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Autore: Roberto Turati    13/04/2019    0 recensioni
[ARK: Survival Evolved + Horizon Zero Dawn]
 
Una collaborazione tra me e Manon, mia buona amica e grande appassionata di Horizon Zero Dawn, autrice su Wattpad.
 
Dopo aver salvato il mondo da ADE, Aloy può finalmente rilassarsi pensando ad alcune faccende marginali come esplorare, partecipare alle cacce della Loggia, sbloccare nuovi override nei Calderoni eccetera. Ed è proprio in uno dei Calderoni che, per incidente, scopre un progetto segreto e abbandonato che gli Antichi avevano inizialmente preso in considerazione come un'alternativa a Zero Dawn, prima di decidere che quest'ultimo era un'idea migliore. Così l'amazzone Nora scoprirà un posto che non avrebbe mai immaginato, ma dovrà suo malgrado salvarlo da alcune Macchine che vi hanno acceduto assieme a lei...
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Il Divoratuono, dopo la caduta dalla cascata, si era faticosamente trascinato a riva e adesso stava zoppicando lungo la sponda, mentre alcuni animali erbivori che si trovavano lì, come lo vedevano, scappavano spaventati dall’apparizione di un essere che non avevano mai visto. La Macchina a forma di teropode era disorientata: quel territorio non era in nessuna sezione dei suoi file GPS, perché nessun Collolungo aveva mai eplorato né registrato quel posto. Le immagini erano molto sgranate, visto che aveva perso un visore. Aveva perso un cannone e la mandibola, adesso, pendeva cigolando: si sarebbe staccata da un momento all’altro. Si addentrò nella foresta, sradicando goffamente gli alberi al suo passaggio. Andò avanti così per mezz’ora, poi notò qualcosa che, secondo i suoi algoritmi comportamentali, gli somigliava: un tirannosauro morto. Il rettile tiranno era già molto marcio, con l’addome aperto e pieno di insetti e le ossa scoperte. Allora, nel suo cervello artificiale, si avviò quello che i software del suo creatore EFESTO chiamavano “bio-riparazione”. Il suo visore diventò giallo e, più velocemente che poté, raggiunse la carcassa del dinosauro e la aggirò fino a trovarsi rivolto verso la punta della testa. Dalla caverna fetida che era la pancia emersero tre ienodonti che la stavano spolpando. Ringhiarono un attimo contro la Macchina, ma come il Divoratuono emise un gorgolio di risposta, guairono e scapparono nella foresta. A questo punto, il Divoratuono aprì una valvola segreta che ogni Macchina aveva nel palato, da cui uscirono tanti cavi estendibili e pieghevoli simili ai viticci di un rampicante, ma fatti di silicio. I cavi raggiunsero vari punti del corpo del tirannosauro e cominciarono a prelevarne il DNA. Ci sarebbero volute delle ore, ma alla fine di quell’incredibile processo d’emergenza, così raro che nessuno nel suo mondo di provenienza l’aveva visto, le componenti mancanti del Divoratuono sarebbero state sostituite completamente da tessuti e organi vivi e funzionanti ricostruiti a partire dai geni del tirannosauro. Poi avrebbe pensato ad ambientarsi ed iniziare ad assimilare biomassa, come tutti i suoi simili…

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Aloy, dopo essersi fatta offrire una pagnotta, aveva raccontato com’era finita su ARK. Asile aveva trovato tutto molto emozionante, le aveva fatto così tante domande che alla fine si era ritrovata a descrivere a grandi linee il mondo che conosceva, la Terra rigenerata dal progetto Zero Dawn. La ragazza aveva cominciato a sognare ad occhi aperti, mentre Alocin, oltre a seguire assolutamente disinteressato e svuotando un’altra bottiglia di sidro, mostrava di essere alquanto scettico. Effettivamente, l’uomo si stava chiedendo se stesse avendo le allucinazioni uditive per l’ubriachezza o se la straniera stesse semplicemente mentendo. Infatti, le sbatté in faccia un secchissimo “non ci credo” fra una fitta d’emicrania e l’altra. Aloy si irritò, mentre Asile cercò di difenderla sostenendo che dal tono con cui parlava non poteva non dire il vero.

