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Autore: ElinaFD    13/04/2019    2 recensioni
Marsiglia 2016, finale del Grand Prix. I sei pattinatori più forti al mondo si sfidano per determinare chi sarà il campione di metà stagione. Tra questi c'è di nuovo Victor, tornato all'agonismo, insieme allo Yuuri giapponese e a quello russo. Non tutto però va a gonfie vele, per gli atleti. A volte è il corpo a tradirli; altre, invece, soltanto la testa...
Chi vincerà?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kintsugi, o l'arte delle preziose cicatrici'
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Ed eccoci arrivati al giorno del libero. Essendo un giorno importante e pieno di avvenimenti lo suddividerò in due parti: la giornata e la serata. Quindi per i festeggiamenti bisognerà aspettare...
Gli eventi all'interno delle mie storie sul pattinaggio prendono sempre (o quasi sempre) spunto da avvenimenti reali, soprattutto le disgrazie. Quindi qualcuno potrebbe aver riconosciuto nei comportamenti di Seung-gil una polemica avvenuta davvero qualche anno fa, così come ciò che avverrà in questo capitolo è qualcosa di accaduto veramente. Mi diverte infilare questi riferimenti e immaginare se i miei lettori siano in grado di riconoscere nomi ed eventi originali. Insomma, fatemi sapere se avete memoria di ciò che racconto... ;)
Detto questo vi auguro buona lettura. Che la classifica finale possa soddisfarvi...




Marsiglia, sabato 10 dicembre 2016, mattina.


 
La giornata di pausa gli aveva giovato. Yuri si sentiva meglio, più concentrato, più rilassato, per quanto vivesse coi nervi a fior di pelle. Gli allenamenti dei finalisti Junior erano stati divertenti, così come quelli delle altre categorie Senior. C’era una piccola promessa del pattinaggio russo, solo dodicenne, che si era mostrata superiore alle compagne di gara in modo schiacciante, dando loro, durante il programma libero del pomeriggio, uno stacco di quasi quaranta punti. L’aveva guardata in allenamento con una punta di nostalgia, pensando a quando anche lui era così, dannatamente forte e lanciato verso l’entrata trionfale nella categoria Senior. Anche Mila si era difesa bene e, finito il corto, era in seconda posizione, per quanto l’italiana le stesse col fiato sul collo. Certo, avrebbero dovuto uccidere quelle maledette giapponesi…

Marsiglia era una città strana, non esattamente esaltante ma interessante se visitata con Otabek. Sembrava conoscere sempre qualcuno in qualche club o locale del posto, da cui si faceva dare notizie e suggerimenti per il poco tempo libero che potevano ritagliarsi. Alla fine si erano divertiti e Yuri aveva dovuto firmare pochissimi autografi e posare per pochissime foto, cosa che l’aveva rallegrato in modo indicibile. Le fan erano anche simpatiche, sempre ricche di complimenti e regali, ma lui faceva proprio fatica a digerire la loro invadenza e il loro fanatismo isterico.

La cosa che probabilmente l’aveva reso più felice era stata allontanarsi dalla funesta presenza di Victor e Yuuri. Non li aveva visti né sentiti per tutto il giorno, non sapeva cosa avessero fatto e non aveva dedicato loro nemmeno un fuggevole pensiero. Si era concentrato su se stesso dimenticandosi piattole e decrepiti dongiovanni ed era stato bellissimo.

Ora, tornato sul ghiaccio e agli allenamenti per l’ultima uscita pubblica prima della gara della sera, il suo fisico rispondeva bene. Era riuscito ad atterrare il quadruplo Toe Loop, persino in combinazione, ma il Salchow non voleva proprio saperne. L’Axel era un altro elemento altalenante. Ciò che aveva capito era che per riuscire a farlo correttamente doveva cambiare l’angolo di salto, ma per farlo era obbligato a darsi una spinta molto maggiore e di conseguenza la fatica era raddoppiata. Già normalmente gli mancava il fiato, arrivato in fondo, figurarsi con quello sforzo. Poteva farlo, sapeva di poterlo fare, ma le braccia sopra la testa… No, quelle proprio non se le poteva permettere. E con un solo quadruplo presentabile non avrebbe mai potuto recuperare.

