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Autore: Spoocky    11/04/2019    3 recensioni
Missing moment dal secondo libro della saga "Costa Sottovento".
Dopo che la Lord Nelson è stata catturata dai Francesi, Stephen si prende cura di Jack e di Pullings, rimasti feriti nello scontro.
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Genere: Guerra, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: stesso di prima. Non faccio la fame solo perchè mi nutro degli ortaggi scagliatimi contro dai lettori ^^
Il mio unico guadagno sono le belle parole di chi commenta, che ringrazio di cuore perchè mi riempiono di gioia. 

Buona Lettura ^^


Stephen si svegliò diverse ore dopo, con un peso enorme sul petto e qualcosa che gli tirava la camicia.
Lontano, in uno spazio ed un tempo indefiniti, qualcuno stava piangendo.
Man mano che la coscienza ritornava, riconobbe quei lamenti come gemiti di dolore: rannicchiato contro di lui, qualcuno stava soffrendo terribilmente.
Quel pensiero bastò a svegliarlo del tutto. Riaprendo gli occhi, trovò ad accoglierlo i capelli castani di un Tom Pullings pallidissimo che tremava e gemeva forte, aggrappandosi con le mani alla sua camicia e premendo la testa contro la sua spalla.

“Shh.” Il suo primo istinto fu accarezzargli il capo e stringerlo a sé “Shh. Sono qui, sono qui. Dove sentite dolore?”
“La gamba.” Ansimò il giovane, a denti stretti “La gamba.”
“Come va la spalla? E il fianco?”
“Meno. Oddio! DIO!” singhiozzò il ragazzo, nascondendo il volto nel suo petto.

Non passò molto tempo prima che Maturin percepisse il calore umido delle lacrime attraverso la camicia. Inghiottendo il groppo che gli ostruiva la gola, fece scivolare la mano sulla coscia ferita di Pullings e non tardò a scoprire il motivo di tanto strazio: i muscoli dilaniati dal proiettile si stavano contraendo spasmodicamente in conseguenza del trauma subito. Il dolore doveva essere disumano.
In condizioni normali, avrebbe somministrato del laudano per sedare il suo paziente ma non dubitava che quei barbari scriteriati avessero fatto razzia di tutte le sue scorte: il povero Tom doveva stringere i denti e sopportare finché la debolezza non avrebbe preso il sopravvento, riducendolo all’incoscienza.
Cercò di rassicurarlo come poteva: parlandogli e cullandolo, accarezzandolo e stringendolo, mentre i suoi lamenti gli straziavano il cuore.
“Dio. Dio. Dio. Dio.” I singulti erano scemati in una litania infinita, respirata con affanno tra gli spasmi: la miseria umana al suo peggio, e Stephen non era mai stato tanto incapace di alleviarla.

“Perdonate, dottore.”

Alzando lo sguardo, Maturin si trovò ad incrociare quello di Olyffe, un massiccio timoniere brizzolato, con le braccia piene di tatuaggi e una profonda cicatrice sul lato di un volto che avrebbe messo paura a Torquemada.
Come un simile individuo fosse finito a prestare servizio su un mercantile, sia Stephen che Jack se l’ erano chiesto infinite volte da quando erano saliti a bordo. Eppure eccolo lì, a tendere le braccia verso di lui con rispettoso contegno: “Mi permetto tanta confidenza perché da noi si usa così, soprattutto quando uno ha raggiunto una certa età, spero non ve ne abbiate a male.”
“Affatto.”
“Bene. Allora, per cortesia, non è che mi passereste il signor Pullings, dottore? Forse posso aiutarlo.”

Stephen rifletté per un momento sull’opportunità di porre il suo fragilissimo paziente in braccio ad un individuo di tale fatta, poi si rese conto di non aver effettivamente nulla da perdere ma, se davvero quel lupo di mare sapeva il fatto suo, tutto da guadagnare. Soprattutto, il poveretto avrebbe finalmente trovato un po’ di sollievo.
“Va bene.” Accondiscese, con un filo di riluttanza.

