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Autore: Enchalott    10/04/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Flash back
 
Stelio fissava la luna brillante, eternamente perfetta, ammantata nell’alone soave che scintillava sulla fresca notte del deserto.
Le nubi scure all’orizzonte, minacciose e gonfie di elettricità, erano rimaste lontane dalla distesa multiforme delle dune; poi si erano dissolte e solo l’aria insolitamente umida della sera aveva fornito un indizio sul fatto che, in qualche luogo remoto del suo regno, fosse straordinariamente piovuto.
Ripensò all’occasione in cui aveva assistito per la prima volta a quel fenomeno così infrequente e prezioso per Elestorya. Indimenticabile, ma per ben altri motivi.
 
Era stato un gioco reciproco di sguardi quello tra lui ed Eudiya, durato per tutta la sua permanenza presso le tende ospitali dei Thaisa.
Aveva iniziato a considerare l’effettiva esistenza del colpo di fulmine, intuendo i medesimi sentimenti appassionati negli occhi scuri della ragazza, che lì lo aveva condotto. Era certo che, se non fosse stato presente il severo Zheule, le loro parole e le loro azioni, probabilmente sarebbero andate oltre la pura formalità.
Ma, forse, non era già successo? Quando Eudiya era salita in groppa al suo destriero, il loro prolungato contatto gli aveva provocato ben più di un brivido e le trasparenze delle vesti tradizionali che lei aveva indossato in pieno giorno erano state volutamente studiate per farsi ammirare da lui.
Il sole era già basso all’orizzonte e le ombre violette della rada vegetazione si erano proiettate, allungate sulla sabbia infuocata del tramonto, quando si era congedato.
“Non posso esprimere a parole tutta la riconoscenza che provo per la vostra visita, mio signore” aveva dichiarato il portavoce della tribù, inchinandosi ossequiosamente davanti a Stelio “E neppure il rammarico, per non avervi potuto accogliere con il decoro che vi è dovuto”.
“Non ditelo neppure, bailye” aveva replicato il principe, sorridendo “Nessuno mi ha mai fatto sentire un ospite tanto gradito. Se le incombenze legate alla mia carica non mi richiamassero con tanta urgenza, sicuramente approfitterei più a lungo della vostra deliziosa cortesia”.
Zheule aveva fatto un gesto con le mani, schermendosi per essere stato nuovamente chiamato con l’onorifico dal reggente del Sud in persona.
Mentre i due uomini si accomiatavano, era ricomparsa Eudiya, conducendo lo strik galeotto sul polso, come se fosse stato suo da sempre. Azhulio si era lisciato le penne bluastre con l’acuminato rostro arancio e aveva osservato il saluto degli umani con i lucidi occhi argentei.
“Vogliamo tornare a casa?” aveva domandato Stelio e il rapace aveva emesso un verso breve e gracchiante, volando da lui.
La ragazza nomade aveva sorriso, schermandosi la bocca con la mano, per non far inquietare ulteriormente il padre, che già la osservava con disapprovazione.
“Che cos’ha detto?” aveva chiesto il giovane, incuriosito.
“Che è pronto!” aveva tradotto lei.
Stelio aveva accolto sul braccio guantato il volatile e aveva scosso la testa, divertito.
“Non vi credo…” aveva ribattuto immediatamente.
Lei aveva abbassato le lunghe ciglia, con sagace timidezza, ma non si era corretta, lasciandolo intenzionalmente nel dubbio.
“Ah, che cosa devo fare con questa figlia così spudorata?” aveva sospirato il capotribù “Eudiya! Rendi omaggio al sovrano e fila subito a casa!”
La giovane aveva eseguito una perfetta riverenza, avendo cura di esibire quanto bastava del prorompente contenuto della profonda scollatura dell’abito color indaco e poi aveva allungato le dita per regalare un’ultima carezza allo strik.
Stelio era avvampato, ma si era sforzato di rimanere impassibile.
“Venite a trovarci a corte al più presto” aveva detto, gettando un’occhiata grata ad Azhulio “Sono certo che sentirà la vostra mancanza”.
“Ed io patirò la sua…” aveva rimandato lei, indirizzandogli uno sguardo inequivocabile.
Non c’era stato bisogno di ulteriori convenevoli.
Stelio si era allontanato al trotto dal cerchio di tende, mentre tutti i Thaisa si erano inginocchiati, come quando era giunto inaspettato al loro campo.
