un altro ancora, evidentemente consapevole del ruolo determinante del gregario, lo tiene ulteriormente impegnato.
Siegfried abbatte il suo avversario, ma non fa in tempo a sospirare di sollievo che subito un altro prende il suo posto. Intorno agli Stuka la battaglia è furiosa, i caccia si inseguono con evoluzioni che portano macchine e uomini ai limiti delle loro possibilità. Attraversata da migliaia di traccianti, l’aria stessa sembra farsi rovente.
Per la prima volta da quando fa voli di guerra, Siegfried si trova a combattere per la propria vita. Le pallottole gli mordono più volte il rivestimento delle ali strappandone brandelli, attraversano la fusoliera. Su un angolo del vetro blindato della capottina si allarga una ragnatela di crepe.
“Friedrich!” chiama in frequenza. Disperato lo cerca con lo sguardo e lo vede alle prese con due Mustang.

Friedrich sente il richiamo, prova a sganciarsi, ma ai due americani se ne aggiunge un terzo. Sottoposte a forze immani da manovre al limite delle loro possibilità, le ali del suo caccia gemono a ogni virata. Le lancette degli indicatori sono stabilmente all'estremo destro dei quadranti, l'accelerazione lo inchioda al seggiolino minacciando di farlo svenire da un momento all'altro.
Spara due raffiche, uno degli antagonisti si rovescia e plana verso terra emettendo una scia di fumo nero. Non ha tempo di godersi la vittoria, immediatamente manovra per mettersi in coda del secondo, scartando per non farsi prendere dai traccianti dell'altro, che nel frattempo lo sta raggiungendo con un'ampia virata. Porta la barra tutta in avanti, l'aereo butta il muso in basso, i proiettili del Mustang che ha in coda vanno a crivellare quello che stava inseguendo. Richiama, cabra, dà tutta manetta e il motore ulula fuori giri.
Ha davanti agli occhi Siegfried, attorniato da almeno tre caccia nemici. Lo vede dare fondo a ogni potenzialità del suo aereo per cercare di sfuggire alle raffiche, ma è solo questione di tempo e poi arriverà la manovra imperfetta, quella che lo porterà nel collimatore di uno dei tre P-51 con cui sta combattendo.
Spinge in avanti la manetta già al massimo, individua fra i nemici quello che maggiormente minaccia il compagno e gli si lancia contro, ma nel momento in cui sta per azionare il comando delle mitragliatrici, un altro caccia gli piomba addosso, costringendolo a scartare bruscamente.
Mentre guizza via coi traccianti che gli sfrecciano tutt'intorno, realizza con angoscia di aver mancato il decimo di secondo in cui avrebbe potuto colpire il P-51 che sta incalzando von Kleist più da vicino.
Ha perso l'attimo.
Una raffica ben assestata si pianta nel muso del Messerschmitt di Siegfried, il motore immediatamente prende fuoco e comincia a emettere un fumo nero e denso, l'elica si inchioda.
L’aereo sembra torcersi nell’aria come un animale ferito, poi scivola d’ala ed entra in vite.
“Siegfried!” urla Friedrich nella frequenza radio.

Von Kleist si riscuote in un attimo, si rende conto della situazione. Si attacca ai comandi con tutte le sue forze, l’aereo si stabilizza, ma sta ancora perdendo quota col muso in fiamme e una semiala gravemente danneggiata. La terra si avvicina con agghiacciante velocità. Terra nemica, peraltro, perché il combattimento ha trascinato i tedeschi ben al di là della linea del fronte.
Il giovane si guarda intorno cercando uno spiazzo dove atterrare, la quota è troppo bassa per tentare un salto col paracadute. Sa di non avere molto tempo prima che il radiatore gli scoppi in faccia inondandolo di olio bollente.
Finalmente trova un campo arato. Non è l’ideale ma non ha altra scelta. Tira la cloche cercando di assumere un assetto cabrato e subito dopo con un rumore assordante il Me 109 tocca il suolo. Striscia sulla pancia sfasciandosi completamente, le pale dell’elica si torcono come se fossero di cera, le ali si squarciano.
Infine la carcassa si ferma in un silenzio irreale.
Siegfried apre gli occhi intontito, dolorante ma vivo.
La cosa più importante è uscire prima che la benzina residua prenda fuoco. Febbrilmente si toglie le cinture di sicurezza, si alza nonostante gli faccia male dappertutto, spalanca il tettuccio, quindi si lascia scivolare sull’ala e barcollando si allontana.