«Non mi credi, eh? Vuoi vedere, allora?»

«Oh, sì, certo! Non vedo l’ora di crepare ridendoti in faccia quando farai la peggior figura della tua esistenza» e cominciò a ridacchiare a caso, fissando il vuoto.

«E… è andato del tutto» sospirò Asile.

«Uao… tuo zio fa sempre così?» chiese Aloy, con un sorriso divertito.

«A volte sì, a volte no: dipende tutto da quanta voglia di bere gli viene. Ma fa parte del suo fascino, secondo lui»

«Ma… da queste parti sono tutti così?»

«Ovviamente no! È lui che è un pazzo lunatico. Vabbè, mi fai vedere questa “nuvola”? Mi sa che la userò come ultimo spettacolo per gli occhi prima della mia Prova della Maturità»

«La tua Prova della Maturità?» chiese Aloy, mentre Asile induceva lo zio ubriaco a salire in sella al suo triceratopo e saliva su un pachicefalosauro, invitandola a sedersi dietro di lei con un cenno.

Aloy le indicò la direzione in cui far muovere il contingente di creature, giunte tutte insieme in quel momento per il suo stupore. La nipote di Alocin le spiegò in due parole di cosa si trattava.

«In qualche modo, mi ricorda una tradizione della mia tribù» fu il commento finale.

«Tu l’hai già fatto, qualunque cosa sia?»

«Sì, il palio è l’esaudimento di un desiderio»

«Che fortuna, a me spetterà farmi ficcare un innesto di pietre assortite nel polso!»

«Ahi, sembra doloroso… comunque, il mio desiderio era scoprire chi fosse mia madre, ma è venuta fuori una serie di casini che mi hanno fatto scoprire che sono solo la replica di una persona vissua secoli prima di me per volere di un’intelligenza artificiale… e per questo e altri motivi ho scoperto di essere l’unica che poteva impedire che il mondo fosse distrutto per sempre, cosa che alla fine è successa. Sono l’eroina di tutti, ora; anche se preferisco essere trattata normalmente. Sempre meglio che vivere emarginata…»

Asile la fissava con la bocca e gli occhi spalancati, la sua mente ronzava per quanto la storia che aveva appena sentito era contorta.

«Va bene… e io che pensavo che non si potesse avere una vita più incasinata di quella di mio zio! Ma… in che senso “replica”? Se ti strappo la faccia, salta fuori che sei un manichino vivente?» ovviamente, la stava buttando sul ridere, anche se non sapeva fino a che punto.

«Be’, almeno sembra allegro!»

«Ev ded ev ev em ab pèmef mef etag... ev ded ev ev edev vag tjzaz ebev...» canticchiava Alocin nel frattempo, preso dai fumi dell’alcol.

«Nella Prova della Maturità dobbiamo addomesticare tutti da soli il nostro primo animale, se moriamo sono affari nostri. Da te che si deve fare?»

«È una sorta di percorso ad ostacoli, ma abbastanza difficile da uscirne con delle ossa rotte o morti»

«Anche domare una bestia è complicato: ci vuole tanto prima che si fidino di te, a forza di offrirgli da mangiare»

«Semba divertente, però… a me basta una lancia con un override»

«Un… eh?»

«Oh, scusa! Mi serve per prendere il controllo delle Macchine, gli animali metallici di cui ho parlato. Mi sto facendo una reputazione, anche se non sono affatto l’unica che lo sa fare»

«Che mondi fighi abbiamo, eh?» commentò Asile, ridacchiando.

«Sì, immagino» rispose Aloy, con un mezzo sorriso.