Intanto l’interminabile soap opera sul ghiaccio continuava. Seung-gil aveva ricominciato con la sua sceneggiata di sfida nei confronti di Katsudon, questa volta con un sorriso di aperto scherno sul volto, e Yuuri aveva già fallito un Axel. A Yuri questa situazione stava seriamente dando alla testa. Katsudon aveva delle serie chance di vincere, quella stagione; Yuri sapeva che, se fosse riuscito a mantenere l’autocontrollo, sarebbe stato da considerare uno dei favoriti. Forse lui non se ne accorgeva, perché aveva il grasso nel cervello che gli rallentava i processi mentali, ma lì ne erano tutti consapevoli e il nervosismo che andava diffondendosi per il comportamento del coreano stava mandando a puttane l’intera gara. Per quanto il programma corto fosse stato un po’ deludente, quel 97 non gli pregiudicava certo l’oro (bastava pensare a ciò che aveva combinato l’anno precedente, arrivando secondo per un pugno di centesimi); e vederlo ricominciare a inciampare nei propri piedi a quel modo era qualcosa che Yuri proprio non poteva sopportare. A chi sarebbe andato il terzo posto, con Victor e Otabek ai vertici? JJ? Il coreano di merda? Non era nemmeno pensabile.

Sul viso di Yuri si andò disegnando un sogghigno perfido. Seung-gil voleva giocare pesante? Avrebbe trovato pane per i suoi denti. Tanto, cos’aveva da perdere? Avrebbe rischiato.

Al successivo giro di pista prese velocità. Seguì con lo sguardo il coreano che procedeva in direzione opposta lungo il bordo, preparando con ogni probabilità un Axel. Yuri giunse in prossimità della curva e si voltò di spalle, nella sequenza che precedeva un normalissimo Lutz, limitandosi a stringere l’angolo di qualche grado di troppo, giusto quanto sapeva sarebbe stato sufficiente per ritrovarsi esattamente sulla strada dell’altro. Se fosse stato furbo, Seung-gil avrebbe cambiato direzione all’ultimo, rischiando al massimo di cadere e scivolare contro la balaustra. Avrebbe provato sulla sua pelle cosa voleva dire, subire le angherie di un avversario. Cambiò filo della lama due volte, allungò la gamba indietro, fece per darsi la spinta e si voltò per saltare. Il mondo di colpo si capovolse.


 
 
Victor non vide esattamente l’incidente nell’attimo in cui ebbe luogo. In quel momento si trovava al lato opposto della pista ed era troppo concentrato su se stesso per concedere attenzioni agli altri pattinatori. Però sentì l’urlo degli spettatori presenti e il tonfo. Si voltò di colpo, una morsa gelida a strizzargli lo stomaco, ma un secondo dopo Yuuri gli scivolò di fianco e la stretta si allentò. Non era lui, si disse per tranquillizzarsi, Yuuri stava bene, non gli era successo nulla… JJ stava continuando a provare i propri salti imperturbabile, ma avvicinandosi Victor vide che accanto alla balaustra c’erano due figure accasciate sul ghiaccio, apparentemente immobili. Li riconobbe subito: Seung-gil e Yurio.

“Cazzo!” sibilò, incapace di trattenersi dall’accelerare l’andatura e portarsi accanto ai due infortunati. Yuuri era già in ginocchio accanto a Yurio e gesticolava vistosamente in direzione di Yakov. “Vrach[1]!” urlò Victor, ansioso di fugare ogni dubbio, prima di fermarsi accanto a Yuuri e soppesare la situazione. Seung-gil era accartocciato su se stesso in posizione fetale e si teneva il fianco, ma nonostante i gemiti di dolore non sembrava visibilmente ferito. Yuri invece era sdraiato e si teneva una mano sulla fronte, da cui scendeva un rivoletto di sangue.