Dovettero faticare un po’ per districare la presa ferrea di Tom sulla persona del dottore, ma ci riuscirono.
Tolto il calore emanato dal corpo dell’allievo, Maturin rabbrividì e si avvolse nella giacca per proteggersi dall’umidità. Nel farlo, cercò con lo sguardo il corpo di Jack.
Nessun cambiamento: steso dove lo aveva lasciato, immobile come una balena spiaggiata e altrettanto rilassato. Respirava bene, però, e regolarmente. Non necessitava di alcun intervento urgente e poteva dedicarsi a Thomas Pullings.

Olyffe se l’era posto a sedere in grembo, sostenendolo senza fatica tra le sue braccia poderose e lasciando che gli appoggiasse la testa sulla spalla. Pallido come un fantasma, il giovane ansimava e tremava. Ogni tanto, uno spasmo più forte degli altri gli strappava qualche gemito.
Modulando la voce profonda su un tono basso e rassicurante, il marinaio gli rivolse finalmente la parola: “Signor Pullings? Mi sentite, figliolo?”
“S-sì.”
“Bene. Cercate di respirare, adesso. Piano. Fate dei bei respiri profondi.”
“N-non ce la faccio.” Ansimò il ferito.
“Sì che ce la fate. Ascoltate i miei, di respiri. Fate come me.” E trasse una serie di respiri lenti e profondi, riempiendo gradualmente l’ampio torace e svuotandolo.
“Non ce la faccio.” Ripeté l’allievo, i cui atti respiratori erano crudelmente limitati dalle costole rotte.
“Non dovete riempirvi i polmoni di colpo, ragazzo. Inspirate un poco per volta, fin dove riuscite, ed espirate lentamente. Così.” Gli mostrò di nuovo il movimento, fino a quando non fu in grado di replicarlo, compatibilmente con lo stato della sua cassa toracica.
“Bravo, Tom.” Lo incoraggiò Stephen, che aveva capito dove il marinaio volesse andare a parare. “State andando molto bene. Coraggio.”
“Il dolore è come un’onda.” Spiegò Olyffe al giovane sofferente. “Non è sempre lo stesso. Sale e scende, va e torna, come la risacca. Lo sentite?”
Un cenno tremante del capo.
“Prendete fiato man mano che sale e poi trattenetelo, lasciate andare il respiro man mano che scende. Come l’onda sulla spiaggia, arriva e torna indietro. Arriva. E torna indietro.”

Guidato dalla voce del marinaio, Tom riuscì a sincronizzare il respiro con l’andamento degli spasmi e il suo corpo si rilassò progressivamente, fino a che cadde addormentato tra le braccia del suo bislacco infermiere.

“Il dolore è una brutta bestia.” Questa volta Olyffe era rivolto al dottore, anche se non aveva distolto lo sguardo dal volto dell’allievo. “Anni fa, quando ero ancora un gabbiere alle prime esperienze, caddi da un pennone e mi fratturai un braccio. Niente di grave, per fortuna, ma mi faceva un male porco e il dottore aveva finito i medicinali. Così i compagni mi insegnarono questo trucco per tirare avanti quando diventava insopportabile. Ho pensato che, magari, poteva[1] far bene anche a lui.”
“Avete fatto bene: è stato davvero un bel gesto.”

Come risposta, ottenne solo un grugnito inarticolato che avrebbe suscitato l’ammirazione, se non l’invidia, di Preservato Killick.