In quel momento, dopo aver seguito il fiume per un pezzo, raggiunsero il punto indicato da Aloy e lo si sarebbe capito anche se non l’avesse detto: il portale era impossibile da non notare. Aloy si sorprese, vedendo che si era fisicamente spostato dai venti metri di altezza a cui si trovava prima al terreno.

“Meglio così – pensò – Cominciavo a preoccuparmi su come avrei potuto arrivarci…”

«E così è quello che ti ha portata su ARK?» chiese Asile.

«Già. Non credere che sia normale, per me: anch’io ci ho avuto a che fare per la prima volta oggi!»

«Ehi zio, vedi che la straniera aveva ragione? Quel portale è vero!»

«Ah! Eh? Cosa?... oh, sì, bello! Bello…» farfugliò Alocin, ancora sbronzo. Veramente, non aveva neanche capito cos’aveva detto Asile.

Aloy balzò giù dal pachicefalosauro e sistemò meglio arco e lancia alla sua tracolla.

«Bene, allora… immagino che ci dobbiamo salutare. Grazie per il passaggio, Asile! E scusa se ti sono caduta addosso»

«No, tu scusa me per averti minacciato di pestarti: devo gestire meglio la rabbia»

«Oh, e comunque credo che presto o tardi vorrò tornare sulla vostra isola: sembra un bel posto! E poi non ho mai visto un oceano, potrei approfittarne…»

«Vuoi un consiglio? Evita: ci sono cose molto brutte laggiù»

«Non m’importa, darò un’occhiata: rischiare ne fa valere la pena, mi dicono»

A questo punto, le due si salutarono con un cenno e, mentre Asile osservava con le mani sui fianchi, Aloy scomparve dietro il portale.

«Va bene, zio, direi che decisamente il mio allenamento è da lasciar perdere… andiamo a casa, così tu fai una dormita, ti passa la sbronza e io aspetto di fare la mia Prova!»

«Tu non mi dici cosa… ehi, mi sembra un’ottima idea! Vuoi del sidro? Oh, non ce n’è più…»

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Aloy si ritrovò in fondo a quel buco cilindrico. Nel Calderone, il portale si era spostato dal pavimento alla parete. Guardandosi bene intorno, capì subito cos’aveva attivato la nuvola viola: nel pavimento, c’era una sorta di pulsante con dentro la tipica serratura per override. Evidentemente, il Divoratuono l’aveva premuto cadendoci sopra. Per intuito, Aloy inserì la lancia nella serratura e tirò verso l’alto dopo averla girata: come previsto, il pulsante salì e, in pochi secondi, la nuvola si dissolse come vapore.

“Però, è stato più facile di quanto pensassi!” pensò.

E, uscita dal buco col rampino, uscì dal Calderone Zeta (ricordandosi degli Inseguitori da aggirare) e distrusse una Vedetta dall’occhio rosso che era apparsa in zona nel frattempo. Poteva così ricominciare la sua vita di prima da non-emarginata Nora… o, meglio, pensava di poterla già ricominciare.