“Sta bene, è cosciente,” fece Yuuri, e Victor non avrebbe saputo dire se stesse cercando di tranquillizzare lui o se stesso.

“Riprendi a pattinare,” gli disse Victor, incapace al momento di staccare gli occhi da Yuri, lo sguardo che saettava su e giù alla ricerca di una posizione innaturale, di uno strappo, di un taglio…

“Ma…” iniziò a replicare Yuuri, ma Victor gli rivolse un’occhiata che non lasciava posto a ulteriori commenti.

“Continua l’allenamento,” ripeté, categorico. “Sta bene, adesso arrivano i medici. Non ha bisogno che lo consoliamo, non è un bambino.”

Yuuri esalò un sospiro contrariato e nei suoi occhi si poteva leggere chiaramente la preoccupazione per il giovane russo, ma per una volta decise di fare ciò che il suo allenatore gli aveva ordinato. Lentamente si allontanò dal gruppetto, pattinando all’indietro, e tornò a provare.

Victor riportò la propria attenzione su Yuri. C’era qualcosa che non andava nell’angolo delle spalle.

“Sono atterrato di faccia,” mugugnò piano il ragazzo, scostando la mano dalla fronte. Un grosso segno rosso si stava già gonfiando in quello che sarebbe diventato un bernoccolo di tutto rispetto e c’era un piccolo taglio, ma nulla di grave in apparenza. “Sono rimasto sfigurato?”

Che idiota, pensò Victor, in una situazione simile pensava ancora alla sua bella faccina? O era un modo per esorcizzare lo shock dell’incidente?

“No, sei un gattino spelacchiato, come sempre,” rispose asciutto Victor. “Credo che la spalla sinistra sia lussata. Non muoverti, ok? È una cosa da nulla.” Vedeva già con la coda dell’occhio i movimenti frenetici degli addetti alla sicurezza all’ingresso della pista. “Stanno venendo a prenderti,” gli annunciò, rialzandosi in piedi.

“Se quel maiale non arriva almeno terzo…” biascicò Yuri, ma Victor non sentì altro, perché i piedi avevano già ricominciato a muoversi e le gambe a spingere per acquistare velocità. Era un mondo crudele, quello del pattinaggio, pieno di creatività, arte e spensieratezza nei momenti migliori, ma che nascondeva una faccia fredda e spietata. C’erano regole scritte e leggi inespresse che tutti dovevano rispettare. Quando un pattinatore rimaneva a terra, per quanto fosse un proprio amico, finché gli allenamenti non venivano ufficialmente sospesi gli altri dovevano proseguire.

Vide la barella portare fuori Seung-gil, mentre Yuri veniva aiutato ad alzarsi in piedi da due soccorritori che, sorreggendolo, lo scortarono fino all’uscita. Notò la fatica con cui il ragazzo metteva piede fuori dalla pista e i pochi passi incerti prima che gli cedessero le gambe. Yakov fu al suo fianco in un secondo, Victor poteva sentire le sue imprecazioni a quasi trenta metri di distanza. Sarebbe andato tutto bene, si disse, la botta era stata forte e certamente quella spalla era fuori sede, ma non era nulla di davvero preoccupante. Un incidente, come spesso capitavano sul ghiaccio. Soprattutto a chi giocava a provocare e a chi tendeva ad accogliere le sfide a testa bassa… Passando di fianco a Otabek gli mise brevemente una mano sulla spalla, mostrandogli un secondo dopo il pollice alzato. Il kazako annuì, serio, e proseguì la propria routine.

Era davvero un mondo per gente coi nervi d’acciaio, si ripeté ancora una volta Victor, accodandosi a Yuuri e portandosi davanti a lui per frenarlo. Il suo allievo questo ancora non l’aveva capito, nonostante fosse nell’arena da anni. Fortunatamente il suo allenatore ora era lui.

“Andrà tutto bene, non è niente di grave,” gli comunicò a bassa voce, tenendolo per le spalle e guardandolo dritto negli occhi. “Temo che tutto il testosterone coreano abbia annebbiato la vista al nostro torello. Ora però non hai più scuse,” concluse, ammiccando in quel modo che sapeva rimproverare duramente pur mantenendo un tono ironico e leggero.