 
Non aveva dovuto attendere che una decina di giorni: il tempo a lei necessario per eludere la sorveglianza e i sospetti del povero Zheule.
Il principe non aveva quasi creduto alle proprie orecchie, quando gli avevano annunciato che una fanciulla dei Thaisa era giunta a palazzo da sola, montando a pelo un baio selvaggio e affermando di essere attesa con urgenza dal reggente.
Le guardie non le avevano dato credito, soprattutto perché la giovane aveva mostrato di possedere una gran faccia di bronzo, e si erano prese del tempo per capire chi fosse: tuttavia, erano rimaste a bocca aperta quando lei aveva emesso un lungo fischio e lo strik del principe era piovuto dall’alto come un proiettile, andando ad appollaiarsi sul suo braccio teso, per poi strofinarsi le penne sul suo collo abbronzato.
Stelio aveva ordinato a un suo fido intendente di prendere nota dei punti principali della noiosissima riunione in corso e di stilare un documento, del quale avrebbe preso successiva visione; poi si era fiondato nella sala delle udienze, dove lei era stata fatta accomodare, sorvegliata dal capitano della Guardia in persona.
L’uomo si era inchinato al reggente, che lo aveva licenziato con un rapido gesto.
Eudiya, nel vederlo, si era alzata in piedi e gli aveva spedito un sorriso radioso, mentre la lunga gonna arancio vivo, divisa dagli spacchi azzardati atti a cavalcare, le era ricaduta sulle gambe snelle.
“Spero di non aver scombussolato troppo la vostra giornata…” aveva riso.
Lui aveva faticato a ritrovare la favella nel rivederla: in effetti, non era stato il suo elenco impegni ad essere stato mandato all’aria dalla visita della bella Thaisa, ma il suo cuore.
“No, anzi…” aveva ribattuto “Mi avete salvato dalla monotonia!”
Lei lo aveva fissato, allegra e compiaciuta, avvicinandoglisi come un felino della sabbia, mentre i campanelli che portava legati alla caviglia tintinnavano ad ogni passo.
“Pensate che sarebbe sconveniente, se vi abbracciassi in segno di saluto?”
“Molto sconveniente” aveva affermato Stelio argutamente “Perciò fatelo subito”.
La ragazza non se l’era fatto ripetere. Le sue braccia si erano allacciate morbidamente al collo del reggente, che aveva ricambiato la stretta, cingendole la vita sottile, frastornato dalle pulsazioni furibonde che avvertiva nel petto.
Poi, lei gli aveva inoltrato le dita tra i capelli castani e lui aveva pensato di essere sul punto di esplodere; le sue mani di giovane uomo avevano percorso la schiena di lei, avvolta in sottili fasce di seta e l’abbraccio si era serrato ulteriormente, incollandoli l’uno all’altra per un tempo interminabile.
Stelio si era riavuto per primo, pensando che, se fosse sopraggiunto qualche zelante funzionario o servitore in quel frangente, la situazione sarebbe stata certamente poco giustificabile e, soprattutto, oggetto di fastidiosi pettegolezzi.
“V-venite…” aveva sussurrato all’orecchio della ragazza, prendendole la mano.
 
Era uscito dal corpo principale del palazzo, passando per una via secondaria poco percorsa, e aveva raggiunto il suo cavallo nella stalla riservata.
Il lucido quadrupede aveva nitrito, avendo riconosciuto entrambi, e si era lasciato grattare il muso snello e rosato dalla giovane donna.
“Dove mi portate?” aveva domandato lei, osservandolo sellare abilmente il destriero, ammirata dai suoi movimenti e dalla sua prestanza.
“In un luogo dove riusciremo finalmente a parlare, credo…”
Eudiya aveva sorriso, maliziosa.
Il principe si era slegato il prezioso mantello color tortora e l’aveva appoggiato sul recinto, indossando un’anonima cappa, abbandonata sulla staccionata da uno degli stallieri; poi si era slacciato la fascia dorata che portava sulla fronte e aveva scompigliato i riccioli scuri, che gli erano piovuti sul viso, mettendo ancora più in risalto gli occhi verde intenso.
La ragazza lo aveva fissato, affascinata, senza curarsi di celare i propri pensieri in totale tumulto.
“Riconosceranno il cavallo” aveva congetturato poi, intuendo il piano.