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Era passata una settimana. Aloy aveva deciso di fare pratica per entrare nella Loggia dei Cacciatori, un’associazione carja con sede a Meridiana in cui si cercavano e distruggevano Macchine per agonismo salendo gradualmente di grado, come in un corpo militare. Per il suddetto allenamento, aveva raggiunto una piccola zona di caccia nella sua regione natia, il territorio dei Nora. Alcuni la vedevano come la salvatrice del loro mondo, i più scettici e conservatori la guardavano ancora come se fosse l’emarginata che era stata fino a qualche mese prima. Dopo essersi presentata al responsabile delle sfide, si era fatta spiegare le regole: ogni volta che se ne completava una, si ricevevano dei “marchi” e, accumulandoli, si saliva di grado e si acquisiva il diritto di farsi affidare ad un istruttore della Loggia. La sfida di prova che le fu suggerita consisteva nell’usare le frecce dirompenti per staccare dieci serbatoi dalle schiene di una mandria di Cervaviti che si aggirava sempre in quella zona; le sembrò facile per i suoi standard, quindi andò tranquilla. Raggiunto un punto sopraelevato, vide subito il branco di Cervaviti. Tenevano tutti la testa bassa per pascolare: sarebbe stato facile sferrare il primo colpo senza farsi vedere. Prese una freccia dirompente, mirò al Cervavito più vicino e scoccò: l’impulso staccò subito tutti i suoi quattro serbatoi. Le Macchine sobbalzarono tutte insieme e cominciarono a guardarsi intorno, coi visori gialli. Aloy fece in tempo a lanciarne un’altra, che devastò la schiena di un altro Cervavito. A quel punto, tutte le Macchine della mandria fecero i visori rossi e presero a galoppare via, in fuga. Aloy si lanciò subito all’inseguimento, seguendo le tracce e stando attenta a trovare un altro punto adatto per colpirne un terzo. Corse per dieci minuti, prima di rivederli in lontananza: avevano cominciato a camminare e ora si trovavano sulla riva di un laghetto. Incoccò una freccia, prese la mira e… tutto quanto fu interrotto da un lontano, ma comunque assordante ruggito. Aloy sobbalzò dallo spavento e così fecero i Cervaviti, prima di scappare ancora. Aloy intravide un’ombra che le sembrò familiare in lontananza; non poteva vederla bene, perché si sagliava contro la luce dell’alba.

“Un Divoratuono? Ma… perché quel verso?” si chiese.

L’ombra avanzò verso il lago e fu allora che se ne accorse: non era una Macchina. Era un animale, una creatura vivente di ossa, organi e tessuti. La fisiologia era proprio quella di un Divoratuono, però era un rettile con un’andatura simile, con due piccole braccia. Teneva in bocca un cinghiale morto, forse aveva ruggito quando lo stava inseguendo. Aloy non era confusa, di più. Da dove diamine veniva quella cosa? Le venne un sospetto sconvolgente pochi secondi dopo. Nascondendosi dietro una roccia per non farsi vedere, scansionò la creatura col focus mentre guadava il laghetto:

NOME COMUNE: tirannosauro
NOME SCIENTIFICO: Tyrannosaurus rex
PERIODO: Cretaceo superiore
DIETA: carnivora

TEMPERAMENTO: aggressivo

“Assurdo… mi ricorda… possibile che sia venuto da… da quell’isola?” pensò.

Ma non aveva senso: aveva chiuso il portale nel Calderone Zeta la settimana prima, non c’erano più collegamenti con ARK… a meno che…

“E se ci fosse stata una trasmissione ad altri Calderoni?” pensò.

Effettivamente, poteva avere senso: aveva già trovato rovine degli Antichi in cui i dispositivi ne attivavano altri simili in siti uguali. C’era solo un modo per accertarsene…

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Alla fine, Asile aveva scelto un gigantopiteco. Quegli scimmioni la affascinavano da sempre, perché erano praticamente la via di mezzo perfetta fra le persone e gli animali: stavano in posa eretta ed erano basilarmente empatici, ma combattevano selvaggiamente e vagavano per un territorio marcato con l’urina. Aveva avvistato una giovane femmina e, dopo essersi conquistata la sua fiducia, l’aveva chiamata Arlak. Era stata via solo per cinque giorni, siccome i gigantopitechi erano relativamente facili da addomesticare. Quando si era presentata al suo villaggio natale, nella brughiera vicino alla costa occidentale (era un Teschio Ridente), aveva ricevuto congratulazioni e applausi, come chiunque prima di lei. Suo zio aveva finto di rimanere indifferente, per puro orgoglio, ma lei non se la prese, perché lo conosceva. E poi, aveva visto che si stava sforzando per non sorridere. Da ragazza forte qual era, non emise un singolo lamento quella notte, quando il capovillaggio le inchiodò l’Impianto della Maturità nel polso sinistro. Quando era entrata in casa, suo zio si era lasciato andare ad uno dei suoi pochissimi momenti sentimentali della sua vita e l’aveva abbracciata, dicendole che i suoi sarebbero stati orgogliosi… per poi fare una battuta su quanto quella frase fosse stereotipata per i giovani orfani, giusto per farle ricordare che era pur sempre Alocin Ollednom.