Qualche ora più tardi emerse un altro problema, altrettanto grave: Pullings rifiutava il cibo.
A onor del vero, aveva preso un cucchiaio di quella specie di porridge annacquato che costituiva le loro razioni, ma l’aveva rigettato subito dopo. Debole e sofferente com’era, aveva anche fatto lo sforzo di scusarsi, solo per essere zittito da Stephen e Olyffe, che ancora lo sorreggeva.
Tergendogli la fronte con il proprio fazzoletto, il dottore si premurò di controllare se avesse la febbre. La cute ancora fredda e sudata fugò immediatamente ogni preoccupazione a riguardo, anche se la pelle attorno alle fasciature era più tiepida e i linfonodi alla base del collo erano leggermente ingrossati, così come quelli dell’inguine destro. Il forte senso di nausea che provava era dovuto quindi al dolore estremo provocato dalle ferite e dalle conseguenze dell’ipovolemia.

Riaccomodandolo tra le braccia del marinaio, Stephen desiderò ardentemente di avere sotto mano un qualunque alimento semplice ma nutriente per rompere il circolo vizioso nausea-debolezza. Solo un banalissimo pezzo di galletta avrebbe compiuto miracoli, o una tazza di tè, leggero e molto zuccherato, meglio ancora un bicchiere di limonata. Purtroppo non aveva a disposizione nulla di tutto questo.

Se non altro, il ragazzo tenne giù la razione d’acqua a cui i Francesi ritenevano ciascuno di loro avesse diritto.
Convincerlo a bere, quando aveva appena vomitato, fu un’impresa ma non appena il liquido fresco entrò in contatto con le sue labbra screpolate, Tom si rese conto di quanto in realtà fosse assetato. Il dottore lo aiutò a sorbire l’acqua a piccoli sorsi, facendo in modo che non gli andasse di traverso.
Finì anche troppo presto, ma Stephen si proclamò fiducioso nel fatto che quel poco liquido ingerito contribuisse a reintegrare i fluidi persi e ad aumentare il volume sanguigno, alleviando la sua debilitazione.
In cuor suo, il medico sapeva di stare mentendo, perché quel mestolo d’acqua non era neppure lontanamente sufficiente a contrastare gli effetti dell’emorragia. Si guardò dall’esternare la sua preoccupazione, tuttavia: avrebbe mentito fino al Giorno del Giudizio, per il bene e la tranquillità dei suoi pazienti.

Si occupò di umettare, per quanto possibile, anche le labbra di Jack.
Il comandante persisteva nel suo stato d’incoscienza e le sue condizioni gravavano notevolmente sul cuore e l’animo di Stephen, che temeva il sopraggiungere dell’imprevedibile coma e di sua sorella, l’inarrestabile agonia.
Finché il respiro ed il battito si mantenevano regolari, tuttavia, si autoimpose di non preoccuparsi più del necessario: anche le sue capacità mediche avevano un limite, e quella situazione era fuori dalla sua portata. Rivolse un’accorata preghiera alla Vergine, ai loro angeli custodi, ai santi Stefano, Giacomo, e Tommaso perché vegliassero su di loro e sopperissero alle sue mancanze.
Questo, almeno, lo fece sentire meglio.

Più tardi, rimase sinceramente commosso quando uno degli altri prigionieri rifiutò la sua razione d’acqua con la massima decisione: “Datela al ragazzo.” Gli intimò. “Io posso resistere tranquillamente fino a domani.”
Seguì un’accesa discussione, perché altri avevano il desiderio di aiutare e vedevano quello come l’unico modo per farlo. Stephen temette di dover intervenire ma, inaspettatamente, i marinai riuscirono a mettersi d’accordo, assegnandosi dei turni per garantire all’allievo e agli altri feriti almeno una razione supplementare al giorno.

Lo spirito di abnegazione e la tempra morale di quegli uomini non cessava mai di stupirlo.
 


Verso sera, l’ufficiale che aveva difeso Stephen in infermeria, piombò nella stiva scortato da due marinai nerboruti.
Il medico, che stava riallacciando una fasciatura, terminò in fretta il lavoro e si diresse ad accoglierlo dopo essersi pulito le mani nei pantaloni.