“Sì, ma non sono l’unico a montare Sideris” aveva risposto lui, accarezzando il collo flessuoso del possente animale “Quando, purtroppo, non ho tempo di uscire neppure per una passeggiata, do ordine che almeno il mio purosangue si possa sgranchire le zampe. Non è giusto che se ne stia confinato qui a causa dei miei impegni. Perciò nessuno farà caso a chi lo sta portando fuori oggi”.
“Neppure se in sella siamo in due?” aveva rimandato lei.
Stelio aveva inarcato un sopracciglio, meditabondo. Poi si era messo a ridacchiare.
“Beh, al massimo mi verranno a riferire che un incauto palafreniere ha usato il mio cavallo per portare in giro la fidanzata. Io, chiaramente, mi indignerò ed esonererò con ignominia il reo dai suoi compiti… così potrà tornare a fare il reggente!”
Eudiya aveva riso di gusto. Poi gli si era ancora avvicinata e aveva afferrato un lembo dell’ampia palandrana da lavoro.
“Ho anche un’altra idea, se non vi dispiace…”
Il principe era salito agilmente in arcione e la ragazza lo aveva imitato, accomodandosi davanti a lui, come la volta precedente: poi si era nascosta sotto la cappa, agganciandosi al suo corpo, per essere il meno possibile visibile.
Stelio aveva percepito il sangue andargli alla testa per quell’ulteriore contatto, aveva irrigidito i muscoli e aveva dato di sprone con un po’ troppa energia: Sideris era scattato in avanti con un’impennata poderosa, schizzando fuori dalla stalla come un fulmine, evitando per un pelo gli stallieri che stavano trasportando la paglia pulita nelle scuderie.
Il corsiero aveva continuato a galoppare a briglia sciolta, annunciato dallo scalpiccio sonoro degli zoccoli ferrati e inseguito dalle imprecazioni di chi incrociava pericolosamente la sua strada, mentre Eudiya si era aggrappata saldamente al reggente per non cadere durante la folle corsa.
Erano giunti in vista delle porte e l’animale aveva aumentato l’andatura elastica, avendo identificato in quello spiraglio la libertà agognata e l’aria aperta.
Le sentinelle si erano spostate, senza neppure dare l’alt, avendo riconosciuto lo stemma di Elestorya sui preziosi finimenti, ma una di loro era immediatamente andata a riferire al suo superiore che il cavallo del reggente era stato costretto a volare da qualche stupido garzone alle prime armi.
Quando le guglie eleganti di Erinna erano sparite dalla loro visuale, Stelio aveva tirato le redini, facendo rallentare il focoso quadrupede, che aveva sbuffato dalle froge, soddisfatto dalla galoppata estemporanea.
Si erano liberati dal mantello improvvisato e Eudiya aveva sollevato lo sguardo al cielo, indicandogli i nembi bianchissimi e mutevoli al confine con l’orizzonte.
“Pioverà” aveva commentato, osservando il volo radente degli uccelli e ascoltando il loro cinguettio più acuto dell’ordinario.
“Sono giunto al punto di non domandare più come fate a saperlo…” aveva borbottato il reggente, piccato “Quando vi degnate di soddisfare la mia curiosità, ho sempre l’impressione che mi stiate prendendo in giro!”.
“Oh, non dite così…”
“Azhulio…” aveva ripreso lui, più serio di prima “Ora potete farmi sapere le sue opinioni senza che altri le ascolti?”.
La ragazza aveva abbassato le ciglia, stranamente intimidita. O forse era stata semplicemente un’altra tattica per farlo uscire di senno per lei.
“Il vostro strik non voleva che voi partiste tanto in fretta. Ha detto che separarci così era una cosa molto stupida”.
Il principe aveva fatto fermare il cavallo sul limitare di una radura ed era smontato, trattenendo saldamente le redini, senza parlare.
Il sole era sparito di colpo dietro agli spessi vapori condensati e insorgenti, trasformando repentinamente il paesaggio, che appariva quasi lunare con le dune chiare in lontananza.
Una goccia d’acqua era rimbalzata sulla spalla di Eudiya, scivolando giù e disegnandone il profilo armonioso.
“Non vi siete burlata di me, dunque…” aveva affermato Stelio, osservando il liquido trasparente tracciare una scia brillante sulla pelle abbronzata della Thaisa.