Le aveva chiesto cosa desiderava fare per festeggiare il superamento della sua Prova e lei aveva optato per qualcosa di “romantico”: andare su una rupe all’alba per guardare il Sole che sorgeva e Alocin acconsentì, portandola lì con un tapejara, mentre Arlak passava la sua prima notte nella stalla comune del villaggio. Le aveva chiesto cosa desiderava fare per festeggiare il superamento della sua Prova e lei aveva optato per qualcosa di “romantico”: andare su una rupe all’alba per guardare il Sole che sorgeva e Alocin acconsentì, portandola lì con un tapejara, mentre Arlak passava la sua prima notte nella stalla comune del villaggio. Le aveva chiesto cosa desiderava fare per festeggiare il superamento della sua Prova e lei aveva optato per qualcosa di “romantico”: andare su una rupe all’alba per guardare il Sole che sorgeva e Alocin acconsentì, portandola lì con un tapejara, mentre Arlak passava la sua prima notte nella stalla comune del villaggio. Avevano allestito un fuoco da campo su una delle sporgenze dell’Oilep, il monte al centro dell’isola, circondato da fiumi. Su richiesta di Asile, che durante la ricerca del primo animale aveva mangiato solo pasti sbrigativi e sazianti solo per quanto le serviva, abbatterono un listrosauro piuttosto grasso e, farcitolo con degli ortaggi, lo misero a cuocere sopra il fuoco per le sei ore che mancavano all’alba. Nel frattempo, si erano scambiati racconti su cos’era successo a lei e come aveva fatto lui ai suoi tempi. Lui, per provocarla, parlava con un tono narcisista, come se lui fosse il migliore di tutti e lei scarsissima, il che faceva crepare dal ridere entrambi.

Quando ebbero finito di mangiare, il Sole cominciò a sorgere e ad illuminare di rosa rocce e fronde d’albero. A quel punto, Asile andò a sedersi sul bordo della rupe, facendo pendere le gambe nel vuoto, e appoggiando le mani per terra dietro la schiena. Alocin, invece, non resisté più e stappò una bottiglia di sidro, cominciando a bere lentamente e a schioccare la lingua per sentire meglio il sapore. Lei, facendo finta di non aver sentito il rumore del tappo, si concentrò su quanto era contenta per aver passato almeno sei ore in compagnia dello zio come se lui fosse un parente come gli dèi comandavano, e non il buzurro cinico e alcolizzato che dava un senso alla sua vita facendo da genitore adottivo per lei e svolgendo incarichi che spesso prevedevano violenza e morti animali e umane accidentali che conosceva. La sua serena meditazione fu interrotta quando Alocin, vedendo che ormai il Sole era apparso del tutto, le chiese quando si sarebbe decisa ad alzarsi, visto che lui aveva un impegno per uno Squalo Dipinto suo amico e lei aveva altra pratica da fare per conto suo.

«Agli ordini, rovina-momenti!» rispose lei, scimmiottandolo.