“Posso fare qualcosa per voi, monsieur?”
“Ah! Monsieur le docteur, come state? Vi prego di perdonare la mia scortesia : nel caos di ieri ho dimenticato di presentarmi. Sono il capitano Azemà, ufficiale ora al comando di questa nave.”
Stephen accettò la mano profferta e ricambiò la stretta con sincero calore: “Servo vostro, capitano. Il mio nome è Maturin, dottor Stephen Maturin.”
Azemà gli fece un breve inchino con il capo: “Piacere di conoscervi.”
"Piacere mio, monsieur. Vi sono grato per il sostegno che mi avete dimostrato durante l’intervento.”
“Ah, non!” Sorrise l’ufficiale “Ho fatto davvero poco. Soprattutto mi rincresce non aver potuto impedire le perquisizioni sui vostri uomini ma, vedete, noi siamo…com’era quella parola? Come dite voi? Privées?”
“Corsari[2]?”
“Précieusement[3]. Come tali, guadagniamo quello che riusciamo a procurarci: non abbiamo garanzie. I miei uomini vivono di questo.”

Stephen avrebbe voluto ribattere che nessuno li aveva costretti a quella scelta di vita ma capì che gli sarebbe convenuto tacere e decise saggiamente di sviare il discorso: “Posso aiutarvi in qualche modo, capitano?”
“Oui, je pense[4]. Sto facendo un appello degli ufficiali imbarcati su questo mercantile. Sono confinati nelle loro cabine ma stanno bene, non preoccupatevi. E anche le due mademoiselles che, devo ammettere, ci hanno posto qualche difficoltà. ” Ridacchiò “Tuttavia, ne manca ancora uno e ho pensato potesse trovarsi tra i vostri feriti.”
“Di chi si tratta?” Il pensiero di Maturin corse subito a Jack ma, quasi altrettanto rapidamente, realizzò che i Francesi non potevano sapere che fosse ufficiale di Marina.
“Il… oh, mon Dieu! Come lo chiamate voi? Il… le… merde… le timonier!”
“Il timoniere?”
“Non. Quello che controlla le vele? Come si chiama?”

Data la sua cronica ignoranza in materia di termini nautici, Stephen stava per rispondere “gabbiere” ma venne salvato da un membro dell’equipaggio che, vedendolo in difficoltà, si permise d’intromettersi: “Credo s’intenda il nocchiere, dottore.”
“Précieusement! Merci beaucoup, monsieur. Nous sommes entrainé de chercher[5]…Oh, pardon! Stiamo cercando proprio il nocchiere, un giovanotto a quanto dice Monsieur Spottiswood. Un certo Monsieur Tomas Pullings.”

“Sono io.”

Una voce rauca interruppe la loro conversazione e a Stephen si strinse il cuore nel petto a vedere l’allievo che cercava di mettersi seduto, facendo forza sui gomiti e tremando per lo sforzo, solo per fallire miseramente.
“Non muovetevi, Tom. Non cercate di alzarvi: potreste farvi del male.” Gli raccomandò, accorrendo al suo fianco.
“State giù, signore. Avete sentito il dottore.” Consigliò Wilkies, sulle cui ginocchia risiedeva il giovane al momento.
Purtroppo o per fortuna, Pullings era tanto debole e sofferente da avere le vertigini solo se alzava la testa, quindi i suoi sforzi non gli procurarono altro che una fitta tanto lancinante da costringerlo a desistere ed accasciarsi, con il volto sbiancato e contratto, tra le braccia del suo soccorritore.
Dal canto suo, Azemà aveva sufficiente buon senso per capire la gravità della situazione e fece cenno ai suoi uomini di aspettarlo, mentre andava ad accosciarsi vicino al ferito, evitandogli ulteriori problemi.