“Siegfried!” esclama di nuovo Friedrich cercandolo ansiosamente con lo sguardo. Impegnato in combattimento non ha potuto seguire la planata del compagno, ma ora vede il relitto fumante a terra, e la cosa lo getta nello sgomento. Ti prego, fa che sia vivo.
E finalmente lo vede, una figuretta malferma, dall’andatura incerta. È ferito, pensa con orrore. Sa che è in territorio nemico. Finirà ucciso o prigioniero. Soffrirà.
Analizza il terreno con occhio esperto. Pessimo, terra arata, una fitta macchia di alberi, eppure deve tentare. La sola idea di abbandonare Siegfried al suo destino gli è intollerabile.
Riduce la velocità e tira fuori una tacca di flap.
“Lützow, che sta facendo?” gli chiede Hirschmann via radio.
Friedrich non risponde, quello che sta facendo è abbastanza chiaro: vuole atterrare, raccogliere Siegfried e ripartire prima che arrivino i soldati americani che dall’alto ha visto muoversi in direzione del relitto.
Il maggiore sta ancora parlando, ma Lützow continua caparbiamente la manovra di atterraggio. Individua una striscia di terra dall'aria apparentemente solida, tira fuori il carrello e riduce ancora la velocità. Ha già sganciato la capottina, pronto a far salire von Kleist a bordo il più rapidamente possibile per poi girarsi, ridare motore e ripartire.
Tocca terra con un sobbalzo, apre il tettuccio e si sporge da una parte alla ricerca del compagno, ma in quel momento urta qualcosa al suolo. Una gamba del carrello cede di schianto, il Messerschmitt crolla di lato sollevando zolle di terra nell'impatto dell'elica col terreno.
Il motore si ferma, l'aereo è ormai inservibile. Friedrich ode di nuovo la voce preoccupata di Hirschmann alla radio: “Tenente Lützow, è ferito?”
“No, signore.”
“Von Kleist sta bene?”
“Credo di sì, signore. Sta venendo verso di me.”
Le istruzioni del maggiore seguono rapide e precise: “Siete in territorio nemico, ci sono dei soldati americani che vengono verso di voi, manderò Henning e Möller a fare un paio di bassi passaggi per coprirvi la fuga, ma non possiamo atterrare per recuperarvi, ha visto anche lei che il terreno non lo consente. Cercate di raggiungere le nostre unità a sud-est, sono a pochi chilometri da qui, le avvertirò della vostra presenza appena sarò al campo.”
“Sì, signore.”
“In bocca al lupo, ragazzi.”
“Grazie, signore.”
Friedrich vede i due Me 109 virare in formazione per prepararsi al basso passaggio. Inonderanno di piombo la boscaglia. “Siegfried!” chiama, “Siegfried, presto, mettiti al coperto!”
In quel momento il primo degli americani esce dalla vegetazione, avvista il tenente von Kleist che sta correndo, punta il fucile e spara.
Sotto gli occhi inorriditi di Friedrich, Siegfried sussulta sotto l'impatto della pallottola e crolla a terra.
Un istante dopo, con un rombo assordante arrivano i due caccia a bassa quota, sparando tutto quello che hanno e facendo a pezzi la pattuglia nemica.
Contemporaneamente lo stormo di Junkers 87 così efficacemente protetto giunge sull'obiettivo e comincia le picchiate contro i mezzi corazzati nemici, scatenando un inferno di fuoco. Il fumo delle esplosioni oscura il cielo.
In una caligine venefica, atterrito, frastornato, Friedrich corre verso Siegfried, che giace ancora immobile dove è caduto. Lo afferra per i vestiti e lo trascina via.