Alocin la riaccompagnò al villaggio e, dopo averla fatta scendere dal tapejara, le chiese che aveva intenzione di fare. Stringendosi nelle spalle, Asile disse che pensava di andare nella foresta con Arlak e abituarla ad andare dove le era comandato mentre portava la padrona sulle spalle. Dopo averla scherzosamente avvertita della testardaggine dei gigantopitechi, Alocin andò un secondo in casa a prendere delle armi dal ripostiglio: prese un machete, una balestra con una faretra di frecce in ossidiana e cinque bombe appiccicose; queste ultime erano un’arma che gli Arkiani avevano inventato ispirandosi alle molotov di cui i naufraghi stranieri dalle epoche più recenti raccontavano: si trattava di piccole giare in vimini che si riempivano con una miscela infiammabile di polvere pirica, argilla e petrolio e da chiudere con un tappo di sughero. Prima di lanciarle, si dava fuoco al vimini e le si scagliava contro il bersaglio e la bomba esplodeva al contatto, bruciando tutto intorno a sé: Alocin le adorava, chissà perché…

Quando fu pronto, tornò dal tapejara e decollò.

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La sua destinazione era la spiaggia sulla punta sud-orientale dell’isola, dalla quale si poteva vedere l’isolotto di ulivi, oleandri ed euforbie su cui gli Squali Dipinti avevano il loro villaggio principale. Vide dall’alto il suo contatto che lo salutava con la mano, quindi scese accanto a lui. Era Osnofla Itaba, una delle persone che gli chiedevano favori più spesso. Anche se lui gli chiedeva quasi sempre banalità o idiozie, cosa che gli faceva sempre voglia si tagliargli la testa e gettarla in bocca ad un giganotosauro.

«Eccomi qua, fanfarone. Che vuoi?» gli chiese.

«…“fanfarone”? E questa da dove ti è mai venuta, Alocin? Ho sempre creduto che parlassi peggio di un vecchio sdentato!»

«Anche un dodo saprebbe insultare uno scemo come te. Dimmi che devo fare, così non mi tocca più vederti né sentirti»

«Hai già sentito parlare del tirannosauro zombi con metà corpo di ferro, vero?»

«Come no? Ne parlano almeno dieci persone in tutti i villaggi, anche sui sentieri»

«E ci credi, vero?»

«No. Non ci crederei nemmeno da sbronzo» rispose seccamente Alocin, tracannando del sidro.

«Come?! È vero com'è vero che siamo su una spiaggia! Chi mai avrebbe così tanta fantasia da inventarselo?»

«Certo, come se per inventarsi che il Megapiteco era morto di dissenteria non ci voglia una gran bella dose di immaginazione»

«E se ti dicessi che ho appena avuto la conferma che invece quella cosa esiste, Alocin?»

«Che vorresti dire?»

«Che ieri sera sono stato quasi ammazzato da un sarcosuco di ferro!»

«…mi prendi per il culo?»

«Nient’affatto! Ero nella palude per raccogliere funghi aurei, poi… poi quella… quella cosa è balzata fuori dall’acqua, me ne sono accorto appena in tempo! Era proprio un sarcosuco, ma tutto di ferro! Era tutto un ammasso di placche di metallo bianco attaccate l’una all’altra! Aveva degli occhi di vetro e rosso sangue, non mi staccava lo sguardo di dosso… e poi aveva i poteri magici! Sputava fuoco, sputava palle di ghiaccio… santa Artsa, non so come sono sopravvissuto!»

Spiazzato dall’incredulità della cosa, Alocin annusò l’interno della sua bottiglia per vedere se quel sidro era avariato, ma non lo era.

«Quell’angolo di palude è troppo prezioso per me e per altri: in nessun posto ci sono così tanti funghi aurei! Gli altri non mi aiuterebbero mai a levarlo di mezzo, non mi crederebbero, sono scettici…»

«Sì, perché sei un imbecille»

«Per piacere, Alocin, uccidi quel mostro! Ti prometto che ti offrirò due… no, quattro barili di bile di ammonite! È un’ottima offerta, credimi!»

Alocin rifletté a lungo, ma poi cedette e disse che avrebbe osservato la palude dall’alto col tapejara e che poi sarebbe tornato un’altra volta con più animali e più armi, una volta visto com’era questo sarcosuco di ferro. Osnofla ringraziò e osservò Alocin volare verso la palude sulla costa orientale di ARK.

   
 
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