“Sono io.” Ripeté il ragazzo, ansimando tra i denti stretti “L’ufficiale nocchiero. C’est moi[6].”
Il capitano gli appoggiò una mano sulla spalla: “Vi ho visto, ieri, sul ponte. Avete combattuto molto bene: avete tenuto testa a tre dei miei da solo. Siete stato molto bravo.”
“Fate in fretta.” Lo ammonì Stephen “Sta soffrendo molto e non reggerà a lungo.”
“Oui, docteur, j’entende[7]. Monsieur Pullings, mi capite?” Parlava piano, scandendo le parole ma senza alzare la voce, per non intimidire il ragazzo e accertarsi che lo comprendesse.
“S-sì.”
“Bien, bon garçon[8]! Sono il capitano Azemà e ho preso il comando della Lord Nelson.” Fece una pausa, per dare tempo all’altro di capire “Voi e i vostri uomini siete miei prigionieri.”
Un cenno tremante del capo, unico segno di assenso.
“Ho bisogno della vostra parola di ufficiale che non tenterete la fuga e che rispetterete la mia autorità.”
“L- l’avete.” Ansimò Pullings, ormai pallidissimo e a malapena cosciente “V-vous avez… ma parole… monsieur.[9]”

Sopraffatto dal dolore, il giovane cadde svenuto in braccio a Wilkies, che gli aggiustò addosso la propria giacca e lo sistemò affinché fosse il più comodo possibile.
Maturin gli tastò la giugulare: fluttuava sotto la pelle cinerea, pulsando di un battito erratico e leggero, troppo irregolare. Si sporse con l’orecchio verso il volto di Pullings, lasciando che il suo respiro fragile gli sfiorasse una guancia. Stando seduto, sostenuto dall’ampio torace del marinaio con il fianco ferito libero di espandersi, respirava un po’ meglio che da sdraiato ma la fatica del movimento era evidente nel modo in cui i muscoli s’inceppavano, provocando un singhiozzo se cercava di inspirare profondamente. L’aria viziata della stiva non aiutava di certo.
Aveva iniziato a tossire, da sveglio, e per quanto doloroso fosse era un bene perché poteva espellere il liquido in eccesso anche se l’attacco lo lasciava stremato.
Stephen raccolse una ciocca ribelle dal viso del giovane e gliela pose con delicatezza dietro un orecchio, prima di alzarsi e raggiungere Azemà, che lo attendeva poco distante.

“Posso fare qualcosa per aiutarvi, docteur?”
“Se non fosse di troppo disturbo, coperte e cuscini sarebbero una manna per i miei feriti. Anche dei semplici sacchi andrebbero bene. Alcuni di loro sono piuttosto gravi, come avete visto.”
“E Monsieur Pullings?”
“Sta molto male: lo avete visto. Il dolore è intenso e ha perso molto sangue. Come avete detto ieri, sono brutte ferite.” Trasse un sospiro profondo, cercando di resistere allo scoraggiamento “E non c’è verso di farlo mangiare, purtroppo.”
“Ha bisogno di qualcosa, in particolare?”
“Un piatto di minestra, o qualcosa del genere.”
“Del latte?”
“Di capra, magari. Sarebbe perfetto: leggero e facile da digerire, lo aiuterebbe a tenersi in forze e agevolerebbe la guarigione delle fratture.”
“J’entende. Vedrò cosa posso fare, docteur, ma non aspettatevi troppo. Bonne soirèe[10].”
“Buonasera, capitano.”
Azemà si congedò con un inchino e si allontanò, sempre scortato dai suoi uomini.

“Dottore! Venite, presto: sanguina di nuovo!”
Sentendo il suo richiamo accorato, Stephen accorse da Wilkies: “Dove?”