Yuuri lo fissò con espressione seria e determinata, poi annuì.  

“Lo so,” disse solo, e senza dire altro lo aggirò e ricominciò a provare.

Victor, segretamente, sorrise.


 
 
 
“Sei sicuro di farcela?”

Yakov lo guardò in cagnesco, ringhiandogli contro quella domanda con tutta l’ansia che aveva in corpo. Era preoccupato da morire e a Yuri faceva venir voglia di ridere. In verità tutta l’attenzione che era stata riversata su di lui dal team di supporto l’aveva ripagato enormemente del dolore lancinante e del fastidio delle ore seguenti. Sublussazione della spalla. Era stato fortunato, a sentire il medico. Era una grave sublussazione, ma pur sempre parziale, il che significava meno settimane di tutore e di riabilitazione. Un casino, i Nazionali andati a puttane, ma meglio di tante altre opzioni. (Muscoli lacerati, emorragie interne, legamenti e nervi lesionati… Yuri s’era fatto una cultura in quelle poche ore.)

Dopo l’incidente aveva trascorso il resto della giornata tra il pronto soccorso e l’infermeria del palaghiaccio. La spalla era tornata in sede piuttosto facilmente ma il dolore era stato da togliere il fiato. Ciononostante era stato nulla, rispetto al momento in cui il medico gli aveva detto che intendevano fasciargli il braccio e la spalla perché non li muovesse. Yuri riteneva che non avessero spesso avuto il piacere di udire tante ingiurie urlate in tante lingue diverse tutte insieme. Come se una cosa da nulla come quella potesse fermarlo dal concludere la competizione! Aveva dovuto sgolarsi un bel po’, ma alla fine era riuscito a convincere Yakov a trovare una soluzione temporanea che gli desse il tempo di esibirsi; poi avrebbe fatto il bravo, si sarebbe lasciato fasciare anche il pisello, se ci tenevano tanto, e avrebbe portato il tutore come un bravo bambino.

“E che ci vuole?” rispose strafottente, muovendo il braccio sinistro con evidente sbruffoneria e ritrovandosi a strizzare gli occhi un attimo dopo in un’involontaria espressione di dolore. Nonostante gli antidolorifici che gli giravano in corpo e gli impacchi gelati ogni ora, la spalla faceva ancora male quando la muoveva e la ferita sulla fronte tirava.

“Devi stare attento. Se ci cadi sopra è rotta e sei fuori gioco,” gli intimò l’allenatore cupo.

“Lo so, lo so,” sbuffò Yuri, allacciandosi i pattini con gesti stizziti – almeno per quel che riguardava il braccio destro, cioè quello buono.

“Te li stringo io?” propose Yakov dopo aver osservato i suoi miseri tentativi.

Yuri arrossì. 

“Se proprio lo ritieni necessario…” brontolò, lasciando cadere i lacci e voltando la testa dall’altra parte. Intuì i movimenti di Yakov più che vederli: il vecchio allenatore che si inginocchiava di fronte a lui ansimando leggermente per lo sforzo e prendeva a stringere i lacci dei pattini con presa esperta e sicura. Yuri non ricordava più quand’era l’ultima volta che qualcuno gli aveva allacciato i pattini da ghiaccio, ma doveva per forza essere una memoria che si perdeva nei primi anni della sua infanzia. Era estremamente imbarazzante, ma gli riscaldava qualcosa dentro che lo faceva stare bene.

Yakov si rimise in piedi, sbuffando per la fatica, e si fermò a scrutarlo in silenzio. Yuri ricambiò lo sguardo senza timore: se fino a quella mattina aveva avuto paura di trovarvi rabbia e delusione, ora sapeva di poter tenere la testa alta. Trascorsero qualche secondo così, poi Yakov gli mise una mano sulla spalla sana e la strinse con forza.