Non ha tempo di pensare, si impone di non farlo. Cerca un riparo che riesca in qualche modo a proteggerli da quella spaventosa apocalisse. Al limitare della vegetazione individua un avvallamento del terreno che somiglia in qualche modo a una trincea ed è lì che faticosamente porta il compagno. “Andrà tutto bene, Siegfried,” ansima mentre l'angoscia gli serra il petto, “non preoccuparti, non è niente.”
Si passa la mano sul viso: sangue, lacrime e sporcizia.
“Andrà tutto bene,” ripete disperato, cercando di suonare convincente.
Mette febbrilmente a nudo la sua ferita: la spalla è stata trapassata, si vedono bene i fori d'entrata e di uscita della pallottola. Li copre con i pacchetti di medicazione, augurandosi che risponda a verità quello che ha sempre sentito dire, ovvero che le compresse di garza sono impregnate di una sostanza emostatica.
Il bombardamento frattanto continua. Più di una volta Friedrich deve protendersi sul compagno privo di sensi per proteggerlo dalla terra e dai detriti scagliati in aria dalle esplosioni. A un certo punto crolla addirittura un abete secolare, con un lungo gemito cigolante e un tonfo spaventoso. Le sue fronde coprono il piccolo avvallamento, offrendo ai due un insperato rifugio.
Lützow continua a parlare. “Andrà tutto bene, ne usciremo,” ripete ossessivamente, con la mano inerte di Siegfried stretta fra le sue e le lacrime che gli scorrono libere lungo le guance, “ce la farai, è solo una ferita leggera.”

Passano le ore, gli Stuka se ne sono andati, sulla zona aleggia un silenzio spettrale. Non una voce, non un verso d'animale. Sembra che la guerra – quella guerra orribile che strazia e fa a brandelli, così diversa dalle onorevoli tenzoni su nel cielo – abbia distrutto ogni forma di vita.
Friedrich striscia cautamente fuori dal rifugio, si guarda intorno. Di quello che una volta era un boschetto rigoglioso non rimangono che pochi alberi, tutto il resto è stato abbattuto dalle bombe o dalle manovre dei blindati. I loro due aerei sono masse di lamiera accartocciata, più lontano giace anche uno Junkers 87 senza un'ala e ancora oltre, a circa un chilometro verso est, ci sono dei carri armati distrutti, dai quali si alzano lente colonne di fumo.
Torna accanto al compagno, lo osserva critico. Gli accarezza delicatamente il viso.
Siegfried geme e apre gli occhi. Si guarda intorno smarrito, poi volge lo sguardo verso di lui in una muta richiesta di spiegazioni.
“Dobbiamo andarcene da qui,” gli dice Friedrich per tutta risposta, “ce la fai a camminare?”
“Certo che ce la faccio.” Il volto pallido di Siegfried assume la consueta espressione spavalda, sebbene gli occhi siano lucidi di dolore. “Dammi sono una mano a rimettermi in piedi.”

Escono faticosamente da sotto le frasche, Siegfried si raddrizza con una smorfia. L’altro non dice nulla, qualsiasi considerazione sarebbe superflua. I partigiani hanno l’abitudine di uccidere tutti i piloti della Luftwaffe in cui si imbattono e ci sono pattuglie americane che perlustrano costantemente la zona, quindi l’unica cosa sensata da fare è cercare di raggiungere le truppe tedesche a sud-est.
La luce si è fatta livida, sta per arrivare il crepuscolo.
Friedrich gli rivolge uno sguardo preoccupato e chiede: “Ti fa molto male?”
“Un po'.”
L'altro si sfila dal collo la sciarpa, la annoda fabbricando una benda per aiutarlo a sostenere il braccio ferito. Successivamente si fa passare l’altro intorno alle spalle e i due si incamminano adagio.
Avranno fatto sì e no un chilometro quando Siegfried incespica, e cadrebbe a terra se non ci fosse Friedrich a sostenerlo.
“Scusami,” balbetta con voce incerta. Ha il volto madido di sudore e l’impressione di camminare sull’ovatta. La voce di Friedrich sembra arrivare da lontanissimo: “Tu devi riposare, ora trovo un posto adatto.”
“No, andiamo avanti.”
“Devi riposare” insiste Lützow.
Von Kleist non replica. È talmente esausto che non ne avrebbe la forza. Si limita ad aspettare di essere adagiato da qualche parte per poter finalmente dormire.
L’altro si guarda intorno, poi dice: “C'è qualcosa, sembra il rudere di una casa. Vado a vedere.” Lo aiuta a sedersi ai piedi di un albero.
Con voce debole, Siegfried balbetta: “Sta' attento.”
“Sembra disabitato,” risponde il compagno, cercando di suonare convincente. “Do un'occhiata e torno subito da te.”
Von Kleist rimane immobile, impedendosi di pensare a quello che succederebbe se Friedrich non tornasse. Chiude gli occhi scivolando quasi subito in un torpore pesante come piombo.

