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Autore: VALE__97    11/04/2019    1 recensioni
La crepa che si era spalancata all’interno degli Avengers era apparentemente insanabile e Steve Rogers cercava di raccogliere i cocci. Era a pezzi, lo eravamo tutti… Non c’erano né vincitori né vinti, avevamo tutti perso e ne eravamo ben consapevoli. Che cosa avremmo fatto da quel momento in poi nessuno lo sapeva, non mi serviva leggere le loro menti perché lo potevo benissimo intuire dalle loro facce affrante e pensierose.
«Che cosa facciamo capitano?» disse Sam rompendo il silenzio.
Steve alzò lo sguardo da terra. «Non chiamatemi più così»
~Raccolta di missing moments focalizzati nel periodo di tempo tra CivilWar e InfinityWar~
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers/Captain America, Visione, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

Till the end of the line

Steve

Il sole stava già facendo capolino tra le nuvole rosate dell’alba quando atterrammo in Wakanda.

Non calpestavo il suolo africano da quando due anni prima avevamo affrontato Ultron in una vecchia petroliera presa dai pirati. Non potei fare a meno di pensare che in quell’occasione gli Avengers erano uniti.

Quando uscii dal Quinjet l’aria del mattino era fresca e pungente, rimasi affascinato dalla mescolanza dell’azzurro, e del color giallo del timido sole del crepuscolo. Alle mie spalle Nat e Bucky mi seguivano ammirando i moderni palazzi che si ergevano verso il cielo, custoditi da verdi montagne a farne da cinta.

Ad accoglierci vi era T’Challa, il principe di quella fiorente nazione, affiancato da due donne vestite con una armatura in pelle dai motivi etnici e bracciali di metallo. T’Challa era avvolto in un completo color vino e un sorriso bianchissimo faceva contrasto con la sua carnagione scura. «Sono lieto di accogliervi in Wakanda.» disse stringendomi la mano.

«Grazie per aver ascoltato il nostro messaggio.»

«Sono in debito con voi.» disse facendo un cenno col capo a Bucky.

Rimasi sorpreso da come mi trovavo a mio agio con T’Challa, non si atteggiava a re e non usava un tono di superiorità come credevo fosse consono a qualcuno del suo rango.

~~<><><><>~~

Seguimmo T’Challa all’interno di quello che immaginavo essere la residenza reale, non era il palazzo più alto ma era sicuramente il più imponente. All’ingresso due uomini in camice bianco si avvicinarono a Bucky con quella che sembrava una barella sospesa a mezz’aria. T’Challa soffocò una risata nel vederci tutti sbigottiti dalla particolarità di quella portantina.

Bucky rifiutò di farsi trasportare e non capii se la ragione fosse la sua ostinatezza nel voler farcela da solo, oppure il non voler coricarsi su quel mezzo.

~~<><><><>~~

Pochi minuti dopo raggiungemmo il laboratorio e le due donne, che ci avevano scortati, si arrestarono all’ingresso con un colpo di lancia contro il pavimento.

Il laboratorio era spazioso con una serie di schermi che andavano a coprire gran parte delle pareti nella stanza. Poco distanti da noi notai che un gruppo di uomini e donne erano raccolti davanti a una scrivania, assorti a svolgere il loro lavoro.

Una ragazza esile si scostò dal gruppo e ci raggiunse guizzando.

Aveva i capelli neri raccolti in uno chignon e notai all’istante la sua giovane età. «Lei è mia sorella, la principessa Shuri.» la presentò T’Challa.

Inchinammo il capo simultaneamente e quando rialzai lo sguardo vidi il sorriso compiaciuto della ragazza.

«Hai visto fratello!» affermò Shuri indicandoci con un cenno «Prendi esempio dalla loro cortesia.»

«Ma smettila...» bofonchiò lui.

«Quando mio fratello mi ha illustrato la situazione ho subito avvertito i migliori medici del paese...» Iniziò a spiegarci Shuri mentre ci conduceva nel laboratorio accanto. «Ammetto che non abbiamo mai affrontato un caso simile, ma sono sicura che troveremo la migliore soluzione. »

La ragazza fece sedere Bucky sul lettino posto al centro del laboratorio e ci raccogliemmo tutti attorno a lui.