“Sono orgoglioso di te, Yuratchka,” sentenziò, e solo l’occhio allenato avrebbe intuito l’accenno di sorriso sulle labbra dell’uomo. “Però ricordati che se ti metti di nuovo a fare il deficiente per dimostrare di essere più incosciente degli altri, ti spacco io entrambe le braccia, altro che spalla!” continuò, la voce che si accalorava via via, trasformandosi nel consueto latrato irato.

Yuri chiuse gli occhi. Sì, sì, lo sapeva perfettamente, niente più colpi di testa per quest’anno. E ciononostante il sorriso compiaciuto non pareva intenzionato ad andarsene dalle sue labbra. Nonostante tutto, Yakov era ancora orgoglioso di lui.


 
 
 
“Mi sono comportato come uno stupido, questa settimana, vero?”

Victor si voltò a guardare Yuuri che, impegnato a fare stretching di riscaldamento di fianco a lui, non lo stava nemmeno guardando.

“Mmm…” Prese tempo, forzando la torsione del bacino fino a che sentì il consueto lieve bruciore della tensione massima. “Hai avuto settimane migliori,” ammise poi, in tono morbido e affettuosamente scherzoso.

Yuri strinse le labbra.

“Sono stato terribile. Mi dispiace…” mormorò.

Victor sorrise.

“Ehi,” lo richiamò, “non è il momento di metterti a tormentarti. Ora hai altro a cui pensare.”

Yuri si voltò, cambiando posizione.

“Victor?”

“Mh?” Allungò la gamba indietro ed espirò, chiudendo gli occhi.

“Mi dispiace, ma questa volta arriverai secondo.”

Victor non poteva vedere l’espressione sul suo volto, ma l’inflessione nella sua voce era inconfondibile. Forte e determinata, quella personalità ultimamente iniziava a farsi vedere sempre più spesso al momento giusto. Gli suscitava un calore nello stomaco a cui ancora non riusciva a dare un nome, ma che fosse orgoglio, tenerezza o eccitazione non cambiava il fatto che non si sarebbe mai stancato di vederla uscire allo scoperto.

“Uh, è una promessa? Eccitante…” sussurrò, sogghignando di anticipazione.

 

 
 
Alla fine non era arrivato ultimo. Era incredibile, ma era successo davvero. Non che lui avesse brillato, ma con un po’ di fortuna e di rischio calcolato era riuscito a stare in piedi. Aveva evitato il quadruplo Salchow fino all’ultimo, per non rischiare di giocarsi tutto il resto del programma con una brutta caduta; ovviamente non era riuscito a completarlo correttamente ed era scivolato, ma aveva protetto la spalla infortunata e si era subito rialzato. Semplicemente non aveva osato più di quanto non fosse quasi certo di saper gestire. Il punteggio finale era un penoso (ma non vergognoso) 180.64, ma era quanto bastava a superare Seung-gil. Yuri non sapeva quanto si fosse fatto male nell’impatto, ma dava per scontato che la risposta fosse meno di lui. Aveva sicuramente battuto il fianco, probabilmente contro il suo ginocchio, ma di certo non aveva nulla di rotto. Al massimo un paio di costole incrinate… Eppure al momento del libero era apparso fiacco e insicuro e aveva inanellato una serie di patetiche cadute, che lo avevano fatto scivolare in fondo alla classifica. Yuri non credeva fosse possibile godere così tanto pur risultando così scarso.

Un’altra cosa che l’aveva fatto godere era la crisi di nervi che, ancora una volta, aveva colpito JJ al momento di scendere in pista. A quel punto pareva chiaro che il canadese soffrisse di una certa ansia da prestazione, e Yuri sospettava che questa colpisse soprattutto nel mettersi a confronto con Otabek, suo vecchio compagno di allenamenti. Forse era stata proprio la performance potente e incisiva di Otabek, più in forma che mai e con un nuovo quadruplo nel mazzo, a mettergli addosso l’ansia. JJ non era andato malissimo, ma si era mangiato il pieno punteggio su tre salti che, nella corsa finale, avrebbero davvero fatto la differenza. A Yuri non interessava neanche tanto capire cosa facesse perdere concentrazione al canadese, perché la soddisfazione era vedere il proprio amico veleggiare verso il podio mentre l’altro affondava in quarta posizione.