“Mai” aveva risposto lei, scrutando gli occhi verdi rannuvolati del giovane, senza capire se la sua fosse stata un’allusione alle previsioni meteo di poco prima o, invece, a tutto ciò che si erano detti… o non detti da quando si erano incontrati.
Ma lui era rimasto ulteriormente in silenzio, così la ragazza aveva proseguito.
“Sono venuta da voi perché ritengo che Azhulio avesse piena ragione. Non solo perché mi avete invitata”.
“Già…” aveva sussurrato il reggente “Perdonatemi, se io ora…”
L’aveva improvvisamente sollevata dalla sella con le braccia forti e l’aveva tratta a sé, in un abbraccio che lei non aveva respinto.
“Avrei dovuto chiedere a vostro padre di lasciarvi venire con me! Ma ho preferito essere dilaniato dalla mancanza di voi, piuttosto che passare per un uomo che fa valere il suo rango sul prossimo!”
“Allora sarei dovuta fuggire prima!”
Stelio si era piegato sul suo viso e l’aveva baciata con trasporto. Eudiya aveva schiuso le labbra e aveva restituito quel contatto appassionato, mentre la pioggia era aumentata d’intensità.
Si erano separati solo quando avevano percepito i vestiti totalmente fradici e appesantiti dall’acqua sulla pelle e i tuoni roboanti sopra di loro. Un fulmine aveva squarciato il cielo, facendoli sussultare e innervosendo il cavallo.
Il reggente aveva spronato Sideris, cingendola forte in arcione, in cerca di un riparo, mentre la strada era diventata un torrente di fango.
“C’è un podere poco distante” aveva gridato lui, sovrastando lo scroscio battente e il tramestio del temporale “Andremo laggiù. Appartiene a uno dei miei consiglieri, ma temo che sia abbandonato da tempo, non so in che condizioni si trovi”.
“Se ci siete voi, sarà come la reggia…” aveva risposto Eudiya, dolcemente.
Il principe aveva sorriso, abbassandosi verso la treccia zuppa e scarmigliata di lei.
“Possiamo anche fare a meno del voi, non credi?” aveva mormorato.
 
Come aveva presunto Stelio, la casupola era abbandonata, ma fortunatamente il tetto era in buone condizioni e l’interno era rimasto asciutto.
Erano entrati velocemente, chiudendo la porta alle loro spalle, mentre ai loro piedi si erano formate subito due piccole pozze bagnate.
“Non ho mai visto piovere…” aveva dichiarato Eudiya, guardandolo con occhi ardenti nella penombra della stanza.
C’era odore di legno e paglia, sentore di pioggia e di fiori bagnati.
“Io ero troppo piccolo per ricordare” aveva risposto lui “Ma vedrai che non durerà molto. Dobbiamo fare in modo di asciugarci: la temperatura cala drasticamente in questi frangenti, a quanto ne so”.
La ragazza aveva indicato il camino. Nel focolare erano sistemati alcuni ciocchi e, fortunatamente, la scorta di legna da ardere era buona.
“Sono abituata alla notte fredda del deserto” aveva detto lei, dirigendosi con sicurezza verso i ceppi impilati con cura.
“Sì, ma di solito non sei intrisa fino al midollo”.
Lei si era scostata dalla fronte i capelli appiccicati e gocciolanti e aveva congiunto sopra la legna i polsi, adornati di due bracciali gemelli. Aveva sfregato un paio di volte tra loro le gemme opalescenti incastonate nel metallo ramato e da esse era sprizzata una scintilla, che aveva innescato la fiamma.
L’ambiente si era illuminato di colori aranciati via via che la vampa aveva attecchito. Un filo di fumo azzurrino si era levato verso l’alto, risucchiato dal tiraggio perfetto.
“Non finisci mai di stupirmi…” aveva esclamato Stelio, spalancando gli occhi.
“Sono pietre focaie” aveva spiegato la Thaisa con un sorriso, mostrando i monili “Un regalo di mia madre. Per noi che viaggiamo spesso, il fuoco è molto prezioso”.
Stelio l’aveva osservata con uno sguardo vibrante alla luce ondulata del camino, forzandosi a scacciare i pensieri che gli stavano attraversando la mente.
Il fuoco aveva cominciato a scoppiettare ritmicamente.
“Devo sistemare Sideris” aveva mormorato lui con voce incerta “Farò subito, intanto tu cerca di asciugarti il più possibile”.