L’altro torna dopo poco. Ha trovato un fienile abbandonato. Non più di quattro muri e un tetto fatiscente, ma c’è dentro ancora un po’ di paglia pulita, che servirà a proteggerli dal freddo della notte.
Vi giungono dando fondo alle ultime energie.
Siegfried crolla senza un lamento sull’improvvisato giaciglio. “Solo qualche ora,” riesce a balbettare, “poi ripartiamo.”
Friedrich gli avvicina la borraccia alle labbra, gli fa bere un po’ d’acqua. “Come ti senti?” gli chiede scostandogli un ciuffo ribelle dalla fronte sudata.
“Ho freddo.”
È freddo in effetti, considera preoccupato Lützow, ma von Kleist è debole perché ha perso molto sangue. Avrebbe bisogno di qualcosa di caldo e sostanzioso da mangiare, di un buon letto e soprattutto di cure adeguate.
Sono proprio le cure a preoccuparlo maggiormente. Non ha il coraggio di guardare la ferita, ha già usato tutti i pacchetti di medicazione che possedeva e comunque non potrebbe fare molto di più con i mezzi e le competenze che ha. Molto meglio lasciare tutto com’è e aspettare di trovare un dottore.
Cautamente si sdraia accanto al compagno, se lo tira contro. “Ci scalderemo a vicenda,” gli dice piano.

“Friedrich.”
“Dimmi, Siegfried.”
“Non voglio morire in questo modo.”
“Smettila, tu non morirai.”
“Intendo dire che ho intenzione di morire combattendo, non rintanato qui dentro come una specie di coniglio.”
“Appena possibile ripartiremo, e comunque vorrei che tu evitassi certi discorsi.”
“Perché?”
“È… è disfattismo.”
Tra i due cala il silenzio. Friedrich allunga la mano nel buio e accarezza piano la guancia di Siegfried. La sola idea di perderlo lo riempie di sgomento.
L’altro sospira a quel tocco, e posa la propria mano su quella del compagno. “Però abbiamo volato bene, vero?” sussurra.
“Certo. E voleremo ancora.”
“Non vedo l’ora di farlo. Tu ed io. Sempre insieme.”
“Sempre insieme.”
Dopo il breve scambio, Siegfried si addormenta esausto fra le braccia di Friedrich.

Non è ancora l’alba quando i due si rimettono in marcia, guidati solo dall’ago fosforescente della bussola, dopo essersi divisi una tavoletta di cioccolata alla caffeina che Friedrich aveva in tasca e la poca acqua rimasta nella borraccia.
Siegfried ha la febbre e non riesce più a muovere il braccio. Con ammirevole stoicismo avanza però deciso, senza emettere un lamento.
“Se riusciamo a cavarcela ti invito a casa mia,” annuncia, tentando di assumere il tono di una normale conversazione.
“Ci verrei molto volentieri.”
“Allora lo faccio di sicuro,” replica von Kleist riuscendo persino a sorridere, “in inverno normalmente stiamo vicino a Potsdam, ma la mia famiglia ha una bella tenuta vicino a Mühlenberg, è lì che andiamo d’estate. Sono certo che ti piacerebbe.”
“Davvero?”
“Sì, abbiamo una biblioteca enorme. E poi abbiamo i cavalli, sai, potremmo fare delle galoppate tutti i giorni. Ti piacciono i cavalli?”
“Sì, molto.”
“Anche a me. In scuderia ce n'è uno che sarebbe proprio adatto a te, sai?”
“Davvero?”
Siegfried annuisce. “È il più veloce di tutti, ma fa solo quello che vuole.”
“Allora è come te.”
Von Kleist sorride appena, alza lo sguardo su di lui e risponde: “Ma sono sicuro che con te sarebbe docile come un agnellino.”
Lützow scuote la testa. “Non credo proprio. Non sono così bravo a cavalcare.”
“Sì che lo sei. Sono sicuro che lo sei. E comunque scommetto che farebbe qualsiasi cosa, se gliela chiedessi tu.” Tace per un po’, poi riprende: “Ma se preferisci, possiamo anche starcene a poltrire e basta, senza cavalcate o altro.”
Friedrich fa una lieve risata. “Tu che stai fermo per più di dieci minuti? Non ci credo.”