Il podio finale aveva lasciato a bocca aperta diversi tra gli spettatori e non solo. Anche Yuri, sotto sotto, era un po’ sotto shock, semplicemente perché Victor non era sul gradino più alto e questa era una novità per tutti. Victor aveva abbassato per qualche motivo la difficoltà tecnica del proprio libero e, nonostante una buona esecuzione con qualche minima sbavatura, aveva totalizzato 210,84. Ora, per altri pattinatori un punteggio così sarebbe stato da considerare stellare (Yuri stesso in primis), ma per Victor Nikiforov era strano. Forse aveva abituato troppo bene i suoi estimatori, forse anche quello era un modo per stupire la folla…anche se un modo piuttosto negativo. Yuri conosceva il repertorio di salti di Victor e aveva notato, come i commentatori, la sparizione di uno dei quadrupli dal programma. Qualcuno aveva malignamente commentato che stesse cercando di fare un favore al suo amichetto, ma l’espressione sul suo viso alla fine del pezzo era inconfondibile: Victor aveva sì abbassato la difficoltà tecnica, ma doveva averlo fatto a ragion veduta, perché quello che aveva concluso con un sorriso tirato a nascondere l’affanno (Yuri era certo che solo i suoi compagni di allenamenti fossero in grado di scorgere quei dettagli, ma erano lì, per chi aveva occhi per vedere) era un libero quasi al limite delle sue capacità. Per un attimo, come un flash, gli era balenata in testa l’idea che la leggenda stesse davvero, in qualche modo, invecchiando e il solo pensiero l’aveva colmato d’orrore.

Restava il fatto che Victor fosse un pattinatore di livello spettacolare e che solo due anni prima avrebbe vinto comunque la finale del Grand Prix a mani basse, quindi come mai non era sul gradino più alto del podio? Yuri non sapeva come definire ciò che era successo: Victor era Victor, movimenti eleganti e fluidi, in perfetto accordo con la musica, ampia varietà di salti discretamente eseguiti, se non sempre al meglio…eppure di colpo non bastava più per vincere. Ed era colpa di Katsudon.

Il giapponese non aveva neppure avuto bisogno di eguagliare il proprio record mondiale dell’anno precedente: con un punteggio allucinante di 219,61 aveva totalizzato 316,83, un intero punto più di Victor, ed era andato a vincere la medaglia d’oro. Yuri era sconvolto e turbato da una serie di emozioni contrastanti in merito. C’era una parte di lui che si sentiva felice per il suo omonimo, poiché, per quanto non volesse ammetterlo, a furia di averci a che fare un po’ ci si era affezionato e allenandosi sulla sua stessa pista aveva visto quanta fatica, sacrifici e soprattutto quante ore di indefesso lavoro ci fossero dietro al suo successo. Una volta aveva chiesto a Victor come aveva fatto, l’anno precedente, a stargli dietro anche solo come allenatore e l’altro aveva risposto con schiettezza che, semplicemente, l’aveva lasciato fare per gran parte del tempo, accettando come inevitabili le sue sessioni, spesso serali, di pratica in solitaria. Tuttavia, se da una parte apprezzava la sua dedizione e aveva sempre stimato le sue capacità artistiche, dall’altra i suoi miglioramenti nelle componenti tecniche lo terrorizzavano. Yuuri stava perfezionando le proprie capacità troppo velocemente. Yuri voleva tenergli testa, scontrarsi con lui e batterlo nelle gare future, ma con le sue attuali abilità era impossibile. Peggio, bisognava ammetterlo: nell’attuale forma fisica Katsudon era allo stesso livello di Victor, se non superiore.