Era uscito rapidamente e l’aria frizzante di pioggia gli aveva raffreddato i sensi. Aveva condotto il destriero nella piccola stalla e lo aveva strigliato per liberarlo dal fango, lasciandolo poi coperto e con un po’ di cibo.
Quando era rientrato, non aveva notato che l’ambiente si era riscaldato e neppure che lei aveva acceso una panciuta lampada ad olio e meno che mai che era riuscita a scovare dei teli puliti da chissà dove.
Era semplicemente rimasto senza fiato.
Eudiya aveva sciolto la lunga chioma scura sulla schiena nuda e le fiamme si riverberavano sulla sua pelle ambrata. Non aveva lasciato quasi nulla all’immaginazione, avvolta soltanto in un sottile drappo di lino bianco.
Gli si era avvicinata e aveva iniziato ad asciugargli il viso e i capelli, sollevandosi sulle punte dei piedi. Era minuta e non molto alta, ma le sue curve e il suo profumo gli avevano fatto girare la testa.  Il principe non era riuscito a muovere un dito, mentre lei gli aveva slacciato la casacca fradicia: il calore del suo corpo così prossimo lo aveva investito, costringendolo a fare forza a se stesso.
“Devo ricordarti che sono un uomo e che non sono fatto di roccia…” aveva sussurrato, afferrandole il braccio per impedirle di andare oltre.
“Lo vedo” aveva replicato lei, passandogli il telo sul petto “La cosa non mi offende”.
“Eudiya…”
La ragazza si era fermata, con un sospiro che aveva palesato le sue emozioni.
“Dimmi che non mi vuoi, Stelio…”
“Ti voglio, invece. E questa situazione mi sta portando fuori dal rispetto che ti devo”.
“Se anch’io ti desidero allo stesso modo, nessuno di noi mancherà di rispetto all’altro. Perciò abbracciami, ti prego… Perché non posso stare senza di te”.
La mano appoggiata a sfiorarlo gli aveva inflitto il colpo di grazia. L’aveva sollevata tra le braccia, cercando la sua bocca e tutto il resto aveva perso d’importanza in quella sera di pioggia straordinaria.
Ricordava la luce altalenante delle fiamme su di loro e il vento che scuoteva le finestre e il suo corpo rovente e le dita strette tra le sue…
 
Stelio si osservò i polsi, sui quali splendevano due bracciali identici a quelli che sua moglie portava quel lontano giorno di ventisette anni prima.
Lei lo attendeva, oltre il deserto.
La conosceva bene, non se ne sarebbe stata seduta ad aspettare il suo rientro e neppure a pendere dalle inesplicabili decisioni degli Aethalas. Se era vero che Varsya aveva inviato uno strik ad Erinna per far avere sue notizie, gli era altrettanto chiaro che Eudiya avrebbe risposto per le rime.
Sperava che la regina non mobilitasse l’esercito, almeno finché restava viva la speranza di risolvere pacificamente la questione. Nessuno di loro era un traditore e presto i Guardiani del Mare ne avrebbero avuto le prove.
“Mio signore…”
Una voce rispettosa alle sue spalle lo distolse.
“Kendeas…”
Il suo generale aveva un’espressione preoccupata e sembrava sulle spine. Il fodero privo della spada gli pendeva inerte dal fianco sinistro, simbolo della loro totale impotenza in quella situazione di cordiale, ossimorica prigionia.
“Ho udito parlare tra loro alcuni uomini poco fa. Non sono riuscito ad ascoltare tutto il discorso, perché sono entrati nel padiglione di Varsya, ma…”
Il reggente non poté fare a meno di ammirare l’uomo tenace che da anni lo affiancava. Anche con le mani legate, Kendeas aveva continuato a svolgere il proprio lavoro: carpire informazioni era essenziale e lui era riuscito probabilmente a scoprire qualcosa di importante. O di grave, a giudicare dalla sua faccia scura.
“Ho scorto un strik in volo. Notizie da Erinna, direi…” azzardò il reggente.
L’ufficiale si inchinò, annuendo con rammarico.
“Mi dispiace, mio principe, ma non sono buone”.
Stelio si levò in piedi e una profonda ruga gli si incuneò tra le sopracciglia brune.
“Parla!”