Attraversano in questo modo campagne desolate, che spesso recano i segni di furiosi combattimenti. I campi sono stati distrutti dai cingoli dei blindati, ovunque ci sono crateri di esplosioni e le poche case intatte hanno porte e finestre sbarrate.
Più si avvicinano alla linea del fronte, più la marcia diventa faticosa e pericolosa.
Hanno smesso di parlare ad alta voce, le pattuglie nemiche potrebbero essere ovunque. Procedono tenendosi a ridosso delle macchie di vegetazione, sfruttando qualsiasi cosa possa offrire loro una copertura.
Friedrich è preoccupato. Siegfried è allo stremo, sta andando avanti per pura forza d’inerzia, e appena si fermerà crollerà definitivamente. Non parla neanche più, il che è un pessimo segno.
Nemmeno le domande sul combattimento aereo ricevono in risposta più di uno stentato monosillabo.
“Vuoi riposarti?” gli chiede.
L’altro scuote caparbiamente la testa.
“Coraggio, tra un po’ ci siamo.”
Nessuna risposta.
Sta ancora valutando il da farsi quando si sentono delle voci in lontananza. Frettolosamente spinge il compagno al coperto e si nasconde a sua volta.
Le voci si fanno più intense, si ode il tramestio di parecchi piedi in movimento. Friedrich scruta fuori dall’improvvisato nascondiglio e vede una pattuglia americana che si sta facendo strada in mezzo alla vegetazione. Sono otto uomini che avanzano tranquillamente parlando e ridendo forte, come se stessero facendo una specie di gita. Lützow si appiattisce al suolo come la volpe all’arrivo dei segugi.
Prega che non si muovano verso di loro. L’uniforme grigio-blu, infatti, così elegante e adatta ai combattimenti nei cieli, è tragicamente inadeguata quando è necessario nascondersi a terra in mezzo alla natura.