«E’ un piacere averla qui Generale Barnes.» disse Shuri in tono amichevole.

«In realtà sono Sergente...» affermò Bucky con misurato imbarazzo «Sergente Barnes. Ma...»

«Scusa non conosco i gradi dell’esercito americano. » Lo interruppe lei stringendo i denti in un timido sorriso.

Con un tocco attivò il bracciale che portava al polso e da una perla di esso fuoriuscì una linea di luce. Poi la ragazza fece scorrere quella sorta di scanner ottico lungo il corpo di Bucky il quale, d’istinto chiuse gli occhi per qualche secondo. Ricevuti i dati, gli schermi attorno a noi mostrarono lo schema del corpo del nostro compagno, illustrando un articolato sistema di vasi sanguigni e arterie.

«Notevole.» dichiarò Bucky sorpreso, volgendosi in direzione dello schermo accanto a lui.

Un uomo si avvicinò a Shuri e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Decisi di non ascoltare quella conversazione ma notai il volto della ragazza cambiare espressione e diventare più composto.

La ragazza si schiarì la voce. «Purtroppo devo chiedervi di uscire. I nostri medici provvederanno a illustrare al paziente tutte le possibili soluzioni. » capii che vi era urgenza di stabilizzarlo, sia a livello fisico che psicologico e mi sforzai per non ribattere.

Prima di seguire gli altri all’esterno della stanza appoggiai la mano sul ginocchio di Bucky, aveva i muscoli tesi e lo sguardo deciso.

«Andrà tutto bene Steve.» mormorò lui.

«Lo so.» gli dissi sorridendo.

Mentre mi allontanai pensai a come avevo perso tutto per difenderlo, per salvarlo, ma non potevo pentirmi per come erano andate le cose; lui era ancora vivo. Bucky era l’unica persona che ormai mi era rimasta del mio passato, lo conoscevo da quando avevo memoria e mi aveva salvato da così tante risse che avevo perso il conto. Non lo avrei mai dimenticato.

Forse mi ero lasciato dietro qualche pezzo di me stesso ma ripensai a quella frase che suonava nella mia testa come una promessa. Io sarò con te fino alla fine.

Wanda

Mi sembrava di aver appena chiuso gli occhi quando udii una voce pronunciare il mio nome. Aprii a fatica le palpebre e riconobbi Steve. Era accomodato su di una sedia poco distante da me e si teneva la testa tra le mani, appoggiando i gomiti sulle sua ginocchia. Aveva un’aria assente.

Scattò in piedi e si avvicinò al letto sul quale ero distesa.

«Non ero sicuro che ti stessi svegliando.» disse sussurrando come se stessi ancora dormendo.

Cercai di alzarmi facendo leva sul materasso con i gomiti e riuscii a sollevare completamente la schiena.

«Che ore sono?» chiesi biascicando involontariamente le parole.

«Circa le cinque del pomeriggio...»

«Stai dicendo che ho dormito tutto il tempo?» dissi cercando di non apparire troppo agitata.

«Dormivi così profondamente che nessuno ha voluto svegliarti.» disse, e gli angoli della sua bocca si incurvarono in un sorriso. «Ne avevi bisogno.»

Mi rigirai con fare nervoso una ciocca di capelli tra le dita chiedendomi come potessi, in un momento come quello, riuscire a dormire. Mi guardai intorno, era un posto in cui non ero mai stata prima. «Dove ci troviamo.»

Steve esitò evitando il mio sguardo. «Siamo...in Wakanda.» disse, trattenendo il fiato e aspettando la mia reazione.

Scossi la testa e mi piombò addosso, come una doccia fredda, il ricordo di ciò che qualche settimana prima era successo a Lagos. Ero stata precipitosa, i miei sentimenti avevano prevalso e, per salvare Cap da una bomba, avevo deviato l’esplosione altrove. A causa mia cittadini wakandiani avevano perso la vita.

Steve appoggiò la sua mano sulla mia, cercando il mio sguardo. «Wanda...ascoltami...ne abbiamo già parlato...» disse con voce rotta. «Sanno come sono andate le cose realmente.»