Un unico pensiero lo consolava, e cioè che lui era molto più giovane e, superata quella parentesi problematica, avrebbe avuto un sacco di tempo per migliorare i salti e impararne di nuovi, mentre il giapponese era già al culmine della sua carriera sportiva. E non era da sottovalutare l’utilità di avercelo davanti ad allenarsi tutti i giorni, perché non c’era modo migliore per imparare nuovi salti che copiare chi già li sapeva fare. Victor e Yuuri in questo erano ottimi strumenti. Sì, arrivato in fondo alla finale dei Grand Prix, Yuri tornava a San Pietroburgo con la ferma intenzione di implorare Lilia di ricominciare da capo il lavoro su di lui. Aveva buttato via il suo corpo e si era detto disposto a vendere l’anima già una volta, pur di vincere. L’avrebbe rifatto, avrebbe dato ancor di più, tutte le volte che fosse stato necessario, e nel frattempo avrebbe ampliato il proprio repertorio. Forse ci sarebbe voluto tempo, ma avrebbe raggiunto quei due alla vetta e poi li avrebbe superati.
 


 
 
Arrivare secondo al Grand Prix era stato un trauma. Victor non se l’aspettava; aveva sottovalutato la cosa, probabilmente, ma l’impatto della notizia, quando aveva visto il punteggio del libero e il totale finale, gli aveva tolto il fiato. Era stato difficile, sul momento, sorridere e salutare come se niente fosse, ed era stato ancor più difficile fare pace nel proprio cervello con la consapevolezza che la persona che l’aveva battuto altri non era che il suo protégé, nonché l’uomo che amava. L’aveva sostenuto, spinto, scosso, gli aveva ripetuto che poteva vincere fino alla nausea, ma ora che era successo per davvero e gli aveva rubato il gradino più alto del podio una parte di Victor non sapeva farsene una ragione. Lo faceva sentire strano, triste e vecchio e da un certo punto di vista sbagliato. Sì, perché se non era abituato ad essere superato dal primo ragazzetto che passava e la consapevolezza di aver fatto comunque una gara al limite delle proprie potenzialità del momento gli faceva presagire più chiaramente la via del tramonto, d’altra parte il fatto di essere invidioso del proprio compagno era una delle reazioni più meschine che potesse avere. Victor si era ripromesso di non esserlo mai, di non cadere mai nella trappola della mediocrità, che odiava chi era migliore di sé invece di puntare a superare i propri limiti; ciononostante il sentimento era lì, nascosto in fondo allo stomaco, e lo faceva sentire in colpa.

Aveva anche l’impressione che Yuuri se ne fosse accorto. Non in maniera evidente, ma più come un’intuizione. L’aveva capito dagli occhi con cui l’aveva guardato quando l’aveva raggiunto, nell’area riservata ai vincitori. C’era una luce intimorita, quasi spaventata, in quelle belle iridi castane, che l’aveva rattristato. Era il suo momento di gloria, che lo bruciasse così per paura di averlo ferito era profondamente ingiusto. Quindi aveva fatto ciò che chiunque si sarebbe aspettato da lui: gli aveva sorriso a trentadue denti e l’aveva abbracciato, strizzandolo per bene. Si era sentito istantaneamente meglio, anche.

“Victor…” l’aveva sentito mormorare.

Omedetou![2] Sono così felice per te,” gli aveva sussurrato all’orecchio. “Molto, molto eccitante…” aveva aggiunto poi, con voce più bassa e allusiva, facendo scivolare un po’ più in basso la mano sulla sua schiena.

Yuuri si era staccato da lui di botto e l’aveva fissato con occhi sgranati, il familiare, istantaneo rossore sul viso. Victor non aveva potuto fare altro che ridere.

Arigatou[3]…” aveva mormorato Yuuri, sciogliendosi in un sorriso e appoggiando la fronte alla sua.

Victor non l’aveva ancora digerita del tutto, vero, ma chi sapeva che vedere qualcun altro vincere potesse dare anche così tanta gioia? Pazienza, avrebbe imparato a perdere, qualche volta. Qualche volta… Che non si dicesse che Victor Nikiforov era morto.


 
[1]  Vrach!: Un dottore!
[2]  Omedetou!: Complimenti!
[3]  Arigatou: Grazie
   
 
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