Gli americani sono alti, grossi e hanno equipaggiamenti che paiono appena usciti dal magazzino. La stoffa delle uniformi è ancora un po' rigida, il cuoio degli scarponi scricchiola lievemente quando si muovono. Passeggiano lì intorno per un po’, uno urina contro un albero, uno fuma addirittura una sigaretta e l’odore forte del tabacco si diffonde ovunque, coprendo quello della terra bagnata e degli aghi di abete. Conversano fra loro, Friedrich riesce anche a comprendere qualche parola. Si volta verso Siegfried e gli fa cenno di tacere, ma il compagno ha già capito la situazione ed è rannicchiato immobile sotto un cespuglio.
Passa un tempo che ai due pare infinito, la pattuglia non accenna a spostarsi. Lützow fa scivolare la mano verso la fondina della pistola. Che probabilità di riuscita avrebbe se saltasse su all’improvviso e li abbattesse sfruttando l’effetto sorpresa?
Abbandona subito l’idea. Farebbe fuori i primi due, forse, poi gli altri ammazzerebbero lui e catturerebbero Siegfried.
Nonostante l’angoscia mortale che gli serra il petto, si costringe a conservare il sangue freddo e la lucidità, esattamente come è abituato a fare durante le battaglie aeree.
Finalmente gli americani sembrano intenzionati ad abbandonare la zona. Dopo essersi scambiati qualche altra battuta raccolgono le loro cose, imbracciano i fucili e si apprestano a partire.
Siegfried, intorpidito dalla lunga immobilità, è pallido di dolore. Ha assunto nella fretta di nascondersi una posizione in cui la spalla ferita gli fa male e naturalmente non ha potuto modificarla fintantoché la pattuglia nemica è rimasta nella zona. Appena si ristabilisce un approssimativo silenzio, si sposta rotolando fuori dal suo rifugio. Friedrich cerca di fermarlo, ma è troppo tardi. L'ultimo degli americani sente il fruscio delle foglie e si volta indietro, trovandosi in questo modo faccia a faccia con un pilota della Luftwaffe ferito.
Friedrich soffoca un'imprecazione maledicendo l'impulsività del compagno, ma l'americano ha già puntato il fucile contro Siegfried, che non ha altra scelta se non alzare la mano che è ancora in grado di muovere.
Nell'attimo di immobilità che segue, Lützow valuta se non sia il caso di sparare all'americano che sta minacciando Siegfried e poi darsi con lui alla fuga, ma abbandona rapidamente l'idea. Quanto potrebbe correre il suo compagno nelle condizioni in cui si trova? No, non c'è altra scelta che abbassare le armi e arrendersi.
Alla sua comparsa, von Kleist si volta bruscamente verso di lui, sbianca e atteggia le labbra a un muto 'no'. Per la prima volta da quando lo conosce, Friedrich coglie lo sgomento nel suo sguardo. Sta per dirgli qualcosa quando l'americano, evidentemente impensierito da quei movimenti, afferra il fucile per la canna e colpisce Siegfried col calcio, facendolo cadere in ginocchio con un lamento.
Vedere quello e lanciarsi in avanti per Friedrich è tutt'uno. Balza addosso al soldato, lo rovescia a terra. Solleva la destra chiusa a pugno per colpirlo, ma in quel momento arrivano gli altri. Qualcuno lo afferra, lo strappa all'indietro, gli piovono addosso colpi. Si sente un vociare rabbioso.
Friedrich stringe i denti quando il calcio di un fucile gli si abbatte sul costato, si rigira, si rialza a metà e cerca con lo sguardo il compagno, pronto a difenderlo da altre percosse. Lo vede in piedi, tenuto per il braccio sano e per la collottola da un paio di soldati. Uno dei due ghermisce la sua croce di ferro di prima classe, gliela strappa via e se la mette in tasca.
“Siegfried!” urla Friedrich, ma un colpo sulla schiena lo fa crollare in avanti.
A quel punto echeggia un ordine e i soldati si immobilizzano.
Ancora ansante per la colluttazione, Lützow si rialza adagio e vede avvicinarsi un graduato. Questi dice qualcosa in tono duro, uno dei soldati risponde con l'atteggiamento di chi sta dando spiegazioni. Indica alternativamente lui e von Kleist, ma parla così in fretta che Friedrich non riesce a capire quasi nulla.
Poi le cose sembrano calmarsi. Gli americani parlamentano un po' fra di loro, qualcuno gli dice qualcosa in tono brusco, prima in inglese e poi in un tedesco talmente appesantito dall'accento da risultare quasi inintelligibile: “Non muoverti,” o qualcosa del genere. Di nuovo, Friedrich non è ben sicuro di aver capito. Si lascia comunque docilmente portare via la pistola e qualsiasi altro oggetto essi ritengano pericoloso o interessante: l'importante è che non facciano del male a Siegfried.
Cerca di far capire che il suo compagno è ferito e ha bisogno di cure, ma gli americani sembrano essersene resi conto, tant'è che gli offrono acqua, un po' di whisky e anche qualcosa da mangiare.
Lützow cerca di non farsi prendere dalla disperazione. Ora finirà prigioniero, probabilmente non potrà più combattere. Lungi dal comunicargli una sensazione di sollievo, la cosa lo getta in un cupo sgomento. Non potrà più difendere la sua Patria dalle orde subentranti di bombardieri nemici, dovrà rassegnarsi ad aspettare quietamente la fine della guerra in qualche campo chissà dove. Se vinceranno, sua sarà l'amarezza di non aver contribuito alla vittoria. Ma se perdessero dovrà vivere per sempre con la vergogna di non aver fatto tutto il possibile per evitare che ciò accadesse.
E Siegfried? Una creatura del cielo, nata per combattere, che sembra nutrirsi solo dei più puri ideali. Anche lui dovrà finire la guerra in un'odiosa gabbia?
Quasi rimpiange di non aver dato seguito all'idea di uscire con la pistola in pugno e abbattere più americani possibile prima di venire ucciso.
Una spinta dietro le spalle interrompe il corso dei suoi pensieri. Qualcuno gli ordina di camminare e la piccola colonna si rimette in marcia.
Vorrebbe parlare a Siegfried, dirgli qualcosa per risollevarlo, ma gli americani sono sospettosi e gli impediscono di comunicare con lui. Lützow rinuncia. Non saprebbe spiegare in inglese quello che intende dire, e se lo spiegasse in tedesco non capirebbero. E forse certe cose non le capirebbero neanche in inglese.