Mi prese il viso tra le mani con un tocco leggero, delicato, ma deciso.

«Se tu non fossi intervenuta sarebbero morte molte più persone...» Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, i suoi occhi azzurri erano limpidi come il cielo estivo e potevo sentire il suo respiro solleticarmi le guance. «E io non sarei qui a farti questa conversazione.» disse infine sussurrando.

Sentii il calore diffondersi sul mio volto facendomi lacrimare gli occhi. Lui mi passò i pollici sulle guance senza dire nulla, limitandosi a sorridermi.

Qualche secondo dopo si scostò e si avvicinò alla finestra. Quel vetro che separava noi dall’esterno era così spazioso da riempire con i colori del tramonto tutta la stanza.

«Il tramonto qui è uno spettacolo.» disse tra sé e sé diventando scuro in volto, travolto da mille pensieri.

«Dove sono gli altri?» domandai per distrarlo.

«Sam è rimasto sul Quinjet per supervisionare le riparazioni, Natasha è nella stanza qui a fianco e....» si interruppe di colpo. «Bucky...lui...» vidi il suo sguardo spostarsi sul pavimento e poi al soffitto. «è con i medici da questa mattina.»

Non conoscevo molto su Barnes ma sapevo con certezza che lui e Steve si conoscevano da tutta la vita, che avevano combattuto fianco a fianco, erano molto più che amici; erano fratelli. Un giorno poi James cadde da un dirupo e Steve credeva di averlo perso per sempre. Quello che successe al sergente Barnes in seguito fu una serie di avvenimenti da dimenticare; era infatti stato catturato dall’Hydra e usato come pedina di un progetto più grande.

Steve scossò la testa come a voler allontanare quei brutti pensieri e si passò una mano fra i capelli. Percepivo la sua angoscia, il suo senso di impotenza, quel pensiero fisso di non aver fatto abbastanza. La stessa idea che affliggeva anche me da molto tempo.

Steve fece qualche passo girando attorno al mio lettino e si avvicinò a un tavolo alle mie spalle. Lo seguii con lo sguardo, lo vidi afferrare una pila di vestiti piegati che depose poi sopra alle mie gambe.

«Shuri, la sorella di T’Challa, ti ha lasciato dei vestiti puliti.» disse lui sorridendomi. Con quella osservazione mi resi conto di indossare ancora l’uniforme blu del Raft.

Steve si voltò e io indossai un paio di jeans chiari, una maglietta nera e un cardigan grigio di cotone morbido. Finalmente mi sentivo a mio agio.

«Puoi girarti.» dissi a Steve quando ebbi finito.

Lui obbedii e mi scrutò da testa a piedi con la fronte corrucciata «Trovo che ti donasse di più la divisa da carcerata.» sentenziò.

«Sta zitto!» esclamai io dandogli una gomitata. Steve scoppiò a ridere, per qualche secondo mi sembrò finalmente sereno ma fummo interrotti dal l'aprirsi di scatto della porta.

Natasha si affacciò e diresse il suo sguardo in direzione di Steve. «Shuri vorrebbe parlare con te. » disse la rossa con un sorriso rassicurante.

Steve annuii tornando di colpo serio e Nat ci lasciò, chiudendo la porta alle sue spalle. Lo sguardo dell’uomo cadde sul pavimento, perdendosi.

«Magari è una notizia positiva.» azzardai io.

Cap incrociò le braccia al petto rimanendo in silenzio.

«Steve?» lo chiamai più volte

«70 anni fa non ho mantenuto un giuramento, ci eravamo ripromessi che ci saremmo sempre stati l’uno per l’altro...» disse sospirando e riferendosi a Bucky. «ma l’ho abbandonato quando aveva più bisogno di me.» Ebbi l’impressione che i suoi occhi fossero diventati grigi.

«Però ora sei qui.» gli sussurrai cingendogli il braccio.

«Fino alla fine.» Respirò a fondo come se dovesse tuffarsi e svanire tra le onde. Prima di andarsene mi guardò, lasciando delicatamente la mia presa e io lo seguii con lo sguardo finché non lo vidi sparire dietro la porta.

   
 
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