“Vostro figlio Shion è sparito. La regina ha dato ordine di cercarlo, ma senza esito”.
“Maledizione… È successo qualcosa, vero? Kendeas, non farti strappare le parole dalle labbra, per tutte le stelle!”
“Sì…” esalò il comandante, irrigidendosi “Qualcuno ha tentato di avvelenare la principessa Dionissa e il principe si è messo sulle sue tracce, ma…”
“Mia figlia?! È viva?” esclamò Stelio, accalorandosi per l’ira.
“Sono desolato, sire, ma non lo so…”.
L’espressione del suo braccio destro era di totale comprensione. Ma vi si leggevano anche rabbia e desiderio di rivalsa.
Stelio imprecò a bassa voce e si avviò deciso verso il centro dell’accampamento degli Aethalas, dirigendosi a tutta forza alla tenda del portavoce della tribù.
Una delle guardie abbassò la lunga asta, per parargli l’accesso.
“Oh-oh, non credo proprio!” ringhiò il principe, spostando rapidamente l’arma con il piede “Tu non mi impedirai di entrare qui dentro!”
L’uomo fece nuovamente cenno di ostacolarlo, ma il reggente strinse il pugno destro e lo abbatté sulla tempia del malcapitato, che crollò a terra senza un lamento.
Un secondo custode venne avanti per fermare l’ospite inopportuno, ma Kendeas raccolse dalla sabbia la picca abbandonata dal primo e ingaggiò con lui una serie di mosse abili e veloci.
Il rumore dello scontro iniziò ad attirare altre persone, compreso Varsya, che uscì dal tendone colorato, guardandosi intorno sorpreso.
Stelio gli volò addosso come una furia, afferrandolo per la preziosa stoffa della tunica e scrollandolo per il bavero.
“Quale spiegazione intendi darmi, Varsya!?” tuonò “Che cosa avete fatto a mia figlia?! E dov’è Shion!? Rispondimi o ti spezzo il collo con le mie mani!”
“Abbassate gli archi!” ordinò con voce rauca il portavoce della tribù ai combattenti del deserto, che erano accorsi in sua difesa con le frecce incoccate.
Poi si volse al reggente, con uno sguardo costernato e imbarazzato.
“Credetemi, maestà, noi non siamo i responsabili. Lo giuro sulla mia vita. Non sono stato io a ordinare di fare del male alla principessa. Lei è viva, grazie ad Amathira…”
Stelio allentò la presa, esalando il fiato con sollievo.
“Ho appreso la notizia poco fa e mi sono chiesto se ci fosse un traditore proprio tra i miei” continuò l’Aethalas “In tal caso, l’avrei fatto decapitare davanti a voi, solo per aver osato avvicinare una sacerdotessa Kalah! Ma nessuno sa che cosa sia successo. Mi scuso per non avervi subito informato, ma sono rimasto sgomento quanto voi…”
“Mio figlio?” domandò il reggente, tagliente.
Varsya scosse la testa, amareggiato.
“Scomparso. Non per opera nostra, vi assicuro…”
Il reggente era una maschera di rabbia.
I due uomini si fissarono duramente per un istante, senza parlare.
“C’è una cosa che, invece, mi è chiara” continuò poi il capotribù “Qualcuno sta cercando di far ricadere la colpa su di noi, per scatenare una faida. Non posso permetterlo. Vi garantisco che scoprirò di chi si tratta o ne andrà del mio onore”.
“Qui l’onore non c’entra nulla!” esclamò il principe “La mia famiglia è in pericolo! Devi immediatamente lasciarmi tornare ad Erinna, Varsya!”
“Anche questo non posso permetterlo, sono spiacente” rispose questi “Ma concordo con la vostra preoccupazione e con la vostra collera. Perciò manderò alla capitale mia figlia, Phylana, affinché non perda di vista né la principessa né vostra moglie”.
Stelio lo fissò con gli occhi socchiusi.
“Lascia libero Kendeas, allora. Eudiya non crederà a nessuno di voi, meno che mai a tua figlia. La sbatterà ai ferri senza neppure ascoltarla. Sarà una garanzia per entrambe le parti”.
“Ma mio signore…” protestò debolmente il fido generale.
Il reggente lo zittì con un gesto della mano.
“Che mi rispondi, Varsya?”
L’uomo soppesò la proposta e poi annuì, convinto.
“Sono d’accordo” replicò.
   
 
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