Stanno camminando da un po' quando a Friedrich sembra di cogliere dei movimenti nel fitto degli alberi.
Si guarda bene dal far trapelare qualsiasi cosa, ma cerca con gli occhi Siegfried, pronto ad afferrarlo e portarlo al coperto se mai se ne presentasse l'occasione.
Se effettivamente c'è gente che li sta seguendo, ragiona, non possono essere americani, altrimenti avrebbero già dato segno della loro presenza. I partigiani francesi non starebbero mai così vicino alla linea del fronte, troppo pericoloso per loro. Considerano assai più sicuro sparare alla schiena rimanendo ben nascosti nelle retrovie.
Non osa sperarlo, ma tutto lascia pensare che ci siano dei tedeschi sulle loro tracce.
Si volta di nuovo verso Siegfried, uno degli americani gli dice qualcosa, ma un secondo dopo una raffica di mitra lacera il silenzio.
Un soldato cade. Gli altri imbracciano le armi, si buttano al coperto dove capita. Il graduato sbraita un ordine, che viene coperto dal crepitare degli spari.
Approfittando della confusione, Friedrich afferra il compagno per il braccio sano e salta con lui in una macchia di vegetazione più folta. Qualcosa lo colpisce al fianco provocandogli una fitta lancinante, ma stringe i denti costringendosi ad ignorare il dolore.
“Come stai, Siegfried?” chiede per prima cosa.
“Ora bene, e tu?”
“Bene anche io.”
Lützow vede passare una mimetica tedesca, ode un tramestio concitato, altri spari. Di nuovo c'è il tonfo di un corpo che cade, poi ordini che finalmente riesce a comprendere. Lancia un'occhiata a Siegfried e il suo sguardo, pur esausto e febbricitante, gli rimanda lo stesso messaggio di speranza.
Rimpiangendo di essere disarmati, i due restano appiattiti sotto un cespuglio in attesa dello svolgersi degli eventi.

Quando tutto è finito, Friedrich esce lentamente dall'improvvisato rifugio. Si guarda intorno e si trova davanti una pattuglia di Waffen-SS. Le loro mimetiche sono sdrucite, non portano decorazioni visibili, ma danno l'idea di essere combattenti esperti.
Si fa avanti un capitano alto, dalle spalle larghe, che lo fissa serio e poi aggrotta le sopracciglia.
“Sono il tenente Friedrich Lützow,” dice allora il pilota, “e con me c'è il tenente Siegfried von Kleist.”
“Capitano Karl Strasser,” si presenta l'altro a sua volta. “Siete per caso i due dispersi dello stormo di Hirschmann?”
“Sì, siamo noi. Prego, il mio collega è ferito, ha urgente bisogno di cure.”
“Anche lei è ferito, tenente.”
“Cosa?”
“Al fianco.”
Friedrich appoggia la mano dove un attimo prima aveva sentito la fitta lancinante e la ritira coperta di sangue.
“Stia fermo, sembrerebbe piuttosto grave,” aggiunge il capitano Strasser.
“Un momento...” dice Lützow faticosamente. Di colpo parlare gli costa uno sforzo enorme. “Un momento, prima lui... è più grave...”
Si gira per cercare con gli occhi il compagno, ma anche quel semplice movimento lo fa barcollare.
L'ultima cosa che vede è un angolo di cielo grigiastro, che si offre ai suoi occhi mentre sta crollando all'indietro, poi tutto si fa nero.




   
 
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