Il chirurgo sperava si trattasse della spalla, ma notò la macchia cremisi sui calzoni di Pullings prima ancora che il marinaio gliela indicasse.
Slacciò i pantaloni del ragazzo e glieli calò fino alle caviglie, esponendo il bendaggio ormai fradicio. Premette due dita sull’inguine, sentì il battito accelerato e irregolare ed ebbe paura: Tom non poteva permettersi di perdere altro sangue.
Sciolse con rapidità la fasciatura, e trovò subito la causa del sanguinamento: cercando di alzarsi il ragazzo aveva tirato i punti e un paio di essi si erano allentati, per poco non si erano rotti. Raccolse le bende, ammucchiandole a casaccio, e le premette con tutta la forza sulla ferita, per fermare l’emorragia.
Pur nell’incoscienza, Tom gemette, un suono leggero e rauco ma perfettamente udibile agli uomini chini su di lui.

“Shh, shh.” Sussurrò Maturin “Presto sarà tutto finito.”
“Coraggio, figliolo.” Wilkies passò un braccio attorno al torace di Pullings, immobilizzandolo con le braccia lungo i fianchi per evitare che si agitasse, e gli appoggiò una mano sulla fronte per stringerlo a sé “Passa presto. Passa presto.”

Stephen contò cinque minuti prima di sollevare con cautela le bende dalla ferita. Grazie a Dio era riuscito a fermare il sanguinamento e prevenire l’irreparabile.
Pullings giaceva immobile ed esangue tra le braccia del marinaio. Tastandogli la giugulare il medico avvertì il gelo della cute e venne travolto da una fitta di preoccupazione, ma il battito persistente sedò la sua ansia: per quanto provato fosse, l’allievo avrebbe continuato a vivere.
In quel momento, per lui era più che sufficiente.
Trasse un sospiro di sollievo e si asciugò il sudore dalla fronte con un polso mentre cercava una soluzione al nuovo problema: avrebbe dovuto sostituire la fasciatura ma non aveva più bende disponibili.

Non fece in tempo a verbalizzare quel pensiero che si ritrovò sotto il naso il braccio tatuato di Olyffe, la cui mano era avvolta nella stoffa grezza di una camicia. Doveva essere la sua dato che il suo petto si mostrò in tutta la sua villosa e possente estensione quando il chirurgo voltò la testa nella sua direzione: “Usate questa, dottore.” Gli disse “Posso anche fare senza.”
“Siete sicuro? Qui sotto è molto umido, rischiereste di buscarvi un malanno.”
“Pfft. Mai stato malato, io. Nossignore, nemmeno dopo essere stato tutta la notte in testa d’albero con la pioggia! E non la pioggerellina dei Tropici, una vera burrasca al largo di Dover: veniva giù come il Diluvio Universale!”
“Se lo dite voi.” Tagliò corto Stephen, poco convinto “Grazie, comunque.”

Altro grugnito inintelligibile.

Insieme stracciarono la camicia, producendo delle lunghe strisce di tessuto da usare come bende.
Stephen le avvolse intorno alla gamba dell’allievo, coprendo la ferita e stringendo la fasciatura quel tanto che bastava ad impedire un’altra emorragia.
Gli riallacciò i calzoni e lo lasciò riposare, abbandonato tra le braccia di Wilkies, mentre Olyffe si adoperava per raccogliergli di nuovo i capelli con il nastro.



Note:

[1]Soffro nello storpiare questo congiuntivo. Soffro tantissimo.

[2] In Inglese privateers, le navi da guerra di corsa (o guerra privata) erano autofinanziate e comandate da ufficiali esterni ai gradi ufficiali della Marina. Le loro azioni di guerra, intraprese per iniziativa privata, venivano autorizzate dalla Lettera di Marca, che garantiva loro l’appoggio dello Stato.

[3] Esattamente.

[4] Penso di sì.

[5] Precisamente! Mille grazie, signore. Stiamo cercando...

[6] Sono io.

[7] Sì, dottore, capisco.

[8] Bene, bravo ragazzo!

[9] Avete la mia parola, signore.

[10] Buona sera.

 
  
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